sabato 13 giugno 2015

Inchiesta sulle AIA rilasciate dalla Provincia di Frosinone.

Rete per la Tutela della Valle del Sacco (retuvasa)

É inquietante, e al di là dei nostri stessi fondati timori e dei nostri stessi fondati sospetti, il quadro che emerge dalla stampa relativamente all’ “inchiesta sulle Autorizzazioni Integrate Ambientali” rilasciate dalla Provincia di Frosinone. L’indagine del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale, coordinata dalla Procura di Frosinone, sembra mettere a nudo un vero e proprio sistema, volto ad agevolare il rilascio delle AIA alle aziende in cambio di favori e posti di lavoro, con sconcertanti violazioni delle procedure amministrative, in particolare nell’affidamento di consulenze “double face” a tecnici a libro paga delle aziende.

Al riguardo dobbiamo ricordare quanto comunicammo alla stampa tempo fa, in occasione delle dichiarazioni di Confindustria Frosinone circa i ritardi nel rilascio delle AIA da parte della Provincia e il volume delle prescrizioni da parte degli enti preposti. Osservammo che le farraginosità e le pastoie burocratiche erano inutili, ma che non si poteva certo giocare sulla pelle della gente e dei lavoratori pensando di poter velocizzare oltre misura procedure autorizzative complesse, richiedenti ragionevoli tempi tecnici e valutazioni attente e serene da parte degli organi di controllo.
Chiediamo a Confindustria Frosinone di prendere una chiara posizione contro le aziende, tutto sommato con ogni probabilità una minoranza, che screditano l’intera categoria. E le suggeriamo di diffondere presso le aziende un codice deontologico a misura delle storiche specificità provinciali. Ciò non toglie, ovviamente, che le responsabilità più gravi che sembrano emergere dalle indagini si ravvisino soprattutto sul fronte politico e amministrativo.

Non possiamo che plaudire con grande soddisfazione all’ennesimo grande operato sul fronte ambientale della Forestale. In quest’ultimo anno la mole di lavoro e i risultati sono davvero straordinari. Estendiamo l’apprezzamento anche alla Procura di Frosinone, non potendo però dimenticare che, a prescindere dalla sempre valida presunzione di innocenza per i reati in causa, importanti inchieste ambientali degli ultimi anni sono in seguito sfumate per prescrizione o archiviazione. Confidiamo che in questo caso le cose andranno in maniera diversa.

Francesco Bearzi – Coordinatore Frosinone
Alberto Valleriani – Presidente

Valle del Sacco, 13.06.15

Acqua Pubblica: Resoconto audizione commissione ambiente

Luisa Montoni Comitato acqua pubblica Provincia di Frosinone


Ciao a tutti,
ieri l'audizione in commissione ambiente si è svolta a grandi linee in questo modo:

- l'intervento inziale di Severo Lutrario  che ha riportato i contenuti del documento consegnato in quella sede (in allegato) (riportato nel post qui sotto ndr)  

- la risposta del presidente Panunzi per il quale la proposta di legge sugli ABI non può essere portata direttamente in consiglio ma deve per forza passare per la commissione a meno che non ci sia accordo con la giunta, in quanto secondo lui la legge va portata a compimento nella chiarezza! 

- la risposta di Refrigeri che si focalizzava solo sulla legge di modifica alla n.5. 

- interventi dei consiglieri sottoscrittori della proposta consiliare n. 238, nostri e alla fine anche del presidente Panunzi (visto che l'assessore continuava a glissare il punto) volti a far prendere all'assessore l'impegno per avviare l'iter della proposta.

- l'impegno di Refrigeri di portare una proposta di giunta entro un mese (10 luglio).mentre la proposta di legge di modifica della n.5 avverrà in tempi più brevi con un passaggio ulteriore per il ministero degli affari regionali...

Ci siamo poi confrontati con i consiglieri Sel (che tengono in considerazione i possibili sviluppi interni alla maggioranza in relazione alle dimissioni del capogruppo e la nomina di Valentini al suo posto) e M5S (che faranno tutto quello che è nelle loro possibilità per far rispettare all'assessore i suoi impegni). 

Audizione dell' 11 giugno 2015 VI^ Commissione Consiliare Permanente Ambiente, lavori pubblici, mobilità, politiche della casa e urbanistica

Coordinamento Regionale Acqua Pubblica Lazio


Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio rammenta a codesta Commissione come la Regione Lazio, unica in Italia,  abbia approvato una legge, peraltro di iniziativa popolare,  che recepisce i risultati dei referendum 2011

Questa legge è la Legge Regionale 5/2014 "Tutela, governo e gestione Pubblica delle acque", e con questa legge, approvata all'unanimità dal Consiglio Regionale, la Regione si è impegnata a ridefinire i nuovi Ambiti di bacino e i relativi Enti di Governo,

Questa legge  è stata impugnata dal Governo e benché detta impugnativa si limiti ad aspetti marginali che comunque non inficiano la struttura stessa della norma; benché I punti controversi non attengano assolutamente alle modalità di individuazione dei nuovi ambiti e tanto meno alle loro modalità di governance, la medesima impugnativa è stata presa a giustificazione del fatto che la legge sia rimasta tuttora inattuata.

Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio a questo proposito informa codesta Commissione che comunque, per superare l'impugnativa, ha avviato ogni opportuna interlocuzione, anche con il ministero per I rapporti con le regioni, ed ha proposto da tempo (iniziando da settembre 2014) le modifiche (allegato1), via via integrate a seguito del confronto con l'assessore Refrigeri e la sua segreteria, assessore che ha reiterato, sin da settembre 2014 e ad ogni successivo incontro, l'impegno, sempre disatteso, di portare “a breve” tali modifiche in aula.

Da allora sono passati mesi - quasi un anno - e il timore del Coordinamento - più che giustificato - è che tale impugnativa venga utilizzata come scusa per bloccare il processo di definizione dei nuovi Ambiti.

Infatti, bisogna considerare come nel frattempo, in virtù dello Sblocca Italia, decine di comuni del Lazio abbiano ricevuto una diffida che li obbliga a cedere gli impianti idrici all'attuale gestore della loro zona, e 26 di loro hanno ricorso al Tar contro tale diffida, sollevando eccezioni di incostituzionalità proprio rispetto agli articoli dello Sblocca italia sul gestore unico.

La Commissione consideri inoltre come sulla Regione Lazio pesi comunque la minaccia di commissariamento da parte del Governo se non saranno individuati a breve i nuovi ambiti territoriali ottimali e i relativi enti di governo.

Un commissariamento tutt'altro che da escludere (come rassicura la Giunta Regionale), viste le stesse dichiarazioni di questi giorni dei vertici di ACEA S.p.A. che fondano le aspettative finanziarie della multiutility nell'Ato unico, e quindi nel gestore unico, ovvero  Acea SpA che già controlla ben più del 23% delle reti regionali come previsto dalla normativa nazionale.

Al contrario, proprio in applicazione della legge regionale 5/2014, visto che I tavoli tecnici concordati con l'assessore Refrigeri a settembre 2014, non fossero mai stati attivati dallo stesso assessorato, a dicembre 2014 i comitati e sindaci hanno presentato un testo di legge, poi sottoposto anche all'Assessore Refrigeri che definiva i nuovi Ambiti di Bacino Idrografico e le modalità di governo degli stessi.

La Commissione consideri come nell'unico incontro che i Comitati ed i Sindaci sono riusciti ad avere con lo staff tecnico dell'assessorato, nel mese di aprile 2014, questi hanno dovuto constatare come non solo la proposta di legge presentata a dicembre non fosse stata valutata, ma che il medesimo staff tecnico non avesse ancora iniziato un esame preliminare per l'elaborazione di una eventuale proposta istituzionale.

Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio informa codesta Commissione che la proposta elaborata dai Comitati e dai Sindaci è integralmente tradotta nella proposta consiliare n°238, attualmente all'esame di codesta Commissione.

Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio ritiene che questa proposta costituisca, a tutt'oggi, l'unica via praticabile, nel rispetto della normativa nazionale vigente, per dare seguito agli impegni presi dall'intero consiglio regionale con l'approvazione della Legge 5 e evitare il rischio di commissariamento.

Nel merito delle soluzioni tecniche adottate nella proposta consiliare n. 238, il Coordinamento fa presente come nell'articolato stesso della proposta sia prevista una norma di salvaguardia che consentirebbe nei sei mesi successivi la sua adozione, tutte le necessarie modifiche scaturenti dagli approfondimenti tecnici che non è stato possibile porre in essere sino ad oggi per responsabilità non certo imputabili ai proponenti.

Sulla base di tutto quanto precede, il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica del Lazio chiede a codesta Commissione di adottare per la proposta consiliare n. 238 la stessa procedura a suo tempo seguita per la legge 5/2014 e di trasmettere immediatamente la proposta al Consiglio Regionale perché la discuta direttamente in aula.


Roma, 11 giugno 2015

Libertà per Samantha

Fiore Haneen Sarti

Samantha Comizzoli è tuttora detenuta nella prigione nazisionista dell'aeroporto di Tel Aviv, in isolamento. Sta fisicamente bene, e si considera prigioniera politica, iniziando uno sciopero della fame affinchè tutti i bambini nelle carceri sioniste vengano liberati,ha rifiutato l'avvocato assegnatogli dall'ambasciata e si rifiuta di rispondere alla domande della polizia sionista, come rifiuta la sua deportazione forzata in Italia.
Ricordo che è stata arrestata dall'esercito sionista ieri, 12 giugno, a Nablus, Palestina, col pretesto del visto scaduto, e condotta prima ad Ariel e poi alla prigione dell'aeroporto.
Inutile (o forse utilissimo) ricordare che per la sua coerenza di attivista, per la sua integrità morale e per la sua passione per la verità, era nel mirino di Israele da tempo, e forse della sua cattura hanno beneficiato anche le classi dirigenti palestinesi conniventi con l'occupazione, ed alcune sigle sedicenti "pro Palestina" che finora l'hanno bellamente ignorata, quando non ostacolata con l'indifferenza e tramite mezzucci da burocrati di partito, per convenienza ideologica, interessi politici e sete di supremazia nell'informazione sulla Palestina.
Ignorata perfino quando, alcuni giorni fa, ci scrisse da Nablus che si era trovata in casa, messo lì apposta, quacosa che l'avrebbe esposta a pericolo; e perfino quando fu colpita dai soldati nazisionisti mentre difendeva un'azione dimostrativa degli shebabs: 
Il giorno prima dell’arresto, Samantha prese le difese di un altro internazionale, come racconta lei stessa sul suo blog:
Per noi che la conosciamo e la stimiamo, sapendo (come lei stessa vorrebbe) che la sua liberazione e la sua lotta sono inscindibili dalla causa Palestinese, e sapendo altresì che con questo arresto Israele ed i suoi servi stanno tentando di tacitare ogni critica DISINTERESSATA sull’occupazione illegale della Palestina, l’imperativo principale è ora che NON LE VENGA TORTO UN CAPELLO, e che si continui a denunciare l’occupazione sionista su basi più autentiche e quanto più indipendenti possibile dalle omissioni di convenienza politica.
A Nablus, o in Cisgiordania, non ci sono “salafiti” a cui attribuire colpe per coprire i reali beneficiari dell’espulsione o della sorte degli attivisti, come accadde per il nostro Vittorio Arrigoni; e per questo sappiamo bene che nulla di davvero grave può accaderle. Ma con israele bisogna comunque stare all’erta, anche considerando il servilismo delle istituzioni nostrane ed occidentali.
In questo paese ed in questo sistema, bisogna arrivare a gesti estremi per sollevare anche solo di poco la pesante coltre che cala sui crimini di ogni oppressione. Per questo, confidando nell’indubbia lucidità che Samantha conserva, e nella sua lungimiranza, facciamo nostra la sua passione e il suo obiettivo, approfittando (nel vero senso della parola) di questa ingiustizia per far circolare informazione sull’occupazione quanto più possibile.
I media tacciono, allora parliamo noi, con la voce di Samantha e dei Palestinesi.

venerdì 12 giugno 2015

Sciopero degli scrutini e autoritarismo “de noartri”


Renato Caputo

In questi giorni, migliaia di scrutini sono saltati a causa dell'annunciato sciopero. Nonostante le modalità dello sciopero siano “bizantine”, migliaia di lavoratori stanno condividendo con successo questa esperienza di lotta. Ancora una volta il governo si trova di fronte alla compattezza dei lavoratori della scuola.
Le percentuali degli scrutini bloccati in molte scuole sono indicative di due elementi: l'ampia partecipazione allo sciopero e l'incredibile sordità del governo alle richieste della scuola.
In alcuni istituti, i dirigenti scolastici stanno mettendo in pratica forme di boicottaggio allo sciopero al limite della legalità o in palese violazione di essa.
Noi lavoratori della scuola conosciamo bene la situazione delle nostre scuole.
Alcuni dirigenti mostrano dei problemi di interpretazione degli aggettivi possessivi e trattano le loro scuole come un'estensione del “loro” patrimonio personale. E' esattamente ciò che vuole il governo, è esattamente ciò che combattiamo noi, nel nome della Costituzione.
Per aggirare alcuni atteggiamenti faziosi che portano i dirigenti scolastici a sostituire il personale scioperante, consigliamo agli insegnanti di comunicare alla scuola, mediante dichiarazione di sciopero all'inizio dello scrutino, la propria adesione allo sciopero.
Vigiliamo e rendiamo pubblica la volontà di raccogliere tutti i casi di violazione della legalità sullo sciopero e delle modalità di boicottaggio che esso sta subendo in alcuni istituti scolastici. Chiediamo a tutte le forze sindacali di esercitare la stessa vigilanza con vigore, anche per aprire dei contenziosi in tribunale al fine di bloccare sul nascere le forme di autoritarismo dirigista fomentate dal governo.

La ragione dei vinti.

