Rete per la Tutela della Valle del Sacco (retuvasa)
É inquietante, e al di là dei nostri stessi fondati timori e dei nostri stessi fondati sospetti, il quadro che emerge dalla stampa relativamente all’ “inchiesta sulle Autorizzazioni Integrate Ambientali” rilasciate dalla Provincia di Frosinone. L’indagine del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale, coordinata dalla Procura di Frosinone, sembra mettere a nudo un vero e proprio sistema, volto ad agevolare il rilascio delle AIA alle aziende in cambio di favori e posti di lavoro, con sconcertanti violazioni delle procedure amministrative, in particolare nell’affidamento di consulenze “double face” a tecnici a libro paga delle aziende.
Al riguardo dobbiamo ricordare quanto comunicammo alla stampa tempo fa, in occasione delle dichiarazioni di Confindustria Frosinone circa i ritardi nel rilascio delle AIA da parte della Provincia e il volume delle prescrizioni da parte degli enti preposti. Osservammo che le farraginosità e le pastoie burocratiche erano inutili, ma che non si poteva certo giocare sulla pelle della gente e dei lavoratori pensando di poter velocizzare oltre misura procedure autorizzative complesse, richiedenti ragionevoli tempi tecnici e valutazioni attente e serene da parte degli organi di controllo.
Chiediamo a Confindustria Frosinone di prendere una chiara posizione contro le aziende, tutto sommato con ogni probabilità una minoranza, che screditano l’intera categoria. E le suggeriamo di diffondere presso le aziende un codice deontologico a misura delle storiche specificità provinciali. Ciò non toglie, ovviamente, che le responsabilità più gravi che sembrano emergere dalle indagini si ravvisino soprattutto sul fronte politico e amministrativo.
Non possiamo che plaudire con grande soddisfazione all’ennesimo grande operato sul fronte ambientale della Forestale. In quest’ultimo anno la mole di lavoro e i risultati sono davvero straordinari. Estendiamo l’apprezzamento anche alla Procura di Frosinone, non potendo però dimenticare che, a prescindere dalla sempre valida presunzione di innocenza per i reati in causa, importanti inchieste ambientali degli ultimi anni sono in seguito sfumate per prescrizione o archiviazione. Confidiamo che in questo caso le cose andranno in maniera diversa.
Luisa Montoni Comitato acqua pubblica Provincia di Frosinone
Ciao a tutti,
ieri l'audizione in commissione ambiente si è svolta a grandi linee in questo modo:
- l'intervento inziale di Severo Lutrario che ha riportato i contenuti del documento consegnato in quella sede (in allegato) (riportato nel post qui sotto ndr)
- la risposta del presidente Panunzi per il quale la proposta di legge sugli ABI non può essere portata direttamente in consiglio ma deve per forza passare per la commissione a meno che non ci sia accordo con la giunta, in quanto secondo lui la legge va portata a compimento nella chiarezza!
- la risposta di Refrigeri che si focalizzava solo sulla legge di modifica alla n.5.
- interventi dei consiglieri sottoscrittori della proposta consiliare n. 238, nostri e alla fine anche del presidente Panunzi (visto che l'assessore continuava a glissare il punto) volti a far prendere all'assessore l'impegno per avviare l'iter della proposta.
- l'impegno di Refrigeri di portare una proposta di giunta entro un mese (10 luglio).mentre la proposta di legge di modifica della n.5 avverrà in tempi più brevi con un passaggio ulteriore per il ministero degli affari regionali...
Ci siamo poi confrontati con i consiglieri Sel (che tengono in considerazione i possibili sviluppi interni alla maggioranza in relazione alle dimissioni del capogruppo e la nomina di Valentini al suo posto) e M5S (che faranno tutto quello che è nelle loro possibilità per far rispettare all'assessore i suoi impegni).
Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio
rammenta a codesta Commissione come la Regione Lazio, unica in Italia, abbia approvato una legge, peraltro di
iniziativa popolare, che recepisce i
risultati dei referendum 2011
Questa legge è la Legge Regionale 5/2014 "Tutela, governo e gestione
Pubblica delle acque", e con questa legge, approvata all'unanimità dal
Consiglio Regionale, la Regione si è impegnata a ridefinire i nuovi Ambiti di
bacino e i relativi Enti di Governo,
Questa legge è stata impugnata dal
Governo e benché detta impugnativa si limiti ad aspetti marginali che comunque
non inficiano la struttura stessa della norma; benché I punti controversi non
attengano assolutamente alle modalità di individuazione dei nuovi ambiti e
tanto meno alle loro modalità di governance, la medesima impugnativa è
stata presa a giustificazione del fatto che la legge sia rimasta tuttora
inattuata.
Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio a questo proposito informa
codesta Commissione che comunque, per superare l'impugnativa, ha avviato ogni
opportuna interlocuzione, anche con il ministero per I rapporti con le regioni,
ed ha proposto da tempo (iniziando da settembre 2014) le modifiche (allegato1),
via via integrate a seguito del confronto con l'assessore Refrigeri e la sua
segreteria, assessore che ha reiterato, sin da settembre 2014 e ad ogni
successivo incontro, l'impegno, sempre disatteso, di portare “a breve” tali
modifiche in aula.
Da allora sono passati mesi - quasi un anno - e il timore del Coordinamento -
più che giustificato - è che tale impugnativa venga utilizzata come scusa per
bloccare il processo di definizione dei nuovi Ambiti.
Infatti, bisogna considerare come nel frattempo, in virtù dello Sblocca Italia,
decine di comuni del Lazio abbiano ricevuto una diffida che li obbliga a cedere
gli impianti idrici all'attuale gestore della loro zona, e 26 di loro hanno
ricorso al Tar contro tale diffida, sollevando eccezioni di incostituzionalità
proprio rispetto agli articoli dello Sblocca italia sul gestore unico.
La Commissione consideri inoltre come sulla Regione Lazio pesi comunque la
minaccia di commissariamento da parte del Governo se non saranno individuati a
breve i nuovi ambiti territoriali ottimali e i relativi enti di governo.
Un commissariamento tutt'altro che da escludere (come
rassicura la Giunta Regionale), viste le stesse dichiarazioni di questi giorni
dei vertici di ACEA S.p.A. che fondano le aspettative finanziarie della
multiutility nell'Ato unico, e quindi nel gestore unico, ovvero Acea SpA che già controlla ben più del 23%
delle reti regionali come previsto dalla normativa nazionale.
Al contrario, proprio in applicazione della legge regionale 5/2014, visto che I
tavoli tecnici concordati con l'assessore Refrigeri a settembre 2014, non
fossero mai stati attivati dallo stesso assessorato, a dicembre 2014 i comitati
e sindaci hanno presentato un testo di legge, poi sottoposto anche
all'Assessore Refrigeri che definiva i nuovi Ambiti di Bacino Idrografico e le
modalità di governo degli stessi.
La Commissione consideri come nell'unico incontro che i
Comitati ed i Sindaci sono riusciti ad avere con lo staff tecnico
dell'assessorato, nel mese di aprile 2014, questi hanno dovuto constatare come
non solo la proposta di legge presentata a dicembre non fosse stata valutata,
ma che il medesimo staff tecnico non avesse ancora iniziato un esame preliminare
per l'elaborazione di una eventuale proposta istituzionale.
Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio informa
codesta Commissione che la proposta elaborata dai Comitati e dai Sindaci è
integralmente tradotta nella proposta consiliare n°238, attualmente all'esame
di codesta Commissione.
Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio ritiene che questa proposta
costituisca, a tutt'oggi, l'unica via praticabile, nel rispetto della normativa
nazionale vigente, per dare seguito agli impegni presi dall'intero consiglio
regionale con l'approvazione della Legge 5 e evitare il rischio di
commissariamento.
Nel merito delle soluzioni tecniche adottate nella
proposta consiliare n. 238, il Coordinamento fa presente come nell'articolato
stesso della proposta sia prevista una norma di salvaguardia che consentirebbe
nei sei mesi successivi la sua adozione, tutte le necessarie modifiche
scaturenti dagli approfondimenti tecnici che non è stato possibile porre in
essere sino ad oggi per responsabilità non certo imputabili ai proponenti.
Sulla base di tutto quanto precede, il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica
del Lazio chiede a codesta Commissione di adottare per la proposta consiliare
n. 238 la stessa procedura a suo tempo seguita per la legge 5/2014 e di
trasmettere immediatamente la proposta al Consiglio Regionale perché la discuta
direttamente in aula.
Samantha Comizzoli è tuttora detenuta nella prigione nazisionista dell'aeroporto di Tel Aviv, in isolamento. Sta fisicamente bene, e si considera prigioniera politica, iniziando uno sciopero della fame affinchè tutti i bambini nelle carceri sioniste vengano liberati,ha rifiutato l'avvocato assegnatogli dall'ambasciata e si rifiuta di rispondere alla domande della polizia sionista, come rifiuta la sua deportazione forzata in Italia.
Ricordo che è stata arrestata dall'esercito sionista ieri, 12 giugno, a Nablus, Palestina, col pretesto del visto scaduto, e condotta prima ad Ariel e poi alla prigione dell'aeroporto.
Inutile (o forse utilissimo) ricordare che per la sua coerenza di attivista, per la sua integrità morale e per la sua passione per la verità, era nel mirino di Israele da tempo, e forse della sua cattura hanno beneficiato anche le classi dirigenti palestinesi conniventi con l'occupazione, ed alcune sigle sedicenti "pro Palestina" che finora l'hanno bellamente ignorata, quando non ostacolata con l'indifferenza e tramite mezzucci da burocrati di partito, per convenienza ideologica, interessi politici e sete di supremazia nell'informazione sulla Palestina.
Ignorata perfino quando, alcuni giorni fa, ci scrisse da Nablus che si era trovata in casa, messo lì apposta, quacosa che l'avrebbe esposta a pericolo; e perfino quando fu colpita dai soldati nazisionisti mentre difendeva un'azione dimostrativa degli shebabs:
Il giorno prima dell’arresto, Samantha prese le difese di un altro internazionale, come racconta lei stessa sul suo blog:
Per noi che la conosciamo e la stimiamo, sapendo (come lei stessa vorrebbe) che la sua liberazione e la sua lotta sono inscindibili dalla causa Palestinese, e sapendo altresì che con questo arresto Israele ed i suoi servi stanno tentando di tacitare ogni critica DISINTERESSATA sull’occupazione illegale della Palestina, l’imperativo principale è ora che NON LE VENGA TORTO UN CAPELLO, e che si continui a denunciare l’occupazione sionista su basi più autentiche e quanto più indipendenti possibile dalle omissioni di convenienza politica.
A Nablus, o in Cisgiordania, non ci sono “salafiti” a cui attribuire colpe per coprire i reali beneficiari dell’espulsione o della sorte degli attivisti, come accadde per il nostro Vittorio Arrigoni; e per questo sappiamo bene che nulla di davvero grave può accaderle. Ma con israele bisogna comunque stare all’erta, anche considerando il servilismo delle istituzioni nostrane ed occidentali.
Oggi a TORINO, mobilitazione per chiederne il rilascio:
In questo paese ed in questo sistema, bisogna arrivare a gesti estremi per sollevare anche solo di poco la pesante coltre che cala sui crimini di ogni oppressione. Per questo, confidando nell’indubbia lucidità che Samantha conserva, e nella sua lungimiranza, facciamo nostra la sua passione e il suo obiettivo, approfittando (nel vero senso della parola) di questa ingiustizia per far circolare informazione sull’occupazione quanto più possibile.
I media tacciono, allora parliamo noi, con la voce di Samantha e dei Palestinesi.
In questi giorni, migliaia di scrutini sono saltati a causa dell'annunciato sciopero. Nonostante le modalità dello sciopero siano “bizantine”, migliaia di lavoratori stanno condividendo con successo questa esperienza di lotta. Ancora una volta il governo si trova di fronte alla compattezza dei lavoratori della scuola.
Le percentuali degli scrutini bloccati in molte scuole sono indicative di due elementi: l'ampia partecipazione allo sciopero e l'incredibile sordità del governo alle richieste della scuola.
In alcuni istituti, i dirigenti scolastici stanno mettendo in pratica forme di boicottaggio allo sciopero al limite della legalità o in palese violazione di essa.
Noi lavoratori della scuola conosciamo bene la situazione delle nostre scuole.
Alcuni dirigenti mostrano dei problemi di interpretazione degli aggettivi possessivi e trattano le loro scuole come un'estensione del “loro” patrimonio personale. E' esattamente ciò che vuole il governo, è esattamente ciò che combattiamo noi, nel nome della Costituzione.
Per aggirare alcuni atteggiamenti faziosi che portano i dirigenti scolastici a sostituire il personale scioperante, consigliamo agli insegnanti di comunicare alla scuola, mediante dichiarazione di sciopero all'inizio dello scrutino, la propria adesione allo sciopero.
Vigiliamo e rendiamo pubblica la volontà di raccogliere tutti i casi di violazione della legalità sullo sciopero e delle modalità di boicottaggio che esso sta subendo in alcuni istituti scolastici. Chiediamo a tutte le forze sindacali di esercitare la stessa vigilanza con vigore, anche per aprire dei contenziosi in tribunale al fine di bloccare sul nascere le forme di autoritarismo dirigista fomentate dal governo.
Raccontare la storia dalla parte dei vinti non sempre è facile. Non sempre risulta accettabile. E sempre cade nell’indifferenza dei poteri forti e di quelli comunicativi.
Raccontare la cronaca dalla parte dei vinti è sempre difficile, quasi impossibile, sicuramente sempre contraddittoria, perché contraddittoria è la realtà e sfalsata è l’azione spazio-temporale. I vinti possono raccontare la loro vicenda a partire dalle emozioni, dalle immediate e vicine azioni che forse non sono sufficienti a ritessere la vicenda nel complesso.
I vinti però raccontano storie vere, piene di sudore, di lotta, volute, testardamente inseguite e dai connotati forti; storie dignitose, come dignità e ascolto dovrebbe avere ogni storia che vede la necessità e la forza di essere raccontata come quelle, appunto, di tutti i vinti della storia.
