sabato 7 marzo 2015

Non può esserci democrazia se non c’è una scuola democratica, non può esserci una scuola democratica se non c’è democrazia.

Il Comitato nazionale di sostegno alla Legge di iniziativa popolare “Per una buona scuola per la  Repubblica”





Le indiscrezioni, divenute ormai certezza, sulle decisioni che prenderà il CDM in materia scolastica, vanno nella direzione di un Ddl omnibus.
Pensiamo che il cambio di rotta - dal decreto legge al disegno di legge - a cui riteniamo di avere saggiamente contribuito,  superi di fatto l’idea di procedere in modo autoritario su una materia tanto complessa, e permetta finalmente l’apertura di un vero e approfondito confronto in Parlamento e nelle scuole sul futuro del nostro sistema d’istruzione pubblico.
Chiediamo, insieme ai centomila cittadini che l’hanno sottoscritta, che nel dibattito parlamentare sia dato ampio spazio alla Legge d'iniziativa popolare“Per una buona scuola per la Repubblica”  depositata al Senato con il n. 1583 e alla Camera con il n. 2630. Una legge rispettosa del dettato costituzionale e redatta a partire dall’esperienza e dalle riflessioni di chi opera e vive ogni giorno nelle scuole del nostro paese.
Rigettiamo con forza il ricatto che il Governo impone al Parlamento, strumentalizzando l’assunzione dei precari al fine di ottenere una approvazione, senza adeguato confronto parlamentare, su tutti gli altri capitoli della riforma, non solo non urgenti, ma spesso dannosi per la scuola pubblica statale.
Ricordiamo che l’assunzione dei precari è un atto dovuto per dare attuazione sia alla legge Finanziaria del 2007 sia alla sentenza della Corte di giustizia europea; la loro assunzione deve essere disposta con un immediato decreto legge e non può essere contingentata nei limiti degli attuali organici, ma deve comportare al contrario un adeguamento degli organici.
La mobilitazione a sostegno della Legge d’iniziativa popolare non si ferma, riproponendo con determinazione i punti principali della legge per:
  • l’assunzione immediata dei precari in modo da coprire tutte le cattedre vacanti e quelle necessarie ad assicurare la riduzione del numero degli alunni per classe, l’ampliamento dell’offerta formativa (tempo pieno, tempi distesi per l'apprendimento), il sostegno, l’alfabetizzazione, la lotta alla dispersione scolastica.
  • la scuola della cooperazione e della collegialità e non quella della competizione eterodiretta da Dirigenti manager e dalla burocrazia ministeriale;
  • la piena gratuità della scuola statale con finanziamenti certi a tutte le scuole pari al 6% del PIL. No a scuole sostenute dai contributi dei genitori e dei privati. No a nuovi contributi alle scuole private;
  • classi di 22 alunni e non classi pollaio;
  • la scuola dell’infanzia statale garantita a tutti con l’ultimo anno obbligatorio e non la sua trasformazione in un servizio;
  • un sistema di valutazione autonomo dal Ministero che sostenga tutte le scuole aiutando quelle che operano in condizioni sociali disagiate al fine di dare a tutti gli studenti italiani la stessa offerta di istruzione e formazione.
  • Un rapporto fra scuola e lavoro finalizzato a garantire la libera scelta del proprio futuro agli studenti. No all’introduzione dell’apprendistato nelle scuole.
Aderiamo alla giornata di mobilitazione studentesca del 12 marzo organizzando iniziative nelle scuole e nelle città  che coinvolgano studenti, genitori, insegnanti, cittadine e cittadini.
Aderiamo inoltre con convinzione alla mobilitazione sociale del 28 marzo.


venerdì 6 marzo 2015

Valle del Sacco, per la nuova perimetrazione del SIN la Regione convoca Sindaci e associazioni

Luciano Granieri

L'attuale perimetrazione, da cambiare
La giornata del 6 marzo è stata caratterizzata da una stimolante  passeggiata  in Regione con qualche amica e amico appartenenti alle associazioni che hanno costituito Il “Coordinamento delle associazioni ambientaliste  della Valle del Sacco”. L’elenco delle organizzazione aderenti è rilevabile in calce al documento che abbiamo prodotto e che sotto pubblichiamo. 

L’incontro  è stato organizzato dall’assessorato  regionale all’ambiente in relazione alla necessità di individuare una nuova  perimetrazione del S.I.N . (Sito di interesse nazionale)  del  bacino del Fiume Sacco, così come richiesto dal ministero dell’ambiente. In attesa di apprendere gli esiti del ricorso al consiglio di Stato operato dallo stesso ministero,  contro la sentenza del TAR che boccia  la decisione ministeriale di qualificare l’area da zona di interesse nazionale (S.I.N.)  in zona di interesse regionale (S.I.R.),  Il ministero dell’ambiente  vorrebbe risolvere l’annosa questione della perimetrazione dell’area interessata dal degrado ambientale.

 Il rimpallo di competenze sulla zona,  intercorso fra una prima fase di ordine commissariale, che aveva definito una perimetrazione,  ed una successiva  riguardante una seconda perimetrazione inerente  al  S.I.N. vero e proprio, ha  ingenerata una confusione notevole, per  cui, zone profondamente ferite dall’inquinamento rimanevano fuori dal  sito d’interesse nazionale, mentre altre poco o nulla inquinate vi rientravano. 

Di fatto la perimetrazione così come è definita oggi prevede due zone distinte, quella situata a nord, originariamente di competenza del commissario della protezione civile, quelle ubicata a sud di competenza del  ministero.  E’ del tutto evidente la necessità di determinare una perimetrazione unica meglio gestibile e finalmente sotto il controllo di un unico ente, in questo caso il ministero dell’ambiente.  

Per far ciò  tecnici e dirigenti dell’assessorato all’ambiente regionale e dell'ARPA  sono stati invitati ad una conferenza dei servizi , organizzata dal ministero stesso,  per presentare una nuova perimetrazione definita  tenendo conto anche degli attori che vivono sul  territorio: amministratori provinciali,  comuni, associazioni e cittadini. Di qui la ragione della nostra convocazione.  

Le modalità di definizione dell’area di interesse  sono definite  nell’art. 252 coma 2 e 2 bis del decreto legge  152 del 2006 ed a quelle il ministero impone di attenersi. In particolare  possono rientrare nei    siti di interesse nazionale: aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale; aree e territori tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; (cioè di alta valenza culturale), aeree in cui il rischio sanitario ed ambientale , che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio,  deve risultare particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione o dell'estensione dell'area interessata; l'impatto socio economico causato dall'inquinamento dell'area deve essere rilevante; la contaminazione deve costituire un rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale. 

In base a queste prescrizioni  l’assessorato regionale all'ambiente unitamente ai tecnici di ARPA,  ha proposto una bozza di peimetrazione  che,    parte dalle foci del fiume Sacco   procede nei territori di Bellegra, Olevano  per convergere su Colleferro, quindi affianca  l’autostrada del sole ad una distanza di un chilometro dalla sede autostradale,  interessa  l'area  della fabbrica di amianto dismessa CEMAMIT. Su Frosinone è coinvolta la zona Asi e, nonostante la legge non preveda discariche nei siti, perché assegnate alla competenza dei singolo comuni, la discarica  di Via Le Lame è ugualmente compresa  perché l’area su cui insiste è particolarmente flagellata dall’inquinamento.  

A breve le cartine dove la perimetrazione è indicata verranno inviate ai sindaci e alle associazioni che potranno procedere ad eventuali modifiche, ampliamenti o restringimenti, sempre tenendo presente quanto prescrive l’art 252 della legge 152/06. Una volta  modificata ed integrata la regione porterà la proposta di perimetrazione al ministero per l’approvazione definitiva. 

Naturalmente è possibile che quanto deciso dai cittadini, venga totalmente rigettato dal ministero e dunque la perimetrazione possa essere totalmente diversa.  Infatti è bene ricordare, che il sito di interesse nazionale è di esclusiva competenza del dicastero ambientale , i cui rilievi della Regione e della associazioni possono essere anche totalmente ignorati. Le associazioni e i Comuni  sono in attesa di ricevere il materiale cartografico per  prendere visione della bozza di perimetrazione e proporre le proprie  modifiche. Intanto  Il Coordinamento delle associazioni ambientaliste della Valle del Sacco hanno presentato un  documento, dove bene sono specificati programmi e modalità future per la tutela e la riqualificazione della Valle del Sacco.

