ANTIGONE E CREONTE
Nel 442 avanti cristo ad Atene, fu rappresentata per la prima volta la tragedia di Sofocle, Antigone.
Antigone, come i fratelli Eteocle e Polinice, era figlia di Edipo e di sua madre Giocasta.
Dopo il suicidio di Giocasta, l'auto-accecamento e l'esilio di Edipo alla scoperta dell'involontario incesto, Eteocle e Polinice si accordano per alternarsi sul trono di Tebe.
Ma quando Eteocle si rifiuta di cedere il trono al fratello, questi raccoglie attorno a sé sette eroi e muove guerra alla città.
Nella battaglia i sette eroi hanno la peggio e nello scontro diretto i due fratelli si danno reciprocamente la morte.
Questo è l'antefatto e nella tragedia di Sofocle, Creonte, divenuto il nuovo re di Tebe, dispone che Polinice non riceva sepoltura condannandolo a vagare, maledetto, per l'eternità.
Ma Antigone, nonostante il divieto disposto dal re, decide di dare pietosa sepoltura al fratello.
Creonte allora la condanna ad essere sepolta viva, non ascoltando le suppliche di nessuno, neanche quelle del figlio Emone, promesso sposo di Antigone.
Quando finalmente la grotta in cui è sepolta Antigone viene aperta, la figlia di Edipo è morta.
Questo porta Emone a suicidarsi e Euridice, moglie di Creonte, a seguirne le orme.
Creonte resta solo, con la propria disperazione.
2458 anni fa qualcuno già si interrogava sul conflitto tra legalità e giustizia.
La giustizia, la cosa giusta, non è qualcosa che possa attenere ad un codice, ad una regola.
E' qualcosa di profondo, di molto più profondo che attiene ad un qualcosa di ancestrale, acquisito nel ventre della madre o nello sguardo del proprio padre.
Sappiamo perfettamente quello che è giusto e quello che è sbagliato e non sono le punizioni che si rischiano con i propri comportamenti a dirci che uccidere, rubare, profittarsi della debolezza, del bisogno o dell'ingenuità dell'altro sia sbagliato, lo sappiamo.
Siamo noi che ci creiamo architetture consolatorie e pattumiere di giustificazioni per soffocare quel grido di giustizia che ci rode dentro, per continuare a vivere col peso delle nostre miserabili vergogne, qualunque esse siano.
Antigone è l'archetipo della giustizia.
E' il senso di giustizia portato alle estreme conseguenze.
Avere pietà per le spoglie del fratello, anche se colpevole del più grave dei tradimenti, è un imperativo etico superiore che non può essere subordinato al rispetto di nessuna legge degli uomini.
Ed Antigone fa giustizia incurante delle conseguenze che con questo gesto le cadranno addosso.
Ma anche Creonte è un archetipo.
E' l'archetipo della legge.
Nessuno, neanche la promessa sposa del figlio può porsi al di sopra e al di fuori della legge.
E a costo della propria distruzione personale e familiare Creonte porta il rispetto della legge sino alle estreme conseguenze.
Nell'Antigone si consumano, non una, ma due tragedie, tutte e due drammatiche e tutte e due degne di rispetto.
E' evidente che mi sento dalla parte di Antigone, ma capisco anche come l'invocare una giustizia superiore non rispettando le leggi possa divenire un facile espediente per giustificare qualunque comportamento sulla base di un reale o presunto o pretestuoso imperativo etico.
Se serve Antigone, serve anche Creonte e le tante, troppe volte in cui ci troviamo ad invocare la legalità contro il malaffare, contro le mafie, contro la corruzione e la commistione tra affari e politica ne è la dimostrazione concreta.
Dal dramma di una simile dicotomia non si esce con una scorciatoia ed è Antigone che ci indica la sola strada possibile.
Se la giustizia ci impone di infrangere le leggi, le leggi devono essere infrante, ma assumendosene in pieno la responsabilità e le conseguenze, qualunque queste siano.
Di contro, chi ha il compito istituzionale di vigilare sul rispetto delle leggi ha il dovere morale di svolgere il proprio compito senza farsi condizionare da nulla, neanche dai propri sentimenti.
Solo così, dalla duplice tragedia cantata da Sofocle potremo uscire tutti più liberi e migliori.
Il “Faone delle bollette” è divenuta occasione per muovere dei passi in questa direzione.
Per noi, violare le disposizioni dettate dal Questore di Frosinone era un imperativo di giustizia.
Potevano essere, come sono in auge in questo disgraziato Paese di corrotti, corruttori e corruttibili (quelli che gridano non avendo avuto sino ad ora occasione di corruttela), “furbi” e non dichiarare le nostre intenzioni.
Potevamo lasciare le autorità dinanzi al fatto compiuto e nell'alea dell'individuazione delle responsabilità.
Potevano comportarci come questa desolante “normalità” delle persone, tanto disattente alle proprie furbizie quotidiane e alle conseguenti violazioni delle norme, quanto attente ai mortali peccati altrui.
Potevano affidarci all'italico “speriamo che io me la cavo” e aspettare che passasse la nottata.
Ma se avessimo fatto così non avremmo fatto nessun atto di giustizia, avremmo solo annegato le nostre buone ragioni nella melma che insozza il vivere comune.
Noi, come Antigone, abbiamo scelto di perseguire la giustizia violando apertamente e a testa alta le leggi, pronti ad assumerci tutte le conseguenze del nostro comportamento.
E ci attendiamo che, come Creonte, chi ha il compito di far rispettare le leggi, svolga correttamente il proprio compito.
Come nell'Antigone non ci saranno vincitori, ma soli vinti, ma è per la cruna di questo ago, per quanto stretta sia, che passa la possibilità che la distanza tra giustizia e legalità si riduca.
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