Comitato di Lotta per il lavoro

Raccontare la storia dalla parte dei vinti non sempre è facile. Non sempre risulta accettabile. E sempre cade nell’indifferenza dei poteri forti e di quelli comunicativi.
Raccontare la cronaca dalla parte dei vinti è sempre difficile, quasi impossibile, sicuramente sempre contraddittoria, perché contraddittoria è la realtà e sfalsata è l’azione spazio-temporale. I vinti possono raccontare la loro vicenda a partire dalle emozioni, dalle immediate e vicine azioni che forse non sono sufficienti a ritessere la vicenda nel complesso.
I vinti però raccontano storie vere, piene di sudore, di lotta, volute, testardamente inseguite e dai connotati forti; storie dignitose, come dignità e ascolto dovrebbe avere ogni storia che vede la necessità e la forza di essere raccontata come quelle, appunto, di tutti i vinti della storia.
E’ la storia di una Tenda  e di tutti coloro che l’hanno fatta vivere che si erge a baluardo della dignità di centinaia di persone, del lavoro, del salario, dei servizi pubblici; che vede protagonisti tanti che forse fino al giorno prima pensavano che la questione dei diritti non li sfiorasse, che non li riguardasse e poi invece sono assurti a primi difensori di quella parte di civiltà che si chiama convivenza e democrazia.
La tenda che al 431° giorno si è trovata travolta da due fatti clamorosi accaduti nelle stesse ore, negli stessi concitati minuti durante un incontro regionale. Fatti difficile da gestire, forse non ancora compresi appieno: il riconoscimento delle ragioni della difesa del posto di lavoro occupato per 17 anni  e poi sottratto e la decisione che i servizi pubblici debbano essere tali anche nelle forme di gestione.
Una presa di coscienza non completa perché i vinti in quanto tali hanno sempre titubanza che la giustizia possa prevalere a loro favore. Eppure una giustizia lenta, però puntigliosa, precisa che ripercorre le tappe dei drammatici giorni di marzo e aprile 2013, riconosce che il diritto, le regole, le procedure in questo dannato paese Italia sono ancora vigenti e tutelate. Un torto, denunciato fin dall’inizio, sia dal punto di vista politico e sociale ma anche amministrativo e umano che non riusciva ad essere ascoltato, riconosciuto. La testardaggine di una azione sindacale, di una di lotta, di una comunicativa, unita ad una giurisdizionale, contestualmente, hanno reso possibile tale risultato.
Un risultato che ha ancor più risalto davanti al riconoscimento delle amministrazioni, della necessità di virare verso la società pubblica piuttosto che verso lo spacchettamento dei servizi ed il regalo alle cooperative sociali di tipo B.
Certo è solo un nuovo passo che ne contempla altri. Ma adesso la palla deve essere giocata in fretta dalle Amministrazioni, di quelle che hanno sfidato il diritto, di quelle che non si sono preoccupate della vita di diverse centinaia di cittadini e cittadine, di aver trattato con indifferenza e superficialità gli eventi e le “grida di scandalo”, per non essere completamente travolte.
Altre ragioni dovranno essere chiarite. A cominciare dalle denunce per l’occupazione del tetto del Comune di Frosinone che vedono lavoratori dover rispondere di accuse legate invece, molto più semplicemente alla difesa del diritto al lavoro, quel diritto sancito al primo punto nella nostra bistrattata Costituzione.  I vinti attendono. Ora il tempo e il vento della giustizia giocano a loro favore. 

giovedì 11 giugno 2015

Affossiamo la riforma renziana.

Dionisio Paglia
Presidente Comitato Provinciale in difesa della Costituzione.


Il disegno di legge renziano sulla "buona scuola" ha subìto un primo stop in Commissione "Affari Costituzionali" del Senato. L'ulteriore iter parlamentare si presenta come un percorso ad ostacoli: il testo dovrebbe passare al vaglio della Commissione "Bilancio" del Senato, ma c'è un problemino, essendo stata chiesta l'autorizzazione a procedere all'arresto del Presidente della commissione stessa, il senatore Azzollini; il testo poi dovrà passare anche in Commissione "Istruzione" e lì la maggioranza viaggia sul filo di uno-due voti. In caso di modifiche il testo dovrà tornare alla Camera, ragion per cui se non si chiude la "pratica" entro il 30 giugno, slittano riforma e assunzioni dei precari di un anno. Questo è il ricatto che i renziani stanno usando per spingere i più riottosi a far passare la riforma. Ovviamente l'assunzione dei "centomila" precari potrebbe essere stralciata dal disegno di legge, ma Renzi non lo farà mai, come rappresaglia nei confronti della minoranza del suo partito.
Avete capito ora perché Renzi vuole abolire il Senato elettivo? Perché lo ritiene un intralcio alla sua opera riformatrice. La bocciatura in Commissione Affari Costituzionali viene giudicata dalla sua maggioranza come un incidente tecnico di percorso: questa è la sensibilità istituzionale dei renziani ! 
Questo disegno di legge è incostituzionale perché mina la libertà d'insegnamento, tutelata dall'art. 33 della Costituzione, sottoponendola ad una logica aziendalistica del sistema scolastico, affidato a un preside-manager dotato di poteri enormi sia per la questione del personale che per gli stessi contenuti della didattica, con il definitivo superamento delle prerogative degli organi collegiali ridotti  ad organismi consultivi.
Questo disegno di legge prevede l'ennesima incostituzionale elargizione di fondi alle scuole paritarie: circa 200 milioni di euro che si aggiungono alle altre risorse che direttamente o indirettamente Regioni ed Enti locali versano nelle casse delle scuole private.
La scuola Statale dovrà affidarsi al 5 x mille (momentaneamente stralciato ma che il Governo ha dichiarato di voler ripresentare nella Legge di stabilità) con tutte le disuguaglianze che questo comporta, in virtù della dislocazione geografica degli istituti.
Dopo lo sciopero del 5 maggio e il riuscito boicottaggio delle prove Invalsi, la mobilitazione degli insegnanti continua in questi giorni con lo sciopero degli scrutini, ma già ci si attrezza e si discute sul dopo voto, qualora non si riuscisse ad arrestare la riforma, sulla possibile celebrazione del referendum abrogativo.
Sosteniamo la resistenza del mondo della scuola a questa riforma renziana, per salvare la scuola pubblica, la sola in grado di realizzare l'art. 3 della Costituzione, vale a dire la rimozione delle disuguaglianze.

Morte di un rivoluzionario

a cura di Luciano Granieri.


E’ morto ieri a New York un vero rivoluzionario. Aveva 85 anni il suo nome era Ornette Coleman, sassofonista, violinista, compositore. Un esempio di come la liberazione della musica dagli schemi della rigidità melodica sia metafora della liberazione del   popolo nero e di tutte le minoranze opresse “L’universalità della musica consiste nella sua attitudine a preservare l’uomo libero” ebbe a dire in un’intervista  al giornalista e critico Franco Fayenz. E libero Coleman lo è sempre stato, anche dalle costrizioni commerciali. Nel 1974 in tournee in Italia, rinunciò ai  lauti compensi che gli sarebbero derivati dalla partecipazione ad alcuni concerti, per suonare gratuitamente alla mostra del suo grande amico pittore Guy Harloff.  L’anno prima durante un viaggio in Marocco ebbe modo  di suonare con un gruppo di musicisti berberi in un piccolo paese di montagna chiamato Jejouka. E si dispiacque molto quando la sua casa discografica di allora  (la Columbia) si rifiutò di pubblicare quel materiale giudicato troppo poco commerciale.  Quattro minuti di quell’esibizione  , dal titolo “Midnight  Sunrise”  furono pubblicati in seguito  nel 1977 all’interno dell’LP “Dancing in your head”.   La sua opera “manifesto” è stata “Free Jazz” una pietra miliare della musica contemporanea del ‘900. Per ricordare la figura di Coleman pubblichiamo un’inter­vi­sta,  apparsa nel ’97 in Fran­cia sulla rivi­sta Les Inroc­kup­ti­bles   — di cui si sono perse le tra­scri­zioni ori­gi­nali —rea­liz­zata dal filo­sofo Jac­ques Der­rida il 23 giu­gno 1997. Testo riproposto dal periodico Alias nel novembre scorso.   Ornette Cole­man,  mae­stro dell’avanguardia nera si tro­vava a Parigi per tre con­certi alla Vil­lette, museo e sede per le arti perfor­ma­tive (tra le quali il Conservatorio). Il filo­sofò inter­vi­stò Ornette Cole­man, che era al momento impegnato   con il pro­getto “Civi­li­za­tion”, una serie di esi­bi­zioni che com­pren­de­vano ese­cu­zione della par­titura sin­fo­nica Skies Of Ame­rica, con­certi in trio con Billy Hig­gins e Char­lie Haden, mem­bri del suo Quar­tetto «sto­rico», e infine un con­certo di Prime Time, il gruppo elet­trico e «free funk».

Com­po­si­zione, improv­vi­sa­zione, lin­gua, raz­zi­smo sono le tema­ti­che prin­ci­pali della chiacchierata.