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                      Coordinamento delle associazioni ambientaliste della Valle del Sacco


Contributo al Tavolo Tecnico del 06 marzo 2015 per la Riperimetrazione del SIN “Bacino del fiume Sacco” e il riavvio delle operazioni di bonifica 

La decisione della Regione Lazio di promuovere un confronto con Enti Locali e mondo associativo per la riperimetrazione del SIN “Bacino del Fiume Sacco” costituisce una iniziativa lodevole. Rivedendo però l’andamento dei lavori pregressi sul tema e delle conferenze di servizi, tale decisione appare un po’ tardiva rispetto ad una gestione delle conferenze che non ha messo in grado i diversi partecipanti di intervenire con piena consapevolezza dei vincoli normativi e procedurali a cui essi dovevano attenersi. Alcuni contrattempi hanno dimostrato come fosse totalmente assente una metodologia che garantisse la piena condivisione della documentazione prodotta nella gestione degli interventi di bonifica e di governo del Sito di Interesse Nazionale. Nelle diverse fasi del procedimento, nonostante i lavori preparatori, abbiamo osservato la non condivisione delle informazioni tra organi di governo, organi di controllo ed istituti di ricerca chiamati ad intervenire nel procedimento. Ci aspettiamo che a questo venga posto rapidamente rimedio nel senso di allineare le diverse istituzioni tra loro quanto al grado di conoscenza della materia, condividendo l’informazione prodotta con la cittadinanza, senza inutili ostacoli all’acquisizione delle informazioni, promuovendone la circolazione, costruendo percorsi di lettura e chiavi di lettura. 

Il compito di indicare le aree soggette a contaminazione delle matrici ambientali da inserire nella perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale spetta agli Enti Locali di concerto con gli Enti di controllo. Tuttavia in questi anni le diverse associazioni hanno svolto una intensa attività di inchiesta, di acquisizione delle informazioni presso le diverse istituzioni, sollecitandone gli interventi, rendendo la cittadinanza consapevole di quanto di concreto veniva realizzato. Questa attività è stata svolta acquisendo i contributi di chi possedeva le competenze necessarie a chiarire e rendere comprensibili i diversi aspetti della realtà che si andava scoprendo. 

In base al lavoro svolto riteniamo di poter definire un insieme imprescindibile di aree da inserire nella nuova perimetrazione del Sito di Interesse Nazionale, quali: 
- l'area industriale di Colleferro, fonte della contaminazione; 
- le fasce perifluviali del Sacco per le quali è necessario ridefinire tutti i perimetri di esondazione; - l'area industriale di Castellaccio; - la Cemamit di Ferentino; 
- le aree industriali di Patrica, Ceccano e Ceprano (premesse per queste aree la congruità con la normativa sui SIN). 

Per legare tutte queste aree e cercare di definire un perimetro più adeguato e corretto possibile, un riferimento di prima analisi, ma solo di prima analisi, è il PAI (piano per l’Assetto Idrogeologico) redatto dall’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno.

 Nel frattempo, purtroppo, il vuoto di interventi durato due anni, causato dal declassamento del sito, aggravato da conflitti intervenuti tra istituzioni preposte, ha generato situazioni preoccupanti e poco chiare. 
Ci riferiamo, ai barrieramenti idraulici nell’area industriale di Colleferro su cui è intervenuto il TAR, per uno di essi, a dirimere un conflitto di competenze con la sentenza del 25 febbraio 2015. Altro punto da sbloccare nell’immediato è il bando di gara per la MISE del sito di discarica denominato ARPA2, nell’area industriale di Colleferro e relativa chiusura delle operazioni di bonifica. 

Necessaria in parallelo la verifica sullo stato dell’arte con susseguente dettagliata relazione. Altrettanto urgente da prendere in considerazione è la situazione del depuratore di Anagni, che non è mai stato realmente preso in carico da alcun ente ed è rimasto del tutto inattivo dopo un percorso che è costato somme ingenti alle casse pubbliche. 

Infine, il dato che sta emergendo in base alle indicazioni fornite da associazioni ed enti locali è l’esistenza, peraltro nota nelle sue linee generali, su tutta l’area più urbanizzata ed industrializzata della Valle del Sacco, di episodi anche gravi di inquinamento ambientale causati da attività industriali, comprese quelle del ciclo dei rifiuti, pregresse o in essere. Le stesse discariche di RSU (più o meno abusive) attraverso il percolato a dispersione sono certamente fonti di inquinamento chimico sia della matrice suolo che acqua. 

Ciò rende ancora più urgente chiudere la pratica della perimetrazione del SIN e la definizione delle aree critiche da includervi. Fatto questo si deve procedere in modo coordinato alla mappatura della totalità dei gravi episodi di inquinamento ambientale che investono e hanno investito la valle del Sacco, usufruendo degli archivi di analisi ARPA, frequentemente chiamata in causa per accertamenti. Per procedere all’attivazione di questa seconda fase è ancor più necessario attivare quei dispositivi di condivisione delle conoscenze e delle informazioni, di messa a disposizione delle competenze, che valutiamo necessari per la definizione del SIN e la sua bonifica. Il territorio della Valle del Sacco costituisce un sistema integrato dal punto di vista ambientale, nel quale è sì necessario intervenire puntualmente ed in modo capillare arrivando però a risanare l’insieme delle relazioni che collegano le diverse matrici ambientali, le aree e gli ambienti che lo costituiscono. 

A fronte di una situazione ambientale gravissima che perdura ormai da troppo tempo, che ha avuto e continua ad avere insopportabili ripercussioni sulla salute degli abitanti della Valle del Sacco, tanto da far emergere nel complesso del bacino idrografico del Fiume Sacco “un eccesso di mortalità per tutte le cause” (come può evincersi dal Rapporto Sentieri - Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento - condotto e finanziato nell’Ambito del Programma Strategico Ambiente e Salute dal Ministero della Salute, o dagli studi epidemiologici di sorveglianza sanitaria relativi alla contaminazione da Beta-HCH, o ancora dallo studio ERAS sull’impatto sanitario derivante dalla presenza di impianti di gestione rifiuti), le azioni di risanamento intraprese sin qui dagli Enti preposti si sono rivelate inefficaci e dispendiose oltre che isolate, condotte per rispondere ad una situazione emergenziale che dura ormai da ventidue anni se prendiamo come anno zero la sentenza della Pretura di Velletri del 1993. 

È palese che in questa condizione risulta contraddittorio in termini e non è più tollerabile che si stanzino ancora fondi per fronteggiare quella che “emergenza” non può e  non deve essere considerata, e che, al contrario, è una situazione ormai “strutturale” che può essere risolta esclusivamente attraverso una visione strategica condivisa. 

E’ ormai chiaro a tutti che continuare in questa direzione, con azioni "a pioggia" che non siano inquadrate in una visione strategica di risanamento dell'intero comprensorio significa continuare a sperperare denaro pubblico, che non solo non porterà alcun beneficio ma protrarrà ulteriormente una condizione inaccettabile dal punto di vista ambientale e della salute degli abitanti. Una corretta azione di tutela e bonifica senza una definizione esaustiva delle variabili che intercorrono non sarà certamente utile al territorio pertanto sono indifferibili quelle azioni propedeutiche ad una definizione chiara, quali: 

 un piano per l’assetto idrogeologico specifico per la Valle del Sacco;
  un piano di tutela delle acque specifico per la Valle del Sacco.

A tal fine, l’attuazione della L.R. n. 5/2014, in termini di individuazione di un Ambito di Bacino Idrografico (ABI) specifico per la Valle del Sacco, può contribuire a creare le condizioni per un nuovo modello di governo, realmente sostenibile, delle risorse idriche e dell’intero territorio. Questo si potrebbe attuare più efficacemente e speditamente, qualora si promuovesse un progetto di Contratto di Fiume, cioè un accordo quadro per lo sviluppo territoriale (AQST), la cui sottoscrizione - da parte di Comuni, Province, Regione, Autorità di Bacino, Associazioni, ecc., conduca all'adozione di un sistema di regole caratterizzato da una serie di criteri prioritari: tutela, bonifica e sostenibilità ambientale, utilità pubblica, rendimento economico e valore sociale. La trasparenza delle azioni, grazie alla partecipazione di associazioni di cittadini, è la caratteristica della progettazione partecipata, che è il carattere distintivo del Contratto di Fiume. 

Sulla scorta delle esperienze europee ed italiane dei contratti di fiume, che sono stati applicati a territori e comprensori fortemente inquinati, quali ad esempio il bacino del fiume Seveso e quello della Valle del Bormida, il Contratto di Fiume Sacco introdurrebbe quei criteri di governance che sono stati indicati dall’UE come gli unici in grado di garantire uno sviluppo sostenibile, durevole e condiviso. 

Riteniamo indifferibile procedere al più presto con l’adozione di misure territoriali, interprovinciali, per ridare slancio all’economia della Valle del Sacco, mettendo in agenda piani di riqualificazione legati alle caratteristiche endogene come i borghi storici, l’enogastronomia, i parchi naturali, i prodotti agricoli, le aree archeologiche, i beni culturali, l’architettura religiosa, ecc… 

Riteniamo altrettanto imprescindibile una moratoria sull’installazione di impianti industriali non compatibili con lo sviluppo sostenibile del nostro territorio. 

