sabato 26 marzo 2016

I gladiatori di ACEA

Luciano Granieri

Cosa avrà mai combinato la candidata a sindaco  di Roma del M5S per far adombrare (detto eufemisticamente)  così tanta gente che conta nella città eterna, dentro e fuori  le mura? Semplice Virginia Raggi ha dichiarato che, qualora dovesse essere eletta Primo Cittadino  stravolgerebbe il  management di Acea, in qualità di rappresentante  del Comune di Roma azionista di maggioranza dell'azienda  . La Raggi ha infatti osservato che i conti non tornano  se  la società incaricata di erogare un bene comune, come l’acqua   può distribuire  175 milioni di euro in dividendi ai propri azionisti. Soprattutto   dopo che un referendum ha abrogato la remunerazione del capitale nella gestione del servizio idrico. 

Apriti cielo! I primi a sbraitare sono stati i Caltagirone,  privilegiati azionisti di Acea, dopo il Comune di Roma. Dal loro house organ il “Messaggero” hanno mitragliato la malcapitata avvocatessa con l’hobby di fare il sindaco. Anche il Sole 24 ore, giornale di classe, cioè   di quella  classe che  ha stravinto la lotta, è inorridito di fronte a cotanta bestemmia. Come osa questa improvvida giovine  disturbare il manovratore Acea?  Ignazio Marino è stato cacciato in malo modo, per aver solo provato a mettere il becco negli affari della multiutility,   e adesso qualcun’altra ha l’ardire di  riprovarci?  Così non si offende solo Caltagirone ma tanti altri compagni di merende GDF Suez su tutti.  

E poi si informi, la Raggi, è falso che Acea abbia  distribuito dividendi per 175 milioni, i suoi azionisti sono molto più poveri  e derelitti, si sono spartiti solo  la miseria di 50 milioni di euro, un’inezia, non c'arrivano neanche a fine mese. La cifra astronomica di 175 milioni riguarda gli utili. Come osa, una persona tanto disinformata da confondere gli utili con i dividendi, mettere in discussione  il cda della grande multiutility romana? 

L’indignazione è  prontamente arrivata  anche dagli altri candidati  a sindaco, non solo il burattino di Renzi,  Giachietti, anche l’insospettabile difensore dei deboli, Fassina, ha sostenuto che non sta bene   rivoltare Acea come un calzino. 

Però i  più indignati di tutti sono compresi in  un manipolo di Senatrici e Senatori. Questi  , attraverso un’interrogazione parlamentare giunta l'altro  ieri in aula, hanno chiesto conto ai Ministri,  dell’economia e dello sviluppo , rispettivamente,  Padoan e Guidi su:” «Quali siano le valutazioni del governo sulla vicenda Raggi-Acea, quali iniziative intenda l’Esecutivo adottare per tutelare gli azionisti di una delle principali multitutility italiane quotate in Borsa e se non ritenga opportuno un intervento di Consob e dell’Autorithy per la concorrenza per valutare i danni causati dalla candidata del Movimento 5 stelle all’Acea, ai cittadini romani e al tessuto produttivo della Capitale». 

Nel manipolo di offesi ed indignati  , figurano i Senatori Dem: Raffaele Ranucci, Astorre, Cirinnà, Lucherini, Maturani, Parente,  Sposetti , Valentini, e due noti   romani purosangue, veri paladini del popolo capitolino come Francesco Scalia e  Maria Spilabotte. Uno è  di Picinisco:  ridente cittadina in provincia di Roma? Sbagliato è in provincia  di Frosinone, e l’altra?  E’ del quartiere Garbatella? No è  di Frosinone city.

 Entrambi sono stati eletti dai cittadini  (not in my name) della nostra Provincia. Ma siccome la loro provenienza gli fa talmente schifo non si curano delle bollette stratosferiche e illegittime con cui Acea vessa i loro concittadini, né del fatto che il servizio in Ciociaria  sia pessimo con condotte colabrodo, e  depuratori non funzionanti.  Sotto  sotto si sono pure incazzati per l’inevitabile messa in mora che i sindaci della consulta Ato5 (molti del  loro partito)  hanno fatto pervenire ad Acea.  Un preavviso per la successiva rescissione del contratto  a causa di inadempienze puntualmente accertate dalla segreteria tecnico  operativa .

 “Semo romani” sembrano rivendicare  la Spilabotte e Scalia. Ma a pensarci bene anche la storia inerente la  difesa del "cives romanus" è una cazzata ben più pesante della topica presa dalla  Raggi nel confondere   utile e dividendi. La  cittadinanza capitolina, anch’essa perseguitata dalle bollette pazze di Acea e dall’ingresso nell’agone della riscossione coatta di Equitalia, farebbe salti di gioia nell’apprendere che il loro sindaco mostrasse l’intenzione di tenere a bada quei pescecani che, all’interno del cda di Acea, si spartiscono  i lauti proventi della gestione dell’acqua e non solo. Un servizio che, da referendum,  dovrebbe rimanere avulso dal profitto privato. 

In realtà alla Spilabotte e a Scalia, non gliene importa un fico secco  del popolo romano  e men che meno dei propri sfigati concittadini ciociari. A lor signori sta a cuore il solo interesse di azionisti, lobbisti, eminenze grigie della finanza. Tutta quella schiera di rapaci predatori della ricchezza pubblica e della dignità umana, che hanno messo sul ponte di comando Matteo Renzi per avere garantiti i loro sporchi affari. 

Se i vari Spilabotte, Scalia, Pilozzi, valenti commilitoni ciociari  delle cammellate truppe  d’assalto   renziane,   si mostreranno fedeli al Padrone di Rignano , anche sfregiando la dignità del territorio che li ha eletti,  la nomina a  deputato nella prossima legislatura sarà assicurata.  Con l’Italicum poi ci sarebbero ancora meno problemi. I servi più fedeli saranno certamente  ricompensati.


   

venerdì 25 marzo 2016

Abroghiamo l'impianto a biomasse di Frosinone

Luciano Granieri




Come era prevedibile la vicenda dell’impianto a biomasse che verrà installato dalla società Bioenergia Srl  in Via Mola D’Atri, (zona aeroporto), non si è fermata all’ordinanza 2/2016 del Comune di Frosinone. Quel provvedimento,  preso dalla giunta Ottaviani  in  piena rivolta di associazioni e cittadini  che contestavano la realizzazione di un impianto a biomasse nella città più inquinata d’Italia, prevedeva la sospensione per  sei mesi dell’autorizzazione concessa alla Bioenergia  Srl, per la  costruzione dell’inceneritore . 

In breve, il 15 dicembre il sindaco Ottaviani autorizzava, in concorso con l’Asi, l’Arpa e la Provincia (enti che dovrebbero tutelare i cittadini),  la realizzazione dell’immenso camino fumigante di PM 10 e PM 2,5.  Un mese dopo, sotto la bufera mediatica in cui Frosinone veniva indicato quale comune più inquinato d’Italia, il Primo Cittadino s’inventava questo stop di 6 mesi, in attesa di un pronunciamento del TAR delle marche. Giudizio  sollecitato ai giudici amministrativi  dal comune di Macerata  in merito all’obbligatorietà, o meno, della valutazione d’impatto ambientale. Analisi , secondo il comune marchigiano, necessaria per  la  costruzione di un impianto simile  a quello di Frosinone. 