E’ la storia di una Tenda e di tutti coloro che l’hanno fatta vivere che si erge a baluardo della dignità di centinaia di persone, del lavoro, del salario, dei servizi pubblici; che vede protagonisti tanti che forse fino al giorno prima pensavano che la questione dei diritti non li sfiorasse, che non li riguardasse e poi invece sono assurti a primi difensori di quella parte di civiltà che si chiama convivenza e democrazia.
La tenda che al 431° giorno si è trovata travolta da due fatti clamorosi accaduti nelle stesse ore, negli stessi concitati minuti durante un incontro regionale. Fatti difficile da gestire, forse non ancora compresi appieno: il riconoscimento delle ragioni della difesa del posto di lavoro occupato per 17 anni e poi sottratto e la decisione che i servizi pubblici debbano essere tali anche nelle forme di gestione.
Una presa di coscienza non completa perché i vinti in quanto tali hanno sempre titubanza che la giustizia possa prevalere a loro favore. Eppure una giustizia lenta, però puntigliosa, precisa che ripercorre le tappe dei drammatici giorni di marzo e aprile 2013, riconosce che il diritto, le regole, le procedure in questo dannato paese Italia sono ancora vigenti e tutelate. Un torto, denunciato fin dall’inizio, sia dal punto di vista politico e sociale ma anche amministrativo e umano che non riusciva ad essere ascoltato, riconosciuto. La testardaggine di una azione sindacale, di una di lotta, di una comunicativa, unita ad una giurisdizionale, contestualmente, hanno reso possibile tale risultato.
Un risultato che ha ancor più risalto davanti al riconoscimento delle amministrazioni, della necessità di virare verso la società pubblica piuttosto che verso lo spacchettamento dei servizi ed il regalo alle cooperative sociali di tipo B.
Certo è solo un nuovo passo che ne contempla altri. Ma adesso la palla deve essere giocata in fretta dalle Amministrazioni, di quelle che hanno sfidato il diritto, di quelle che non si sono preoccupate della vita di diverse centinaia di cittadini e cittadine, di aver trattato con indifferenza e superficialità gli eventi e le “grida di scandalo”, per non essere completamente travolte.
Altre ragioni dovranno essere chiarite. A cominciare dalle denunce per l’occupazione del tetto del Comune di Frosinone che vedono lavoratori dover rispondere di accuse legate invece, molto più semplicemente alla difesa del diritto al lavoro, quel diritto sancito al primo punto nella nostra bistrattata Costituzione. I vinti attendono. Ora il tempo e il vento della giustizia giocano a loro favore.
Dionisio Paglia Presidente Comitato Provinciale in difesa della Costituzione.
Il disegno di legge renziano sulla "buona scuola" ha subìto un primo stop in Commissione "Affari Costituzionali" del Senato. L'ulteriore iter parlamentare si presenta come un percorso ad ostacoli: il testo dovrebbe passare al vaglio della Commissione "Bilancio" del Senato, ma c'è un problemino, essendo stata chiesta l'autorizzazione a procedere all'arresto del Presidente della commissione stessa, il senatore Azzollini; il testo poi dovrà passare anche in Commissione "Istruzione" e lì la maggioranza viaggia sul filo di uno-due voti. In caso di modifiche il testo dovrà tornare alla Camera, ragion per cui se non si chiude la "pratica" entro il 30 giugno, slittano riforma e assunzioni dei precari di un anno. Questo è il ricatto che i renziani stanno usando per spingere i più riottosi a far passare la riforma. Ovviamente l'assunzione dei "centomila" precari potrebbe essere stralciata dal disegno di legge, ma Renzi non lo farà mai, come rappresaglia nei confronti della minoranza del suo partito.
Avete capito ora perché Renzi vuole abolire il Senato elettivo? Perché lo ritiene un intralcio alla sua opera riformatrice. La bocciatura in Commissione Affari Costituzionali viene giudicata dalla sua maggioranza come un incidente tecnico di percorso: questa è la sensibilità istituzionale dei renziani !
Questo disegno di legge è incostituzionale perché mina la libertà d'insegnamento, tutelata dall'art. 33 della Costituzione, sottoponendola ad una logica aziendalistica del sistema scolastico, affidato a un preside-manager dotato di poteri enormi sia per la questione del personale che per gli stessi contenuti della didattica, con il definitivo superamento delle prerogative degli organi collegiali ridotti ad organismi consultivi.
Questo disegno di legge prevede l'ennesima incostituzionale elargizione di fondi alle scuole paritarie: circa 200 milioni di euro che si aggiungono alle altre risorse che direttamente o indirettamente Regioni ed Enti locali versano nelle casse delle scuole private.
La scuola Statale dovrà affidarsi al 5 x mille (momentaneamente stralciato ma che il Governo ha dichiarato di voler ripresentare nella Legge di stabilità) con tutte le disuguaglianze che questo comporta, in virtù della dislocazione geografica degli istituti.
Dopo lo sciopero del 5 maggio e il riuscito boicottaggio delle prove Invalsi, la mobilitazione degli insegnanti continua in questi giorni con lo sciopero degli scrutini, ma già ci si attrezza e si discute sul dopo voto, qualora non si riuscisse ad arrestare la riforma, sulla possibile celebrazione del referendum abrogativo.
Sosteniamo la resistenza del mondo della scuola a questa riforma renziana, per salvare la scuola pubblica, la sola in grado di realizzare l'art. 3 della Costituzione, vale a dire la rimozione delle disuguaglianze.
E’ morto ieri a New York un vero rivoluzionario. Aveva 85
anni il suo nome era Ornette Coleman, sassofonista, violinista, compositore. Un
esempio di come la liberazione della musica dagli schemi della rigidità
melodica sia metafora della liberazione del popolo nero e di tutte le minoranze opresse “L’universalità della musica
consiste nella sua attitudine a preservare l’uomo libero” ebbe a dire in un’intervista al giornalista e critico Franco Fayenz. E
libero Coleman lo è sempre stato, anche dalle costrizioni commerciali. Nel 1974
in tournee in Italia, rinunciò ai lauti
compensi che gli sarebbero derivati dalla partecipazione ad alcuni concerti,
per suonare gratuitamente alla mostra del suo grande amico pittore Guy
Harloff. L’anno prima durante un viaggio
in Marocco ebbe modo di suonare con un gruppo di musicisti berberi in un
piccolo paese di montagna chiamato Jejouka. E si dispiacque molto quando la sua
casa discografica di allora (la
Columbia) si rifiutò di pubblicare quel materiale giudicato troppo poco
commerciale. Quattro minuti di quell’esibizione
, dal titolo “Midnight Sunrise” furono pubblicati in seguito nel 1977 all’interno dell’LP “Dancing in your
head”. La sua opera “manifesto” è stata “Free Jazz”
una pietra miliare della musica contemporanea del ‘900. Per ricordare la figura
di Coleman pubblichiamo un’intervista, apparsa nel ’97 in Francia sulla rivistaLes Inrockuptibles — di cui si sono perse le trascrizioni originali —realizzata
dal filosofo Jacques Derrida il 23 giugno 1997. Testo riproposto dal periodico Alias nel novembre scorso. Ornette Coleman, maestro dell’avanguardia nera si trovava a Parigi
per tre concerti alla Villette, museo e sede per le arti performative
(tra le quali il Conservatorio).Il filosofò
intervistò Ornette Coleman, che era al momento impegnato con il progetto
“Civilization”, una serie di esibizioni che comprendevano esecuzione
della partitura sinfonicaSkies Of America, concerti in trio con
Billy Higgins e Charlie Haden, membri del suo Quartetto «storico»,
e infine un concerto di Prime Time, il gruppo elettrico e
«free funk».