Un’attenzione particolare va rivolta alle aree ex-industriali, fonte in altre situazioni analoghe europee di notevoli opportunità di rilancio, vedi Ruhr capitale della Cultura nel 2010. Un quadro di insieme potrebbe vedere unite in un progetto comune le ex aree industriali della Valle del Sacco. 

Valle del Sacco, 06/03/2015

 Il Coordinamento delle associazioni ambientaliste della Valle del Sacco:
 Legambiente Lazio
Retuvasa
 Centro Studi Tolerus
Terra Dolce
Unione Giovani Indipedenti Colleferro
 Laboratorio Alta Valle del Sacco
Comitato acqua pubblica provincia di Frosinone
Associazione Anagni Viva
Comitato Residenti Colleferro
Ass. Colle Antico – Ceccano
 Osservatorio Peppino Impastato
AUT Frosinone
Officina Progetti Europei
Coordinamento Provinciale Sanità Frosinone
DAS (Diritto alla Salute)
Ass. Pulliano

CLICCA QUI PER IL CONTRATTO DI FIUME

Quale cultura serve al rilancio di Frosinone ?

Francesco Notarcola – Presidente Consulta delle associazioni della città di Frosinone

Il sindaco di Frosinone ha recentemente  affermato  che “ la cultura può e deve essere il volano del rinascimento di Frosinone e di tutta la Ciociaria”.E  siamo d’accordo.
La cultura, a nostro parere, non può fermarsi, però,  alla  semplice ordinaria organizzazione di uno spettacolo teatrale o musicale. Sarebbe un limite imperdonabile.
La Città, per avere un futuro, ha bisogno di  far  crescere la sua qualità della vita e la sua economia, realizzando  il forte desiderio di modernità dei suoi abitanti.
Una prospettiva siffatta necessita di una gestione della cosa pubblica trasparente e partecipata. Una forte intesa tra associazioni,  cittadini ed amministratori al fine di promuovere ogni possibilità di impegno e di ricerca per valorizzare un immenso patrimonio archeologico e di bellezze ambientali.
Mentre i cittadini, da sempre, hanno compiuto  passi da giganti sul piano culturale,  promuovendo  il realizzarsi quotidiano di eventi culturali  importanti per arrestare il degrado ed il saccheggio del territorio, gli amministratori di questa Città sono rimasti ancorati ad un concetto di cultura e di progresso legato al cemento, opponendosi alle proposte dell’associazionismo e dei cittadini, privilegiando il rapporto con i ceti dominanti.
Questa concezione della cultura della gestione del potere pubblico ha fatto di Frosinone la città più inquinata d’Italia ma anche il Capoluogo più inquisito del nostro Paese, dove prevalgano gli scandali e la corruzione.

La cultura detta la necessità di porre fine  alla radicata  “cultura” del  cemento e del mattone. Quest’ultima ha fortemente danneggiato il capoluogo ed i suoi cittadini, costruendo una città anarchica che ha distrutto valori e bellezze del territorio e del centro storico,  abbandonato al degrado e alla desolazione, dove la sporcizia la fa da padrona.
Una città che non cresce, dove vi sono migliaia di negozi e di appartamenti sfitti non ha bisogno di altri mostri di cemento. Chi si abbandona a teorizzare simile prospettive opera attivamente contro la Cultura e contro gli interessi del Capoluogo.
Nei giorni scorsi, effettuando  semplici scavi per collegare cavi elettrici, sono venuti alla luce altri interessanti reperti archeologici nella zona De Mattheis.
Ancora una conferma che questo sito contiene ricchezze inestimabili che gli amministratori di ieri e di oggi continuano ad ignorare, permettendo agli speculatori di aggredire e violentare il territorio con nuove, vergognose, inutili colate di cemento armato.
È strano che coloro che dicono di amare la cultura non muovano un dito per permettere, finalmente, a questa città di valorizzare e fruire delle terme romane ancora seppellite sotto un parcheggio.
Se veramente si ama la città e la cultura occorrerebbe promuovere la valorizzazione di tutti i reperti archeologici rinvenuti dagli anni 60 fino ad oggi, finiti chissà dove e di cui i cittadini ignorano esistenza e significati.
A questi fini il Consiglio comunale di Frosinone ha votato all’unanimità la delibera n°32 del 14/09/2011, proposta dai cittadini, a norma dell’art. 54 dello statuto,  dove sono indicati tutti i punti per promuovere ricerca, valorizzazione e tutela dei beni archeologici, e per arrestare l’aggressione del territorio. Sarebbe sufficiente attuare la delibera.
La cultura non si promuove rinunciando e cancellando dal programma delle OO.PP.  il progetto, già finanziato, per la “sistemazione del museo archeologico” dirottando  i fondi   al nuovo stadio comunale.

 Con un atto simile non  ci si schiera a favore della crescita della cultura e della qualità della vita.

Video di Luciano Granieri

Jobs Act: che fare dopo i decreti attuativi?

Alberto Madoglio


Le burocrazie di Cgil e Fiom calano la maschera
 
I decreti attuativi varati dal governo in applicazione del Jobs Act confermano le peggiori aspettative riguardo a questa ennesima riforma del lavoro.
Diventerà più facile ricorrere a licenziamenti individuali e collettivi: in mancanza della “giusta causa”, il padrone dovrà corrispondere solo un misero indennizzo economico. In questo modo passa il concetto che diritti inalienabili dei lavoratori possono essere cancellati in cambio di una mancia.
In caso di disoccupazione, al lavoratore verrà corrisposta una somma (per la durata di due anni, ridotti a circa 70 settimane dal 2017) dal quarto mese  ridotta del 3%: più lunga è la disoccupazione meno si prende come sussidio.
Rimangono tutte le diverse forme di lavoro precario oggi previste: a tempo determinato, somministrazione, a chiamata, con i voucher, apprendistato e part time. Il Jobs Act quindi non solo cancella i diritti dei lavoratori a tempo indeterminato ma non elimina la precarietà nel mondo del lavoro.
Infine per quanto riguarda il demansionamento, i decreti sanciscono che al lavoratore viene confermato il salario dell’inquadramento superiore (salvo le parti accessorie). Tuttavia in un capoverso finale si prevede il ricorso a accordi individuali in “sede protetta” (sic), in cui si può applicare al demansionamento la riduzione di salario. In poche parole il lavoratore, sotto minaccia di licenziamento, sarà costretto ad accettare la riduzione del proprio salario.
Come si può intuire, ci si trova di fronte a un attacco senza precedenti al mondo del lavoro da parte della borghesia italiana e del suo governo, nel tentativo disperato di poter mantenere i propri profitti, duramente colpiti da oltre 8 anni di crisi economica e da una concorrenza internazionale sempre più spietata.
La risposta che, in presenza di questo attacco ai lavoratori, danno le maggiori organizzazioni sindacali italiane, è non solo del tutto insufficiente, ma dimostra una volta di più come le burocrazie sindacali siano direttamente responsabili del peggioramento delle condizioni di vita di milioni di proletari nel Paese.
 
E le burocrazie sindacali cosa fanno?
Dopo l’imponente manifestazione dello scorso ottobre, dopo lo sciopero generale del 12 dicembre, che ha visto imponenti manifestazioni in diverse città, le segreterie nazionali della Cgil e della Fiom hanno dato l’ordine della ritirata. Anziché tornare nei luoghi di lavoro per organizzare assemblee in cui proporre la continuazione della lotta, di un nuovo sciopero generale avente come obiettivo il ritiro del Jobs Act, Camusso e Landini si sono limitati a deplorare il fatto compiuto. Aver convocato il Direttivo Nazionale della Cgil ben due mesi dopo lo sciopero di dicembre è stato il segnale inequivocabile di come le burocrazie sindacali temano, più che gli attacchi che sferra loro il governo, che la rabbia e la disperazione dei lavoratori possano loro sfuggire di mano.
Scioperi, cortei, mobilitazioni vengono convocati quando non ne si può fare a meno, con un’ottica di routine. Nella visione delle burocrazie, non servono ad innalzare il livello dello scontro di classe, ma sono lo strumento da usare come merce di scambio, per dimostrare a governo e padroni che il sindacato ha ancora un largo sostegno tra gli operai e gli impiegati e che quindi ogni riforma (o meglio controriforma) in campo sociale deve essere contrattata con loro.
Nonostante ciò, governo e borghesia rifiutano ogni concessione anche di facciata, consapevoli della grande occasione che possono sfruttare: sferrare un colpo definitivo alle poche garanzie di cui oggi i lavoratori beneficiano. E, nonostante tutto, Cgil e Fiom continuano nella loro politica di capitolazione. La segretaria Camusso avanza la ridicola proposta di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare, avente come obiettivo la nascita di un "Nuovo Statuto dei Lavoratori". A questa proposta si lega la possibilità di un referendum abrogativo del Jobs Act.
Landini, in questo gioco delle parti, finge di spronare da sinistra l’azione della Cgil. All’assemblea dei delegati Fiom di Cervia svoltasi lo scorso week end, si è avanzata l’ipotesi, in aggiunta a quanto deciso dalla Cgil, di indire uno sciopero di 4 ore dei metalmeccanici per il prossimo 19 marzo, a cui seguirà una manifestazione nazionale il 28 dello stesso mese.
Né la linea Camusso né quella Landini sono in grado di rispondere all’attacco lanciato dal governo, né hanno la minima possibilità di ridare slancio alla mobilitazione: lo sciopero del 19 marzo sarà l’ennesima innocua parata che avrà come risultato quello di demoralizzare quei settori di operai che ancora non si vogliono arrendere. La legge di iniziativa popolare marcirà nei cassetti di Montecitorio, mentre il referendum abrogativo del Jobs Act, se mai si farà, si svolgerà quando la nuova legge avrà già manifestato tutti i suoi effetti negativi sulla capacità di resistenza dei lavoratori.
La stessa volontà di rilanciare la mobilitazione partendo dai luoghi di lavoro, non risulta credibile: l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio dello scorso anno fortemente voluto dalla Cgil e poi, dopo qualche schermaglia iniziale, dalla Fiom, ha come risultato quello di rendere molto complicata la conflittualità nei luoghi di lavoro. Nei fatti si tenta di scaricare sui lavoratori la responsabilità del tradimento perpetrato dai burocrati sindacali.
 