Immediatamente sospettammo, all’indomani del provvedimento preso da sindaco, che l’ordinanza 2/2016 in cui si decideva la sospensione  dell’autorizzazione alla Bioenergia srl, non fosse altro che un escamotage per far passare la festa e gabbare lo santo. E così sta avvenendo. Infatti la Bioenergia srl, lungi dal sacrificare i fondi regionali ottenuti per la realizzazione dell’opera, solo  per  far aumentare il consensi di Ottaviani, ha presentato ricorso al Tar. Istanza che il tribunale amministrativo  ha recepito in pieno, e a ottobre si pronuncerà nel  merito. 

Ora si assiste alla convocazione di tavoli tecnici da parte del  Comune di Frosinone, Asi, Arpa, Provincia, per cercare di evitare la sicura  figuraccia e  dover tornare sui propri passi lasciando via libera al  malsano inceneritore, il tutto  senza per nulla coinvolgere i cittadini destinati a subire e accettare di respirare  un surplus di gas inquinanti . Probabilmente sarà tutto inutile. In realtà l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto non avrebbe mai essere dovuta concessa. Infatti il decreto legislativo 155/2012, impone ai sindaci l’obbligo di “mantenere la qualità dell’aria laddove buona e migliorarla in altri casi”. E’ ampiamente provato che un impianto a biomasse tutto fa tranne che mantenere buona la quantità dell’aria. Era quindi dovere preciso di Ottaviani non autorizzare la costruzione dell’inceneritore.  

In realtà le vicenda dell’impianto a biomasse a Frosinone è un classico esempio di come agisce il partito della nazione. Renzi (Pd),  con il decreto sblocca Italia,  qualificando   gli impianti a biomasse come strutture di preminente valore economico, ne facilita e ne auspica l’installazione. Nicola Zingaretti, presidente della Regione (Pd) recepisce l’incipit del capo e dissemina il territorio regionale, Frosinone compresa,  di questi immondi aggeggi.  Francesco De Angelis (Pd) presidente dell’Asi, e la Provincia di Frosinone (Pd di governo, Pd di lotta, FI, Ncd tutti insieme appassionatamente) approvano solerti. Nicola Ottaviani (FI, finchè gli converrà)  ubbidiente al partito della nazione si adegua e impone ai cittadini un surplus di miasmi venefici. 

Morale,  il 17 aprile inizierà la stagione referendaria tesa ad abrogare le brutture normative decise dal partito della nazione ( Trivelle, Buona Scuola, Jobs Act) non sarà il caso di istituire dei referendum anche per le delibere comunali?   Il referendum per l’abrogazione dell’autorizzazione all’impianto a biomasse potrebbe essere il primo. Poi a  seguire quelli sull’abrogazione dell’aumento delle tariffe della mobilità e della mensa scolastica. Un altro  sull’abrogazione del trasferimento di parte dei finanziamenti della cassa depositi e prestiti da opere di pubblica utilità -come la struttura sportiva  geodetica per l’UNITALSI -al nuovo stadio. Un altro per abrogare le ulteriori concessioni edilizie funzionali  a seppellire definitivamente la città sotto il cemento. E ancora un referendum per l’abrogazione della messa in liquidazione della Multiservizi e per l’abrogazione delle affidamento a privati di quelle mansioni svolte dai lavoratori della Multiservizi stessa. Mi fermo qui  ma la stagione referendaria comunale potrebbe continuare all’infinito. E se abrogassimo il Sindaco, il Presidente della Provincia, il Presidente della Regione e il Presidente del Consiglio? 



giovedì 24 marzo 2016

Ecco cosa pensa delle centrali a biomasse il chimico, dott. Federico Valerio, già membro della Società Italiana Chimici e di Medici per l’Ambiente, responsabile scientifico dell’Osservatorio Salute-Ambiente del comune di Genova, in una intervista rilasciata il 2 ottobre 2014:


Dottor Valerio, lei si definisce scienziato preoccupato. Perché?
«Il concetto deriva dalla “Union of Concerned Scientists”, che è un’associazione internazionale di scienziati e ricercatori in tema ambientale, che si occupa, da qui il termine inglese, di tematiche ambientali e di salute. Ma allo stesso tempo, il termine “concerned” significa anche preoccupazione, perché di fronte ai continui allarmi e disastri ambientali si fa poco o nulla per prevenirli e risolverli totalmente. E la storia delle biomasse rientra in questa mia preoccupazione».

Qual è la situazione dei rifiuti in Italia e della loro gestione?

«Le nuove tendenze derivano dalla raccolta differenziata, che permette di recuperare i rifiuti e di immetterli in nuovi cicli produttivi, evitando così gli sprechi e creando altresì nuovi posti di lavoro. Ormai tutti quanti abbiamo capito che la strada da percorrere è questa, per cui la discarica da una parte o l’inceneritore dall’altro, dove spesso converge tutto senza differenziare, sono scelte antiche e sorpassate. L’Italia in questo senso ha accusato forti ritardi rispetto al resto d’Europa».

Come mai l’Italia è lenta nel cambiare? E’ una questione politica o prettamente tecnica? 
«Sicuramente è politica, basti pensare a questa anomalia tutta italiana. Non tutti sanno che nelle tasse previste per l’elettricità, c’è una voce (Componente A3), pari al 7% del valore della bolletta, che copre i costi per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate. Ovvero quel 7% viene destinato anche alle biomasse, che beneficiano così di un vero e proprio finanziamento statale. Tutte queste centrali, inceneritori compresi, esistono perchè permettono affari sicuri, grazie agli incentivi quindicennali generosamente regalati loro, con i “certificati verdi”, certificati pagati da tutti gli italiani, con l'apposita tassa fissata sulla bolletta della luce».

Quante sono le centrali a biomasse in Italia?
«Sono ormai un centinaio le centrali elettriche alimentate direttamente o indirettamente con biomasse, ovvero prodotti vegetali (cippato di legno, scarti alimentari, oli di mais, sansa di olive, eccetera) e scarti animali (pollina, scarti di macellazione, deiezioni da allevamenti suini e bovini). Inoltre, ci sono quindici inceneritori che oggi producono elettricità bruciando materiali di origine organica (scarti alimentari, materiali cellulosici, sfalci, potature e altro ancora). In Italia, nel 2009, complessivamente, risultava installata una potenza elettrica, alimentata a biomasse, pari a 1.728 mega watt».

Lei nel suo blog scrive che le centrali a biomasse sono tutte illegali. Perché?
«Esatto. La questione è semplice ed andrebbe approfondita da un punto di vista legale. In Italia esiste il Decreto Legislativo 155/2010 che, tra le sue finalità, prevede di "mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi". E' una finalità chiara, sensata e, sostanzialmente, rispettata fino a qualche anno fa. L'illegalità è dovuta al fatto che tutti questi impianti, una volta entrati in funzione, hanno peggiorato la qualità dell'aria dei territori che li ospitano con l'immissione in atmosfera di importanti quantità di ossidi d'azoto, polveri sottili e ultra sottili, idrocarburi policiclici aromatici, diossine. Tutte le statistiche dimostrano che, da alcuni decenni, a parità di produttività, le emissioni inquinanti inviate nell'atmosfera del nostro Paese, sono drasticamente diminuite. Questo risultato è stato ottenuto migliorando i combustibili (gasolio a basso tenore di zolfo, benzina senza piombo), sostituendo olio combustibile e carbone con gas naturale. Questa tendenza, che ha comportato un progressivo miglioramento della qualità dell'aria del nostro Paese, si è interrotta con il proliferare di grandi e piccole centrali alimentate con biomasse, oltre ai "termovalorizzatori" di rifiuti urbani, in tutti i casi combustibili poveri e altamente inquinanti. Dunque, è inevitabile che tutti questi inquinanti provochino un sicuro peggioramento della qualità dell'aria e un proporzionale aumento di rischio sanitario per la popolazione esposta. Questo significa che il rispetto delle concentrazioni di inquinanti nei fumi, ammessi dalla Legge, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l'entrata in servizio di questi impianti. L'autorizzazione ha valore solo se il progetto dimostra anche che l'entrata in funzione dell'impianto "mantiene la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e la migliora negli altri casi". E questa duplice norma cautelativa è stata fatta propria solo dall’Emilia Romagna.Pertanto, ipotizzo che gran parte delle attuali autorizzazioni rilasciate ad impianti alimentati a biomasse, oltre che molti inceneritori per rifiuti urbani, siano illegittime».