Quest’anno pre­sen­terà un pro­gramma dal titolo “Civi­liz­za­zione”. Che rap­porto c’è fra il titolo che ha scelto e la sua musica?
“Cerco di espri­mere un con­cetto secondo cui una cosa può essere tra­dotta in un’altra. Credo che il suono abbia una rela­zione assai demo­cra­tica con l’informazione, per­ché non c’è biso­gno dell’alfabeto per capire la musica. Quest’anno sto pre­pa­rando un pro­getto con la Filar­mo­nica di New York e il mio primo quar­tetto (senza Don Cherry) e altri gruppi in aggiunta. Sto cer­cando di rea­liz­zare l’idea secondo cui il suono si rin­nova ogni volta che viene espresso.”
Lei ritiene di agire più da com­po­si­tore o da musicista?
“Come com­po­si­tore, spesso la gente mi dice, ‘Suo­nerà brani che ha già suo­nato, o cose nuove?’”
Dun­que lei non risponde mai a que­ste domande, giusto?
“Se ti trovi a suo­nare musica che hai già regi­strato, la mag­gior parte dei musi­ci­sti riterrà di essere stata chia­mata a man­te­ner viva quella musica spe­ci­fica. E la mag­gior parte dei musi­ci­sti non ha grande entu­sia­smo quando si trova a suo­nare la stessa musica in con­ti­nua­zione. Dun­que io pre­fe­ri­sco scri­vere musica che non è mai stata ese­guita prima.
Vuole sor­pren­derli?
“Sì, voglio sti­mo­larli piut­to­sto che sem­pli­ce­mente chie­dere loro di accom­pa­gnarmi in pub­blico. Ma è dif­fi­cile da farsi, per­ché il musi­ci­sta di jazz è pro­ba­bil­mente l’unica per­sona per la quale la figura del com­po­si­tore non è qual­cosa di inte­res­sante, nel senso che pre­fe­ri­sce ‘distrug­gere’ quanto il com­po­si­tore scrive o suona.”
Quando afferma che il suono è più “demo­cra­tico”, come la mette con il fatto che è un com­po­si­tore, e scrive musica come tutti in forma codificata?
“Nel 1972 ho scritto una sin­fo­nia dal titolo “Skies Of Ame­rica” è stato quasi una tra­ge­dia, per­ché io non avevo un gran bella rela­zione con la scena musi­cale: esat­ta­mente come quando facevo free jazz, la gente per­lo­più cre­deva che sem­pli­ce­mente io pren­dessi il mio sas­so­fono, e poi mi met­tessi a suo­nare quanto mi pas­sava per la testa, senza seguire alcuna regola. Il che ovvia­mente non è vero.”
Noto che lei spesso ribatte quell’accusa…
“Certo. La gente al di fuori crede che sia una forma di libertà ecce­zio­nale, io credo invece che sia un limite. Dun­que ci sono voluti vent’anni, ma oggi final­mente posso avere un brano suo­nato dall’orchestra sin­fo­nica di New York e dal suo diret­tore. Giorni fa par­lando con mem­bri della Filar­mo­nica, que­sti mi hanno detto, ‘Senti Ornette, le per­sone inca­ri­cate delle par­ti­ture hanno biso­gno di vedere le tue’. Io ero ter­ri­bil­mente arrab­biato: è come se mi aves­sero scritto una let­tera e una terza per­sona la dovesse leg­gere per con­fer­marmi che nella let­tera stessa non c’è nulla che possa irri­tarmi. Era per essere sicuri che la Filar­mo­nica non avrebbe avuto disturbi. E poi mi han detto, ‘L’unica cosa che vogliamo sapere è se c’è un punto lì, una parola in quell’altro spa­zio’. In realtà non aveva nulla a che fare con la musica o con il suono, ma solo con i sim­boli che usiamo. Infatti la musica che scrivo da trent’anni e che defi­ni­sco ‘armo­lo­dia’ è come se stessi fab­bri­cando le mie parole per­so­nali, con un’idea pre­cisa di cosa quelle parole nuove deb­bano signi­fi­care per le altre persone.”
Ma chi suona con lei con­di­vide que­sta con­ce­zione della musica?
“Nor­mal­mente io parto dal fatto di scri­vere qual­cosa che loro pos­sano ana­liz­zare, la suono assieme a loro, e poi con­se­gno le par­ti­ture. Nella prova suc­ces­siva chiedo loro di mostrarmi cos’hanno sco­perto, e come dall’idea di base se ne pos­sano svi­lup­pare altre. Lo fac­cio sia con i musi­ci­sti, sia con gli stu­denti dei miei corsi. Io credo che chiun­que tenti di espri­mersi con le parole, con la poe­sia, nella forma che volete, può pren­dere il mio libro dell’armolodia e scri­vere seguen­done i pre­cetti, con la stessa pas­sione e gli stessi ele­menti di fondo”.
Nella pre­pa­ra­zione del nuovo pro­getto di New York, ha prima scritto la musica e poi chie­sto a chi doveva par­te­ci­pare di leg­gerla, vedere se si tro­vava in accordo, e alla fine di tra­sfor­mare il mate­riale originario?
“Per la Filar­mo­nica ho dovuto scri­vere le parti per ogni stru­mento, foto­co­piarle, poi con­fron­tarmi con la per­sona che si occupa delle par­ti­ture. Con i gruppi jazz, com­pongo e distri­bui­sco le parti diret­ta­mente alle prove. Quello che è vera­mente scon­cer­tante nella musica improv­vi­sata è che, a dispetto del nome che usiamo, la mag­gior parte dei musi­ci­sti in realtà usa una base per improv­vi­sare. Mi sono tro­vato di recente a inci­dere un disco con un musi­ci­sta euro­peo, Joa­chim Kühn, e la musica che ho scritto per suo­nare con lui, e poi regi­strata nell’agosto del ’96, ha due carat­te­ri­sti­che: è total­mente improv­vi­sata, e al con­tempo segue leggi e regole della musica euro­pea. Ciò nono­stante, a sen­tirla, sem­bra quasi total­mente improvvisata.”
Rica­pi­to­lando: il musi­ci­sta legge lo schema di fondo, e poi inter­viene il tocco personale?
“Sì, l’idea è che due o tre per­sone pos­sano avere una con­ver­sa­zione con i suoni senza che nes­suno tenti di gui­dare o indi­riz­zare la con­ver­sa­zione stessa. Intendo dire: si tratta di intel­li­genza, quella è la parola. Credo che nella musica improv­vi­sata i musi­ci­sti cer­chino di rimet­tere assieme i pezzi di un puzzle emo­tivo o intel­let­tuale, e in ogni caso si tratta di un puzzle nel quale il tono è dato dagli stru­menti. Il pia­no­forte più o meno sem­pre è ser­vito come base per la musica, ma ora non è più indi­spen­sa­bile: infatti gli aspetti più pro­pria­mente com­mer­ciali della musica sono diven­tati molto incerti. Peral­tro la musica che passa attra­verso il mer­cato non è neces­sa­ria­mente più acces­si­bile, ma ha dei limiti.”
Quando ini­zia a pro­vare, tutto è pronto e scritto, o già pre­vede di lasciare spazi aperti?
“Sup­po­niamo di essere nel momento in cui si suona e tu capti qual­cosa che potrebbe essere svi­lup­pato. A quel punto dovre­sti dirmi, ‘Pro­viamo que­sto’. La musica non ha lea­der, per quanto mi riguarda.
Cosa ne pensa della rela­zione tra il con­certo, che è poi l’evento, la musica scritta e la musica improv­vi­sata? Ritiene che la musica scritta impe­di­sca all’evento di accadere?