Composizione, improvvisazione, lingua, razzismo
sono le tematiche principali della chiacchierata.
Quest’anno
presenterà un programma dal titolo “Civilizzazione”. Che rapporto c’è
fra il titolo che ha scelto e la sua musica?
“Cerco di esprimere
un concetto secondo cui una cosa può essere tradotta in un’altra. Credo che
il suono abbia una relazione assai democratica con l’informazione, perché
non c’è bisogno dell’alfabeto per capire la musica. Quest’anno sto preparando
un progetto con la Filarmonica di New York e il mio primo quartetto
(senza Don Cherry) e altri gruppi in aggiunta. Sto cercando di realizzare
l’idea secondo cui il suono si rinnova ogni volta che viene espresso.”
Lei
ritiene di agire più da compositore o da musicista?
“Come compositore,
spesso la gente mi dice, ‘Suonerà brani che ha già suonato, o cose
nuove?’”
Dunque
lei non risponde mai a queste domande, giusto?
“Se ti trovi
a suonare musica che hai già registrato, la maggior parte dei musicisti
riterrà di essere stata chiamata a mantener viva quella musica specifica.
E la maggior parte dei musicisti non ha grande entusiasmo quando si
trova a suonare la stessa musica in continuazione. Dunque io preferisco
scrivere musica che non è mai stata eseguita prima.
Vuole
sorprenderli?
“Sì, voglio stimolarli
piuttosto che semplicemente chiedere loro di accompagnarmi in pubblico.
Ma è difficile da farsi, perché il musicista di jazz è probabilmente
l’unica persona per la quale la figura del compositore non è qualcosa
di interessante, nel senso che preferisce ‘distruggere’ quanto il compositore
scrive o suona.”
Quando
afferma che il suono è più “democratico”, come la mette con il fatto che
è un compositore, e scrive musica come tutti in forma codificata?
“Nel 1972 ho
scritto una sinfonia dal titolo “Skies Of America” è stato quasi una
tragedia, perché io non avevo un gran bella relazione con la scena musicale:
esattamente come quando facevo free jazz, la gente perlopiù credeva che
semplicemente io prendessi il mio sassofono, e poi mi mettessi
a suonare quanto mi passava per la testa, senza seguire alcuna regola.
Il che ovviamente non è vero.”
Noto
che lei spesso ribatte quell’accusa…
“Certo. La gente al
di fuori crede che sia una forma di libertà eccezionale, io credo invece che
sia un limite. Dunque ci sono voluti vent’anni, ma oggi finalmente posso
avere un brano suonato dall’orchestra sinfonica di New York e dal suo
direttore. Giorni fa parlando con membri della Filarmonica, questi mi
hanno detto, ‘Senti Ornette, le persone incaricate delle partiture hanno
bisogno di vedere le tue’. Io ero terribilmente arrabbiato: è come se
mi avessero scritto una lettera e una terza persona la dovesse leggere
per confermarmi che nella lettera stessa non c’è nulla che possa irritarmi.
Era per essere sicuri che la Filarmonica non avrebbe avuto disturbi.
E poi mi han detto, ‘L’unica cosa che vogliamo sapere è se c’è un
punto lì, una parola in quell’altro spazio’. In realtà non aveva nulla
a che fare con la musica o con il suono, ma solo con i simboli
che usiamo. Infatti la musica che scrivo da trent’anni e che definisco
‘armolodia’ è come se stessi fabbricando le mie parole personali,
con un’idea precisa di cosa quelle parole nuove debbano significare per le
altre persone.”
Ma
chi suona con lei condivide questa concezione della musica?
“Normalmente io
parto dal fatto di scrivere qualcosa che loro possano analizzare, la suono
assieme a loro, e poi consegno le partiture. Nella prova successiva
chiedo loro di mostrarmi cos’hanno scoperto, e come dall’idea di base se
ne possano sviluppare altre. Lo faccio sia con i musicisti, sia con
gli studenti dei miei corsi. Io credo che chiunque tenti di esprimersi con
le parole, con la poesia, nella forma che volete, può prendere il mio libro
dell’armolodia e scrivere seguendone i precetti, con la stessa passione
e gli stessi elementi di fondo”.
Nella
preparazione del nuovo progetto di New York, ha prima scritto la musica
e poi chiesto a chi doveva partecipare di leggerla, vedere se si
trovava in accordo, e alla fine di trasformare il materiale
originario?
“Per la Filarmonica
ho dovuto scrivere le parti per ogni strumento, fotocopiarle, poi confrontarmi
con la persona che si occupa delle partiture. Con i gruppi jazz, compongo
e distribuisco le parti direttamente alle prove. Quello che
è veramente sconcertante nella musica improvvisata è che,
a dispetto del nome che usiamo, la maggior parte dei musicisti in
realtà usa una base per improvvisare. Mi sono trovato di recente a incidere
un disco con un musicista europeo, Joachim Kühn, e la musica che ho
scritto per suonare con lui, e poi registrata nell’agosto del ’96, ha
due caratteristiche: è totalmente improvvisata, e al contempo
segue leggi e regole della musica europea. Ciò nonostante, a sentirla,
sembra quasi totalmente improvvisata.”
Ricapitolando:
il musicista legge lo schema di fondo, e poi interviene il tocco
personale?
“Sì, l’idea
è che due o tre persone possano avere una conversazione con
i suoni senza che nessuno tenti di guidare o indirizzare la conversazione
stessa. Intendo dire: si tratta di intelligenza, quella è la parola.
Credo che nella musica improvvisata i musicisti cerchino di rimettere
assieme i pezzi di un puzzle emotivo o intellettuale, e in
ogni caso si tratta di un puzzle nel quale il tono è dato dagli strumenti.
Il pianoforte più o meno sempre è servito come base per la
musica, ma ora non è più indispensabile: infatti gli aspetti più propriamente
commerciali della musica sono diventati molto incerti. Peraltro la musica
che passa attraverso il mercato non è necessariamente più accessibile,
ma ha dei limiti.”
Quando
inizia a provare, tutto è pronto e scritto, o già prevede
di lasciare spazi aperti?
“Supponiamo di
essere nel momento in cui si suona e tu capti qualcosa che potrebbe
essere sviluppato. A quel punto dovresti dirmi, ‘Proviamo questo’. La
musica non ha leader, per quanto mi riguarda.
Cosa
ne pensa della relazione tra il concerto, che è poi l’evento, la musica
scritta e la musica improvvisata? Ritiene che la musica scritta impedisca
all’evento di accadere?
