Cari Amici, l’anno che si chiude è stato faticoso ma esaltante,
pieno di protagonismo civile e ricco di iniziative, alla fine coronato da un
fondamentale risultato: la vittoria del NO al Referendum.
Abbiamo già avuto modo di esprimere il nostro ringraziamento
per il vostro lavoro e la vostra passione e, oggi, vogliamo inviarvi i più
calorosi e forti auguri di buone feste e di un 2017 felice e pieno di
risultati.
Nel darvi appuntamento all’Assemblea di Comitati del 21 gennaio
prossimo, vi porgiamo i nostri più cari saluti
La prossima vigilia di Natale, saranno trascorsi 20 giorni
da quando il popolo sovrano ha bocciato la riforma costituzionale
Renzi-Boschi-JP Morgan. Da allora, a seguito delle finte dimissioni di Matteo Renzi, il quale ha posto a capo del
suo governo il “prestanome” Gentiloni, si sono susseguite, in uno stucchevole continuum, analisi, giudizi, lamenti ed alti
lai.
Anch’io avrei due o tre cose da dire, ma mi permetto di rovesciare quadri
e prospettive. Punto primo: in termini di correttezza istituzionale le
dimissioni di Renzi non erano necessarie. Anzi, la modalità con cui si è concretizzata l’uscita di scena del dittatorello
di Rignano, sa di presa per il culo.
Renzi avrebbe potuto tranquillamente
continuare a guidare il Governo ma tenendo fede alla sentenza della Corte
Costituzionale 1/2014. Cioè, recependo come unico obbiettivo la definizione di una legge elettorale rispettosa
delle indicazioni emanate dalla Consulta, ed
andare a nuove elezioni.
Diverso sarebbe
il discorso se si volesse associare
l’ipotesi delle dimissioni alle attività governative. Ciò
potrebbe avere un fondamento plausibile.
Bisognerebbe però stabilire, su quali criteri l’esecutivo Renzi dovrebbe essere giudicato. Fuori
da ogni ipocrisia giova ricordare che dall’inizio degli anni ’80, con
l’affermazione delle teorie di Milton Friedman, della scuola di Chicago,
del Raeganismo-Tatcherismo, l’obbiettivo
dei capi di governo si è profondamente modificato. La necessità di assicurare l’interesse degli
azionisti, ha soverchiato l’obbligo di
soddisfare i clienti. Tradotto, l’impellenza di assolvere i diktat delle lobby
finanziarie, veri mandanti degli esecutivi, ha scalzato i tradizionale
impegni dei governanti, atti ad assicurare il benessere e la prosperità per i governati.
E’ sotto questa
luce che si deve stabilire se l’esecutivo Renzi abbia fallito, e
conseguentemente se le dimissioni siano
o meno giustificate. Partiamo
dalla legislazione sul lavoro che non è solo il jobs act. Il cuore di tutto
l’apparato è il decreto Poletti, trasformato nella legge 78/2014. In base a questo provvedimento -che conferma la possibilità, già prevista dalla
Fornero, di ricorrere al tempo
determinato senza specificarne i motivi – un contratto potrà essere rinnovato per 5 volte in 36 mesi. Il
che significa che un dipendente si troverà sulla graticola, ogni sette mesi,
pronto a rendersi schiavo pur di spuntare dal padrone il rinnovo della propria schiavitù. Il jobs act ha assicurato alle aziende oltre che la
libertà di licenziamento anche un bonus cash di 178milioni di euro. In più la
liberalizzazione dei voucher ha reso
legale la peggiore precarizzazione del rapporto lavorativo. Un dispositivo
straordinario per gli interessi delle grandi aziende, per lo più mascherato con
le finalità di aumentare l’occupazione.
Passiamo alle leggi sui servizi (decreto
sblocca Italia e decreti madia), una vera e propria manna per gli interessi
del capitale finanziario. La logica su
cui si basa l’impianto è la totale messa a disposizione del capitale
finanziario delle risorse necessarie alla sopravvivenza, i così detti beni comuni, a cominciare
dall’acqua. Da un lato si agevola la gestione
privata dell’erogazione idrica, delle fonti energetiche e dei trasporti,
dall’altro si ostacola fino a bloccarlo l’intervento degli enti pubblici sulla
gestione di tali servizi.
Altro regalo ai mandanti liberisti è la legge sulla
scuola impropriamente denominata “buona scuola”. La possibilità concessa al
privato di finanziare istituti pubblici, combinata con il conferimento dei pieni poteri ad un amministratore
delegato unico, identificato nella figura di un preside manager, distrugge
completamente la benché minima idea di scuola pubblica, qualitativamente decente
per tutti.