Quello che serve
Altro è necessario prima che la guerra sia persa. Preso atto che il gruppo dirigente della Cgil è un freno per ogni reale possibilità di ripresa delle lotte, tutti i settori combattivi e anticoncertativi del sindacalismo italiano, al di là della loro collocazione, devono unirsi per dar vita a quel soggetto sindacale di massa combattivo che oggi manca. Rifiuto del Jobs Act, opposizione inflessibile al rinnovo delle rsu secondo i dettati dell’accordo della vergogna, opposizione frontale e senza tregua alle burocrazie sindacali, programma di azione sindacale basato su una chiara e conseguente piattaforma anticapitalista, perché la crisi la paghino i padroni. Questi sono alcuni punti di una piattaforma realmente alternativa al tradimento organizzato da Camusso e Landini, e sulla quale poter aggregare quei milioni di lavoratori che lo scorso autunno si sono mobilitai contro il governo, e che oggi possono tornare in piazza a lottare contro il governo e i grandi potentati economici della borghesia italiana.

giovedì 5 marzo 2015

Salvini Roma non ti vuole.

Loa Acrobax.

Mi rendo conto che l'argomento "Salvini a Roma" meriterebbe di essere coperto dal classico velo pietoso. I deficienti, non numerosi per la verità, presenti a Piazza del Popolo per  sentire un cretino romperci i coglioni con le solite stronzate sugli immigrati, andrebbero denunciati per danni. Infatti insudiciare con corpi e menti bacate una piazza storica è reato di danneggiamento morale e culturale. Torniamo però a queste mestizie, solo per proporre il video di Elio Germano, girato   dal centro sociale Acrobax qualche giorno prima la miserrima avanzata dei peones fascisto-padani. Non credo che si possa fare meglio nel ridicolizzare certi atteggiamenti.

Buona Visione

Luciano Granieri

ORIENTAMENTI PER LA LIBERAZIONE

Documento politico dell’ass. “Indipendenza”  


Con l'aggravarsi della crisi dell’Unione Europea e della zona euro, il tema della sovranità e l’ipotesi di una uscita dell’Italia –solo dalla moneta unica per alcuni, necessariamente anche dai Trattati europei ad avviso non solo nostro– si stanno facendo strada, pur con percorsi e contenuti molto diversificati. Tuttavia ancora si veicolano affermazioni catastrofiste per seminare paure ed incassare un consenso emotivo sull'irreversibilità dell'euro e le relative politiche d'accompagno. La paura indotta tra la popolazione sta servendo anche per indurla ad accettare alterazioni profonde (in senso ancor più autoritario ed oligarchico) dei preesistenti assetti economici, sociali, giuridici, politici, che di fatto stanno acuendo la subalternità dell'Italia ad una gerarchia didecisori, dalla potenza sub-dominante tedesca fino a salire in cima ai centri strategici situati negli States, attuali regolatori d’ultima istanza del polo capitalistico “occidentale”.

Senza sovranità e indipendenza, senza mettere in discussione lo status di sudditanza del nostro Paese, come sarà possibile costruire una società ‘altra’ rispetto ai rapporti economici, sociali e culturali vigenti che la regolano? Come liberarsi dal dominio geo-politico statunitense esercitato tramite l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale? Come scrollarsi di dosso i ceti sub-dominanti di casa nostra che di quei poteri sono interessata referenza? Come attrezzarsi a fronte di quel Mercato Unico Transatlantico USA-UE (TTIP) i cui negoziati, in corso e secretati, Washington vuole chiudere a fine 2015 o del “Trade in Services Agreement” (TISA) che completa il TTIP intervenendo nel settore dei servizi e che prefigurano sul continente europeo uno scenario peggiore dell’attuale?

La conquista della sovranità deve pertanto essere considerata come la madre di tutte le battaglie, di tutte le lotte. Non si tratta solo di sovranità monetaria, di riconquistarla. Si tratta di recedere dai Trattati europei che vincolano le politiche di bilancio ed economiche. Dobbiamo riprenderci la piena sovranità economica, monetaria, doganale e produttiva. Ma questa presuppone una sovranità politica, un'indipendenza dai vincoli euroatlantici ed un riorientamento radicale della politica estera.
La conquista della sovranità formale –o anche della sola sovranità monetaria– è dunque un obiettivo necessario ma in sé non sufficiente, se non è inscritta nel conseguimento di una effettiva indipendenza sul piano politico, economico, culturale e geo-strategico.

Occorre insomma perseguire una lotta di liberazione nazionale e raccordarsi internazionalmente ad analoghe esperienze (movimenti, partiti, anche governi) connotate in tal senso, assumendo come obiettivo la conquista della sovranità e dell'indipendenza dai vincoli imperialisti per riscrivere rapporti sociali e modo di produzione. 

È necessario quindi operare con intelligenza nella società italiana perché non qualunque rivendicazione e versione della sovranità e nemmeno qualsiasi alternativa all’europeismo è detto che vadano bene. 
Sarà necessario non lasciarsi irretire o suggestionare da pulsioni antieuropeiste di realtà politiche liberal-liberiste che –saldandosi anche a spezzoni di classi dominanti– potrebbero puntare a contrattare uno status di dipendenza a condizioni più vantaggiose direttamente con il padrone americano e senza essere inquadrati nell’UE. 
Sarà necessario attrezzarsi per fronteggiare la reviviscenza, già in atto in alcuni Paesi europei, di populismi regressivi, neo-fascismi et similia. Puntando sulla rivendicazione della sovranità, questi movimenti potrebbero far leva sul malcontento popolare per deviarlo verso obiettivi sbagliati (demonizzazione degli stranieri, razzismo, tentazioni autoritarie, ecc.), guardandosi bene peraltro dal mettere in discussione gli assetti sociali esistenti e le relative ingiustizie. 
Occorre pertanto essere consapevoli che la rivendicazione della sovranità è un obiettivo irrinunciabile ma al tempo stesso di per sé non garantisce nulla, potendo essere posta al servizio di progettualità politiche e prospettive di società assai differenti, non tutte desiderabili. Si rende dunque assolutamente fondamentale definire quale sovranismo perseguire, avendo di vista gli interessi reali e generali della nostra società, ed essere attrezzati anche sul piano dell'organizzazione politica. Non si tratta solo di rivendicare una centralità propulsiva dello Stato e nemmeno di limitarsi all’indicazione di una spesa pubblica che sappia rinvigorire la domanda privata in caduta, fungendo da volàno per una ripresa dell'economia. Si tratta di intervenire anche nella qualità e nella natura delle scelte, nell'organizzazione produttiva, mercantile e delle relazioni sociali, nella definizione di una direzione politica e di un progetto strategico di società, nella necessaria costituzione di blocchi sociali orientati al conseguimento di mutamenti radicali dei rapporti economici.

Indipendenza è pertanto l’idea-forza fondamentale, la conditio sine qua non per costruire un futuro diverso. In ragione di questo l’abbiamo assunta ieri come nome della rivista, oggi come quello della nascente associazione.
Sovranità economica e indipendenza politica da poteri esterni sono due facce della stessa medaglia su cui devono essere impressi e riempiti di contenuti due concetti: democrazia (sostanziale) e liberazione (sociale), basi indispensabili su cui costruire una reale alternativa di società. Una società in cui l’attività economica sia posta al servizio del bene comune, non delle direttive dei cosiddetti mercati o degli interessi delle oligarchie imprenditorial/finanziarie, interne o estere che siano.
Una società improntata al perseguimento concreto di ideali di giustizia, uguaglianza ed emancipazione sociale, che sappia vedere e contrastare i germi dello sfruttamento, del razzismo e della persecuzione dell’altro ovunque si manifestino.
Una società autenticamente democratica, pluralista, non più in balìa del paradigma culturale oggi dominante, il quale –mercificando e banalizzando ogni aspetto della vita umana– sottopone ad attacchi sistematici la dignità della persona. Il tutto con la finalità –nemmeno troppo nascosta– di poter disporre di una massa di individui deboli, sradicati, de-culturati e manipolabili, ridotti al rango di semplici consumatori.
Una società che assuma come indispensabile la difesa del territorio e della natura dal carattere distruttivo dell’attuale modello di sviluppo.