Allora, se gli impianti a biomasse sono inquinanti e illegali, perché continuano ad esistere e a funzionare?
«Il problema è una mistificazione costruita ad arte. Negli USA, per esempio, fino alla fine degli anni 90, per la costruzione degli inceneritori c’erano degli incentivi pubblici, terminati i quali non se ne costruirono più. In nord Europa, invece, oggi, si continuano a bruciare rifiuti perché sono costretti a tenere in vita gli impianti al fine di ammortizzare i costi e gli investimenti fatti in passato. Ecco perché l’Olanda spinge per avere i nostri rifiuti. A Genova, per esempio, ci siamo battuti contro la costruzione del termovalorizzatore dopo una importante sollevazione popolare. Il contratto, che era già pronto, stipulava che il Comune di Genova si sarebbe impegnato a produrre un tot di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti l’anno e, se non si fosse raggiunta tale quantità, il Comune stesso avrebbe pagato una penale, che sarebbe stata a sua volta scaricata sulle tasse dei rifiuti dei genovesi. Poi, da un punto di vista ambientale, non è questione di essere scienziati o meno, un inceneritore trasforma un rifiuto urbano in una serie di composti inquinanti che in parte vengono immessi nell’ambiente e in parte diventano rifiuti tossici da smaltire».

Altro che “energia rinnovabile”! Le centrali a biomasse sono un affare solo per chi le fa!
            L’energia prodotta da impianti a biomassa o biogas possiamo definirla energia da fonte rinnovabile?Stando a quello che dice il prof. Gianni Tamino sicuramente no “si può parlare di fonti rinnovabili solo se nel territorio di origine e nel tempo di utilizzo quanto consumato si ripristina” Ciò vale per l’energia solare, eolica e idrica, ma non si applica totalmente alle biomasse intese come materiale prodotto da piante e destinato alla combustione o alla digestione anaerobica.
Come funzionano le centrali a biomasse: esistono centrali di tre tipi a) a biomasse solide (legno, cippato, paglia, ecc.), sono impianti tradizionali con forno di combustione della biomassa solida, caldaia che alimenta una turbina a vapore accoppiata ad un generatore. b) a biomasse liquide (oli vari: palma, girasole, soia,ecc.); sono impianti, alimentati da biomasse liquide (oli vegetali, biodiesel), costituiti da motori accoppiati a generatori (gruppi elettrogeni). c) a biogas ottenuto da digestione anaerobica (utilizzando vari substrati: letame, residui organici, mais o altro). Da tener presente che una centrale a biogas con colture dedicate può ricorrere legalmente anche alla Forsu (frazione organica rifiuti solidi urbani) in base al DL n°387 del 29/12/2003 e alla sentenza del Consiglio di Stato Sez. V n°5333 del 29/07/2004.
Le centrali a biomasse funzionano per combustione: a temperature che di solito superano gli 800°C, trasformano la materia delle biomasse (solide o liquide) in energia sotto forma di calore.  Il calore alimenta una caldaia che può fornire riscaldamento (c.d. Co-generazione e teleriscaldamento, cioè lo sfruttamento dell’energia termica per riscaldare l’abitato circostante aumentando l’efficienza energetica dell’impianto che ne rappresenta circa il 70-75% della produzione) o produrre il vapore necessario per azionare una turbina e produrre energia elettrica (che rappresenta il 25-30% del potenziale energetico dell’impianto.
Le centrali a biogas funzionano attraverso un processo di fermentazione-digestione-metanizzazione: trasformano la materia attraverso la “digestione anaerobica” che, in assenza d’aria e per mezzo di batteri che si nutrono della sostanza organica, producono gas/metano e digestato.
Il digestato è un rifiuto (codice CER: 190600-03-04-05-06).
Il gas captato dalle vasche di fermentazione viene immesso in centrali a gas con motori con potenza solitamente inferiore a 1MW elettrico, dove per mezzo della combustione produce energia elettrica e calore.

A chi servono queste centrali?

Servono agli imprenditori che realizzano l’opera, per beneficiare di generosi incentivi statali previsti per le “fonti rinnovabili”. Senza incentivi statali verrebbe meno la ragione economica principale di questa attività. In ogni caso è possibile ritenere che la generalizzata propensione alle centrali a biomassa e biogas rientra anche in una più generale prospettiva di riutilizzo di queste centrali per il trattamento di rifiuti. Infatti, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) è equiparata alle biomasse con decreto ministeriale. Facile prevedere che una volta costruite queste centrali, invece di essere alimentate con biomasse agricole, di cui l’Italia non dispone e che hanno un costo sempre maggiore, potranno essere alimentate con Forsu, il cui costo di smaltimento è già una prima fonte di redditività. Il conferimento della Forsu vale da 80 a 110 €/t, il verde circa 60 €/t e i fanghi da depurazione circa 90 €/t.
Se pensiamo che una centrale a biomasse solide della potenza di 1 MW accesa tutto l’anno, tutti i giorni 24 h al giorno consuma 14.400 t/anno di materia prima due sono le considerazioni: la prima è che l’enorme inquinamento derivante dalla combustione di una così elevata quantità di materiale non è limitato soltanto all’entità dei fumi, delle ceneri e delle microparticelle emesse nell’aria, ma deve tener conto anche del traffico di camion necessario per il continuo rifornimento della biomassa da bruciare; la seconda è l’impossibilità di rispettare una clausola che troviamo sempre nei progetti di questi impianti “materiale reperito in zona”. Non è difficile capire come sia impossibile raggiungere tali quantità solo con le potature degli alberi o con il legname residuo del taglio consueto dei boschi in zona. Quindi il materiale da bruciare viene da forniture diverse, incluse importazioni di cippato a prezzo più economico, spesso proveniente dall’estero, anche da zone altamente inquinate o da paesi in via di sviluppo che subiscono il “land grabbing” (accaparramento di terreni da parte di società straniere).
Le centrali a biomasse possono bruciare qualsiasi tipo di combustibile secco e purtroppo in molti casi è stato accertato che in queste centrali venivano inceneriti illegalmente anche altri prodotti (immondizia, plastica, gomma). Inoltre il Decreto Ministeriale (DM 6 luglio 2012 “nuovi incentivi alle rinnovabili”) ha introdotto la possibilità di alimentare le centrali a biomassa anche con Combustibile Solido Secondario (CSS) cioè il rifiuto secco trattato. Quindi è purtroppo possibile “per decreto” bruciare lecitamente i rifiuti in questo tipo di impianti.
Da quanto esposto sorgono spontanee due considerazioni: la prima che dietro l’etichetta BIO chi promuove questi impianti ha spesso le carte in regola per partecipare al ricchissimo business del trattamento dei rifiuti; la seconda che i cittadini pagano quindi più volte: con i soldi per gli incentivi, con le tasse per lo smaltimento dei rifiuti e con la salute il proliferare di questi impianti.