“No. Non so se sia
vero per le questioni che attengono alla lingua ma nel jazz si può prendere
un pezzo molto antico e farne una nuova versione. La cosa eccitante
è il ricordo che se ne trasmette al presente. Comunque ciò di cui
parla, la metamorfosi di una forma in una forma diversa è qualcosa di
assai sano, ma molto rara.”
Forse
sarà d’accordo con me sul fatto che al cuore dell’improvvisazione è la lettura,
dal momento che spesso ciò che capiamo dall’improvvisazione è la creazione
di qualcosa di nuovo, ma che tuttavia non esclude la matrice scritta che la
ha resa possibile…
“Vero”.
Non
credo di essere un esperto sulla sua musica, ma se provo a tradurre ciò
che lei fa in un ambito che conosco meglio, quello del linguaggio scritto,
l’evento unico — che si produce una volta sola – è cionondimeno qualcosa
di ripetuto nella struttura stessa. C’è dunque una ripetizione, nella
struttura, intrinseco alla creazione iniziale, che compromette
o comunque complica il concetto di improvvisazione. La ripetizione
è già nell’improvvisazione: dunque quando la gente tende a intrappolarti
tra improvvisazione e scrittura alla base, è in torto…
“La ripetizione
è naturale esattamente come il fatto che la terra ruota”.
Lei
pensa che la sua musica e il modo in cui la gente reagisce possa
o debba cambiare le cose, ad esempio a livello politico, o in
una relazione sessuale? Il suo ruolo di artista e compositore può (o
dovrebbe) avere un effetto sullo stato delle cose?
“No, non lo credo,
ma ritengo che molte persone ne abbiano già fatto esperienza prima di me,
e se comincio a lamentarmi, mi diranno, ‘Perché ti lamenti? Non
siano cambiati a causa di questa persona che ammiriamo ben più di te,
perché dovremmo cambiare grazie a te?’ Dunque di fondo non la penso
così. Vivevo nel sud degli Stati Uniti quando le minoranze erano oppresse,
e mi identificavo con loro attraverso la mia musica. Ero in Texas,
cominciai a suonare il sassofono e a guadagnarmi da vivere per
me e la mia famiglia suonando alla radio. Un giorno capitai in un posto
pieno di gente che giocava d’azzardo e di prostitute, gente che litigava,
e mi capitò di vedere una donna accoltellata. Pensai di dover scappare
da lì. Allora dissi a mia madre che non volevo più suonare la musica, che
era come aggiungere sofferenza alla sofferenza. Mi rispose, ‘Che ti
è preso, vuoi che qualcuno ti paghi per la tua anima?’. Non ci avevo pensato,
e quando me lo disse, e come se avessi ricevuto un nuovo battesimo”.
Sua
madre aveva le idee molto chiare…
“Sì, era una donna
intelligente. Ho provato da quel giorno stesso a cercare il modo per
non sentirmi in colpa nel fare cose che le altre persone non fanno.”
E
ha avuto successo?
“Non lo so, ma nel
frattempo era venuto fuori il bebop, e lo vidi come una via d’uscita. E’
musica strumentale non connessa specificatamente a una scena, che
può esistere a prescindere dal luogo. Dovunque io suonassi il blues,
c’erano frotte di persone senza lavoro che non facevano altro che giocarsi
i soldi. Allora mi scelsi il bebop, la cosa nuova che stava succedendo
a New York, e mi dissi che dovevo andar là. Avevo appena diciassette
anni. Me ne andai di casa, mi diressi a sud”.
Prima
di andare a Los Angeles?
“Sì, avevo
i capelli lunghi come i Beatles, era l’inizio degli anni Cinquanta.
Dunque me ne andai a sud, e tutti provavano a menarmi, polizia
e gente nera; non gli piacevo. Avevo un look troppo bizzarro per loro.
Mi prendevano a pugni e cercavano di rompere il mio sax. Era
dura. Inoltre ero con un gruppo che suonava quella che più o meno chiamavamo
“musica con i fiati da menestrelli” e cercavo di fare bebop, stavo
anche facendo progressi e avevo trovato ingaggi. Ero a New Orleans,
me ne sono andato a visitare una famiglia molto religiosa, e ho
cominciato a suonare in una chiesa nera. Quand’ero piccolo, suonavo
sempre e solo in chiesa. Da quando mia madre mi disse quelle parole, sono
andato alla ricerca di una musica che potessi suonare senza sentirmi in colpa
per aver provato a fare qualcosa. E a tutt’oggi non l’ho ancora
trovata”.
Quando
è arrivato a New York, ancora molto giovane, ha avuto qualche tipo
di premonizione su quelle che sarebbero state le sue scoperte musicali,
l’armolodia, o è successo tutto dopo?
“No, perché quando
sono arrivato a New York mi trattavano grossomodo come un tipo del
sud che non conosce la musica, che non sa né leggere né scrivere. Non ho mai
provato a controbattere. Ho poi deciso che avrei cominciato
a sviluppare le mie idee, e senza l’aiuto di nessuno. Mi sono
affittato il teatro Town Hall, era il 21 dicembre del 1962, per 600 dollari,
ho ingaggiato un gruppo rhythm’n’blues, uno classico e un trio. La sera
del concerto ci sono stati: una tormenta di neve, uno sciopero dei giornali,
uno sciopero dei medici e uno della metropolitana, così è andata
finire che le sole persone che sono arrivate al Town Hall sono state quelle
che erano riuscite ad arrivarci. Avevo chiesto a qualcuno di registrare
il concerto, ma quel qualcuno s’è suicidato, ed è successo che qualcun
altro ha registrato il concerto, fondato la sua etichetta con quella registrazione,
ed è sparito nel nulla. Tutto ciò mi ha fatto capire, una volta di più,
che lo avevo fatto per la stessa ragione per cui avevo detto a mia madre
che non avrei suonato più lì. Ovviamente la situazione da un punto di vista
di tecnologia, finanziario, sociale e perfino di rischio criminale
era davvero peggio di quando ero nel sud. Bussavo a porte che rimanevano
ostinatamente chiuse.”
Qual
è stato l’impatto di suo figlio sul suo lavoro? E ha a che fare
con l’uso di nuove tecnologie nella sua musica?
“Da quando Denardo
è il mio manager, ho capito finalmente che la tecnologia è semplice,
e ne ho compreso il significato”.
Ha
avuto la sensazione che l’introduzione della tecnologia abbia portato
cambiamenti violenti nel suo progetto, o è stata cosa facile? E,
d’altra parte, il suo progetto Civilization ha che fare con quanto viene
definito globalizzazione?
“C’è qualcosa di
vero in entrambe le affermazioni, nel senso di poter chiedere a te
stesso se siano esistiti ‘uomini bianchi primitivi’: la tecnologia sembra
sia in grado di coprire solo l’area di senso di ‘bianco’.