In un mondo in cui la dominazione politica è incorporata nelle merci di massa, la libertaria espressione delle identità culturali dei popoli, delle loro economie, dell’essere liberi in terre libere –condizione imprescindibile per un senso di autentica fratellanza tra le nazioni e di un sistema di rapporti internazionali giusto ed equo– è già di per sé qualcosa che strutturalmente contrasta con gli interessi sovranazionali delle oligarchie economiche e finanziarie, e dei loro referenti (geo)politici.
La rivendicazione 'nazionale' è dunque oggi la più efficace a contrastare le tendenze 'globaliste' del capitalismo, potendo fungere da premessa e da collante generale per tutta una serie di rivendicazioni sociali. Dall’incontro delle due diverse prospettive può scaturire il massimo dell’efficienza politica. Sintetizzando: la rivendicazione nazionale (innanzitutto nei termini della conquista della sovranità e dell’indipendenza) è la questione principale, la prospettiva della giustizia e della liberazione sociale è la questione fondamentale. 

L'associazione "Indipendenza" intende diffondere le idee sopra indicate, entrare nel merito, estenderne le ricadute d'interesse collettivo, raccogliere la più ampia massa critica di cittadini e acquisire più forza d'analisi, di progetto e d'intervento.
È questa la grande sfida che ci aspetta, per affrontare la quale non da oggi operiamo.

SOVRANITÀ, INDIPENDENZA, DEMOCRAZIA, LIBERAZIONE!


Gli otto punti che seguono ed il documento “Orientamenti per la liberazione” che li precede, vanno considerati unitariamente una sorta di piattaforma e di indirizzo politico della neonata associazione “Indipendenza”. 

VERSO L’INDIPENDENZA. OTTO PUNTI

1. Uscita da euro, Unione Europea e annessi vincoli e trattati, nonché cancellazione dalla Costituzione delle modifiche di matrice liberista introdotte negli ultimi anni, quali la riforma del titolo V ed il pareggio di bilancio.

2. Riappropriazione da parte dello Stato delle leve di politica monetaria, fiscale, industriale, commerciale e doganale, e contestuale recupero di una piena capacità d’indirizzo del sistema bancario e dell’economia, nonché adozione di vincoli alla circolazione dei capitali in entrata e in uscita. Indispensabile dotarsi di una Banca Centrale pubblica (non autonoma, quindi), al servizio dello Stato e della collettività; reintrodurre la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, sottoposte a meccanismi regolativi della loro attività; promuovere misure finalizzate al protezionismo finanziario e commerciale, incluso il governo delle dogane e misure protezionistiche in senso stretto (barriere tariffarie e non tariffarie, contingentamenti, sussidi).

3. Introduzione di meccanismi di protezione dei redditi (indicizzazione di salari e pensioni; amministrazione di alcuni prezzi base per governare gli sbalzi nella distribuzione degli stessi, ecc.), diritto sociale al lavoro e alla casa (equo canone sulla casa d'abitazione, acquisizione pubblica delle proprietà abbandonate, incentivazione del recupero del patrimonio edilizio privato e pubblico senza nuovo consumo di suolo), rilancio delle politiche sociali e riscrittura dei rapporti di lavoro, mediante il recupero dei contratti collettivi, la protezione del lavoro e dei salari estesa anche ai lavoratori a tempo parziale, la riqualificazione del settore lavorativo pubblico e l’introduzione di forme di controllo dei lavoratori sulla vita e gestione delle imprese. 

4. Ridefinizione di un nuovo modello economico che ripristini la centralità del ruolo dello Stato, da concretarsi tramite il riassetto pubblico della ricerca, della sanità, dell’istruzione (con definizione, al riguardo, di un asse culturale nazionale della scuola) e della previdenza; nazionalizzazione di tutti i comparti strategici (reti energetiche e idriche, ricerca, industria, farmaceutica, comunicazioni, trasporti, viabilità, rifiuti); tutela e sostegno ad agricoltura (anche mediante l’uscita dalla nociva Politica Agricola Comune), commercio, artigianato, libere professioni, piccola impresa e cooperazione. Inalienabilità dei beni comuni quali acqua, territorio, patrimonio artistico e culturale, la cui gestione –in nome e per conto del popolo– demandare allo Stato, con attivazione di forme di partecipazione sociale e controllo da parte del popolo stesso. 

5. Riassetto e messa in sicurezza del territorio, tramite opere di bonifica, controllo e tutela dello stesso dai fattori inquinanti e dal rischio idrogeologico; rifiuto di quelle “grandi opere” che, lungi dall’essere di utilità reale per il benessere della popolazione, si rivelino funzionali a soddisfare appetiti speculativi e a devastare il territorio nazionale; pubblicizzazione del servizio di smaltimento e trasporto dei rifiuti (industriali e non), con obiettivo tendenziale rifiuti zero attraverso il risparmio, il riuso e il riciclo delle risorse.

6. Perseguimento dell’indipendenza energetica, anche attraverso lo sganciamento dalla dipendenza dal petrolio e la valorizzazione delle fonti rinnovabili.

7. Edificazione di una società autenticamente democratica, pluralista, rispettosa delle minoranze linguistiche, culturali e nazionali, con al centro la dignità della persona. In tal senso, oltre a conseguenti interventi in ambito politico, istituzionale ed economico, occorre intervenire anche in ambito culturale (decisivo al riguardo il ruolo della scuola) e comunicativo, ridando ruolo al servizio pubblico radio-televisivo, sia in ambito informativo (garantendo la massima pluralità) sia per quanto concerne la valenza culturale ed educativa.

8. Riorientamento della politica e delle relazioni estere sulla base dei princìpi di non ingerenza, reciprocità, rispetto delle sovranità nazionali, perseguimento della pace e della cooperazione tra i popoli. Necessaria, in tal senso, una ridefinizione della collocazione geopolitica dell’Italia, a partire dalla fuoriuscita dalla NATO.



 

mercoledì 4 marzo 2015

Cosa può offrire il governo Tsipras ai lavoratori della Grecia?

