Non da ieri abbiamo cercato con speranza e tenacia di proporre un modello di sviluppo, di qualità della vita, che andasse oltre le vecchie logiche che hanno imperato nel Frusinate dai tempi del boom economico. Un modello “Ruhr” capace, nel Sito di bonifica di Interesse Nazionale della Valle del Sacco, di coniugare ecodistretti industriali, archeologia industriale, contratti di fiume, promozione di energie autenticamente rinnovabili, sviluppo delle notevolissime potenzialità del turismo storico-artistico, promozione delle eccellenze agricole e dell’enogastronomia. La risposta delle istituzioni è sempre stata in fondo inconcludente, nonostante temporanei sprazzi di apertura. E mai come ora si può apprezzare il colpo di coda delle suddette vecchie logiche.
Logiche che, storicamente di matrice trasversale, sembrano assumere negli ultimi anni, non si può tacerlo, una connotazione politica locale più definita, considerato che l’attuale assessore all’ambiente regionale proviene dallo stesso partito e dalla stessa provincia del deputato ed ex presidente della provincia alfiere del progetto di aeroporto con annessa megavariante ASI, ora oggetto di procedimento penale per peculato, che a prescindere dai suoi esiti per gli indagati sembra potersi dire il definitivo suggello del fallimento di tale mostruosità economico-ambientale.
Si apprende oggi dalla stampa che il nuovo contratto Saf proposto ai sindaci prevede, in sostanza, la trasformazione di un impianto di differenziazione provinciale in un ricettacolo dei rifiuti di tutta la regione. La stessa Saf, insieme alla discarica di Roccasecca, è uno dei poli di una grande inchiesta sui rifiuti, nota solo da una settimana, condotta dalla Forestale, ora parte dell’Arma dei Carabinieri e nel caso potenziata dall’apporto del NOE. In tale inchiesta, in cui si seguono le tracce dei rifiuti che da Roma migrano nel Frusinate, è cardinale il ruolo dei laboratori di analisi, che con compiacenza avrebbero mutato i codici dei rifiuti declassificandoli come non pericolosi, come in altri casi hanno compiacentemente alterato i dati sulle emissioni industriali. Peraltro il trattamento dei rifiuti sarebbe stato largamente inadeguato e causa dei fastidi che da anni affliggono le popolazioni locali.
Non si può chiudere gli occhi e far finta di non sapere che la maggior parte degli impianti di rifiuti e industriali ad alto impatto ambientale di fatto hanno quasi sempre violato la normativa. Non basta auspicare un’attenzione ancora più elevata da parte di Arpa, Forze dell’ordine e Procura. Bisogna avere la chiara consapevolezza che autorizzare un impianto di trattamento dei rifiuti o industriale ad alto impatto ambientale significa dire di no al futuro e alla salute e accontentarsi di campare, poco e male, delle briciole, anche in un momento di crisi economica.
Particolarmente significativa una zoomata sull’area nord della provincia. Qui troviamo in ballo il rinnovo dell’autorizzazione alla termovalorizzazione (=incenerimento) dei pneumatici da parte di una ex azienda produttiva, la Marangoni, con l’apprezzabile opposizione del Comune di Anagni. Lo stesso Comune dovrebbe a nostro avviso opporsi ad un impianto che desta grande preoccupazione, ancor più che per il processo produttivo inertizzante ceneri pesanti di termovalorizzatore nel gres porcellanato, per il modo in cui saranno effettivamente gestite tali ceneri, ovviamente altamente inquinanti. 70-90 posti di lavoro valgono questo enorme rischio? Segnano forse una discontinuità con le logiche del passato? Tale progetto, proposto da Saxa Gres spa, è stato peraltro bocciato dall’Area Valutazione Impatto Ambientale della Regione Lazio, in quanto incompatibile con la normativa ambientale italiana, salvo rientrare in pista tramite una sperimentazione sotto il controllo (disinteressato?) di un’università, ammessa dalla normativa europea. Sperimentazione auspicata pubblicamente dagli stessi due esponenti politici ricordati sopra. L’associazione Civis ha sottolineato che la società Energia Ambiente srl, che ha recentemente presentato in Regione il progetto di un impianto di biodigestione e compostaggio da circa 84.000 tonnellate annue in zona industriale di Anagni è controllata, come Saxa Gres, dalla stessa holding con sede a Malta. Tutto legale, ma possiamo parlare propriamente di processi produttivi? Evidentemente la mission appare un’altra. Sembra dunque costituirsi de facto nella zona ASI di Anagni un distretto industriale dello smaltimento del rifiuto, vista anche la fresca notizia dell’autorizzazione dell’impianto proposto da Tecnoriciclo Ambiente srl trattante circa 30.000 tonnellate annue di rifiuto, di differenziazione e riciclo (il che non è certo male) e di produzione di Combustibile Da Rifiuto e di Combustibili Solidi Secondari (male, invece, perché funzionale al ciclo dell’incenerimento, magari di Colleferro).
Tutti questi impianti sono largamente superiori ai fabbisogni d’area e provinciali, nell’assenza di una aggiornata programmazione regionale, con scarsa attenzione per lo stesso piano regionale di qualità dell’aria, per non parlare del rispetto che meriterebbe un territorio oggetto di bonifica nazionale. E con ogni probabilità, sulla base di considerazioni puramente statistiche, almeno alcuni di tali impianti regalerebbero tanti elementi di cronaca giudiziaria al futuro, mentre le patologie correlate farebbero per lo più meno clamore.
Senza un nuovo modello di sviluppo, coraggioso, intelligente e lungimirante, non potranno che perpetuarsi le dinamiche del passato, con l’unica sostanziale differenza del tendenziale spostamento dalla produzione industriale ad alto impatto ambientale allo smaltimento dei rifiuti. E gli amministratori, anche quelli più onesti e disinteressati, per non parlare degli altri, si troveranno schiacciati dal diktat di accettare qualche decina di posti di lavoro svendendo il territorio e ogni sua futura prospettiva.
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