Mi sembra di capire che lei non creda al concetto di globalizzazione,
e ritengo sia nel giusto… Se consideri la musica, i compositori
che sono stati realmente ‘inventori’ nella cultura occidentale sono forse
una mezza dozzina. Lo stesso vale per la tecnologia, gli inventori dei
quali ho sentito davvero parlare sono indiani di Calcutta e di Bombay.
Ci sono un sacco di scienziati indiani e cinesi. Le loro invenzioni sono
come delle inversioni di idee di inventori americani o europei, ma la
stessa parola ‘inventore’ ha assunto un connotato di dominazione razziale
che è diventato più importante dell’invenzione stessa, cosa ben triste,
perché è l’equivalente di una qualche specie di propaganda. Quello che
intendo dire è che le differenze tra uomo e donna o tra le
razze sono in relazione alle educazioni e alle credenze. Dal momento
che io sono nero e discendente di schiavi, non ho alcuna idea di quale
fosse il mio linguaggio d’origine”.
Se
fossimo qui a parlare di me (e non è questo il caso) direi che, in
modo differente ma analogo, mi succede esattamente la stessa cosa. Sono
nato in una famiglia di ebrei algerini che parlavano francese, che non era
la loro lingua d’origine. Ho scritto un piccolo libro su questo argomento,
e in un certo senso sono sempre nel processo di parlare in quello che
definisco ‘il monolinguismo dell’Altro’. Non ho contatti di sorta con la
lingua d’origine o, meglio ancora, con quella dei miei supposti antenati.
“Non si chiede mai
se la lingua in cui parla ora interferisce, condiziona il suo vero pensiero?
Un lingua d’origine può influenzare i pensieri?”
E’
un enigma per me. Non lo so. Credo che qualcosa parli attraverso di me, una
lingua che io non capisco, una lingua che a volte cerco di tradurre
più o meno facilmente nella ‘mia lingua’. Ovviamente io sono un intellettuale
francese, insegno in scuole dove si parla francese, ma ho sempre
l’impressione che qualcosa mi forzi a far qualcosa per la lingua
francese…
“Ma lei sa che, per
quanto riguarda le mie vicende, negli Stati Uniti esiste lo ‘ebonics’, che
sarebbe l’inglese che parlano i neri: che è poi poter usare
un’espressione che significa qualcosa di diverso rispetto all’inglese standard.
La comunità nera ha sempre usato un lingua a doppio significato.
Quando sono arrivato in California, è stata la prima volta che mi sono
trovato in un posto dove un bianco non mi diceva che non potevo sedermi in un
certo posto. Poi qualcuno ha cominciato a farmi moltissime domande,
e io non riuscivo a rispondere, allora sono andato da uno psichiatra
per vedere se riuscivo a rispondere. E quello mi ha prescritto del
valium. L’ho preso e buttato nella tazza del water. Non sempre mi rendevo
conto di dove fossi, così sono andato in una biblioteca e ho fatto ricerche
in tutti i libri che ho trovato sul cervello, mi son letto tutto.
E i libri dicevano che il cervello in fondo è conversazione. Non
dicevano a proposito di che, ma mi ha fatto capire che il fatto di pensare
e apprendere non dipende solo dal posto dove sei nato. Credo di capire
sempre meglio che quello che chiamiamo cervello, nel senso di conoscenza
e essere, non è la stessa cosa del cervello che ci fa essere ciò
che siamo.”
Questo
è sempre un fatto di convinzione: noi conosciamo noi stessi in base
a quanto crediamo. Naturalmente nel suo caso è tragico, ma
è un fatto universale: noi crediamo (o supponiamo di credere) che
siamo quel che siamo attraverso le storie che ci raccontano. Un fatto rilevante
è che abbiamo esattamente la stessa età, siamo nati lo stesso anno.
Quando ero giovane, durante la guerra (non sono mai stato in Francia prima dei diciannove
anni) vivevo in Algeria, e nel 1940 sono stato espulso da scuola perché
ero ebreo, come risultato delle leggi razziali, e non riuscivo neppure
a capire cosa stesse succedendo. L’ho capito molto tempo dopo,
e questo attraverso storie che mi hanno fatto capire chi fossi, per
così dire. E perfino per quanto riguarda sua madre, noi sappiamo chi
è e che è in un certo modo solo attraverso la narrazione. Ho cercato
di capire in quale momento storico lei fosse a New York e a Los Angeles,
ed è stato prima che venissero riconosciuti i diritti civili ai
neri d’America. La prima volta che sono stato negli Stati Uniti, nel 1956,
c’erano cartelli ‘solo per bianchi’ ovunque, mi ricordo la brutalità del
messaggio. Lei ne ha avuta esperienza diretta?
“Certo. Sia come
sia, quello che mi piace di Parigi è che non puoi essere snob e razzista
allo stesso tempo, non funziona. Parigi è l’unica città che io conosca
dove il razzismo non appare mai in tua presenza, è qualcosa di cui
senti solo parlare.”
Ciò
non significa che non ci sia razzismo, ma che sia commisurato obbligatoriamente
al contesto in cui si trova ad essere. Qual è la strategia alla base
della sua scelta musicale per Parigi?
“Essere un innovatore
per me non significa essere più intelligente, più ricco. Non è una
parola, è un’azione. E dal momento che tale azione non s’è ancora prodotta,
non ha senso parlarne.”
Ho
capito che lei preferisce il fare al parlare. Ma come si comporta lei con
le parole? Qual è la relazione tra la musica che fa e le sue parole,
o quelle che le persone cercano di sovrapporre a quello che lei
fa? Prendiamo ad esempio il problema di scegliere un titolo, come lo
concepisce?
“Una mia nipote
è morta a febbraio di quest’anno e sono andato al suo funerale.
Quando l’ho vista nella bara, ho notato che qualcuno le aveva messo degli
occhiali. Lì mi è venuta l’idea di chiamare un mio pezzo ‘Lei dormiva,
morta, nella bara e indossava occhiali’. Poi ho cambiato idea,
e quel pezzo l’ho chiamato ‘Appuntamento al buio’.”
Vuol
dire che quel titolo s’è imposto da solo?
“E’ che cercavo di
capire il fatto che qualcuno avesse messo gli occhiali a una donna
morta..avevo una qualche idea di cosa significava, ma è molto difficile
capire il modo di concepire la vita femminile, quando tale modo nulla
a che fare con quello maschile”.
Lei
ritiene che il suo modo di scrivere musica ha a che fare con il modo in
cui si relaziona con le donne?
“Prima di essere
conosciuto come musicista, quando lavoravo in un grande magazzino un
giorno, durante la pausa pranzo, sono capitato in una mostra, e lì c’era
un quadro che aveva dipinto qualcuno che ritraeva una donna bianca
e ricca, una di quelle persone che hanno assolutamente tutto nella
vita, ed aveva espressione più solitaria che abbia mai visto, in volto. Non
mi ero mai imbattuto con una tale solitudine, e quando sono tornato
a casa ho scritto il pezzo che si intitola ‘Donna solitaria’”.
Intende
dire che la scelta del titolo non è stata una scelta di parole ma un riferimento
diretto all’esperienza vissuta? Le faccio queste domande sulla lingua,
sulle parole, perché per prepararmi all’incontro con lei ho ascoltato la
sua musica e ascoltato quello che ne hanno scritto i critici.