Valerio Torre

      Il bilancio ad appena un mese dalla nascita, la politica dei rivoluzionari

 Lo spot
La scena mostra un bambino che sta giocando con un trenino elettrico. Il bambino è visibilmente contrariato perché ad ogni curva il suo trenino deraglia e i vagoni escono dalle rotaie. Allora si rivolge, chiedendogli di aiutarlo, ad un uomo grande e grosso che, con atteggiamento affabile e protettivo, gli mostra in che modo far correre il convoglio senza che deragli. Mentre il trenino sfreccia, stabile sulle rotaie, sventola la bandiera della Grecia. Il bambino ora è soddisfatto e scambia un gesto d’intesa tipicamente statunitense, il “give me five”, con colui che lo ha aiutato. Solo a questo punto veniamo a sapere che il bambino si chiama “Alexis”.
I preparativi per il governo: una strizzata d’occhio ai militari…
Quella che abbiamo appena descritto è la scenetta di uno spot elettorale del partito greco Anel (Anexartitoi Ellines, cioè Greci Indipendenti), la formazione di destra che, alle recenti elezioni ha ottenuto il 4,75% dei voti e 13 seggi, grazie ai quali ha formato una coalizione di governo con il partito della sinistra Syriza. L’omone della scenetta è proprio il leader d’Anel, Panos Kammenos, che interpreta se stesso nell’atto di aiutare il bambino, significativamente di nomeAlexis, a tenere sui binari un treno senza farlo deragliare. In soli 35 secondi [1], è raccontata, già prima delle elezioni, quella che sarebbe poi stata la nascita del governo Tsipras. La simbologia è fin troppo trasparente: il giovane leader della sinistra greca non è da solo in grado di mantenere sui binari il traballante Paese; ci vuole dunque chi, con pragmatismo paternalistico e affidabilità contrapposti all’inesperienza giovanile, sappia tener ferma la barra.
Anel è un partito della destra nazionalista greca, nato da una scissione da Nea Dimokratia dell’ex premier Samaras. Le sue posizioni sono contro l’austerità imposta dall’Europa, ma soprattutto contro l’immigrazione e il multiculturalismo, in difesa dei valori patriottici e di quelli religiosi della chiesa greco ortodossa. Ma, ciò che è importante segnalare, il suo leader, Kammenos, è il garante dei militari e rappresenta per Tsipras una “polizza d’assicurazione” [2].
Ecco allora che si spiega la rapidità (meno di un’ora di colloquio) con cui i due hanno stretto la strana alleanza di governo: un’alleanza che affonda le sue radici in una dichiarazione del 6 maggio 2012, quando, in occasione delle precedenti elezioni, Kammenos “non escludeva un'alleanza con Syriza nel comune rifiuto del rigore imposto da Bruxelles” [3].
...alla chiesa ortodossa…
Ma quello dei militari – bacino in cui pescano a piene mani i neonazisti d’Alba Dorata – non è il solo fronte rispetto al quale Tsipras si è voluto garantire tranquillità.
In Grecia, la chiesa ortodossa ha un peso sociale molto rilevante, di cui il potere politico non può non tenere conto. Lo scorso mese d’agosto, Tsipras si è recato sul Monte Athos per una visita di due giorni alla comunità religiosa insediata con venti monasteri in quella regione, cui la Costituzione greca riconosce una forma d’autogoverno [4].
Ricevuto con tutti gli onori dal consiglio della comunità appositamente riunito, il leader di Syriza ha voluto rassicurarne i rappresentanti promettendo pieno sostegno alle richieste pervenutegli sul tema del regime fiscale delle proprietà ecclesiastiche.
Però, questo è stato solo l’ultimo passo di un percorso di graduale avvicinamento alle gerarchie ortodosse, iniziato nel gennaio 2013 in occasione di un convegno organizzato dall’Università di Salonicco sul tema “Chiesa e sinistra”. Mettendo da parte l’anticlericalismo, Syriza ha iniziato una sempre più stretta collaborazione con la chiesa greca sui temi sociali e di battaglia comune contro Alba dorata, sfociata poi in un’inedita udienza ottenuta da Tsipras nel gennaio del 2014 dal patriarca di Costantinopoli.
...e alla finanza internazionale.
Tuttavia, l’azione di Tsipras per accreditarsi come futuro premier responsabile e affidabile si è svolta ad ampio raggio anche sul palcoscenico della finanza internazionale.
Già nel gennaio del 2013, il giovane leader greco ha iniziato un lungo tour nelle capitali che contano, dando un’immagine di sé rassicurante e tutt’altro che radicale. “Spero di avervi convinto che non sono pericoloso come alcuni pensano (…). Chi vuole spaventarvi vi dirà che se il nostro partito va al potere strapperà gli accordi con l’Unione europea e con il FMI, porterà il Paese fuori dell’eurozona, [ma] il nostro obiettivo è salvare il Paese e tenerlo dentro l’eurozona”: queste erano le sue dichiarazioni rivolte alla platea di un meeting alla Brookings Institution di Washington, il più influente organismo d’analisi politica degli Stati Uniti [5].
Due mesi dopo, Tsipras era alla London School of Economics a tranquillizzare l’uditorio garantendo che non era affatto intenzione di Syriza rompere con l’euro o ripudiare il debito [6].
Passati solo pochi mesi, in settembre, partecipando al Kreisky Forum a Vienna si è premurato di illustrare alle borghesie europee che il suo partito era contrario allo smantellamento dell’Ue e che il disegno era solo di riprogettare l’unione monetaria stabilizzando l’eurozona e mettendo in campo “un Piano Marshall europeo che comprenda una vera unione bancaria, una gestione centralizzata del debito da parte della Bce e (…) una conferenza straordinaria sul debito europeo di tutta la periferia. (…) il mio partito, Syriza, è impegnato a promuovere un piano europeo per la salvezza dell’eurozona” [7].
Infine, il pellegrinaggio di Tsipras si è concluso in Italia, dove, nel settembre del 2014, si è registrata la sua presenza – salutata dalla calorosa accoglienza del gotha del capitalismo italiano – al Forum Ambrosetti di Cernobbio (il cenacolo della grande borghesia italiana) [8], in cui ha civettato con Mario Monti, in un profluvio di vicendevoli complimenti [9]. Quindi, solo pochi giorni dopo, la visita dal Papa [10].
L’opportunismo e il tentativo di pugno di ferro nel partito
Come si vede, dunque, “studiando da futuro premier” Tsipras ha adottato un’accorta realpolitikallo scopo di preparare il terreno per l’ascesa al governo del suo partito. Già prima della campagna elettorale, Syriza si era resa protagonista di una svolta in senso pragmatico consistita nell’abbandono progressivo di tutti i punti salienti dell’originario programma del partito in favore dell’assunzione del molto più moderato “programma di Salonicco”.
Per comprendere il senso del percorso politico di Syriza occorre però risalire alle sue origini, cioè al 2002, quando si costituì come coalizione elettorale la cui principale componente era una rottura del Partito comunista (Kke), Synaspismos, favorevole all’integrazione della Grecia nell’Unione europea. Confluirono nel raggruppamento alcuni piccoli partiti della sinistra pseudo-trotskista, maoista, anarchica, ecologista.
Fu solo nel 2012 che vide la luce il primo, vero programma di Syriza, che prevedeva allora – ma con un linguaggio ambiguo e che poteva prestarsi a svariate letture, sia “da destra” che “da sinistra” – la nazionalizzazione/socializzazione delle banche e la loro integrazione in un sistema bancario pubblico sotto controllo sociale e operaio; la nazionalizzazione di tutti i servizi pubblici di interesse strategico; la sospensione del pagamento del debito con un audit per la verifica della sua parte “illegittima”; e, sul versante della politica internazionale, l’uscita dalla Nato e l’abolizione della cooperazione militare con lo Stato d’Israele.
Già nel luglio 2013, il congresso che trasformò Syriza da coalizione elettorale in partito, cancellò o modificò profondamente i punti più “spigolosi” del programma, non già capovolgendo radicalmente il manifesto programmatico del 2012, ma approfondendone i già ampi profili di ambiguità. D’altro canto, lo stesso Tsipras, incontrando in occasione del suo viaggio a Washington alcuni rappresentanti del Dipartimento di Stato Usa, li aveva già rassicurati sulla volontà del suo partito di garantire la permanenza della Grecia nella Nato nel caso fosse andato al governo [11].
Nel congresso l’ala sinistra del partito raccolse circa il 30% dei voti, con un consenso fino al 40% su alcuni emendamenti. In questo contesto, la maggioranza di Syriza spostò il baricentro della discussione sulle questioni statutarie tentando la manovra di proibire l’esistenza delle tendenze interne. Ma la ferma opposizione su questo punto, non solo delle aree che sarebbero state interessate dalla misura restrittiva, quanto anche dei settori di sinistra della stessa maggioranza di Tsipras, portò a una soluzione di compromesso consistente nel rinvio dell’esame della questione. Secondo la principale figura pubblica della componente della sinistra interna, Stathis Kouvelakis, Tsipras era stato indotto a tentare questa manovra dalle pressioni della stampa, che premeva affinché il partito potesse “controllare” l’ala dissidente [12].
Le trattative con l’imperialismo
Comunque, il programma uscito dal congresso del 2013 è stato ulteriormente “addolcito” per poi trasformarsi nel “programma di Salonicco”, esposto dallo stesso leader alla vigilia delle elezioni: un programma chiaramente keynesiano, le cui promesse (sulle quali Syriza ha condotto la campagna elettorale) partivano dal presupposto della risoluzione della questione del debito con la Troika nei futuri negoziati con Bruxelles. Ma prima di avviarli, dopo aver vinto la competizione, Tsipras e il suo ministro delle finanze Yanis Varoufakis [13] hanno iniziato un pellegrinaggio in diversi Paesi europei nel tentativo di “disarticolare” l’alleanza fra le nazioni creditrici, cercando di seminare divisioni tra quelle più fedeli all’austerità (Germania in testa) e quelle ritenute meno “ortodosse” (Francia e Italia).