Quali rischi per l’ambiente e la salute sono connessi alle centrali a biomasse?
Con le centrali a combustione diretta di biomasse l’impatto ambientale è molto gravoso, soprattutto in relazione al fatto che vengono considerate biomasse anche materiali altamente inqinanti (elenco D.M. 6 luglio 2012). Tutte le biomasse bruciate liberano in atmosfera quantità enormi di sostanze altamente inquinanti che per ricaduta vanno ad inquinare l’ambiente e in particolare i terreni agricoli, oltre a formare ulteriori aggregazioni chimiche inquinanti che vanno a depositarsi anche nei polmoni di animali e umani. Infatti a temperature elevate, fino ad 800° C, gli impianti liberano fumi con molte sostanze inorganiche che volatizzano per poi ricombinarsi sotto forma di polveri sottili ovvero di particolato. Questo termine, indicato con la sigla PM, designa piccolissime particelle solide o liquide del diametro del micron che rimangono sospese nell’aria per periodi variabili e dipendenti dalla loro massa e diametro prima di ricadere al suolo. Le particelle hanno un diametro che può variare da un paio di nanometri fino a 100 micron e in base a questa caratteristica possono avere una diversa penetrazione nell’apparato respiratorio di animali e persone fino a penetrare direttamente nel sangue quando il particolato diventa ultrafine.
Il termine “bio” viene utilizzato per attribuire una valenza positiva e “naturale” a questo tipo di impianti in modo da poterli ascrivere al mondo della cosiddetta “green economy”. La mistificazione del linguaggio, in questo caso, è strumentale ad una politica di proliferazione di queste tecnologie sotto l’ombrello dell’ecologia e del rispetto della natura.

Il termine “bio” significa vita, crediamo che questi impianti di vita non ne dispensino affatto.
Contributo a cura del Comitato Lasciateci Respirare di Monselice


            Per i motivi suesposti le associazioni chiedono al Sindaco ed al Consiglio comunale del Capoluogo, al Presidente della provincia, ai consiglieri provinciali  ed a tutti gli Enti preposti e competenti a rilasciare il nullaosta per simili impianti a ritornare sulle decisioni assunte per impedire con ogni mezzo, legale e democratico,  la realizzazione dell’impianto di biomasse a Frosinone.
            A questi Enti ed alla Regione Lazio, si chiede, inoltre, di adottare e deliberare provvedimenti urgenti che vietino, inderogabilmente, la realizzazione e il potenziamento di impianti inquinanti, anche se la realizzazione di tali impianti fosse agevolata da leggi nazionali ( decreto sblocca Italia) o da accordi particolari tra Stato-Regioni.
Le associazioni sollecitano, altresì, gli Enti sopra citati a promuovere iniziative per la realizzazione del catasto delle emissioni inquinanti e, il rispetto e l applicazione della normativa anti inquinamento (direttiva Seveso), che si applica alle attività industriali particolarmente nocive, quale presupposto per iniziare a elaborare un progetto di recupero di tutta la Valle del Sacco, partecipato e condiviso da Enti locali, istituzioni, forze sociali ed associazioni per il rilancio economico e occupazionale dell’intera provincia.

Frosinone 23 marzo 2016

 Presidente della Consulta delle associazioni della Città di Frosinone
Associasione “Frosinone Bella e Brutta”
Comitato “Salviamo il paesaggio”
Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati
Associazione “Osservatorio Peppino Impastato”
Legambiente
AUT-Frosinone
Associazione “Oltre l’Occidente”
Comitato “Altiero Spinelli” –Possibile-
Associazione  “ Amici della Pescara “

Comitato di lotta per il lavoro

No all’impianto di biomasse

Presidente della Consulta delle associazioni della Città di Frosinone
Associasione “Frosinone Bella e Brutta”
Comitato “Salviamo il paesaggio”
Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati
Associazione “Osservatorio Peppino Impastato”
Legambiente
AUT-Frosinone
Associazione “Oltre l’Occidente”
Comitato “Altiero Spinelli” –Possibile-
Associazione  “ Amici della Pescara “

Comitato di lotta per il lavoro


L’associazionismo del Capoluogo ha ripetutamente sollevato, dall’inizio del 2014 fino ad oggi, il problema dell’inquinamento ambientale (aria, acqua e terra) in tutte le iniziative che hanno visto le associazioni in un confronto pubblico, senza soluzione di continuità, con le Istituzioni.
Le associazioni, pienamente coscienti e convinte che non ci può essere salute dei cittadini senza la salute del territorio,  hanno condotto una battaglia serrata per una sanità efficiente e di qualità contro direttive della Regione Lazio che hanno portato allo sfascio dell’organizzazione sanitaria provinciale, evidenziando gestioni catastrofiche e comportamenti che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica.
Dovrebbe essere noto e presente a tutte le autorità istituzionali, che agiscono e si muovono nell’ambito provinciale e nella Valle del Sacco, il fatto che la conformazione orografica del territorio della suddetta Valle, impedisce la presenza di correnti d’aria adeguate e capaci di  spazzare via l’accumulo di sostanze inquinanti dell’area.
 E’,  noto altresì, da più di mezzo secolo,  a tutte le Istituzioni elettive ed a tutti gli Enti locali e provinciali,che nella Valle del Sacco esistono decine di impianti industriali sottoposti alla direttiva SEVESO, e  discariche ed inceneritori di ogni tipo, senza soluzione di continuità, da Colleferro a San Vittore del Lazio.
 E’, inoltre, ancora noto a tutti l’emissione di ordinanze sindacali per il divieto di pascolo, di coltivazione di ortaggi e di consumo di carni di animali allevati  lungo le rive del Sacco e in altre aree del nostro territorio. Per esempio attorno allo stabilimento della Marangoni di  Anagni.
Dirigenti e rappresentanti delle Istituzioni conoscono perfettamente  l’altissimo livello d’inquinamento atmosferico raggiunto nel Capoluogo e nei comuni di Ferentino, Ceccano, Alatri, Anagni etc etc.
Dall’atto aziendale della ASL  dal suo bilancio si è appreso, da tempo, ed anche questo dovrebbe essere noto ai rappresentanti ed ai dirigenti  istituzionali, un aumento notevole di neoplasie polmonari, patologie respiratorie ed altro.
Resta difficile comprendere, perciò,  come di fronte ad una realtà così documentata e certificata gli Enti pubblici competenti e preposti alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini,  abbiano potuto rilasciare l’autorizzazione per  realizzare  un impianto di biomasse nel Capoluogo.
Ancora, riesce difficile comprendere che nessun consigliere comunale del Capoluogo o consigliere provinciale faccia  sentire la propria voce di dissenso. Essi non azzardano nemmeno a chiedere chiarimenti ne informazioni. 
Enti importanti, come la Camera di commercio e le organizzazioni sindacali tutte (Artigiani, Agricole, Commercio, Industria, Lavoratori dipendenti, Pensionati) brillano per il loro silenzio.