“No. Non so se sia vero per le que­stioni che atten­gono alla lin­gua ma nel jazz si può pren­dere un pezzo molto antico e farne una nuova ver­sione. La cosa ecci­tante è il ricordo che se ne tra­smette al pre­sente. Comun­que ciò di cui parla, la meta­mor­fosi di una forma in una forma diversa è qual­cosa di assai sano, ma molto rara.”
Forse sarà d’accordo con me sul fatto che al cuore dell’improvvisazione è la let­tura, dal momento che spesso ciò che capiamo dall’improvvisazione è la crea­zione di qual­cosa di nuovo, ma che tut­ta­via non esclude la matrice scritta che la ha resa possibile…
“Vero”.
Non credo di essere un esperto sulla sua musica, ma se provo a tra­durre ciò che lei fa in un ambito che cono­sco meglio, quello del lin­guag­gio scritto, l’evento unico — che si pro­duce una volta sola – è cio­non­di­meno qual­cosa di ripe­tuto nella strut­tura stessa. C’è dun­que una ripe­ti­zione, nella strut­tura, intrin­seco alla crea­zione ini­ziale, che com­pro­mette o comun­que com­plica il con­cetto di improv­vi­sa­zione. La ripe­ti­zione è già nell’improvvisazione: dun­que quando la gente tende a intrap­po­larti tra improv­vi­sa­zione e scrit­tura alla base, è in torto…
“La ripe­ti­zione è natu­rale esat­ta­mente come il fatto che la terra ruota”.
Lei pensa che la sua musica e il modo in cui la gente rea­gi­sce possa o debba cam­biare le cose, ad esem­pio a livello poli­tico, o in una rela­zione ses­suale? Il suo ruolo di arti­sta e com­po­si­tore può (o dovrebbe) avere un effetto sullo stato delle cose?
“No, non lo credo, ma ritengo che molte per­sone ne abbiano già fatto espe­rienza prima di me, e se comin­cio a lamen­tarmi, mi diranno, ‘Per­ché ti lamenti? Non siano cam­biati a causa di que­sta per­sona che ammi­riamo ben più di te, per­ché dovremmo cam­biare gra­zie a te?’ Dun­que di fondo non la penso così. Vivevo nel sud degli Stati Uniti quando le mino­ranze erano oppresse, e mi iden­ti­fi­cavo con loro attra­verso la mia musica. Ero in Texas, comin­ciai a suo­nare il sas­so­fono e a gua­da­gnarmi da vivere per me e la mia fami­glia suo­nando alla radio. Un giorno capi­tai in un posto pieno di gente che gio­cava d’azzardo e di pro­sti­tute, gente che liti­gava, e mi capitò di vedere una donna accol­tel­lata. Pen­sai di dover scap­pare da lì. Allora dissi a mia madre che non volevo più suo­nare la musica, che era come aggiun­gere sof­fe­renza alla sof­fe­renza. Mi rispose, ‘Che ti è preso, vuoi che qual­cuno ti paghi per la tua anima?’. Non ci avevo pen­sato, e quando me lo disse, e come se avessi rice­vuto un nuovo battesimo”.
Sua madre aveva le idee molto chiare…
“Sì, era una donna intel­li­gente. Ho pro­vato da quel giorno stesso a cer­care il modo per non sen­tirmi in colpa nel fare cose che le altre per­sone non fanno.”
E ha avuto successo?
“Non lo so, ma nel frat­tempo era venuto fuori il bebop, e lo vidi come una via d’uscita. E’ musica stru­men­tale non con­nessa spe­ci­fi­ca­ta­mente a una scena, che può esi­stere a pre­scin­dere dal luogo. Dovun­que io suo­nassi il blues, c’erano frotte di per­sone senza lavoro che non face­vano altro che gio­carsi i soldi. Allora mi scelsi il bebop, la cosa nuova che stava suc­ce­dendo a New York, e mi dissi che dovevo andar là. Avevo appena dicias­sette anni. Me ne andai di casa, mi diressi a sud”.
Prima di andare a Los Angeles?
“Sì, avevo i capelli lun­ghi come i Bea­tles, era l’inizio degli anni Cin­quanta. Dun­que me ne andai a sud, e tutti pro­va­vano a menarmi, poli­zia e gente nera; non gli pia­cevo. Avevo un look troppo biz­zarro per loro. Mi pren­de­vano a pugni e cer­ca­vano di rom­pere il mio sax. Era dura. Inol­tre ero con un gruppo che suo­nava quella che più o meno chia­ma­vamo “musica con i fiati da mene­strelli” e cer­cavo di fare bebop, stavo anche facendo pro­gressi e avevo tro­vato ingaggi. Ero a New Orleans, me ne sono andato a visi­tare una fami­glia molto reli­giosa, e ho comin­ciato a suo­nare in una chiesa nera. Quand’ero pic­colo, suo­navo sem­pre e solo in chiesa. Da quando mia madre mi disse quelle parole, sono andato alla ricerca di una musica che potessi suo­nare senza sen­tirmi in colpa per aver pro­vato a fare qual­cosa. E a tutt’oggi non l’ho ancora trovata”.
Quando è arri­vato a New York, ancora molto gio­vane, ha avuto qual­che tipo di pre­mo­ni­zione su quelle che sareb­bero state le sue sco­perte musi­cali, l’armolodia, o è suc­cesso tutto dopo?
“No, per­ché quando sono arri­vato a New York mi trat­ta­vano gros­so­modo come un tipo del sud che non cono­sce la musica, che non sa né leg­gere né scri­vere. Non ho mai pro­vato a con­tro­bat­tere. Ho poi deciso che avrei comin­ciato a svi­lup­pare le mie idee, e senza l’aiuto di nes­suno. Mi sono affit­tato il tea­tro Town Hall, era il 21 dicem­bre del 1962, per 600 dol­lari, ho ingag­giato un gruppo rhythm’n’blues, uno clas­sico e un trio. La sera del con­certo ci sono stati: una tor­menta di neve, uno scio­pero dei gior­nali, uno scio­pero dei medici e uno della metro­po­li­tana, così è andata finire che le sole per­sone che sono arri­vate al Town Hall sono state quelle che erano riu­scite ad arri­varci. Avevo chie­sto a qual­cuno di regi­strare il con­certo, ma quel qual­cuno s’è sui­ci­dato, ed è suc­cesso che qual­cun altro ha regi­strato il con­certo, fon­dato la sua eti­chetta con quella regi­stra­zione, ed è spa­rito nel nulla. Tutto ciò mi ha fatto capire, una volta di più, che lo avevo fatto per la stessa ragione per cui avevo detto a mia madre che non avrei suo­nato più lì. Ovvia­mente la situa­zione da un punto di vista di tec­no­lo­gia, finan­zia­rio, sociale e per­fino di rischio cri­mi­nale era dav­vero peg­gio di quando ero nel sud. Bus­savo a porte che rima­ne­vano osti­na­ta­mente chiuse.”
Qual è stato l’impatto di suo figlio sul suo lavoro? E ha a che fare con l’uso di nuove tec­no­lo­gie nella sua musica?
“Da quando Denardo è il mio mana­ger, ho capito final­mente che la tec­no­lo­gia è sem­plice, e ne ho com­preso il significato”.
Ha avuto la sen­sa­zione che l’intro­du­zione della tec­no­lo­gia abbia por­tato cam­bia­menti vio­lenti nel suo pro­getto, o è stata cosa facile? E, d’altra parte, il suo pro­getto Civi­li­za­tion ha che fare con quanto viene defi­nito globalizzazione?
“C’è qual­cosa di vero in entrambe le affer­ma­zioni, nel senso di poter chie­dere a te stesso se siano esi­stiti ‘uomini bian­chi pri­mi­tivi’: la tec­no­lo­gia sem­bra sia in grado di coprire solo l’area di senso di ‘bianco’.