Per questi provvedimenti
Renzi e il suo Governo, avrebbero meritato lodi e una decisa conferma. Purtroppo
c’è il piccolo particolare, che tutto
ciò non passa al vaglio di consigli d’amminstrazioni compiacenti , ma deve soddisfare i requisiti di compatibilità costituzionale. Deve cioè
superare quel baluardo posto a salvaguardia dei diritti dei clienti-cittadini,
contro le prevaricazioni degli azionisti. Qui sta il fallimento del governo
Renzi.
Infatti la riforma costituzionale,
una legge elettorale distorsiva e manipolatrice della sovranità popolare -funzionali
a sminare il pieno dispiegarsi della
volontà degli azionisti, depotenziando, se non annullando, il potere decisionale dei clienti-cittadini -
sono state sonoramente bocciate dai clienti-cittadini medesimi e
dall’antivirus della Corte
Costituzionale.
Il jobs act, andrà
a referendum con concrete possibilità di
essere rigettato, la buona scuola è stata bocciata direttamente dall’improvvido
legislatore che l’ha concepita, ma ormai il guaio è fatto. La legge elettorale, sarà cassata dalla Consulta, i decreti Madia sui servizi
pubblici egualmente sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale. Tutto il buono del governo Renzi è stato, o
sta per essere, annientato
dall’antivirus costituzionale a difesa dei diritti di tutti .
Ecco la
grande colpa di Renzi, quella di non essere riuscito a sottomettere il voto dei
clienti-cittadini a quello degli azionisti e dei consigli d’amministrazione. E
per questo il grande merito va a tutti noi che ci siamo battuti in difesa delle
prerogative costituzionali.
Per riassumere si può affermare che l’esecutivo
Renzi, oltre ad essere bocciato dai clienti-cittadini, non ha riscosso buone
credenziali neanche da parte degli azionisti. Dimissioni dunque?
Disgraziatamente no, perché in mancanza di tempi migliori anche i manager più
sprovveduti e sciagurati, cadono in piedi, percepiscono laute liquidazioni e
continuano a dispiegare il loro potenziale distruttivo , in altri scenari. Così come Alfano porterà il suo
fallimento dagli interni agli esteri e la Boschi farà danni come sottosegretario alla presidenza del
consiglio. Del resto se gli
amministratori pubblici devono essere equiparati ai manager questa è la
conseguenza ineluttabile. Non ce ne libereremo mai. A meno che non si metta in
campo un’ipotesi rivoluzionaria che riporti al centro la politica del bene
comune contro la tirannide del capitale finanziario.
COMITATO PER IL NO AL CONTRATTO NAZIONALE METALMECCANICI – ELECTROLUX SUSEGANA – BREDA AUGUSTIN, CIRILLO GIOVANNA, GRANZOTTO STEFANO, MANUELA MARCON, PAOLA MORANDIN, MORENO MURER, ANTONELLA PICCIN, ROBERTO PRADAL, SACCON LORELLA
Il nuovo contratto nazionale metalmeccanici ha parti rinviate a una futura stesura del testo su temi rilevanti: ruolo dei lavoratori e RSU in relazione ai temi collegati con la democrazia, partecipazione e limiti all’azione di protesta; modalità di uso della sanità privata integrativa, sperimentazione dell’inquadramento, lavoro agile, ecc. Altre parti invece sono chiuse e firmate.
Si dovrebbe votare sui testi definitivi e non parziali.
ORARI e STRAORDINARI
Il nuovo contratto prevede fino a 120 ore anno di orario a disposizione della aziende senza dover contrattarlo preventivamente con i lavoratori e sindacato: 40 ore di straordinario e 80 di flessibilità. Ore non sottoposte a obbligo di contrattazione e attivabili dall’azienda. L’azienda solo successivamente all’attivazione delle 80 ore ha l’obbligo di concordare con il sindacato (RSU) il periodo di recupero dell’orario. E se qualcuno per varie ragioni non è presente nei periodi di ore aggiuntive (es. sabati) nei giorni di recupero non sarà pagato salvo che non usi i suoi PAR – FERIE - BANCA ORE. Un sistema penalizzante e di discutibile legittimità in particolare soprattutto per le assenze motivate.
A titolo di esempio: tra straordinario e ore di flessibilità attivabili unilateralmente dall’azienda si possono lavorare fino 20 sabati all’anno obbligatori (40 sabati totali per aziende a 2 turni).