E la scorsa notte ho letto un articolo che era infatti un’analisi per una
conferenza fatta da un mio amico, Rodolphe Burger, un musicista che ha un
gruppo che si chiama Kat Onoma. L’analisi era costruita su sue affermazioni.
Per tentate di analizzare il modo in cui lei concepisce la sua musica, ha
preso spunto dalle sue affermazioni, la prima delle quali era, ‘Per ragioni
delle quali non sono certo, sono convinto che prima di diventare musica,
musica era solo una parola’. Si ricorda di averlo detto?
“No”
Ma
lei come interpreta o capisce le sue stesse affermazioni? Sono cose
importanti?
“Mi interessa
assai di più avere una relazione umana con lei piuttosto che una relazione
musicale. Voglio verificare se riesco a esprimermi con le parole, con
suoni che hanno a che fare con una relazione umana. Allo stesso tempo, mi
piacerebbe essere in grado di parlare della relazione tra due talenti, tra
due azioni. Per me, la relazione umana è la cosa più bella, perché ti
mette in condizione di guadagnarti la libertà che desideri, per te
e per l’altra persona.”
FROSINONE - «La democrazia senza partecipazione non è democrazia. In città la partecipazione è osteggiata e mortificata dai partiti e vengono tenute a bada le associazioni militanti e attive. Si dà spazio solo all’associazionismo collaterale». Il duro monito di Francesco Notarcola, presidente della Consulta delle associazioni di Frosinone, alla politica frusinate durante il dibattito “W la Repubblica. Ma la democrazia?”, primo appuntamento del programma di incontri “Frosinone: per una città di serie A” organizzato dalle associazioni Oltre L’Occidente e dall’Osservatorio Peppino Impastato e ospitati nella sede della Società operaia di Mutuo soccorso del presidente Antonio Di Salvo. Nel corso dell’incontro si è discusso della predominanza degli esecutivi negli enti locali a tutto danno del ruolo del Consiglio comunale e della partecipazione civica. Tendenza rispetto alla quale Frosinone non sembra essere esente. Del deficit di democrazia e partecipazione hanno parlato esponenti di diverse associazioni, i cui interventi sono stati moderati da Daniele Riggi, che con i Giovani Socialisti ha messo in piedi di recente un percorso partecipato volto a presentare in Consiglio una delibera di iniziativa popolare sulla gestione del servizio idrico. Una tendenza, quella a “tenere a bada le associazioni” che Notarcola dice di aver ravvisato «sia con l’amministrazione Marini che con quella Ottaviani» e sui temi più disparati: dall’urbanistica, alla sanità, fino all’acqua e ai rifiuti. Attualmente, si è ricordato, anche la Consulta delle associazioni risulta “congelata” da almeno tre anni, dopo elezioni annullate e un giallo amministrativo che non permette ancora il rinnovo degli organismi dirigenti. Attualmente Notarcola ne è presidente, in regime di prorogatio, ma la Consulta non è pienamente operativa. «Sia Marini che Ottaviani si sarebbero dovuti dimettere dopo gli scandali - ha osservato Notarcola - La nostra è una città sotto inchiesta. Perché - ha chiesto - non ci può essere una commissione di cittadini che vigilino sulla gestione dell’acqua e dei rifiuti affinché si abbattano anche le tasse? Perché nessuna forza politica in Consiglio porta in aula il tema del lavoro, confrontandosi anche con le associazioni su idee di sviluppo della città? Spogliamoci delle appartenenze per ricostruire un tessuto democratico». All’incontro con le associazioni erano state invitate le opposizioni consiliari e quelle extraconsiliari. Alla fine gli esponenti del Pd non si sono presentati (erano, a quanto pare, alle prese con un’importante riunione e qualcuno dice di non aver ricevuto l’invito in tempo utile). Hanno invece risposto all’appello, sul fronte politico, il coordinatore cittadino del Psi Vincenzo Iacovissi, attivisti socialisti e del Movimento 5 Stelle, Alberto Gualdini di Sel. Iacovissi ha dovuto di fatto “parare” le accuse piovute su una politica cittadina giudicata dalle associazioni “allergica” ai meccanismi della partecipazione democratica. «Le riforme negli anni hanno portato sindaco e giunta ad assumere l’80% delle decisioni a livello comunale - ha sottolineato Iacovissi - Ma il consiglio deve essere il luogo in cui promuovere le esigenze della collettività. Noi su acqua e sanità abbiamo messo in campo iniziative, attraverso il confronto con le associazioni». Iacovissi ha sottolineato che le forze del centrosinistra non devono più guardare al passato e sottolineato la necessità di «superare il campo del centrosinistra e guardare ai movimenti civici. Il nostro programma elettorale - ha aggiunto - fu frutto di primarie delle idee partecipate. Sulla sanità - ha evidenziato - abbiamo inoltre dimostrato di non farci condizionare dall’appartenenza». Durante l’incontro Gualdini ha anche sottolineato come spesso i problemi riscontrati dalle associazioni siano ascrivibili anche «alla struttura comunale», mentre Marco Mastronardi ha ricordato a Iacovissi errori compiuti nel recente passato sull’urbanistica. Da Ivano Alteri (unoetre.it) è stato sottolineato anche come i comitati, uniti, scrivendo una lettera alla Cassa depositi e prestiti, siano riusciti a scongiurare la perdita dei fondi per l’ampliamento del museo. Un’operazione che dimostra pienamente quale sia il potenziale tecnico e organizzativo delle associazioni ai fini della produzione di benessere e sviluppo in città. In questo senso è stata anche rievocata la battaglia per salvare le Terme Romane, che ha portato all’apposizione del vincolo archeologico sull’area. Meno fortunata l’esperienza della delibera popolare dell’Unitalsi per salvare le risorse destinate alla struttura sportiva per i disabili che, a proposito di partecipazione, in Consiglio comunale è arrivata a gennaio e a quasi cinque mesi di distanza non ci è più tornata, senza nemmeno essere stata votata. Da Oltre l’Occidente Paolo Iafrate ha ricordato come il processo decisionale a Frosinone si sia accentrato in maniera preoccupante nelle figura del sindaco, con un ruolo marginale del Consiglio comunale. Dall’Osservatorio Peppino Impastato Mario Catania ha concentrato il suo intervento sul nodo della trasparenza nelle amministrazioni locali, mentre Luciano Granieri ha ricordato l’episodio della delibera popolare sulla gestione del servizio idrico, a suo avviso “annacquata” dai partiti in Consiglio comunale rispetto alle finalità perseguite dai sottoscrittori della proposta. Il ciclo di appuntamenti, il cui fine dichiarato è quello di “costruire una rete politica e sociale territoriale”, prosegue con incontri sempre nelle sede della Società operaia alle 20 e 30. Il 12 giugno si parlerà di urbanistica frusinate (“Frosinone, un non luogo”); il 18 giugno di ambiente e arte come fonte di sviluppo (“Ripensare il futuro”; il 25 giugno di lavoro (“Occupazione e reddito, le uniche cose che non aumentano”); il 29 giugno dei servizi pubblici al collasso in città (“Il servizio pubblico: chi l’ha visto?”)
con la presente La informiamo che l'11 giugno alle ore 18 cittadine e cittadini, associazioni e comitati hanno convocato in Piazza del Campidoglio la prima seduta del Consiglio Popolare di Roma Capitale per il suo insediamento.