Mi sem­bra di capire che lei non creda al con­cetto di glo­ba­liz­za­zione, e ritengo sia nel giu­sto… Se con­si­deri la musica, i com­po­si­tori che sono stati real­mente ‘inven­tori’ nella cul­tura occi­den­tale sono forse una mezza doz­zina. Lo stesso vale per la tec­no­lo­gia, gli inven­tori dei quali ho sen­tito dav­vero par­lare sono indiani di Cal­cutta e di Bom­bay. Ci sono un sacco di scien­ziati indiani e cinesi. Le loro inven­zioni sono come delle inver­sioni di idee di inven­tori ame­ri­cani o euro­pei, ma la stessa parola ‘inven­tore’ ha assunto un con­no­tato di domi­na­zione raz­ziale che è diven­tato più impor­tante dell’invenzione stessa, cosa ben tri­ste, per­ché è l’equivalente di una qual­che spe­cie di pro­pa­ganda. Quello che intendo dire è che le dif­fe­renze tra uomo e donna o tra le razze sono in rela­zione alle edu­ca­zioni e alle cre­denze. Dal momento che io sono nero e discen­dente di schiavi, non ho alcuna idea di quale fosse il mio lin­guag­gio d’origine”.

Se fos­simo qui a par­lare di me (e non è que­sto il caso) direi che, in modo dif­fe­rente ma ana­logo, mi suc­cede esat­ta­mente la stessa cosa. Sono nato in una fami­glia di ebrei alge­rini che par­la­vano fran­cese, che non era la loro lin­gua d’origine. Ho scritto un pic­colo libro su que­sto argo­mento, e in un certo senso sono sem­pre nel pro­cesso di par­lare in quello che defi­ni­sco ‘il mono­lin­gui­smo dell’Altro’. Non ho con­tatti di sorta con la lin­gua d’origine o, meglio ancora, con quella dei miei sup­po­sti antenati.
“Non si chiede mai se la lin­gua in cui parla ora inter­fe­ri­sce, con­di­ziona il suo vero pen­siero? Un lin­gua d’origine può influen­zare i pensieri?”
E’ un enigma per me. Non lo so. Credo che qual­cosa parli attra­verso di me, una lin­gua che io non capi­sco, una lin­gua che a volte cerco di tra­durre più o meno facil­mente nella ‘mia lin­gua’. Ovvia­mente io sono un intel­let­tuale fran­cese, inse­gno in scuole dove si parla fran­cese, ma ho sem­pre l’impressione che qual­cosa mi forzi a far qual­cosa per la lin­gua francese…
“Ma lei sa che, per quanto riguarda le mie vicende, negli Stati Uniti esi­ste lo ‘ebo­nics’, che sarebbe l’inglese che par­lano i neri: che è poi poter usare un’espressione che signi­fica qual­cosa di diverso rispetto all’inglese stan­dard. La comu­nità nera ha sem­pre usato un lin­gua a dop­pio signi­fi­cato. Quando sono arri­vato in Cali­for­nia, è stata la prima volta che mi sono tro­vato in un posto dove un bianco non mi diceva che non potevo sedermi in un certo posto. Poi qual­cuno ha comin­ciato a farmi mol­tis­sime domande, e io non riu­scivo a rispon­dere, allora sono andato da uno psi­chia­tra per vedere se riu­scivo a rispon­dere. E quello mi ha pre­scritto del valium. L’ho preso e but­tato nella tazza del water. Non sem­pre mi ren­devo conto di dove fossi, così sono andato in una biblio­teca e ho fatto ricer­che in tutti i libri che ho tro­vato sul cer­vello, mi son letto tutto. E i libri dice­vano che il cer­vello in fondo è con­ver­sa­zione. Non dice­vano a pro­po­sito di che, ma mi ha fatto capire che il fatto di pen­sare e appren­dere non dipende solo dal posto dove sei nato. Credo di capire sem­pre meglio che quello che chia­miamo cer­vello, nel senso di cono­scenza e essere, non è la stessa cosa del cer­vello che ci fa essere ciò che siamo.”
Que­sto è sem­pre un fatto di con­vin­zione: noi cono­sciamo noi stessi in base a quanto cre­diamo. Natu­ral­mente nel suo caso è tra­gico, ma è un fatto uni­ver­sale: noi cre­diamo (o sup­po­niamo di cre­dere) che siamo quel che siamo attra­verso le sto­rie che ci rac­con­tano. Un fatto rile­vante è che abbiamo esat­ta­mente la stessa età, siamo nati lo stesso anno. Quando ero gio­vane, durante la guerra (non  sono mai stato in Fran­cia prima dei dician­nove anni) vivevo in Alge­ria, e nel 1940 sono stato espulso da scuola per­ché ero ebreo, come risul­tato delle leggi raz­ziali, e non riu­scivo nep­pure a capire cosa stesse suc­ce­dendo. L’ho capito molto tempo dopo, e que­sto attra­verso sto­rie che mi hanno fatto capire chi fossi, per così dire. E per­fino per quanto riguarda sua madre, noi sap­piamo chi è e che è in un certo modo solo attra­verso la nar­ra­zione. Ho cer­cato di capire in quale momento sto­rico lei fosse a New York e a Los Ange­les, ed è stato prima che venis­sero rico­no­sciuti i diritti civili ai neri d’America. La prima volta che sono stato negli Stati Uniti, nel 1956, c’erano car­telli ‘solo per bian­chi’ ovun­que, mi ricordo la bru­ta­lità del mes­sag­gio. Lei ne ha avuta espe­rienza diretta?
“Certo. Sia come sia, quello che mi piace di Parigi è che non puoi essere snob e raz­zi­sta allo stesso tempo, non fun­ziona. Parigi è l’unica città che io cono­sca dove il raz­zi­smo non appare mai in tua pre­senza, è qual­cosa di cui senti solo parlare.”
Ciò non signi­fica che non ci sia raz­zi­smo, ma che sia com­mi­su­rato obbli­ga­to­ria­mente al con­te­sto in cui si trova ad essere. Qual è la stra­te­gia alla base della sua scelta musi­cale per Parigi?
“Essere un inno­va­tore per me non signi­fica essere più intel­li­gente, più ricco. Non è una parola, è un’azione. E dal momento che tale azione non s’è ancora pro­dotta, non ha senso parlarne.”
Ho capito che lei pre­fe­ri­sce il fare al par­lare. Ma come si com­porta lei con le parole? Qual è la rela­zione tra la musica che fa e le sue parole, o quelle che le per­sone cer­cano di sovrap­porre a quello che lei fa? Pren­diamo ad esem­pio il pro­blema di sce­gliere un titolo, come lo concepisce?
“Una mia nipote è morta a feb­braio di quest’anno e sono andato al suo fune­rale. Quando l’ho vista nella bara, ho notato che qual­cuno le aveva messo degli occhiali. Lì mi è venuta l’idea di chia­mare un mio pezzo ‘Lei dor­miva, morta, nella bara e indos­sava occhiali’. Poi ho cam­biato idea, e quel pezzo l’ho chia­mato ‘Appun­ta­mento al buio’.”
Vuol dire che quel titolo s’è impo­sto da solo?
“E’ che cer­cavo di capire il fatto che qual­cuno avesse messo gli occhiali a una donna morta..avevo una qual­che idea di cosa signi­fi­cava, ma è molto dif­fi­cile capire il modo di con­ce­pire la vita fem­mi­nile, quando tale modo nulla a che fare con quello maschile”.
Lei ritiene che il suo modo di scri­vere musica ha a che fare con il modo in cui si rela­ziona con le donne?
“Prima di essere cono­sciuto come musi­ci­sta, quando lavo­ravo in un grande magaz­zino un giorno, durante la pausa pranzo, sono capi­tato in una mostra, e lì c’era un qua­dro che aveva dipinto qual­cuno che ritraeva una donna bianca e ricca, una di quelle per­sone che hanno asso­lu­ta­mente tutto nella vita, ed aveva espres­sione più soli­ta­ria che abbia mai visto, in volto. Non mi ero mai imbat­tuto con una tale soli­tu­dine, e quando sono tor­nato a casa ho scritto il pezzo che si inti­tola ‘Donna solitaria’”.
Intende dire che la scelta del titolo non è stata una scelta di parole ma un rife­ri­mento diretto all’esperienza vis­suta? Le fac­cio que­ste domande sulla lin­gua, sulle parole, per­ché per pre­pa­rarmi all’incontro con lei ho ascol­tato la sua musica e ascol­tato quello che ne hanno scritto i cri­tici. E la scorsa notte ho letto un arti­colo che era infatti un’analisi per una con­fe­renza fatta da un mio amico, Rodol­phe Bur­ger, un musi­ci­sta che ha un gruppo che si chiama Kat Onoma. L’analisi era costruita su sue affer­ma­zioni. Per ten­tate di ana­liz­zare il modo in cui lei con­ce­pi­sce la sua musica, ha preso spunto dalle sue affer­ma­zioni, la prima delle quali era, ‘Per ragioni delle quali non sono certo, sono con­vinto che prima di diven­tare musica, musica era solo una parola’. Si ricorda di averlo detto?
“No”
Ma lei come inter­preta o capi­sce le sue stesse affer­ma­zioni? Sono cose importanti?
“Mi inte­ressa assai di più avere una rela­zione umana con lei piut­to­sto che una rela­zione musi­cale. Voglio veri­fi­care se rie­sco a espri­mermi con le parole, con suoni che hanno a che fare con una rela­zione umana. Allo stesso tempo, mi pia­ce­rebbe essere in grado di par­lare della rela­zione tra due talenti, tra due azioni. Per me, la rela­zione umana è la cosa più bella, per­ché ti mette in con­di­zione di gua­da­gnarti la libertà che desi­deri, per te e per l’altra persona.”
(tra­du­zione e cura di Guido Festinese)