N.B. Nei precedenti contratti le ore di flessibilità non recuperate si trasformavano in straordinario – i sabati con maggiorazione del 50% - con la nuova formula dell’eventuale mancato recupero “auto pagato” la flessibilità positiva perde la parificazione allo straordinario e nulla è detto sul valore economico da attribuire alle ore di flessibilità non fatte o sull’impossibilità di trovare un accordo di recupero. Un vuoto normativo. La possibilità del datore di attivare tali ore a reparti o gruppi di lavoratori, può produrre una perdita in termini di reddito più significativa degli aumenti riconosciuti nel CCNL. Inoltre concentrando così gli orari di lavoro con le flessibilità +/- le aziende possono limitare ulteriormente gli organici e relativa occupazione.
SALARIO - SCHEI E PAGAMENTO IN NATURA
L’ultimo contratto è scaduto a dicembre 2015. Per il 2016 non è previsto nessun aumento sui minimi contrattuali. Prevista una tantum di 80 euro lordi a marzo 2017 (solo per il 2017).
Dal 2017 e per gli anni successivi 2018 e 2019 ogni mese di giugno sarà determinato l’aumento in relazione dell’inflazione dell’anno prima – depurata dell’effetto inflattivo dei costi energia: petrolio gas ecc… (IPCA). Nel 2017 l’aumento sarà, a previsione attuale all’incirca di 10 euro lordi al mese al 4° livello. Per gli anni successivi dipenderà dal valore dell’inflazione misurata ufficialmente (IPCA). Stante le attuali previsioni nei 4 anni (2016 - 2019) non si raggiungeranno i 50 euro lordi di aumento in busta paga al 4° livello.
Il peggior contratto nella storia dei metalmeccanici.
Tali aumenti contrattuali NON saranno pagati ai lavoratori se:
A) hanno voci salariali individuali di miglior favore super minimi, premi ecc., salvo che su tale voci non sia scritto non assorbibile;
B) premi e altre voci fisse derivanti da accordi sindacali sottoscritti dal 2017 in poi senza la clausola non assorbibile. In questi casi è prevista come penalità la perdita degli aumenti del contratto nazionale che non saranno erogati (altra novità peggiorativa introdotta con questo contratto).
Le aziende daranno una retribuzione in natura (così detto welfare aziendale) di 100 euro nel 2017, di 150 euro nel 2018 e di 200 euro nel 2019 - modalità e contenuti sono ad esclusiva decisione delle aziende, compreso come e dove spendere i buoni - tali voci non incidono e sono escluse dalla contribuzione per la pensione, sul Tfr, tredicesima e altre voci della retribuzione.
L’elargizioni dei buoni in corso nelle aziende assorbiranno i “buoni” del contratto nazionale.
CONTRIBUTI PENSIONE PRIVATA
Per coloro che hanno il fondo Cometa la percentuale della quota versata dall’azienda sarà del 2% (era 1,6%), nulla spetta in termini compensativi (niente soldi) ai lavoratori che non aderiscono al fondo pensione Cometa, o che aderiscono ad altri fondi pensioni integrativi (sindacali o privati) anche se contribuiscono con il loro lavoro a creare il controvalore economico riconosciuto.
SANITA’ PRIVATA
Nuovo fondo sanitario obbligatorio – dal 1 ottobre 2017 si darà corso a un versamento di 13 euro al mese (versato direttamente dall’azienda per conto del lavoratore) per finanziare una polizza integrativa sanitaria rivolta a tutti i lavoratori con contratti a tempo indeterminato o contratti a termine oltre i 5 mesi (salvo esplicita rinuncia). La polizza è estesa anche ai famigliari e conviventi. Le caratteristiche delle prestazioni a favore dei lavoratori saranno definite nei prossimi mesi così come saranno stabiliti gli organismi di gestione di tale Fondo – Assemblea sociale, Consiglio di Amministrazione, Presidenza, Organi di controllo e relativi costi di gestione di queste strutture bilaterali sindacati/aziende. Chi non è iscritto, o iscritto ma non usa il fondo, non ha diritto a nessuna forma compensativa o di accantonamento, pur contribuendo indirettamente ai costi. La gestione dell’ingente raccolta di miliardi di euro andrà in mano alle assicurazioni.
Nel contratto vi sono poi vari altri punti migliorativi tra cui (sicurezza) e peggiorativi tra cui (Legge 104).
Su questo contratto nazionale esprimiamo un giudizio di assoluta contrarietà e pertanto voteremo NO nel referendum. Condanniamo il divieto a rappresentare le ragioni del no in tutte le assemblee dei lavoratori metalmeccanici italiani.