Siamo di fronte ad un atto importante e pieno di assunzione di responsabilità da parte della cittadinanza che non può più vedere le istituzioni capitoline divorate dalla criminalità organizzata e quindi indica una strada di partecipazione e coinvolgimento attivo per uscire dalla melma di Mafia Capitale che oggi con un nuovo disgustoso capitolo, coinvolge in pieno il Consiglio comunale.
Lo stesso Consiglio Comunale che non ha mai voluto prendere seriamente in considerazione le proposte avanzate da 32.000 cittadini con le 4 delibere di iniziativa popolare per un nuovo modello di città, è pesantemente inquinato da infiltrazioni mafiose.
C'è un rapporto tra questi due fatti che non può essere ignorato. Non stupisce che Mirko Coratti, Pd, ex presidente dell'Assemblea Capitolina a libro paga di Buzzi, ignori il regolamento del consiglio per quattro mesi di seguito, negando la convocazione sulle iniziative popolari. Non stupisce che Pierpaolo Pedetti, Pd, presidente di commissione che si faceva dettare gli emendamenti da Mafia Capitale, si rifiuti di convocare la sua commissione per esaminare le proposte di gestione sociale, pubblica e trasparente del patrimonio. Ma si è andati oltre: è l'insieme del Consiglio che ha ignorato sinora le proposte sottoscritte da così tanta gente.
All'indomani del primo emergere di Mafia Capitale avevamo fatto un appello al Consiglio Comunale: cambiare passo e ripartire dalla partecipazione e dal controllo popolare per debellare il malaffare da Campidoglio, convinti come siamo che solo la ricostruzione di un legame saldo della politica con la cittadinanza attiva della città, e con i bisogni reali della popolazione, può permettere di rompere i mille legami con gli affari e con la mafia consolidatisi in decenni. La pulizia non si può fare "in casa", ma richiede di aprire le finestre per fare entrare aria nuova in Campidoglio. Ma non siamo stati ascoltati.
Da mesi il coordinamento "spiazziamoli", e noi con loro, chiede un consiglio comunale aperto alla cittadinanza per discutere, in pubblico e con i cittadini, sulle radici di Mafia Capitale. Ma neanche questo è stato fatto.
Mafia Capitale non è un problema di "mele marce" di questa o quella organizzazione politica. Mafia Capitale è un sistema trasversale che, tramite le privatizzazioni dei servizi, la gestione emergenziale delle sofferenze sociali a cui i soggetti deboli sono condannati dalle politiche di austerity , la gestione opaca degli appalti pubblici, inchioda alle proprie responsabilità un'intera classe dirigente (politici corrotti, imprenditoria privata, malavita organizzata). Non possiamo però permettere che Mafia Capitale sia discussa solo nelle sedi giudiziarie ma bisogna ridare voce e spazio a chi di Roma è l’anima, a chi la vive, la odia e la ama ogni giorno.
Per questo la invitiamo a partecipare al "Consiglio popolare" antimafia, facendo un atto concreto e pubblico, ovvero quello di rimettere in questa occasione il proprio mandato da Consigliere comunale alla luce di quanto sta avvenendo e avviare così un percorso per la nascita di una nuova istituzione del Comune che si occupi veramente della città, con le proposte dei movimenti sociali, dei comitati, dei cittadini e delle cittadine, votando le proposte di nuovo modello di città che vengono dalla cittadinanza attiva.
Ai sensi e per gli effetti del REGOLAMENTO del BUON SENSO, si avvisa che l'Assemblea Capitolina, colpita da infiltrazioni mafiose, si é dimessa ed è stato convocato il primo CONSIGLIO comunale POPOLARE DELLA CITTÀ.
Si rende noto che ogni cittadino/a può prendere parola nel Consiglio popolare e in massimo 4 minuti fare delle proposte, previa iscrizione alla lista degli interventi redatta dal Segretario del Consiglio GIUSTINO CALMA.
Convocazione giovedì 11 giugno 2015 dalle ore 18 alle ore 20, in Piazza del Campidoglio.
Segue l’ordine dei lavori 11.06/2015
LA PRESIDENTE dall’Assemblea della cittadinanza capitolina antimafia On. GAIA AGGREGAZIONE
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ORDINE DEI LAVORI DELLA SEDUTA 1106/2015
1) ATTO DI RATIFICA dell’attribuzione di pieni poteri al CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ. Preso atto dei provvedimenti antipopolari presi dalla Giunta capitolina e del sistema mafioso che ha colpito l'amministrazione comunale in modo ramificato e senza distinzione di colori, il CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ prende il posto ed assume tutte le funzioni e poteri dell’Assemblea capitolina. Come primo atto politico, il CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ dichiara illegittimo e insolvibile ogni debito del comune di Roma che ha portato a politiche di riduzione dei diritti sociali e del lavoro.
2)PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 1/11.06.2015 per IL NASONE CAPITALE: come nelle fontanelle delle strade di Roma, acqua pubblica e gratuita, per tutta la cittadinanza, nelle case e al lavoro, ai sensi del risultato del referendum per l’acqua pubblica, correva l’anno 2011.
3) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 2/11.06.2015 per LA SCUOLA AMICA DELLE BAMBINE E DEI BAMBINI. Interventi strutturati per la valorizzazione della scuola pubblica, plurale, costruttrice di pace, inclusione e integrazione e per la dignità e il riconoscimento del personale docente e scolastico, che svolge il lavoro più importante del mondo: crescere nuove generazioni.
4) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 3/11.06.2015 per PRIMA LE PERSONE, POI LE BANCHE. La misura è drasticamente anti-austerity. Interviene a gamba tesa nella finanza per rimetterla a suo posto e ripristinare il ruolo della politica come agente di cambiamento a favore delle persone, non delle banche. La delibera propone altresì il pieno appoggio ai cittadini e alle cittadine greche e si esprime a favore della politica di Tsipras contro le proposte lacrime e sangue di Juncker.
5) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 4/11.062015 per IL PATRIMONIO COMUNE. Il provvedimento destina tutti gli immobili abbandonati della città a finalità sociali e culturali; mette fine ai profitti degli speculatori e blocca ogni vendita scellerata di patrimonio immobiliare; requisisce gli immobili privati inutilizzati e li destina alle associazioni, ai movimenti e alle organizzazioni no profit che producono cultura nelle periferie e costituiscono l’antimafia sociale della città. La delibera decreta altresì l’illegalità di ogni sgombero mosso contro gruppi di cittadini inermi che si raggruppano per difendere i beni comuni e rimediare all’ingiustizia sociale e mette fine ai processi mediatici e giuridici che criminalizzano la povera gente, i migranti e le lotte sociali.
6)PROPOSTE DI DELIBERAZIONE promosse dall’Assemblea della cittadinanza capitolina antimafia.