Le speranze sono però andate deluse. Come in una partita a poker, mentre i due leader ellenici avevano in mano un bluff, gli avversari – sia pure recitando la parte assegnata a ognuno di loro (Renzi e Hollande facevano i complimenti a Tsipras, mentre la Merkel e il suo ministro Schäuble gli ringhiavano contro) – calavano i punti che contano davvero in una trattativa con i briganti imperialisti: la minaccia di sospendere gli aiuti. D’altro canto, la nuova leadership greca non poteva non sapere [14] che, quando nel 2013 era Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Olli Rehn dichiarò in una conferenza stampa che il controllo europeo sulle finanze greche non sarebbe terminato con lo spirare dell’accordo sui prestiti. In proposito, riportando la notizia, il quotidiano greco Kathimerini spiegò bene il senso di quelle dichiarazioni: “Se un eventuale governo Syriza volesse porre in essere politiche keynesiane, dovrebbe innanzitutto convincere tutti i suoi partner dell’eurozona ad accettare un cambiamento dell’attuale quadro legislativo, oppure abbandonare la moneta comune. In altri termini, se Syriza tentasse di allontanarsi dalla ortodossia economica, la Grecia sarebbe trascinata davanti alla Corte di giustizia europea, dovrebbe pagare delle sanzioni e anche i sussidi dell’Ue, secondo l’accordo finanziario pluriannuale (2014 2020), sarebbero sospesi” [15].
L’esito dei negoziati
E dunque, Tsipras e Varoufakis, si sono avventurati, con in mano solo una pistola giocattolo, in sconsiderate trattative con gli avvoltoi di Bruxelles, armati invece di un cannone [16]. Dopo un negoziato di alcuni giorni, le parti hanno trovato un “compromesso”, che però per la Grecia è soltanto semantico: il premier greco, infatti, sta vantando col suo elettorato che la Troika è stata espulsa dal Paese ellenico; che si sono ottenuti quattro mesi per “poter respirare” grazie ad altri crediti; che le privatizzazioni sono state fermate; che i greci hanno riconquistato la loro sovranità, dato che potranno essere loro a decidere le misure economiche necessarie.
Le cose, ovviamente, non stanno affatto così. Il quotidiano la Repubblica [17] chiarisce subito che “i più forti, Jeroen Dijsselbloem e la Germania, hanno vinto ottenendo molte più cose di quante ne hanno concesse”, riconoscendo ad Atene solo di poter rivendicare il ben magro risultato di “aver aperto dal basso e contro la legge dei numeri un dibattito sull'Europa destinato a durare oltre le decisioni di questi giorni”. La verità è che, per dare un contentino a Tsipras e in omaggio al compromesso linguistico da lui voluto per salvare la faccia di fronte al suo popolo, la Troika non si chiamerà più così, ma d’ora in poi, pur continuando le proprie politiche verso la Grecia, si chiamerà “le Istituzioni”; che i prestiti per i prossimi quattro mesi non sono “nuovi”, ma sono l’estensione, non solo dell’accordo sul prestito, ma dell’originario Memorandum (che però, sempre per gentile concessione di Bruxelles, non si chiamerà più così); che restano ferme le privatizzazioni già decise, mentre il governo greco si impegna a rispettare il processo conformemente alla legge per quelle avviate e ad esaminare coi partner quelle ancora sulla carta, “al fine di migliorarne i termini” [18]; che i greci potranno “liberamente” scegliere la propria politica economica non più di quanto liberamente possa “scegliere” chi si veda puntata alla tempia una pistola. E, infatti, il governo ellenico ha “liberamente” fatto marcia indietro sulla promessa elettorale di riportare il salario minimo a 751 euro rinviando sine die la sua discussione, “previa consultazione con le istituzioni europee e internazionali”; si è impegnato ad avviare una manovra sull’Iva [19] (adottando “un linguaggio degno dei funzionari dell’Ocse” celia il quotidiano di Confindustria Il Sole 24 Ore [20]); si è impegnato a “espandere e sviluppare gli attuali schemi di lavoro temporaneo” [21], garantendo “l’allineamento alla best practice europea attraverso un processo di consultazione con i partner”, e ad approvare una riforma delle pensioni stabilendo “una corrispondenza più stretta tra contributi versati e importo dell’assegno pensionistico”; si è infine impegnato a “adottare una spending review in ogni area di spesa (ad esempio: istruzione, difesa, trasporti, governo locale, prestazioni sociali) ” e a “rimuovere gli ostacoli alla concorrenza” [22].
Questo programma di “riforme” – di cui in un imbarazzatissimo articolo dello sponsor italiano del governo Tsipras (Rifondazione comunista) si dice, con involontaria ironia: “non ci pare proprio che si tratti della ‘resa’ di cui parlano tutti coloro che confidano che non venga messa in discussione la disciplina neoliberista nell’Unione Europea” [23] – rappresenta, in conclusione, la dimostrazione inconfutabile di quanto il rimborso del debito sia ormai definitivamente diventato una condizione fatta propria dall’esecutivo greco.
Un governo di fronte popolare
Come abbiamo già scritto più sopra, Tsipras ha imposto l’elezione di Prokopis Pavlopoulos a presidente della repubblica. Pavlopoulos è un importante esponente del partito di centro destra Nea Dimokratia e ha ricoperto l’incarico di ministro degli Interni durante il governo Karamanlis dal 2004 al 2009, proprio quando la violenta polizia greca uccise il giovane studente Alexandros Grigoropoulos dando luogo a imponenti manifestazioni di protesta. Il Corriere della sera, che lo descrive come un massone ed europeista convinto, evidenzia come la sua elezione sia servita al premier greco per “controllare le anime più estreme del suo partito” [24]. Ma in realtà ha avuto anche lo scopo di mandare un segnale di distensione all’eurogruppo al fine di favorire la conclusione del negoziato, che non a caso è poi avvenuta solo due giorni dopo [25]. Ma giova pure osservare che lo scenario della “coabitazione”, cioè quello in cui un governo basato su Syriza può coabitare con un presidente di centrodestra, è stato proposto proprio da Panos Kammenos, l’alleato di governo di Tsipras, a dimostrazione sia del peso politico che un diretto rappresentante di settori della borghesia greca nel governo “anti austerità” ha all’interno dell’esecutivo, e sia della fallacia dell’analisi che in proposito fa la sinistra centrista interna a Syriza [26]. E dunque appare evidente come, a partire dall’accordo con Anel, con l’elezione di Pavlopoulos si sia determinata una ricomposizione della destra nel cuore del regime della Grecia.
A questo punto, è necessario procedere, sulla base degli elementi che sono sul tavolo, a una caratterizzazione del governo Tsipras per comprendere quale deve essere l’atteggiamento dei rivoluzionari di fronte ad esso.
Cominciamo, innanzitutto, col ritenere che Syriza, in considerazione del suo programma riformista, per come l’abbiamo sinteticamente descritto in precedenza, ben può essere annoverato tra i partiti socialdemocratici. Il suo è un programma innervato di keynesismo e che non si pone affatto l’obiettivo di rompere col regime di dominazione borghese, ma tutt’al più di ottenere “miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno [dei] rapporti di produzione [borghesi], che cioè non cambino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscano alla borghesia le spese del suo dominio e semplifichino l’assetto della sua finanza statale” [27]. In quanto partito socialdemocratico, e in rappresentanza del movimento operaio e popolare, sull’onda della vittoria elettorale che le masse gli hanno consegnato, ha formato un governo di collaborazione di classe con settori della borghesia (integrandone poi altri, come abbiamo visto, con l’elezione di Pavlopoulos): un governo nato nelle urne – con la contemporanea sconfitta dei partiti diretti rappresentanti della borghesia – come sottoprodotto deformato delle lotte delle masse popolari greche di questi ultimi anni contro la colonizzazione imposta dalla Troika e dai Paesi imperialisti d’Europa, ma che per il suo programma e gli impegni che ha assunto col capitalismo non rappresenta e non può rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e delle masse popolari.
Un governo, peraltro, che, dopo aver annunciato a gran voce l’adozione di misure per far fronte all’ “emergenza umanitaria” (salario minimo a 751 euro, elettricità gratuita per 300.000 famiglie), le ha presto dimenticate: non perché contrastate dall’imperialismo (come la sinistra riformista e centrista di tutto il mondo ha sostenuto), ma perché sacrificate, invece, sull’altare della negoziazione continua e ininterrotta con le borghesie europee, dato che, nella situazione della Grecia, anche misure minime e insufficienti come queste si scontrano oggettivamente col sistema di dominazione imperialista che assoggetta il Paese e dunque non sono praticabili senza rompere unilateralmente gli accordi con la Troika e ripudiare il debito rifiutandone il pagamento. Ecco perché si trattava, dunque, solo di promesse elettorali non diverse da quelle mirabolanti che fanno tutti i partiti borghesi in campagna elettorale.
La politica dei rivoluzionari rispetto al governo Tsipras