La sindacatocrazia nega così il formarsi di opinioni critiche e consapevoli nel voto.
In questo contratto ci pare che la FIOM abbia tradito lo spirito e il contenuto delle lotte e degli scioperi chiesti dal 2010 in poi contro i contratti nazionali firmati da Federmeccanica - FIM e UILM, perché ritenuti sbagliati e insufficienti per i lavoratori. Se in alcuni punti appare persino peggiorato, perché ora va tutto bene?
Invitiamo i lavoratori a votare NO e respingere questo contratto. È meno dannoso mantenere i contratti esistenti, riconquistando sulla spinta del giudizio dei lavoratori un contratto non così sbilanciato verso le imprese.
Comitato per il NO al CCNL metalmeccanici - Electrolux Susegana(TV)
La battaglia in difesa del CCNL continua anche dopo il referendum truffa del 19, 20 e 21 dicembre. Non affidarsi ai rituali della “democrazia rappresentativa”, prestando il fianco ai maneggi della destra sindacale! Le manovre, le intimidazioni e le truffe di FIOM, FIM e UILM indicano che Landini, Bentivogli e Palombella hanno difficoltà a controllare la base di iscritti e non controllano completamente neanche l’apparato. Indicano quindi che ci sono ampie possibilità per mobilitare tutti i lavoratori (compresi quelli iscritti a CGIL, CISL e UIL), contrari all’accordo per il CCNL dei metalmeccanici e più in generale decisi a difendere il CCNL.
Anche sul terreno sindacale si verifica quanto avviene a livello politico (vedi esito referendum): la borghesia, i suoi partiti politici, i suoi agenti sindacali e i suoi apparati di intossicazione hanno difficoltà a controllare l’esito delle votazioni perché crescono il distacco e il disprezzo dei lavoratori e delle masse popolari.
Organizzarsi in ogni azienda indipendentemente dalle sigle sindacali, coinvolgendo i tanti operai contrari all’accordo truffa, costruire organizzazioni operaie che si coordinanotra loro su scala via via più ampia!
Intervenire anche fuori dalle aziende: 10, 100, 1000 iniziative per mobilitare lavoratori, pensionati e precari a condurre un’azione efficace in difesa del CCNL, contro la chiusura delle fabbriche e lo smantellamento dei servizi, contro l’eliminazione delle conquiste di civiltà e benessere (cioè contro il programma comune dei vertici della Repubblica Pontificia, con Renzi e dopo Renzi) e più in generale per trasformare il paese approfittando delle condizioni favorevoli create dall’esito del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre!
Nel contesto attuale, le lotte rivendicative per essere efficaci devono essere combinate con la promozione di un movimento di lotta sindacale e politico per dare al paese un governo tramite il quale i lavoratori, i pensionati, i precari possono raggiungere i loro obiettivi, tutelare ed estendere i loro diritti.
La vittoria del referendum contro la riforma Renzi della Costituzione ha mostrato quanto sono fragili i nostri nemici: costruiscono trappole in cui loro stessi cadono. Fare del CCNL firmato da Landini (FIOM), Bentivogli (FIM) e Palombella (UILM) lo spunto per mobilitare forze e formare organismi operai in ogni azienda e portare fuori dalle aziende l’influenza degli operai organizzati: questa è la linea che noi comunisti dobbiamo attuare e che attueremo.
- Alcuni risultati delle votazioni
SAME di Treviglio (Bergamo)
NO 765 SI’ 79 NULLE/BIANCHE 10
DALMINE TENARIS di Bergamo
NO 412 SI’ 337 BIANCHE 5 NULLE 6
OLVAN di Lurano (BG)
NO 29
SI’ 20
ELECTROLUX di Susegana (Treviso)
1094 dipendenti, 917 presenti e 654 votanti
NO 480
SI’ 171
CARBON STEEL (Gruppo Marcegaglia) Dusino S.Michele - Asti
128 votanti
NO 95
SI’ 12
MECAVIT di Castel Guelfo (Bologna) NO al 99% (23 su 24 votanti)
MOTORI MINARELLI di Bologna
159 votanti NO 105 SI’ 52 NULLA BIANCA 1
AEROAVIO (gruppo GE) di Pomigliano (NA)
373 votanti (33% degli aventi diritto) NO 316
SI’ 53 NULLE 2BIANCHE 2
BTicino di Torre del Greco (NA) NO 86 SI’ 16 NULLE 4
E’impossibile e sbagliato accomunarel’avviso di garanzia a Sala con l’arresto di Marra. I singoli personaggi sono entrambi il vecchio marcio travestito da nuovo, ma il peso politico delle amministrazioni che rappresentano è diverso e diverso è il loro ruolo.
La giunta Raggi è un problema di governabilità per i vertici della Repubblica Pontificia (parliamo pur sempre della loro capitale e del centro dei traffici e degli intrighi di ogni tipo) nonostante stia assicurando continuità con certi poteri forti, nascondendosi dietro al fatto che “certe delibere erano state decise in precedenza” (…in particolare da Tronca, aggiungiamo noi. Però il sindaco è lei e se una delibera va stralciata, la stralcia!).
La giunta Sala è il rigurgito della peggio criminalità organizzata nell’affare EXPO, tinta di arancione e decantata dai perdenti nati della sinistra borghese (eccetto le spoglie del PD post referendum, non esiste più nessun partito che ha sostenuto Sala nel giugno scorso), è l’unica grande città rimasta in mano alla cricca Renzi e a chi le ha retto il sacco.
Ma è da escludere che il terremoto politico a Roma sia indipendente da quello milanese. Sono fatti diversi, ma sono legati. Il più evidente ed epidermico legame attiene alla crisi politica in corso nel paese, al vicolo cieco in cui i vertici della Repubblica Pontificia si sono infilati con il governo “di responsabilità” Gentiloni-Renzi-Bergoglio e alle possibili elezioni politiche all’orizzonte. “Muoia Sansone con tutti i filistei”, cioè: fare fuori il M5S a qualunque prezzo. Anche al prezzo di sacrificare un faccendiere qualunque prestato alla politica e imposto al governo di Milano.
La Raggi paga il conto di aver consentito il prosieguo delle manovre speculative e antipopolari per mano dei palazzinari romani (Tronca ne era il prestanome e capofila, il Vaticano è il nocciolo duro), di non essersi opposta a sfratti e sgomberi, di aver solo minacciato di sottomettere la Curia alla legalità italiana, di aver solo minacciato di fare pulizia nel sottobosco della malavita fascista – politico – clericale di Roma. Ha promesso e promesso e non ha combinato ancora nulla. Ha promesso fuoco e fiamme, ma ha continuato a permettere che vecchie autorità medievali facessero il bello e il cattivo tempo. A fare la voce grossa senza essere conseguenti non si guadagna niente. Così, da “anche la Curia paghi le tasse” al “Buona onda” al Papa, è stata servita: invisa ai poteri forti, ma soprattutto senza il sostegno, decisivo, delle masse popolari.
Il M5S ora deve porre fine al nascondino a cui ha giocato fino a oggi. Se persiste a invocare onestà, legalità, rispetto delle regole, elezioni subito, ecc. finisce inghiottito da un vortice creato dai vertici della Repubblica Pontificia e alimentato da sé stesso. Se perde Roma sotto accuse gravi (la maggior parte false, ma insomma, Marra, ex di Alemanno, lo hanno scelto loro…), se cede alla manovra denigratoria, se offre il fianco alle speculazioni mediatiche sulle firme false, se cade nelle beghe interne da pollaio è perso, finito, disgregato. Dopo l’arresto di Marra, Grillo ha revocato una manifestazione a Siena sull’affaire Monte dei Paschi. Male, molto male. L’unica forza residua del M5S è attingere dalla mobilitazione delle masse popolari. Che esca nelle piazze! Che faccia valere quella credibilità di cui ancora gode. Che si allei subito con la parte sana di quegli esponenti del movimento sindacale, politico, della società civile, delle amministrazioni locali che sono disposti. Non a un accordo elettorale, ma a operare come comitato di liberazione nazionale.
Tutto sulle nostre teste. Mentre c’è che tira un sospiro di sollievo perché con il voto del 4 dicembre “abbiamo salvato la Costituzione”, mentre c’è che si incazza perché il nuovo ministro dell’istruzione ha la terza media, mentre c’è chi si accapiglia perché “il M5S sono come gli altri” e scrive frasi sgrammaticate sui social network per imitare, a detta loro, gli elettori medi del M5S, il programma comune dei vertici della Repubblica Pontificia prosegue, alle condizioni particolari dettate dalla batosta che hanno preso con il referendum. Per dirne una, la più importate, stanno distruggendo il CCNL. Sembra che fra i vincitori del referendum, denigratori e sostenitori del M5S e M5S stesso, se ne siano accorti solo gli operai e pochi altri. Ma del resto è normale, sono gli operai che si accorgono prima e meglio di quello che succede, perché in un posto di lavoro in cui sei obbligato a rimanere di notte anche se le condizioni di salute impongono che ti sia cambiato il turno, in un posto di lavoro dove alla fine ci muori, sei pure costretto a farti più attento rispetto a come vanno le cose del mondo. E dunque, alla faccia di chi è convinto e si sgola per convincere che la classe operaia non esiste più, sono gli operai ad aver preso il testimone della vittoria del NO del 4 dicembre. Non il Tribunale di Roma o di Milano. Non Gentiloni. Non il M5S. Non la Raggi (per senso del ridicolo omettiamo Sala e Pisapia…). Sono gli operai a evitare che tutto succeda sulle nostre teste.
Bando al tifo da stadio e agli opinionismi. Ai lamenti, alle scuse e ai teatrini. La strada è a un bivio. Le sorti del paese in mano alle fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia alle prese con colpi di mano e regolamenti di conti fra loro oppure le sorti del paese in mano alla mobilitazione degli operai e delle masse popolari. La Costituzione in mano a chi ne decanta i valori e intanto trama (chiagni e fotti) oppure l’applicazione della parte democratica e progressista della Costituzione nelle mani di chi ha combattuto per ottenerla. Aspettiamo un governo di responsabilità nazionale degli irresponsabili ladri, accattoni, speculatori, cardinal-bertoni oppure costituiamo un governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari.
Una quindicina di anni fa, quando vivevo ad Hanoi, ero abituato ad andare molto spesso al bar panoramico sul terrazzo all’Hotel Meritus per un aperitivo serale, proprio per sentire la piacevole brezza, e per individuare i vecchi mercantili che navigavano maestosamente lungo il Fiume Rosso. A volte il fiume poteva essere chiaramente visibile, ma spesso era coperto dalla nebbia, con in un antico dipinto vietnamita.
C’erano villaggi all’orizzonte che consistevano principalmente di semplici ‘case tunnel’(case strette che si estendono oltre il fronte stradale, n.d.t.) e riuscivo a vedere dei grattacieli al centro della città. Molto più giù, gli edifici sulle rive del ‘Piccolo lago’, erano colorate, nostalgiche e pittoresche.
Hanoi era malinconica e povera, ma era quello che era, e si poteva amare o odiare, ma mai essere indifferenti.
E’ stata anche la capitale di un paese socialista, un paese orgoglioso, che ha sconfitto sia gli imperialisti francesi che quelli statunitensi. E’ stato un simbolo di resistenza, un faro di speranza per molti paesi poveri e in lotta, e, come Cuba una prova vivente che una nazione orgogliosa e determinata poteva osare di opporsi e anche di vincere contro i nemici più potenti e più velenosi.
A un certo punto il Meritus cambiò nome e proprietario. Divenne il Sofitel e proprio di recente è stato trasformato di nuovo, questa volta con il nome di Pan Pacific. Il bar panoramico sul terrazzo è rimasto. Sono cresciuti i grattacieli sono tutto intorno alla città e coprono ora quasi l’intero orizzonte; improvvisamente Hanoi ha una vera skyline. Si guarda lontano e quello che si vede potrebbe essere in qualsiasi altro posto: a Shanghai o Dallas, Bangkok o Johannesburg… ma soltanto con gli occhi socchiusi.
Sono sopravvissuti manifesti comunisti entusiasti, o, almeno alcuni di essi. Altri sono cambiati e sono migrati verso nuovi enormi moderni cartelloni digitali. Scintilla di notte e le immagini cambiano continuamente: Zio ‘Ho’, i bambini pionieri, i lavoratori e i soldati pronti a difendere il loro paese.
“Il Vietnam è ancora un paese comunista?” continuo a chiedere dovunque vada, per anni. Faccio la stessa domanda nei villaggi lontani e nelle principali città. Il motivo è che mi sembra che la risposta per me sia essenziale, perché così tanti milioni di Vietnamiti sono morti, combattendo per il loro paese e poi cercando di realizzare il loro sogno si una patria sociale.
Le risposte che ricevo sono spesso evasive. Per qualche motivo, gli occhi di molte persone sono rivolti in basso.
“Che cosa è successo, Vietnam? voglio chiedere, ma il Vietnam è un grande e lungo tratto di terra che segue la costa; non parla, non risponde a domande retoriche. La maggior parte dei suoi abitanti è libera di parlare, sono in grado di parlare, ma per qualche ragione non lo fanno. Sono confusi tanto quanto me?
Più sento che la risposta dovrebbe essere positiva e ottimistica, più ricevo risposte evasive. Continuo a pensare: perché?
Non mollo, non smetto mai di domandare, perché penso sia essenziale sapere.
Un artista celebre come George Burchett, figlio del grande giornalista australiano Wilfred Burchett, era nato in Vietnam e ora, da vari anni, vive con la sua famiglia ad Hanoi. Il suo amore per questo paese è appassionato e assoluto. Osserva molti cambiamenti che accadono intorno a lui e trova che la maggior parte di questi sia positiva: “La vita in Vietnam sta gradualmente migliorando. Si può andare in giro a piedi ad Hanoi o in andare in macchina in tutta la campagna: non c’è più miseria brutale. La gente è ottimista . La vita sta migliorando.
Spiega anche che dopo il 12° Congresso Nazionale del Partito Comunista del Vietnam, il Politburo ha preso una strada in direzione non-occidentale.
Alcune persone con le quali parlo, e anche vari analisti, non hanno dubbi che dopo il licenziamento del Primo Ministro Nguyen Tan Dung, il Partito Comunista del Vietnam ha adottato una politica molto più amichevole verso la Cina, ma, allo stesso tempo, non abbandonando la sua propria forma di socialismo (si dovrebbe chiamare ‘Socialismo con caratteristiche proprie del Vietnam?’). Comunque, dopo aver viaggiato per quasi due settimane in tutto il Vietnam Centrale, è innegabile che le forze del mercato stanno ancora svolgendo un ruolo molto importante, spesso tentando di prescrivere in che direzione si sta sviluppando il paese.
“Mi piacciono quelle enormi gru, i cantieri edili e le turbine”, dico scherzando mentre visito il Museo delle Belle Arti ad Hanoi, dove, al secondo piano sono esposte alcune grandiose opere del realismo socialista vietnamita.
“Anche a me”, ripete uno dei miei amici in maniera beffarda. “Però molte dei queste gru servono ora a costruire centri commerciali e lussuosi palazzi di appartamenti per i ricchi.”
Ho trascorso quasi tre anni in Vietnam, quando era ancora povero, tra il 2001 e il 2003. La determinazione delle persone di costruire un paese molto migliore era davvero ammirevole.
Continuo a tornarci ogni anno, viaggiando praticamente in tutti gli angoli della nazione. Il Vietnam, indubbiamente, stava cambiando, ma per molti aspetti conservava il suo spirito socialista. Una forte pianificazione centralizzata con la guida del Partito Comunista del Vietnam, assicurava che l’evoluzione verso un’economia mista non diventasse un caos e un’anarchia favorevole al mercato. Lo spirito e il simbolismo patriottico del paese erano marxisti, ma avevano anche profonde radici nazionali.
Anche quando le nuove compagnie straniere stavano costruendo qui le loro catene di montaggio, il governo si assicurava che non ci sarebbero state condizioni di lavoro disperate e deplorevoli come quelle che erano state prevalenti nelle Filippine, in Indonesia o in Cambogia. Ho visitato varie fabbriche di abbigliamento nel sud del paese: erano tutte pulite, ben areate, con postazioni mediche, mense e trasporti dignitosi i lavoratori.
Anche nelle campagne le condizioni lavorative e di vita sono andate migliorando, spesso sensibilmente.
Tuttavia, non diversamente che in molti paesi dell’America Latina, la propaganda occidentale che funziona tramite gli organi di stampa e per mezzo di ‘blog’ locali e dei media sociali ha cominciato ad attaccare incessantemente la dirigenza del Partito Comunista e l’intero sistema politico e sociale del Vietnam
La comune strategia di destabilizzazione (simile a quella usata per prendere di mira l’Europa dell’Est durante la Guerra Fredda e ora l’America Latina e l’Europa, veniva applicata con determinazione. Innumerevoli ONG e organizzazioni per i diritti umani furono prontamente coinvolte. Molti intellettuali locali si unirono ai ranghi dei critici stranieri; alcuni di loro iniziarono ad avere ‘finanziamenti’ e ‘sponsorizzazioni’ da agenzie straniere, ‘istituzioni culturali’ e perfino dai governi.
I grandi successi dello stato venivano deliberatamente fatti apparire insignificanti, mentre argomenti come la corruzione e le sofferenze sociali venivano messe in luce eccessivamente. Venne programmata, fabbricata e ’scatenata’ un’intera cultura contro l’establishment. Per i cittadini istruiti appoggiare il Partito Comunista e il ‘sistema’ divennero del tutto ‘non di tendenza’, quasi disonorevole.
Anche l’interazione con i turisti stranieri spesso non ha portato a nulla di buono.
Nell’antica città di Hoi An, ho incontrato una cameriera d’albergo che in origine era una ragazza di un villaggio, che quasi immediatamente dopo che mi ero seduto a tavola cominciò, in un inglese accettabile, a recitare una lunga litania così amata da molti viaggiatori europei: come sono terribilmente difficili le cose in Vietnam, come sono alte le tasse scolastiche (una sciocchezza totale, dato che qui non esistono tasse scolastiche, anche se, purtroppo, ci sono dei ‘costi nascosti’), di come sia disperata la situazione negli ospedali locali (di fatto, la situazione è sensibilmente migliorata in anni recenti, come mi è stato detto da parecchi cittadini vietnamiti). La cameriera poi in maniera molto ‘esperta’ mi ha poi fatto un domanda che si supponeva mi sarebbe piaciuta: “Come vanno l’istruzione e l’assistenza sanitaria nel suo paese?”
Guardiamo sempre gli paesi, particolarmente quelli in Occidente”, mi ha detto una mia amica di lunga data, un amministratrice vietnamita che ha lavorato per molti anni per le Nazioni Unite. “Raramente siamo contenti di quello che abbiamo o che ci viene dato. C’è sempre qualcosa di cui lamentarsi.”
Ha ragione, La domanda rimane: chi sta realmente creando e promuovendo questa mentalità? Dato che lavoro in tutto il mondo, trovo che tale mentalità stia diventando sempre più ‘tipica’ e ‘prodotta in serie’ in ‘certi paesi’; è concretamente ‘programmata’ e ‘fabbricata’ in Occidente, e poi impiantata nei paesi socialisti, nell’America Centrale e Meridionale, in Cina, Russia e sempre di più in Vietnam.
Per semplificare le cose, chiamo questo tipo di approccio: ‘diffusione di nichilismo, pessimismo, depressione e cinismo’. Il suo scopo principale è di seminare scontento, di denigrare i sistemi socialisti che funzionano, di dividere intere nazioni, di indebolire il patriottismo e, infine, di prendersi delle nazioni demoralizzate per quasi nulla.
Ho già descritto questi ‘sforzi’ con dettagli coloriti, nel mio libro di 840 pagine “Fighting Against Western Imperialism’ [Combattere contro l’imperialismo occidentale].
In così tante occasioni, durante le mie visite in questo paese, ho incontrato quei cittadini vietnamiti che stano con il ‘mondo esterno’ e anche con coloro che si sono completamente svenduti per un po’ di briciole commerciali come il riconoscimento, i finanziamenti e posti di lavoro in compagnie e organizzazioni internazionali.
A queste persone non dovrebbe essere permesso di far deragliare il paese; dovrebbero essere fermate con decisione! I Vietnamiti hanno proceduto a testa alta per decenni. Hanno combattuto e sfidato alcuni dei più potenti nemico sulla terra: i colonialisti francesi e gli imperialisti statunitensi. Hanno ricostruito il loro paese letteralmente dalle sue ceneri. Nel corso di questi avvenimenti, milioni di vite sono state distrutte, ma alla fine la nazione è riuscita a riunirsi; è diventata forte come l’acciaio e ha avuto la meglio, contro ogni previsione.
Se ora il Vietnam soccombe alla propaganda straniera, al sabotaggio e alla sua stessa ‘quinta colonna’, tutti i grandi sacrifici sarebbero stati fatti invano.
In anni e decenni recenti, sono stati fatti dei gravi errori, ma il paese sta continuando ad andare avanti, la vita sta migliorando e le prospettive sono luminose. Negare questa realtà sarebbe una chiara dimostrazione o di ignoranza o di intenzioni estremamente ostili. Questa conclusione non dovrebbe essere mai perduta, mai trascurata e mai data per scontata!
Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha scritto articoli sulle guerre e i conflitti in dozzine di paesi. Tre dei suoi libri più recenti sono: il romanzo rivoluzionario “Aurora”, e due opere di successo di saggistica: “Exposing Lies of the Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” )[Lotta contro l’imperialismo occidentale].Guardate altri suoi libri su: http://andrevltchek.weebly.com/books.html
Andre sta realizzando documentari per teleSUR e Al-Mayadeen.. Dopo aver vissuto in America Latina, in Africa e in Oceania, Vltchek attualmente risiede in Asia Orientale e in Medio Oriente e continua a lavorare in tutto il mondo. Può essere raggiunto sul suo sito web http://andrevltchek.weebly.com e su Twitter