domenica 29 gennaio 2017

Il muro condiviso

Luciano Granieri


Non tutti se l’aspettavano  ma, appena insediato, Donald Trump ha iniziato a menare fendenti  terribili.  In sequenza:  ha abolito l’Obamacare (il sistema sanitario che estendeva la protezione alle persone più povere), ha interdetto   per 120 giorni l’ingresso di immigrati ,con  visto,  provenienti da sette paese a maggioranza islamica, Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, ha bloccato i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero. E, fra le altre cose, ha deciso la costruzione del muro  ai confini con il Messico per fermare l’ingresso degli immigrati, prevedendo   di far sostenere i costi di edificazione ai messicani stessi, imponendo   una tassa del 20% sulle merci importate dal Paese centro americano.  

Costernazione e stupore hanno pervaso nella comunità internazionale. Le facezie che si riteneva fossero  materia di campagna elettorale, sono diventati provvedimenti veri. Ma non tutto quanto sopra descritto è farina del sacco di Trump. Ad esempio la costruzione di 1100 km di barriere, fortemente presidiate,  ai confini con il Messico,  è stato  oggetto della legge “Secure Fence Act” presentata dall’amministrazione Bush  il 29 settembre del 2006. Il provvedimento  fu votato anche da ventisei senatori democratici, fra cui Barack Obama e Hillary Clinton, cioè dall’attuale rimpianto iperdemocratico  Presidente uscente, e da colei che avrebbe dovuto sostituirlo se non avesse perso le elezioni. 

Come mai questa presa di posizione degli eminenti, aperti, spiriti democratici a favore del muro,  in linea con l’attuale posizione del becero,  beluino Trump? Quel muro serviva. Ne iniziò la costruzione nel 1994  un altro democratico,  Bill Clinton, il     consorte della candidata perdente alle ultime elezioni. Erano i tempi in cui entrava  in vigore il Nafta, l’accordo di libero commercio nord-americano fra Stati uniti, Canada, Messico. In quell’accordo era prevista la libera circolazione dei capitali , dei capitalisti, ma non dei  lavoratori. A  questo serviva il muro.  

L’economia messicana fu devastata da quel programma . Il Paese centro-americano venne  invaso dai prodotti agricoli statunitensi e canadesi  a basso costo, perché sovvenzionati   dei rispettivi Paesi di provenienza. Ciò determinò    il  crollo della produzione locale.  Lungo la linea di confine, nella parte messicana, quella fortificata dal muro, si moltiplicarono le maquilladoras, aree in cui  sorgevano insediamenti industriali posseduti e controllati  delle multinazionali statunitensi. Qui    operava,  e opera, manovalanza messicana  a basso costo, composta per lo più da ragazze  e giovani donne,  soggette a turni massacranti,  con salari da fame e diritti sindacali inesistenti. 

Il muro non impediva alle grandi multinazionali di esportare, in regime di esenzione fiscale,  semilavorati o componenti da assembleare nelle  loro fabbriche delle maquilladoras. Il prodotto finito, realizzato a costi irrisori,  grazie allo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori messicani , ripassava il muro  dal Messico agli  Stati Uniti  e qui veniva commercializzato consentendo  alle grandi compagnie di realizzare profitti altissimi. Le  miserrime condizioni delle maquilladoras, spingevano i lavoratori a tentare di scavalcare le barriere  per cercare  miglior fortuna  in America, ma qui trovavano l’esercito e la polizia a  rimandarli indietro o ad eliminarli. 

Certo  il muro di Trump è meno permeabile, perché, oltre a interdire il passaggio delle persone, blocca anche quello delle merci, o almeno impone dazi elevatissimi. Ma siamo certi che gli effetti della barriera voluta dai  Clinton, marito e moglie,  Bush e Obama siano meno crudeli di quelli provocati da Trump?  

Non voglio  osannare Re Donald, come fanno i cosiddetti populisti di casa nostra, la cosa  mi ripugna.  Sono convinto anch’io che ci troviamo in una fase molto  complicata, con la sicura  regressione di quei pochi diritti, civili e sociali , che un’America sempre prigioniera del pregiudizio razziale e di censo,  aveva  concesso ai "diversamente" bianchi e ricchi nell’era Obama .  Però i miliardari sostenitori democratici,  fautori del muro permeabile ai capitali e non ai lavoratori, se la sono voluta. Hanno favorito, attraverso primarie taroccate, la corsa del loro cavallo  preferito Hilary Clinton, contro il blasfemo, per la religione liberista,  Bernie Sanders,   e ora si trovano a contrastare un moloch  fascista e razzista. 

Se Sanders avesse vinto le primarie, cosa che sarebbe potuta accadere senza imbrogli, sono sicuro avrebbe prevalso su Trump. Oggi il muro con il Messico non sarebbe un problema, i lavoratori avrebbero potuto circolare liberamente, forse i capitali un po’ meno.  Le multinazionali avrebbero realizzato meno profitti, ma l’America sarebbe diventata un Paese molti più civile e democratico.


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