mercoledì 23 marzo 2016

Free jazz. Musica di lotta o d'èlite

Luciano Granieri


Venerdì  25 marzo 2016, alle ore 16,00 riprenderanno  i pomeriggi del jazz presso l’associazione culturale Oltre l’Occidente in L.go Aonio Paleario n.7 a Frosinone. Il nostro viaggio, iniziato prima di natale con la storia degli approdi delle prime navi negriere, sulle coste del Centro America, è giunto quasi al termine. Nel prossimo appuntamento affronteremo la questione del free jazz. Lo stile nato dal rhythm and blues  e sviluppatosi nel burrascoso ventennio degli anni ’60 e ’70. Un periodo storico violento, contrassegnato dalle cruente lotte fra i neri dei ghetti e l’establishment razzista bianco. Non  solo la questione razzista sfociò nella violenza,  altrettanto crude furono le proteste contro l’imperialismo americano e le sue guerre, da parte della sinistra bianca statunitense ed europea . In questo ribollire sociale alla black music, figlia del blues, un blues, semplificato , elettrificato urlato, veicolo della protesta, ma anche , ben presto vittima del musical business, si affiancò il free jazz. Non nelle urla si identificava la rottura, ma nel forzare e superare le cornici armoniche  dentro le  quali fino ad allora, si era sviluppata l’improvvisazione. Non c’era più nulla di consolidato  e predeterminato nelle  esibizioni di Ornette Coleman, John Coltrane, Archie Shepp. L’espressione musicale fruiva libera da ogni costrizione armonica, così come la vita dei neri doveva svolgersi libera dai soprusi e dalle vessazioni razziste.  A differenza del R&B il free rimase libero anche dalle cooptazioni commerciali. Non vi è dubbio che quei dischi non scalarono le classifiche e i loro esecutori furono costretti ad emigrare in Europa. Può dunque  considerarsi il free jazz, musica di lotta aspra e antagonista, o fu invece, in virtù della difficile fruibilità , un esperimento espressivo elitario anche se traghettatore del jazz, o ancora meglio della musica del futuro? Ne parleremo venerdì 25 marzo, vi aspettiamo.

martedì 22 marzo 2016

BASTA CON QUESTA EUROPA E CON LE SUE GUERRE

Giorgio Cremaschi


È insopportabile la retorica europeista che accompagna le stragi che colpiscono le città europee, ultima Bruxelles. Il dolore per le persone uccise del terrorismo jihadista, la paura di esserne prima o poi vittime, vengono oramai stravolti e sottomessi al dominio ideologico della casa comune europea assediata.
Cento e più anni fa il nazionalismo era amministrato paese per paese, oggi viene diffuso in una dimensione continentale, ma con gli stessi scopi e non facendo meno danni.
Ricordate l'immagine della manifestazione dei governanti a Parigi, poco più di un anno fa dopo il massacro di Charlie Hebdo? Un clamoroso falso mediatico (dietro i capi di governo non c'era nessuno) che voleva mostrare che i governi europei uniti guidavano il corteo dei loro popoli.
Ma di quale Europa stiamo parlando? Di quella che ha fatto mercato dei migranti con la Turchia, organizzando la più grande deportazione di massa dalla fine della seconda guerra mondiale? Quale Europa, quella che con le politiche di austerità sta da anni colpendo le conquiste sociali dei suoi popoli? Quale Europa, quella che nelle periferie delle sue città più ricche accumula il rancore dei suoi cittadini figli di migranti, fascinati dal fanatismo assassino dei kamikaze?
Quale Europa, quella che da 25 anni viene trascinata in guerre sempre più vaste che hanno fatto milioni di morti, guerre promosse dai governi di Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, che non sono europei ma comandano? Abbiamo appreso che l'Italia ha soldati persino in Mali solo perché, nelle stesse ore di Bruxelles, sono sfuggiti ad un attentato. Quale Europa ha deciso di mandarceli?
La solidarietà verso le vittime del terrorismo è sentimento ben diverso da quello che la propaganda ci vuole imporre. C'è un potere che usa le stragi per convincere i popoli della bontà della costruzione europea e della necessità di difenderla con le armi. Così chi mette in discussione l'euro è anti patriottico, come lo è chi non vuole che si vada a bombardare, o a invadere, la Libia.
Bisogna fermare la guerra proprio nel nome delle vittime innocenti delle stragi che si susseguono. La guerra non è la soluzione, è il problema e dopo 25 anni di interventi militari che han solo provocato altri interventi militari e stragi, questo dovrebbe essere persino scontato. Invece non lo è , perché l'Europa è imprigionata nella spirale guerra-terrorismo e non riesce a muoversi dal vicolo cieco in cui l'hanno portata i suoi governi e il sistema di potere della sua Unione. E il vicolo cieco della guerra è lo stesso ove la barriera delle politiche di austerità fa dilagare l'ingiustizia sociale e la rottura delle solidarietà.
Bisogna uscire da questa costruzione europea e dalle sue guerre prima che sia troppo tardi per tutti i suoi popoli.

Facciamo uscire la democrazia da un lungo inverno

Luciano Granieri




Venerdì scorso,  18 marzo, una delegazione del Comitato democrazia Costituzionale della provincia di Frosinone, composta dal sottoscritto, Paolo Ceccano e Dionisio Paglia, si è recata al convegno: Una primavera per la democrazia. L’incontro pubblico è stato organizzato dal Comitato per il No nel Referendum Costituzionale, e dal Comitato per i 2 referendum abrogativi contro l’Italicum. Il dibattito tenutosi presso la Camera dei Deputati nell’auletta dei gruppi Parlamentari, è stato molto partecipato e proficuo.  

Oltre agli interventi degli autorevoli costituzionalisti promotori del referendum abrogativo sull’Italicum, e della campagna per il No alle modifiche costituzionali,  hanno preso la parola  personalità della società civile, giuristi e i promotori dei referendum sociali. Questi ultimi  riguardano  l’abrogazione della legge che elimina la scadenza delle concessioni per le trivellazioni in mare,  l’abrogazione di alcune norme del decreto Buona Scuola. Ad essi si è aggiunto il contributo di Maurizio Landini, segretario della Fiom  il quale, insieme ai propri iscritti, sta definendo i contenuti  del  referendum  abrogativo su gran  parte del jobs act.  

Ma l’obbiettivo più importante dell’incontro, per cui sono state coinvolte  anche le delegazioni locali del Comitato per la democrazia Costituzionale, è stato quello relativo all’approvazione di un ordine del giorno, su cui basare tutte le attività future. In primo luogo  la  raccolta delle firme, tanto  per l’abrogazione dell’Italicum, quanto  per la richiesta del referendum costituzionale. Tale consultazione,  qualora la Camera approvasse le riforme senza la  maggioranza dei due terzi,  sarebbe automatica. In realtà  accompagnare il referendum costituzionale, quantunque dovuto per  prassi  legislativa, con una raccolta di firme, rafforzerebbe ancora di più la domanda di democrazia che arriva dalla collettività. 

E’  fondamentale inoltre  l’organizzazione della campagna referendaria, in sinergia con i comitati promotori dei referendum sociali (Concessioni sulle trivellazioni, buona scuola e jobs act). Ciò che fa paura a questo Governo, espressione di un Parlamento eletto da una legge elettorale incostituzionale,  è proprio il rischio di  una riaggregazione sociale intorno alla forte domanda di democrazia.  Ecco perché i dirigenti del Pd, invitano a disertare le urne in occasione del referendum sulle trivelle.  Democrazia e aggregazione sociale  sono due elementi che da un ventennio  a questa parte, ma in particolare con l’avvento del governo Renzi , stanno subendo un attacco continuato e devastante. E oggi che si sta raggiungendo l’obbiettivo di una nebulizzazione del proletariato, secondo la buona vecchia pratica del divide et impera, e uno svuotamento della partecipazione democratica, l’attività dei comitati referendari si pone come una minaccia per un  pericolosa inversione di tendenza. 