Ma la sinistra riformista e centrista mondiale, benché si trattasse di provvedimenti che stavano solo sulla carta, li ha difesi affermando che i rapporti di forza non consentivano che si avanzasse su questo terreno. Nel Programma di transizione, Trotsky sosteneva che è vero che nel soddisfacimento delle rivendicazioni minime dei lavoratori (disoccupazione, carovita) si pone un problema di rapporti di forza, ma è altrettanto vero che è un problema “che può essere deciso solo con la lotta”, attraverso la “sistematica mobilitazione delle masse ai fini della rivoluzione proletaria” [28].
Dunque, a differenza dei riformisti (che difendono incondizionatamente il governo borghese di fronte popolare e le sue misure) e dei centristi (che invece difendono “criticamente” quel governo e i suoi provvedimenti), i marxisti rivoluzionari devono spiegare pazientemente alla classe lavoratrice il reale carattere capitalista del governo che essa sente come “proprio”, denunciandolo instancabilmente e implacabilmente come un governo borghese e controrivoluzionario, allertando le masse – nonostante le illusioni che esse nutrono – a non riporre alcuna fiducia in esso e facendo appello alla continua mobilitazione per poter cambiare da un versante di indipendenza di classe i loro destini.
La classe operaia, gli studenti, le masse popolari dovranno dunque – permanentemente mobilitate – esigere dal governo Syriza la rottura con la borghesia, la cacciata dei ministri borghesi, la denuncia del patto che ha portato all’elezione del presidente della repubblica e la sua destituzione; il blocco immediato delle privatizzazioni e l’annullamento di quelle portate a termine; la denuncia e l’annullamento di ogni accordo e trattato coi creditori internazionali, ripudiando il debito e rifiutandone il pagamento; l’uscita dall’euro; la rottura con l’Ue e la Nato; l’espropriazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle banche e delle imprese strategiche; l’apertura dei libri contabili e l’abolizione del segreto commerciale; la riconversione della produzione nel quadro di un piano economico centralizzato al servizio delle necessità più pressanti del popolo greco relativamente all’alimentazione, alla sanità, ai trasporti, all’energia, all’abitazione; il monopolio del commercio estero e il controllo dei flussi di capitale con la creazione di un’unica banca nazionale posta sotto il controllo dei lavoratori; la dissoluzione delle forze armate e di tutte le squadre speciali che in questi anni si sono rese responsabili della feroce repressione delle giuste lotte dei lavoratori, con l’armamento del popolo per la difesa del Paese dai possibili attacchi esterni e interni, considerando che i nazisti di Alba Dorata, oltre ad essere la terza forza greca in termini elettorali, sono armati e organizzati.
Contemporaneamente, allertiamo la classe lavoratrice e le masse popolari sul fatto che il governo Tsipras, proprio perché è un governo borghese, non sarà disposto a difendere i loro interessi, ma, salvando il regime esistente, a tutelare quelli della borghesia nazionale e del capitalismo internazionale, la cui azione congiunta in tutti questi anni ha ridotto il proletariato greco alla miseria e alla fame.
Proprio per questo, nel vivo della loro permanente mobilitazione e sollecitando la solidarietà internazionale concreta degli altri popoli d’Europa, i lavoratori dovranno porsi l’obiettivo dell’urgente costruzione del loro strumento indipendente di lotta, cioè un partito operaio, rivoluzionario e socialista, e, con esso, l’obiettivo di prendere il potere per costruire il loro proprio governo, ponendo le basi per realizzare in tutto il continente, a partire proprio dalla Grecia, una rivoluzione socialista che punti all’edificazione di una vera Europa dei lavoratori e dei popoli, cioè gli Stati Uniti Socialisti d’Europa [29].
Note
[1] Lo spot di Anel si può vedere all’indirizzo 
http://tinyurl.com/k2uwmwc.
[2] “La Difesa a un patriota ecco la mossa di Alexis per sedurre i militari”, la Repubblica, 28/1/2015:
http://tinyurl.com/p2gyzh7.
[3] Il Sole 24 Ore, 28/1/2015: 
http://tinyurl.com/lq8ycsm. La sinistra interna di Syriza sembra sottovalutare il dato di quest’alleanza: con una postura tipicamente centrista, Antonis Ntavanellos, rappresentante di quest’area e membro del Coordinamento esecutivo del partito, sostiene che è infondata la preoccupazione – espressa soprattutto fuori della Grecia – circa l’inedita coalizione e cerca di sminuire il significato politico dell’accordo, ponendo invece l’accento sull’atteggiamento di contrarietà al Memorandum da parte di Anel e dichiarando che l’intesa col partito di Kammenos è tutto sommato un problema “facile” da risolvere se comparato con i problemi più importanti che si porranno al neonato governo Tsipras: http://tinyurl.com/mfho25y. Dunque, per i centristi interni di Syriza l’alleanza di governo fra chi dovrebbe rappresentare i lavoratori e il popolo greco e un partito che invece incarna gli interessi della borghesia (o quantomeno di un suo settore) sarebbe una questione alla fin fine “secondaria” rispetto all’azione di governo? Vedremo poi nel testo che non è così. Ma intanto possiamo qui anticipare che la risposta alla domanda appena posta viene già dall’elezione del presidente della repubblica: in ossequio a questo “secondario” problema, Tsipras ha fortemente voluto come capo dello Stato, e fatto eleggere, Prokopis Pavlopoulos, membro di Nea Dimokratia, caratterizzando il suo esecutivo quasi come un governo di unità nazionale. Ci soffermeremo nel prosieguo dell’articolo su questo aspetto.
[4] 
Http://tinyurl.com/lhmq9cb.
[5] 
Http://tinyurl.com/nkjkyv4.
[6] “Alexis Tsipras entre radicalisme et «réalisme»”: 
http://tinyurl.com/cgx8e32.
[7] 
Http://tinyurl.com/pbudgbc.
[8] La Stampa, 7/9/2014.
[9] 
Http://tinyurl.com/pw3nyeo. Oppure, http://tinyurl.com/py5yx7j.
[10] 
Http://tinyurl.com/l754ldj. Il sito greco Enikos ha definito l’incontro “storico”: http://tinyurl.com/m35ynw4.
[11] V. nota 6.
[12] Aldo Cordeiro Sauda: “Syriza: partido e programa”, in 
http://tinyurl.com/ntq62am.
[13] Varoufakis, in realtà, non è un militante di Syriza, ma un accademico scelto da Tsipras per l’incarico di ministro. Dà voce, indubbiamente, al settore più a destra del partito. Negli incontri negoziali con i compassati uomini della finanza europea ha voluto presentarsi come un personaggio bizzarro nell’atteggiarsi e nel vestire (circostanza su cui si è molto soffermata la stampa borghese), allo scopo di marcare una differenza con i suoi interlocutori. Dipinto da molti media quasi come un “demone marxista” è in realtà, “un vecchio socialdemocratico” (così lo descrive Antonis Ntavanellos nelle dichiarazioni contenute nella videoconferenza citata nella precedente nota 3). Lui stesso si definisce “un marxista eccentrico” (
http://tinyurl.com/oebty8v) e si ritiene investito del compito di “salvare il capitalismo da se stesso” (http://tinyurl.com/njcxgb5): cosa che, in effetti, ha egregiamente contribuito a fare come ha dimostrato l’esito dei negoziati delle scorse settimane e come ci apprestiamo a dire nel testo.
[14] Anche perché la domanda alla conferenza stampa cui accenneremo ora nel testo l’aveva posta Nadia Valavani, figura di primo piano di Syriza e oggi viceministro delle finanze.
[15] “Greece can choose its government, but not its economic policy” (La Grecia può scegliere il proprio governo, non la propria politica economica): 
http://tinyurl.com/omobw4y.
[16] Ma Tsipras e Varoufakis non si sono limitati solo questo: sono andati oltre! Per la trattativa sulla rinegoziazione del debito greco si sono affidati a uno dei principali “squali” della finanza internazionale, cioè alla banca d’affari statunitense Lazard (
http://tinyurl.com/m5vwnra), responsabile dell’indebitamento di molti Paesi africani e già incaricata nel 2012 dal governo greco allora in carica di prestare una consulenza al modico prezzo di 25 milioni di euro!
[17] “Accordo sulla Grecia: vincitori e sconfitti”, 20/2/2015.
[18] In altre parole, salvaguardare nell’interesse del capitalismo internazionale l’intero quadro delle privatizzazioni imposte dalla Troika.
[19] Che in campagna elettorale aveva risolutamente escluso.
[20] “Il libro dei sogni di Tsipras che accantona il programma di Salonicco”, 24/2/2015.
[21] I lavoratori precari gliene saranno grati!
[22] Il testo integrale del documento di impegno della Grecia si può leggere qui: 
http://tinyurl.com/kw8quw2.
[23] 
Http://tinyurl.com/lneq7tu.
[24] “Pavlopoulos, così Syriza compatta il fronte ellenico”, 20/2/2015 (
http://tinyurl.com/ok6zadr).
[25] È chiaro, dunque, che la scelta come presidente di una figura di spicco della destra legata al Memorandum rappresenta un compromesso col sistema, a livello sia nazionale che internazionale.
[26] Ne abbiamo parlato nella nota 3.
[27] Si tratta di quello che Marx definiva “socialismo borghese” (Il Manifesto del partito comunista, 1996, Editori riuniti, p. 46).
[28] L. Trotsky, Programma di transizione, 2008, Massari editore, p. 76, 78).
[29] “L’avanguardia proletaria d’Europa dirà ai padroni di oggi: ‘Per unificare l’Europa bisogna anzitutto strapparvi il potere. Lo faremo. Unificheremo l’Europa. La unificheremo contro il nemico e questo nemico è il mondo capitalista. Ne faremo la piazza d’armi grandiosa del socialismo combattente. Ne faremo la pietra angolare della Federazione socialista mondiale’” (L. Trotsky, “Il disarmo e gli Stati Uniti d’Europa” in 
http://tinyurl.com/o9pz9an).