martedì 24 gennaio 2017

La lotta dei lavoratori Tim contro i tagli per la difesa del posto di lavoro

Mauro Mongelli lavoratore Telecom


Da alcuni mesi i lavoratori e le lavoratrici della Tim si stanno mobilitando con presidi e scioperi in tutta Italia, per contrastare la politica di tagli imposta dai nuovi vertici aziendali: le agitazioni sono iniziate a partire dal 6 ottobre 2016 e non accennano a placarsi.
Il maggior azionista di Tim, azienda che conta circa 50 mila dipendenti, sono ora i francesi di Vivendi, ed è diretta dall’amministratore delegato Flavio Cattaneo.
Nel corso dell’incontro del 6 ottobre 2016 i vertici aziendali hanno consegnato al coordinamento nazionale delle Rsu e alle organizzazioni sindacali la lettera di disdetta dei contratti integrativi del 14 e 15 maggio 2008, con efficacia 31/01/2017, e una proposta aziendale di rinnovo della contrattazione di secondo livello. Disdetta e proposte, tutte peggiorative, della contrattazione aziendale hanno l’obiettivo di far ricadere pesantemente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici di Tim la riduzione dei costi di 1,6 miliardi di euro per il piano 2016/2018: gli accordi saranno lo strumento per “limitare il costo del lavoro e quello di produzione” con il ricatto della “salvaguardia dei livelli occupazionali”. Circa 30 mila lavoratori sono da 6 anni in contratto di solidarietà.
Alcune delle proposte contenute nelle ipotesi di accordo proposto dall’azienda sono: l’ingresso del Jobs act nelle scelte aziendali in termini di demansionamento dei lavoratori fino a 2 livelli ed il controllo individuale a distanza; l’imposizione di programmare i permessi ex-festività (permessi a ore usufruibili per motivi personali, familiari ecc.), la cui non-fruizione comporterà una contestazione di insubordinazione e quindi il rischio di licenziamento; la riduzione del valore dei buoni pasto per i lavoratori part-time; lo straordinario obbligatorio, non pagato, con recupero ore extra scelte dall’azienda; il blocco degli scatti di anzianità; per l’orario di lavoro viene introdotto il concetto di prestazione effettiva dell'orario settimanale e la flessibilità dell'orario di lavoro giornaliero (da un minimo di 5 ad un massimo di 10 ore); la riduzione delle ferie di 2 giorni; l’esternalizzazione di alcune attività.
In pratica, la nuova piattaforma prevede pesanti arretramenti sia normativi che economici, il tutto finalizzato, per la nuova dirigenza, al raggiungimento di un bonus pari a 55 milioni di euro, che prevedibilmente lascerà l’azienda una volta intascato (come dire “prendi i soldi e scappa”).
A fronte di tutto ciò i lavoratori si sono e si stanno mobilitando per mettere un freno a questa proposta scellerata. Scioperi a sorpresa, assemblee, presidi a cui partecipa il movimento degli autoconvocati “giubbe rosse” (vestiario in dotazione ai tecnici Tim) si sono svolti in tutta Italia.
Il 13 dicembre si è svolto lo sciopero, per l’intero turno di lavoro, indetto da tutte le organizzazioni sindacali (Confederali e sindacati di base) presenti in azienda. I sindacati di base lo hanno poi esteso a tutto il settore delle telecomunicazioni. Partecipatissime manifestazioni si sono svolte in 12 città, dando visibilità al malcontento e rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici di Tim, che hanno risposto con un’altissima adesione a questo sciopero (in percentuale quasi l’80% di partecipazione). I lavoratori e le lavoratici della Tim non subiranno passivamente l’ennesimo attacco padronale e lotteranno per rispedire al mittente le proposte della contrattazione aziendale.
A ciò si deve aggiungere la lotta per il rinnovo del Ccnl Tlc scaduto il 31/12/204. Un settore, quello delle telecomunicazioni, che primeggia per cessioni, esternalizzazioni, delocalizzazioni e costanti peggioramenti nelle condizioni quotidiane di vita dei lavoratori e delle lavoratrici: il 2016 infatti si è chiuso con il dramma dei 1660 licenziamenti della sede di Roma del call center Almaviva contact.
I lavoratori e le lavoratrici del settore Tlc sono in lotta per ottenere un Ccnl, con più diritti e più salario, per respingere rinnovi contrattuali a perdere, come quelli firmati per i metalmeccanici, statali e chimici.

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