Cattive Istituzioni, esprimono cattive leggi, ha ricordato giustamente  Massimo Villone, sotto questo aspetto,  mentre   i referendum sociali servono ad abrogare le cattive leggi  sin qui licenziate  dal Governo,   i referendum  istituzionali servono  pianificare  buone istituzioni.  A  rafforzare la convinzione dell’assoluta necessità di bocciare la “deforma” costituzionale e le leggi antisociali del Renzi  piè veloce, paladino dei banchieri,  è bastato l’incontro che abbiamo fatto mentre ci recavamo al convegno. Nelle  strade attorno alle stanze del potere spesso ci si imbatte in  disperati che hanno perso il lavoro. Cinquantenni, sessantenni  con una famiglia da campare,   ad elemosinare  qualche euro per arrivare alla fine della giornata, ma soprattutto a  chiedere  di tornare a lavorare. Luigi, ex dipendente di una cooperativa che collaborava con la TNT, licenziato quattro anni fa, è disposto a cedere un rene pur di tornare ad un’occupazione anche minima.  Abbiamo raccolto la sua storia e subito ci è venuto in mente che  in una Repubblica fondata sul lavoro ridurre una persona a barattare il proprio rene per un’occupazione è da criminali.  

Eppure c’è il fondatissimo rischio, se si avvera la letale simbiosi fra riforme costituzionali e nuova legge elettorale, che un governo di nominati, su input di grandi industrie e lobby finanziarie, non ci metta molto a  dissolvere il diritto al lavoro sancito dall’art.4 della costituzione , e   renderlo  un privilegio. Una merce talmente rara per cui è tollerabile, anzi normale  cedere il sangue, un rene, la dignità, pur di trovare un’occupazione. Dunque la passeggiata romana ci ha convinto ancora di più che respingere l’attacco antidemocratico e criminale della riforma costituzionale  significa respingere la barbarie e l’inciviltà.  


i video che seguono sono stati girato con il cellulare. Non era possibile, portare la video camera in sala. Non si vede bene, ma l'importante è che si senta.







Ordine del giorno per una primavera democratica

Coordinamento Democrazia Costituzionale
Ordine del giorno conclusivo dell’incontro nazionale
Il nostro primo obiettivo in questo momento è raccogliere le 500.000 firme per ciascuno dei due referendum abrogativi riguardanti l’Italicum. Quesiti referendari che riguardano sia il carattere ipermaggioritario della legge, distorsivo della rappresentanza democratica, che è il risultato del premio di maggioranza e ancora di più del ballottaggio, sia le norme che servono a “nominare” almeno i due terzi dei deputati. Il 9/10 aprile inizierà quindi la raccolta delle firme per abrogare le due norme della legge elettorale che assomigliano fin troppo a quelle del “porcellum”, già sanzionate dalla Corte Costituzionale. Raccogliere almeno 500.000 firme per ciascun quesito referendario è un impegno difficile ma indispensabile, che si accompagna al proseguimento dell’iniziativa presso i tribunali per sollevare l’incostituzionalità della legge elettorale. Iniziativa che ha già avuto un importante risultato a Messina. Se la Camera, a metà aprile, approverà definitivamente il testo delle modifiche alla Costituzione contenute nella legge Renzi-Boschi procederemo al deposito del quesito referendario e inizieremo a raccogliere le firme per esigere il referendum costituzionale per iniziativa popolare.
Va chiarito che raccoglieremo le 500.000 firme necessarie per attivare il referendum costituzionale, ex articolo 138, in parallelo all’analoga iniziativa dei parlamentari. Infatti riteniamo necessario ed indispensabile raccogliere le firme sia per dare voce ai cittadini sia per far vivere nella campagna elettorale le ragioni del no sul merito delle modifiche della Costituzione su cui dall’inizio abbiamo insistito.
La garanzia che sarà in campo una critica netta ma di merito sulle modifiche proposte dal governo è che vengano raccolte le 500.000 firme necessarie per fare valere le ragioni del nostro No. Altrimenti potrebbe prevalere, per volontà del governo e di almeno parte dei suoi avversari politici, un referendum pro o contro il governo, lasciando in ombra il merito delle modifiche della Costituzione e la legge elettorale. Ci rendiamo conto che chiediamo a tutti coloro che sostengono la nostra iniziativa un imponente carico di impegni perché è prevedibile una sfasatura di qualche settimana tra la raccolta delle firme per abrogare le due norme dell’Italicum, che partirà il 9/10 aprile, e quella per ottenere il referendum costituzionale che deve attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dopo l’approvazione della legge.
Dobbiamo sottolineare che gran parte della raccolta delle firme avverrà in contemporanea e che quindi i cittadini potranno esprimersi sul complesso dei referendum proposti da noi e così potremo meglio far comprendere l’intreccio perverso ed inscindibile tra modifiche della Costituzione e legge elettorale (Italicum) che portano al ribaltamento del fondamento parlamentare della nostra Repubblica per mettere al centro il governo, consentendo ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unico ramo del parlamento rilevante a fronte di un Senato ridotto a dopolavoro di lusso. Si vogliono imporre modifiche istituzionali tali da consentire al governo di imporre politiche in materie di grande delicatezza ed importanza: dall’elezione del Presidente della Repubblica fino alle decisioni in materia di impegno militare, o peggio di guerra, alle condizioni di vita e di lavoro.
Il 9 e 10 aprile inizierà la raccolta delle firme per abrogare le due norme dell’Italicum, raccomandiamo ai comitati locali di curare tutti gli aspetti che consentono di garantire la piena validità dei moduli, convalidandoli come abbiamo indicato, assicurando la presenza degli autenticatori delle firme anche costruendo sinergie con gli altri soggetti che raccolgono firme per i referendum abrogativi sul lavoro e sulla scuola, notificando per tempo la presenza dei banchetti per la raccolta delle firme, che debbono sempre avere visibili i due slogan: No alla deformazione della Costituzione e Contro il carattere ipermaggioritario della legge elettorale e per garantire ai cittadini il diritto di eleggere i loro l’approvazione della legge.
Dobbiamo sottolineare che gran parte della raccolta delle firme avverrà in contemporanea e che quindi i cittadini potranno esprimersi sul complesso dei referendum proposti da noi e così potremo meglio far comprendere l’intreccio perverso ed inscindibile tra modifiche della Costituzione e legge elettorale (Italicum) che portano al ribaltamento del fondamento parlamentare della nostra Repubblica per mettere al centro il governo, consentendo ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unico ramo del parlamento rilevante a fronte di un Senato ridotto a dopolavoro di lusso. Si vogliono imporre modifiche istituzionali tali da consentire al governo di imporre politiche in materie di grande delicatezza ed importanza: dall’elezione del Presidente della Repubblica fino alle decisioni in materia di impegno militare, o peggio di guerra, alle condizioni di vita e di lavoro.
Il 9 e 10 aprile inizierà la raccolta delle firme per abrogare le due norme dell’Italicum, raccomandiamo ai comitati locali di curare tutti gli aspetti che consentono di garantire la piena validità dei moduli, convalidandoli come abbiamo indicato, assicurando la presenza degli autenticatori delle firme anche costruendo sinergie con gli altri soggetti che raccolgono firme per i referendum abrogativi sul lavoro e sulla scuola, notificando per tempo la presenza dei banchetti per la raccolta delle firme, che debbono sempre avere visibili i due slogan: No alla deformazione della Costituzione e Contro il carattere ipermaggioritario della legge elettorale e per garantire ai cittadini il diritto di eleggere i loro a differenza e consentirci di riequilibrare almeno in parte la sproporzione delle forze in campo.
DONAZIONI COMITATO PER L’ABROGAZIONE DELLA LAGGE 52/2015 “Italicum”: Bonifico Bancario CODICE IBAN: IT69J0101003201100000015865   – BIC: IBSPITNA (per chi sta all’estero) o con Carta di Credito sul sito www.referendumitalicum.it
DONAZIONI COMITATO PER IL NO ALLE MODIFICHE COSTITUZIONALI Bonifico Bancario IBAN: IT50H0101003201100000015 772 – BIC: IBSPITNA (per chi sta all’estero) o con Carta di Credito sul sito www.iovotono.it
Roma 18/3/2016


MALEDETTI VOI, MERCANTI D’ACQUA!