mercoledì 10 giugno 2015

Le associazioni: "La partecipazione osteggiata in città". Incontri per una rete politica e sociale

Alessandro Redirossi. Fonte http://www.linchiestaquotidiano.it/


FROSINONE - «La democrazia senza partecipazione non è democrazia. In città la partecipazione è osteggiata e mortificata dai partiti e vengono tenute a bada le associazioni militanti e attive. Si dà spazio solo all’associazionismo collaterale». Il duro monito di Francesco Notarcola, presidente della Consulta delle associazioni di Frosinone, alla politica frusinate durante il dibattito “W la Repubblica. Ma la democrazia?”, primo appuntamento del programma di incontri “Frosinone: per una città di serie A” organizzato dalle associazioni Oltre L’Occidente e dall’Osservatorio Peppino Impastato e ospitati nella sede della Società operaia di Mutuo soccorso del presidente Antonio Di Salvo. Nel corso dell’incontro si è discusso della predominanza degli esecutivi negli enti locali a tutto danno del ruolo del Consiglio comunale e della partecipazione civica. Tendenza rispetto alla quale Frosinone non sembra essere esente. Del deficit di democrazia e partecipazione hanno parlato esponenti di diverse associazioni, i cui interventi sono stati moderati da Daniele Riggi, che con i Giovani Socialisti ha messo in piedi di recente un percorso partecipato volto a presentare in Consiglio una delibera di iniziativa popolare sulla gestione del servizio idrico. Una tendenza, quella a “tenere a bada le associazioni” che Notarcola dice di aver ravvisato «sia con l’amministrazione Marini che con quella Ottaviani» e sui temi più disparati: dall’urbanistica, alla sanità, fino all’acqua e ai rifiuti. Attualmente, si è ricordato, anche la Consulta delle associazioni risulta “congelata” da almeno tre anni, dopo elezioni annullate e un giallo amministrativo che non permette ancora il rinnovo degli organismi dirigenti. Attualmente Notarcola ne è presidente, in regime di prorogatio, ma la Consulta non è pienamente operativa. «Sia Marini che Ottaviani si sarebbero dovuti dimettere dopo gli scandali - ha osservato Notarcola -  La nostra è una città sotto inchiesta. Perché - ha chiesto - non ci può essere una commissione di cittadini che vigilino sulla gestione dell’acqua e dei rifiuti affinché si abbattano anche le tasse? Perché nessuna forza politica in Consiglio porta in aula il tema del lavoro, confrontandosi anche con le associazioni su idee di sviluppo della città? Spogliamoci delle appartenenze per ricostruire un tessuto democratico». All’incontro con le associazioni erano state invitate le opposizioni consiliari e quelle extraconsiliari. Alla fine gli esponenti del Pd non si sono presentati (erano, a quanto pare, alle prese con un’importante riunione e qualcuno dice di non aver ricevuto l’invito in tempo utile).  Hanno invece risposto all’appello, sul fronte politico,  il coordinatore cittadino del Psi Vincenzo Iacovissi, attivisti socialisti e del Movimento 5 Stelle, Alberto Gualdini di Sel. Iacovissi ha dovuto di fatto “parare” le accuse piovute su una politica cittadina giudicata dalle associazioni “allergica” ai meccanismi della partecipazione democratica. «Le riforme negli anni hanno portato sindaco e giunta ad assumere l’80% delle decisioni a livello comunale - ha sottolineato Iacovissi - Ma il consiglio deve essere il luogo in cui promuovere le esigenze della collettività.  Noi su acqua e sanità abbiamo messo in campo iniziative, attraverso il confronto con le associazioni». Iacovissi ha sottolineato che le forze del centrosinistra non devono più guardare al passato e sottolineato la necessità di  «superare il campo del centrosinistra e guardare ai movimenti civici. Il nostro programma elettorale - ha aggiunto - fu frutto di primarie delle idee partecipate. Sulla sanità - ha evidenziato - abbiamo inoltre dimostrato di non farci condizionare dall’appartenenza». Durante l’incontro Gualdini ha anche sottolineato come spesso i problemi riscontrati dalle associazioni siano ascrivibili anche «alla struttura comunale», mentre Marco Mastronardi ha ricordato a Iacovissi errori compiuti nel recente passato sull’urbanistica. Da Ivano Alteri (unoetre.it) è stato sottolineato anche come i comitati, uniti, scrivendo una lettera alla Cassa depositi e prestiti, siano riusciti a scongiurare la perdita dei fondi per l’ampliamento del museo. Un’operazione che dimostra pienamente quale sia il potenziale tecnico e organizzativo delle associazioni ai fini della produzione di benessere e sviluppo in città. In questo senso è stata anche rievocata la battaglia per salvare le Terme Romane, che ha portato all’apposizione del vincolo archeologico sull’area. Meno fortunata l’esperienza della delibera popolare dell’Unitalsi per salvare le risorse destinate alla struttura sportiva per i disabili che, a proposito di partecipazione, in Consiglio comunale è arrivata a gennaio e a quasi cinque mesi di distanza non ci è più tornata, senza nemmeno essere stata votata.  Da Oltre l’Occidente Paolo Iafrate ha ricordato come il processo decisionale a Frosinone si sia accentrato in maniera preoccupante nelle figura del sindaco, con un ruolo marginale del Consiglio comunale. Dall’Osservatorio Peppino Impastato Mario Catania ha concentrato il suo intervento sul nodo della trasparenza nelle amministrazioni locali, mentre Luciano Granieri ha ricordato l’episodio della delibera popolare sulla gestione del servizio idrico, a suo avviso “annacquata” dai partiti in Consiglio comunale rispetto alle finalità perseguite dai sottoscrittori della proposta. Il ciclo di appuntamenti, il cui fine dichiarato è quello di “costruire una rete politica e sociale territoriale”, prosegue con incontri sempre nelle sede della Società operaia alle 20 e 30. Il 12 giugno si parlerà di urbanistica frusinate (“Frosinone, un non luogo”); il 18 giugno di ambiente e arte come fonte di sviluppo (“Ripensare il futuro”; il 25 giugno di lavoro (“Occupazione e reddito, le uniche cose che non aumentano”); il 29 giugno dei servizi pubblici al collasso in città (“Il servizio pubblico: chi l’ha visto?”)  

Lettera ai Consiglieri comunali: vi invitiamo a venire al Consiglio popolare dell’11 giugno e a consegnare le vostre dimissioni


Gentilissima, gentilissimo Consigliere comunale,

con la presente La informiamo che l'11 giugno alle ore 18 cittadine e cittadini, associazioni e comitati hanno convocato in Piazza del Campidoglio la prima seduta del Consiglio Popolare di Roma Capitale per il suo insediamento.
Siamo di fronte ad un atto importante e pieno di assunzione di responsabilità da parte della cittadinanza che non può più vedere le istituzioni capitoline divorate dalla criminalità organizzata e quindi indica una strada di partecipazione e coinvolgimento attivo per uscire dalla melma di Mafia Capitale che oggi con un nuovo disgustoso capitolo, coinvolge in pieno il Consiglio comunale.
Lo stesso Consiglio Comunale che non ha mai voluto prendere seriamente in considerazione le proposte avanzate da 32.000 cittadini con le 4 delibere di iniziativa popolare per un nuovo modello di città, è pesantemente inquinato da infiltrazioni mafiose. 

C'è un rapporto tra questi due fatti che non può essere ignorato. Non stupisce che Mirko Coratti, Pd, ex presidente dell'Assemblea Capitolina a libro paga di Buzzi, ignori il regolamento del consiglio per quattro mesi di seguito, negando la convocazione sulle iniziative popolari. Non stupisce che Pierpaolo Pedetti, Pd, presidente di commissione che si faceva dettare gli emendamenti da Mafia Capitale, si rifiuti di convocare la sua commissione per esaminare le proposte di gestione sociale, pubblica e trasparente del patrimonio. Ma si è andati oltre: è l'insieme del Consiglio che ha ignorato sinora le proposte sottoscritte da così tanta gente.

All'indomani del primo emergere di Mafia Capitale avevamo fatto un appello al Consiglio Comunale: cambiare passo e ripartire dalla partecipazione e dal controllo popolare per debellare il malaffare da Campidoglio, convinti come siamo che solo la ricostruzione di un legame saldo della politica con la cittadinanza attiva della città, e con i bisogni reali della popolazione, può permettere di rompere i mille legami con gli affari e con la mafia consolidatisi in decenni. La pulizia non si può fare "in casa", ma richiede di aprire le finestre per fare entrare aria nuova in Campidoglio. Ma non siamo stati ascoltati.

Da mesi il coordinamento "spiazziamoli", e noi con loro, chiede un consiglio comunale aperto alla cittadinanza per discutere, in pubblico e con i cittadini, sulle radici di Mafia Capitale. Ma neanche questo è stato fatto.

Mafia Capitale non è un problema di "mele marce" di questa o quella organizzazione politica. Mafia Capitale è un sistema trasversale che, tramite le privatizzazioni dei servizi, la gestione emergenziale delle sofferenze sociali a cui i soggetti deboli sono condannati dalle politiche di austerity , la gestione opaca degli appalti pubblici, inchioda alle proprie responsabilità un'intera classe dirigente (politici corrotti, imprenditoria privata, malavita organizzata). Non possiamo però permettere che Mafia Capitale sia discussa solo nelle sedi giudiziarie ma bisogna ridare voce e spazio a chi di Roma è l’anima, a chi la vive, la odia e la ama ogni giorno.

Per questo la invitiamo a partecipare al "Consiglio popolare" antimafia, facendo un atto concreto e pubblico, ovvero quello di rimettere in questa occasione il proprio mandato da Consigliere comunale alla luce di quanto sta avvenendo e avviare così un percorso per la nascita di una nuova istituzione del Comune che si occupi veramente della città, con le proposte dei movimenti sociali, dei comitati, dei cittadini e delle cittadine, votando le proposte di nuovo modello di città che vengono dalla cittadinanza attiva.

La rete di DeliberiamoRoma

CONVOCAZIONE CONSIGLIO POPOLARE 11 GIUGNO 2015. PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO

Rete Deliberiamo Roma


CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO POPOLARE
Ai sensi e per gli effetti del REGOLAMENTO del BUON SENSO, si avvisa che l'Assemblea Capitolina, colpita da infiltrazioni mafiose, si é dimessa ed è stato convocato il primo CONSIGLIO comunale POPOLARE DELLA CITTÀ.
Si rende noto che ogni cittadino/a può prendere parola nel Consiglio popolare e in massimo 4 minuti fare delle proposte, previa iscrizione alla lista degli interventi redatta dal Segretario del Consiglio GIUSTINO CALMA.
Convocazione giovedì 11 giugno 2015 dalle ore 18 alle ore 20, in Piazza del Campidoglio.
Segue l’ordine dei lavori 11.06/2015

LA PRESIDENTE dall’Assemblea della cittadinanza capitolina antimafia
On. GAIA AGGREGAZIONE

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ORDINE DEI LAVORI DELLA SEDUTA 1106/2015
1) ATTO DI RATIFICA dell’attribuzione di pieni poteri al CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ. Preso atto dei provvedimenti antipopolari presi dalla Giunta capitolina e del sistema mafioso che ha colpito l'amministrazione comunale in modo ramificato e senza distinzione di colori, il CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ prende il posto ed assume tutte le funzioni e poteri dell’Assemblea capitolina. Come primo atto politico, il CONSIGLIO POPOLARE DELLA CITTÀ dichiara illegittimo e insolvibile ogni debito del comune di Roma  che ha portato a politiche di riduzione dei diritti sociali e del lavoro.
2) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 1/11.06.2015 per IL NASONE CAPITALE: come nelle fontanelle delle strade di Roma, acqua pubblica e gratuita, per tutta la cittadinanza, nelle case e al lavoro, ai sensi del risultato del referendum per l’acqua pubblica, correva l’anno 2011.
3) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 2/11.06.2015 per LA SCUOLA AMICA DELLE BAMBINE E DEI BAMBINI. Interventi strutturati per la valorizzazione della scuola pubblica, plurale, costruttrice di pace, inclusione e integrazione e per la dignità e il riconoscimento del personale docente e scolastico, che svolge il lavoro più importante del mondo: crescere nuove generazioni.
4) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 3/11.06.2015 per PRIMA LE PERSONE, POI LE BANCHE. La misura è drasticamente anti-austerity. Interviene a gamba tesa nella finanza per rimetterla a suo posto e ripristinare il ruolo della politica come agente di cambiamento a favore delle persone, non delle banche. La delibera propone altresì il pieno appoggio ai cittadini e alle cittadine greche e si esprime a favore della politica di Tsipras contro le proposte lacrime e sangue di Juncker.
5) PROPOSTA DI DELIBERAZIONE: Proposta n. 4/11.062015 per IL PATRIMONIO COMUNE. Il provvedimento destina tutti gli immobili abbandonati della città a finalità sociali e culturali; mette fine ai profitti degli speculatori e blocca ogni vendita scellerata di patrimonio immobiliare; requisisce gli immobili privati inutilizzati e li destina alle associazioni, ai movimenti e alle organizzazioni no profit che producono cultura nelle periferie e costituiscono l’antimafia sociale della città. La delibera decreta altresì l’illegalità di ogni sgombero mosso contro gruppi di cittadini inermi che si raggruppano per difendere i beni comuni e rimediare all’ingiustizia sociale e mette fine ai processi mediatici e giuridici che criminalizzano la povera gente, i migranti e le lotte sociali.
6) PROPOSTE DI DELIBERAZIONE promosse dall’Assemblea della cittadinanza capitolina antimafia.
7) VARIE ED EVENTUALI