domenica 18 dicembre 2016

Il Vietnam sta bene

Andre Vltchek

Una quindicina di anni fa, quando vivevo ad Hanoi, ero abituato ad andare molto spesso al bar panoramico sul terrazzo all’Hotel Meritus per un aperitivo serale, proprio  per sentire la piacevole brezza, e per individuare i vecchi mercantili che navigavano maestosamente lungo il Fiume Rosso. A volte il fiume poteva essere chiaramente visibile, ma spesso era coperto dalla nebbia, con in un antico dipinto vietnamita.
C’erano villaggi all’orizzonte che consistevano principalmente di semplici ‘case tunnel’(case strette che si estendono oltre il fronte stradale, n.d.t.)  e riuscivo a vedere dei grattacieli al centro della città. Molto più giù, gli edifici sulle rive del ‘Piccolo lago’, erano colorate, nostalgiche e pittoresche.
Hanoi era malinconica e povera, ma era quello che era, e si poteva amare o odiare, ma mai essere indifferenti.
E’ stata anche la capitale di un paese socialista, un paese orgoglioso, che ha sconfitto sia gli imperialisti francesi che quelli statunitensi. E’ stato un simbolo di resistenza, un faro di speranza per molti paesi poveri e in lotta, e, come Cuba una prova vivente che una nazione orgogliosa e determinata poteva osare di opporsi e anche di vincere contro i nemici più potenti e più velenosi.
A un certo punto il Meritus cambiò nome e proprietario. Divenne il Sofitel e proprio di recente è stato trasformato di nuovo, questa volta con il nome di Pan Pacific. Il bar panoramico sul terrazzo è rimasto. Sono cresciuti i grattacieli sono tutto intorno alla città e coprono ora quasi l’intero orizzonte; improvvisamente Hanoi ha una vera skyline. Si guarda lontano e quello che si vede potrebbe essere in qualsiasi altro posto: a Shanghai o Dallas, Bangkok o Johannesburg… ma soltanto con gli occhi socchiusi.
Sono sopravvissuti manifesti comunisti entusiasti, o, almeno alcuni di essi. Altri sono cambiati e sono migrati verso nuovi enormi moderni cartelloni digitali. Scintilla  di notte e le immagini cambiano continuamente: Zio ‘Ho’, i bambini pionieri, i lavoratori e i soldati pronti a difendere il loro paese.
“Il Vietnam è ancora un paese comunista?” continuo a chiedere dovunque vada, per anni. Faccio la stessa domanda nei villaggi lontani e nelle principali città. Il motivo è che mi sembra che la risposta per me sia essenziale, perché così tanti milioni di Vietnamiti sono morti, combattendo per il loro paese e poi cercando di realizzare il loro sogno si una patria sociale.
Le risposte che ricevo sono spesso evasive. Per qualche motivo, gli occhi di molte persone sono rivolti in basso.
“Che cosa è successo, Vietnam? voglio chiedere, ma il Vietnam è un grande e lungo tratto di terra che segue la costa; non parla, non risponde a domande retoriche. La maggior parte dei suoi abitanti è libera di parlare, sono in grado di parlare, ma per qualche ragione non lo fanno. Sono confusi tanto quanto me?
 Più sento che la risposta dovrebbe essere positiva e ottimistica, più ricevo risposte  evasive. Continuo a pensare: perché?
Non mollo, non smetto mai di domandare, perché penso sia essenziale sapere.
Un artista celebre come George Burchett, figlio del grande giornalista australiano Wilfred Burchett, era nato in Vietnam e ora, da vari anni, vive con la sua famiglia ad Hanoi. Il suo amore per questo paese è appassionato e assoluto. Osserva molti cambiamenti che accadono intorno a lui e trova che la maggior parte di questi sia positiva: “La vita in Vietnam sta gradualmente migliorando. Si può andare in giro a piedi ad Hanoi o in andare in macchina in tutta la campagna: non c’è più miseria brutale. La gente è ottimista . La vita sta migliorando.
Spiega anche che dopo il 12° Congresso Nazionale del Partito Comunista del Vietnam, il Politburo ha preso una strada in direzione non-occidentale.
Alcune persone con le quali parlo, e anche vari analisti, non hanno dubbi che dopo il licenziamento del Primo Ministro Nguyen Tan Dung, il Partito Comunista del Vietnam ha adottato una politica molto più amichevole verso la Cina, ma,  allo stesso tempo, non abbandonando la sua propria forma di socialismo (si dovrebbe chiamare ‘Socialismo con caratteristiche proprie del Vietnam?’). Comunque, dopo aver viaggiato per quasi due settimane in tutto il Vietnam Centrale, è innegabile che le forze del mercato stanno ancora svolgendo un ruolo molto importante, spesso tentando di prescrivere in che direzione si sta sviluppando il paese.
“Mi piacciono quelle enormi gru, i cantieri edili e le turbine”, dico scherzando mentre visito il Museo delle Belle Arti ad Hanoi, dove, al secondo piano sono esposte alcune grandiose opere del realismo socialista vietnamita.
“Anche a me”, ripete uno dei miei amici in maniera beffarda. “Però molte dei queste gru servono ora a costruire centri commerciali e lussuosi palazzi di appartamenti  per i ricchi.”
Ho trascorso quasi tre anni in Vietnam, quando era ancora povero, tra il 2001 e il 2003. La determinazione delle persone di costruire un paese molto migliore era davvero ammirevole.
Continuo a tornarci ogni anno, viaggiando praticamente in tutti gli angoli della nazione. Il Vietnam, indubbiamente, stava cambiando, ma per molti aspetti conservava il suo spirito socialista. Una forte pianificazione  centralizzata  con la guida del Partito Comunista del Vietnam, assicurava che l’evoluzione verso un’economia mista non diventasse un caos e un’anarchia favorevole al mercato. Lo spirito e il simbolismo patriottico del paese erano marxisti,  ma avevano anche profonde radici nazionali.
Anche quando le nuove compagnie straniere stavano costruendo qui le loro catene di montaggio, il governo si assicurava che non ci sarebbero state condizioni di lavoro disperate e deplorevoli come quelle che erano state prevalenti nelle Filippine, in Indonesia o in Cambogia. Ho visitato varie fabbriche di abbigliamento nel sud del paese: erano tutte pulite, ben areate, con postazioni mediche, mense e trasporti dignitosi i lavoratori.
Anche nelle campagne le condizioni lavorative e di vita  sono andate migliorando, spesso sensibilmente.
Tuttavia, non diversamente che in molti paesi dell’America Latina, la propaganda occidentale che funziona tramite gli organi di stampa e per mezzo di ‘blog’ locali e dei media sociali ha cominciato ad attaccare incessantemente la dirigenza del Partito Comunista e l’intero sistema  politico e sociale del Vietnam
La comune strategia di destabilizzazione (simile a quella usata per prendere di mira l’Europa dell’Est durante la Guerra Fredda e ora l’America Latina e l’Europa, veniva applicata con determinazione. Innumerevoli ONG e organizzazioni per i diritti umani furono prontamente coinvolte. Molti intellettuali locali si unirono ai ranghi dei critici stranieri; alcuni di loro iniziarono ad avere ‘finanziamenti’ e ‘sponsorizzazioni’ da agenzie straniere, ‘istituzioni culturali’ e perfino dai governi.
I grandi successi dello stato venivano deliberatamente fatti apparire insignificanti, mentre argomenti come la corruzione e le sofferenze sociali venivano messe in luce eccessivamente. Venne programmata, fabbricata e ’scatenata’ un’intera cultura contro l’establishment. Per i cittadini istruiti appoggiare il Partito Comunista e il ‘sistema’ divennero del tutto ‘non di tendenza’, quasi disonorevole.
Anche l’interazione con i turisti stranieri spesso non ha portato a nulla di buono.
Nell’antica città di Hoi An, ho incontrato una cameriera d’albergo che in origine era una ragazza di un villaggio, che quasi immediatamente dopo che mi ero seduto a tavola cominciò, in un inglese accettabile, a recitare una lunga litania così amata da molti viaggiatori europei: come sono terribilmente difficili le cose in Vietnam, come sono alte le tasse scolastiche (una sciocchezza totale, dato che qui non esistono tasse scolastiche, anche se, purtroppo, ci sono dei ‘costi nascosti’), di come sia disperata la situazione negli ospedali locali (di fatto, la situazione è sensibilmente migliorata in anni recenti, come mi è stato detto da parecchi cittadini vietnamiti). La cameriera poi in maniera molto ‘esperta’  mi ha poi fatto un domanda che si supponeva mi sarebbe piaciuta: “Come vanno l’istruzione e l’assistenza sanitaria nel suo paese?”
Guardiamo sempre gli paesi, particolarmente quelli in Occidente”, mi ha detto una mia amica di lunga data, un amministratrice vietnamita che ha lavorato per molti anni per le Nazioni Unite. “Raramente siamo contenti di quello che abbiamo o che ci viene dato. C’è sempre qualcosa di cui lamentarsi.”
Ha ragione, La domanda rimane: chi sta realmente creando e promuovendo questa mentalità? Dato che lavoro in tutto il mondo,  trovo che tale mentalità stia diventando sempre più ‘tipica’ e ‘prodotta in serie’ in ‘certi paesi’; è concretamente ‘programmata’ e ‘fabbricata’ in Occidente, e poi impiantata  nei paesi socialisti, nell’America Centrale e Meridionale, in Cina, Russia e sempre di più in Vietnam.
Per semplificare le cose, chiamo questo tipo di approccio: ‘diffusione di nichilismo, pessimismo, depressione e cinismo’. Il suo scopo principale è  di seminare scontento, di denigrare i sistemi socialisti che funzionano, di dividere intere nazioni, di indebolire il patriottismo e, infine, di prendersi delle nazioni demoralizzate per quasi nulla.
Ho già descritto questi ‘sforzi’ con dettagli coloriti, nel mio libro di 840 pagine “Fighting Against Western Imperialism’ [Combattere contro l’imperialismo occidentale].
In così tante occasioni, durante le mie visite in questo paese, ho incontrato quei cittadini vietnamiti che stano   con il ‘mondo esterno’ e anche con coloro che si sono completamente svenduti  per un po’ di briciole commerciali  come il riconoscimento, i finanziamenti e posti di lavoro in compagnie e organizzazioni internazionali.
A queste persone non dovrebbe essere permesso di far deragliare il paese; dovrebbero essere fermate con decisione! I Vietnamiti hanno proceduto a testa alta per decenni. Hanno combattuto e sfidato alcuni dei più potenti nemico sulla terra: i colonialisti francesi e gli imperialisti statunitensi. Hanno ricostruito il loro paese letteralmente dalle sue ceneri. Nel corso di questi avvenimenti, milioni di vite sono state distrutte, ma alla fine la nazione è riuscita a riunirsi; è diventata forte come l’acciaio e ha avuto la meglio, contro ogni previsione.
Se ora il Vietnam soccombe alla propaganda straniera, al sabotaggio e alla sua stessa ‘quinta colonna’, tutti i grandi sacrifici sarebbero stati fatti invano.
In anni e decenni recenti, sono stati fatti dei gravi errori, ma il paese sta continuando ad andare avanti, la vita sta migliorando e le prospettive sono luminose. Negare questa realtà sarebbe una chiara dimostrazione o di ignoranza o di intenzioni estremamente ostili. Questa conclusione non dovrebbe essere mai perduta, mai trascurata e mai data per scontata!
Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha scritto articoli sulle guerre e i conflitti in dozzine di paesi. Tre dei suoi libri più recenti sono: il romanzo rivoluzionario “Aurora”, e due opere di successo di saggistica:  “Exposing Lies of the Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” )[Lotta contro l’imperialismo occidentale].Guardate altri suoi libri su: http://andrevltchek.weebly.com/books.html
Andre sta realizzando documentari per teleSUR e Al-Mayadeen.. Dopo aver vissuto in America Latina, in Africa  e in Oceania, Vltchek attualmente risiede  in Asia Orientale e in Medio Oriente  e continua a lavorare in tutto il mondo. Può essere raggiunto sul suo sito web http://andrevltchek.weebly.com e su Twitter
fonte: z.net italy


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