Alex Zanotelli

Le decisioni prese in questi giorni , sia dal governo Renzi che dal Parlamento, sulla gestione pubblica dell’acqua, sono di una estrema gravità perché un governo democratico rifiuta quello che il popolo aveva già deciso con il Referendum del 2011.
E’ stato ora diffuso il Testo unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, che si prefigge gli obiettivi di “ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità” e di “garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati.” In questo Testo unico c’è l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali attraverso società per azioni, nonché l’obbligo, ove la società per azioni sia a totale capitale pubblico, di rendere conto delle ragioni del mancato ricorso del mercato ed infine di presentare un piano economico-finanziario sottoscritto da un Istituto di credito. Un segnale più chiaro del totale disprezzo della volontà popolare espressa nel Referendum , non ci potrebbe essere.
 A questo si aggiunge il “blitz” di pochi giorni fa, fatto da Renzi-Madia in Commissione Ambiente della Camera, dov’era in discussione la Legge d’iniziativa  Popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, che aveva ricevuto nel 2007 oltre quattrocentomila firme, che è stata ripresentata in questa legislatura da un inter- gruppo  parlamentare  (M5S , Sel e alcuni PD) . Il “blitz” Renzi- Madia è avvenuto il 15 marzo, quando in Commissione Ambiente è stato approvato un emendamento che abroga l’articolo 6 del progetto di legge che definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico, vietando l’acquisizione di quote azionarie. Tutto questo è stato cancellato per volontà del governo Renzi e del PD. Un atto parlamentare questo che costituisce il tradimento totale della volontà popolare espressa nel Referendum del 2011. I deputati M5S e Sinistra Italiana hanno abbandonato i lavori della Commissione, lasciando che fosse approvata dalla sola maggioranza con l’accordo del governo. Il PD si difende dicendo che l’acqua resta pubblica, ma che può essere gestita dai privati! Infatti il nodo centrale è proprio la gestione, perché questo Testo unico e le nuove norme sui servizi locali rendono eccezionale una gestione pubblica e reintroducono “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, cancellata dal referendum del 2011. E pensare che Renzi nel 2011, allora sindaco di Firenze, aveva proclamato il suo Sì per l’acqua pubblica!
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è di una gravità estrema.
Per questo mi appello a i 26 milioni di italiani/e perché si informino e si mobilitino(sit-in, sensibilizzazione nelle proprie realtà locali) contro la stravittoria del neoliberismo, del mercato, dei profitti e si ribellino scendendo in piazza.
Mi appello ai vescovi italiani perché si esprimano sulla questione acqua ,che già il Papa nell’enciclica Laudato Sì ha definito “diritto umano essenziale, fondamentale e universale”  anzi ,”come diritto alla vita”.
Mi appello ai preti, perché sensibilizzino i  loro fedeli nelle omelie domenicali.
Mi appello alle comunità cristiane, dopo una così forte dichiarazione del Papa sull’acqua, perché ritornino a impegnarsi e a ricongiungersi con il grande Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua pubblica ,che ha portato nel 2011 alla vittoria referendaria. Dobbiamo ora ottenerne un’altra!  Si tratta di vita o di morte per noi e per gli impoveriti. Infatti sia per noi ,ma soprattutto per gli impoveriti, è l’acqua (la Madre di tutta la vita)il bene più prezioso ,che sarà sempre più scarso per il surriscaldamento del Pianeta. Se permetteremo alle multinazionali di mettere le mani sull’acqua, avremo milioni di morti di sete. La gestione dell’acqua deve essere  pubblica, fuori dal mercato e senza profitto, come sta avvenendo  a Napoli, unica grande città italiana ad aver obbedito al Referendum.
Diamoci tutti/e da fare perché il nostro governo obbedisca a quanto ha deciso il Popolo italiano nel 2011.


Alex Zanotelli

CHIEDO AL MINISTRO PADOAN DI FARE CHIAREZZA SULL’ACCORDO DI PROGRAMMA

Ufficio Stampa Deputato Luca Frusone M5S

“Ho presentato un’ interrogazione al Ministro dell’economia per chiedere la possibilità di una rimodulazione urgente sull’Accordo di programma siglato nel 2013 tra il MISE, Regione Lazio e Provincia di Frosinone. Il motivo è che ci troviamo di fronte al totale fallimento di questo strumento, che era nato per rilanciare e far ripartire l’economia del territorio, che in questo caso aveva come epicentro la zona di Anagni – Frosinone, ma che ad oggi non ha prodotto alcun beneficio, anzi, avrebbe finito per favorire solo due multinazionali farmaceutiche, mentre le pmi, tessuto vero del nostro territorio, risultano essere state completamente ignorate. Non si comprende come mai, eppure quando si chiuse l’avviso pubblico, in data 10 maggio 2013, erano circa 150 le imprese che risposero, di cui il 90 per cento appartenenti al territorio della provincia di Frosinone. Ad oggi non si ha traccia dei passi che sono stati fatti e risulterebbe che solo la Sanofi Aventis e la ACS Dobfar, abbiano avuto accesso ai 40 milioni di euro di fondi messi a disposizione dal Ministro dello sviluppo economico (30 milioni di euro di crediti agevolati) e dalla regione Lazio (10 milioni di euro a fondo perduto). Sembrerebbe che le due aziende farmaceutiche, abbiano ricevuto finanziamenti nell'autunno 2015, ma non si sa bene per quali progetti. Tutta questa opacità sulla questione è vergognosa e i politici eletti locali ovviamente pare non abbiano alcun interesse a dipanare queste ombre, chissà perché.” – questa la denuncia del Deputato 5 stelle che continua amareggiato – “E’ davvero deplorevole che un’ingente mole di denaro pubblico sia stata riversata sul nostro territorio senza produrre alcun risultato occupazionale, a fronte di un totale di 80 milioni di euro, sarebbero stati solo 60 i nuovi posti di lavoro creati. Se fossi nei vari eletti locali, in special modo del PD, mi impegnerei a cercare di rimediare a questo disastro, ma invece per tutti loro pare che spendere 80 milioni per 60 posti di lavoro sia stato un ottimo risultato, mi domando con che faccia possano dichiarare simili assurdità.” – “Tra le prerogative che questo accordo di programma doveva avere era quello di reimpiegare anche i lavoratori espulsi dalla filiera produttiva della ex VDC Technologies. Ovviamente non solo ciò non è avvenuto, ma ad oggi gli ex lavoratori stanno chiedendo numi a tutti i politici locali del PD su cosa sia andato storto sull’attuazione di tale accordo, ma nessuna spiegazione è mai arrivata da Buschini, dalla Bianchi, da Scalia, dalla Spilabotte, da Pilozzi o da Pompeo.” – e conclude – “Non mi fermerò fin quando non riuscirò a capire come siano stati spesi questi 80 milioni di euro di soldi pubblici. Il territorio ha bisogno di ripartire, le persone, i giovani sono sempre più disillusi. Il PD è riuscito a dilapidare milioni di euro per due mulinazionali, ha succhiato soldi pubblici con la società fantasma dell’Aeroporto di Frosinone e infine si è fatta sfuggire l’investimento di Amazon, facendo sì che questa azienda preferisse aprire una sua filiale addirittura a Rieti. Credo non ci sia altro da aggiungere.”

lunedì 21 marzo 2016

Una ‘vittoria della gente sulla politica’ la cancellazione federale dei piani di trivellazione nell’Atlantico

Sue Sturgis  

Leader ambientalisti e delle comunità locali del sud-est [degli USA – n.d.t.] hanno segnato questa settimana una vittoria da Davide contro Golia sull’industria del petrolio e del gas e sui suoi potenti alleati nel governo, quando l’amministrazione Obama ha diffuso un piano quinquennale riveduto di trivellazioni in alto mare che esclude l’Atlantico.
“E’ una vittoria della gente sulla politica e dimostra l’importanza dell’organizzazione di base vecchio stile” ha affermato Jacqueline Savitz, vicepresidente statunitense di Oceana, un gruppo di tutela dell’ambiente che ha contribuito a organizzare il contrasto alle trivellazioni nell’Atlantico.
Il Dipartimento dell’Interno ha detto di aver cancellato la proposta asta per la concessione al largo della costa atlantica tra la Virginia e la Georgia a causa delle “attuali dinamiche del mercato, della forte opposizione locale e di conflitti con utilizzi commerciali e militari concorrenti”.
L’opposizione locale, che è stata organizzata da una coalizione di gruppi ambientalisti statali e nazionali, ha compreso più di cento amministrazioni cittadine e di contea lungo la costa est che hanno approvato risoluzioni contro la trivellazione al largo e/o i brillamenti sismici per depositi di gas e petrolio, con molte di esse che hanno citato preoccupazioni riguardo a ciò che una fuoruscita potrebbe causare alle loro comunità ed economie. Vi sono state comprese destinazioni turistiche importanti, quali Wilmington, North Carolina, Charleston, South Carolina e Savannah, Georgia.
Inoltre migliaia di cittadini si sono presentati a incontri pubblici per manifestare opposizione alla trivellazione nell’Atlantico. Un’audizione tenuta nel marzo scorso nella comunità di Kill Devil Hills, nei Banchi Esterni della North Carolina, ha attirato 670 persone, la maggior parte delle quali contrarie alla trivellazione, e ha segnato un nuovo record di partecipazione a un’audizione del Bureau of Ocean Energy.
Sull’altro schieramento a guidare la pressione per aprire la regione all’estrazione di petrolio e gas al largo c’è stata la Coalizione dei Governatori della Piattaforma Continentale Esterna, una coalizione bi-partisan di dirigenti di stati costieri a favore delle trivellazioni presieduta da Pat McCrory (Repubblicano, North Carolina) che comprende i governatori di Alabama, Alaska, Maine, Mississippi, South Carolina, Texas e Virginia. Il coinvolgimento dei governatori è cruciale, poiché la Legge sui Territori della Piattaforma Continentale Esterna che disciplina la procedura delle concessioni federali relative al petrolio e al gas al largo, dà un considerevole peso alle raccomandazioni dei governatori.
Come ha documentato un’inchiesta di Facing South, la Coalizione dei Governatori è gestita dall’Alleanza dei Consumatori dell’Energia, un’organizzazione non a fini di lucro finanziata segretamente che ha legami stretti con grandi compagnie petrolifere e del gas e con lobbisti dell’industria dell’energia. L’Alleanza dei Consumatori dell’Energia ha affermato di essere “profondamente amareggiata” per la decisione di escludere l’Atlantico e si è appellata alla prossima amministrazione perché “inverta il corso”.
L’ufficio di McCrory ha anche diffuso una dichiarazione di condanna dell’azione dell’amministrazione:
Il completo voltafaccia del Presidente Obama può essere descritto soltanto come uno speciale favore politico ad attivisti di estrema sinistra che non hanno problemi a importare negli Stati Uniti risorse energetiche da paesi ostili. Ciò che è più preoccupante è che il Presidente sta chiudendo la porta prima persino di sapere quali risorse possono essere sfruttate in modo ambientalmente sano. Sfortunatamente l’accordo dell’amministrazione Obama potrebbe alla fine costare al North Carolina migliaia di nuovi posti di lavoro e miliardi di entrate necessarie per scuole, infrastrutture, dragaggio e manutenzione delle spiagge.
Anche se McCrory ha incolpato della cancellazione delle trivellazioni nell’Atlantico gli “attivisti di estrema sinistra”, l’opposizione ha incluso membri del suo stesso partito, quali i membri del Congresso Mark Sanford e Tom Rice del South Carolina. Ha anche incluso più di 1.100 aziende e gruppi di aziende, molte attive nel turismo e nell’intrattenimento costiero, preoccupate di come fuoruscite e industrializzazione della costa potevano danneggiare i loro bilanci.
Uno studio economico pubblicato l’anno scorso ha rilevato che i posti di lavoro promessi nell’industria erano molto sopravvalutati, con l’economia oceanica consolidata nella regione incentrata sul turismo e sulla pesca che sorpassa previsioni anche eccessivamente ottimistiche circa l’occupazione nelle trivellazioni.
L’affermazione di McCrory che la decisione di vietare le trivellazioni nell’Atlantico costerebbe miliardi di entrate al North Carolina è basata sulla speranza che il Congresso avrebbe approvato leggi che prescrivessero al governo federale di condividere le entrate dalle concessioni petrolifere e del gas con la Virginia, North e South Carolina e Georgia, ma tale proposta aveva scarse probabilità di passare. Il senatore Bill Neson, un Democratico della Florida, ha affermato in precedenza, questo mese, che avrebbe bloccato qualsiasi tentativo di proporre la misura, il che avrebbe efficacemente impedito che arrivasse al voto.
Lo stesso giorno in cui l’amministrazione Obama ha annunciato la decisione attivisti costieri della difesa dell’ambiente si erano riuniti per organizzare un’assemblea a Wilmington, North Carolina. Avevano programmato di discutere i passi successivi per fermare le trivellazioni atlantiche ma hanno invece fatto piani per ringraziare tutti quelli che avevano contribuito alla loro lotta e poi si sono diretti a una birreria locale per festeggiare.
Sierra Weaver, avvocato del Centro Legale Ambientalista del Sud che è stata coinvolta nello sforzo organizzativo lo ha definito “un giorno incredibile per il Sud-est”.
“Rappresenta il duro lavoro di migliaia di persone e protegge alcuni dei nostri luoghi più amati, dalla Baia di Chesapeake e dai Banchi Esterni alle Terre Basse del South Carolina e alle isole della barriera della Georgia”, ha detto la Weaver. “Le comunità lungo l’Atlantico sono state fortemente unite contro questo piano e siamo grati che il Presidente ci abbia ascoltato”.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo