lunedì 17 aprile 2017

Marwan Barghouti. “Sciopero della fame per la Libertà e la Dignità”

Ytaly




 Sono oltre mille i prigionieri politici palestinesi reclusi in Israele, in maggioranza di al Fatah, che il 16 aprile hanno iniziato lo sciopero della fame a oltranza indetto da Marwan Barghouti. In un intervento pubblicato dal New York Times nelle pagine OP/ED, il “Mandela palestinese” spiega le ragioni e gli obiettivi della protesta. ytali. l’ha tradotto

Avendo trascorso gli ultimi quindici anni in una prigione israeliana, sono testimone e al tempo stesso vittima del sistema illegale di arresti di massa arbitrari e di maltrattamento dei prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito ogni altra opzione, ho deciso che non ci fosse qui altra scelta se non quella di resistere a questi abusi iniziando uno sciopero della fame.

Qualcosa come mille prigionieri palestinesi hanno deciso di prendere parte a questo sciopero della fame, che comincia oggi, il giorno che qui osserviamo come giornata dei prigionieri. Lo sciopero della fame è la forma più pacifica di resistenza a disposizione. Infligge dolore solamente a coloro che vi partecipano e ai loro cari, nella speranza che i loro stomachi vuoti e il loro sacrificio aiutino a che il messaggio abbia risonanza oltre i confini delle loro celle buie.
Decenni di esperienza dimostrano che il sistema inumano di Israele di occupazione coloniale e militare mira a fiaccare lo spirito dei prigionieri e della nazione alla quale appartengono, infliggendo sofferenze ai loro corpi, separandoli dalle loro famiglie e comunità, usando misure umilianti per costringerli alla sottomissione. Nonostante questo trattamento, noi non ci arrenderemo.
Israele, la potenza occupante, ha violato la legge internazionale in molteplici modi per circa settant’anni, eppure gli è stata garantita l’impunità per le sue azioni. Ha commesso gravi infrazioni della convenzione di Ginevra contro il popolo palestinese. I prigionieri, compresi donne e bambini, non fanno eccezione. Avevo solo quiandici anni quando sono stato incarcerato la prima volta. Ne avevo appena diciotto quando un agente israeliano che m’interrogava mi costrinse ad allargare le gambe mentre ero in piedi nudo nella stanza dell’interrogatorio per poi colpirmi ai genitali. Svenni per il dolore e cadendo mi procurai una cicatrice ancora visibile sulla mia fronte. L’agente, dopo, mi prese pure in giro, dicendo che non avrei mai procreato, perché gente come me dà la nascita solo a terroristi e ad assassini.
Anni dopo, ero di nuovo nella prigione israeliana, guidando uno sciopero della fame, quando nacque il mio primo figlio. Invece dei dolci che distribuiamo per festeggiare una notizia del genere, passavo il sale agli altri prigionieri. Quando aveva poco più di diciott’anni fu a sua volta arrestato per trascorrere quattro anni nelle galere israeliane.
Il maggiore dei miei quattro figli adesso ha 31 anni, eppure io sono ancora qui perseguendo la lotta per la libertà insieme a migliaia di detenuti, a milioni di palestinesi e con il sostegno di tanti nel mondo. Che cosa c’è nell’arroganza dell’occupante e dei suoi sostenitori che li rende sordi a questa semplice verità: le nostre catene saranno rotte prima che lo saremo noi, perché è proprio della natura umana di dare retta al richiamo alla libertà, costi quel che costi.


Israele ha costruito quasi tutte le sue prigioni dentro Israele piuttosto che nei territori occupati. Pertanto, contro la legge e con la forza, ha trasferito civili palestinesi in cattività e ha usato questa situazione per restringere le visite dei familiari e per infliggere sofferenze ai prigionieri attraverso lunghi tragitti in condizioni crudeli. Ha trasformato diritti fondamentali, che dovrebbero essere garantiti sotto la legge internazionale – alcuni dei quali conquistati dolorosamente con precedenti scioperi della fame – in privilegi che il regime carcerario in modo arbitrario decide di concederci o di toglierci.

I prigionieri e i detenuti palestinesi hanno subito tortura, trattamento disumano e degradante e negligenza medica. Alcuni sono stati uccisi mentre erano in detenzione. Secondo l’ultimo rilevamento condotto dal Palestinian Prisoners Club, circa duecento detenuti palestinesi sono morti a partire dal 1967 a causa di queste azioni. I prigionieri palestinesi e le loro famiglie rimangono anche un bersaglio della politica israeliana tesa a imporre punizioni collettive.

Con il nostro sciopero della fame cerchiamo di porre fine a questi abusi.



Nel corso degli ultimi cinque decenni, secondo il gruppo per i diritti umani Adammer, oltre 800.000 palestinesi sono stati imprigionati e detenuti in Israele, circa il quaranta per cento della popolazione maschile palestinese dei territori occupati.

Oggi circa 6.500 sono tuttora in detenzione, tra cui alcuni che hanno la triste distinzione di avere il record mondiale per i periodi più lunghi di detenzione come prigionieri politici. Non c’è quasi una sola famiglia in Palestina che non abbia subito le sofferenze dell’internamento di uno o più dei suoi membri.
Come dar conto di questo incredibile stato delle cose?
Israele ha stabilito un regime legale doppio. Una forma di apartheid giudiziario che consente la virtuale impunità per gli israeliani che commettono crimini contro i palestinesi, criminalizzando al tempo stesso la presenza e la resistenza palestinese. I tribunali d’Israele sono una sciarada della giustizia, chiaramente strumenti di un’occupazione coloniale e militare. Secondo il Dipartimento di Stato, nel novanta per cento dei casi, i tribunali militari emettono verdetti di colpevolezza nei confronti dei palestinesi.

Tra le centinaia di migliaia di palestinesi che Israele tiene in detenzione ci sono bambini, donne, parlamentari, attivisti, giornalisti, difensori dei diritti umani, accademici, figure politiche, militanti, semplici astanti e familiari di prigionieri. Tutti con un unico scopo: sotterrare le aspirazioni legittime di un’intera nazione.

Ciononostante le prigioni d’Israele sono diventate la culla di un durevole movimento per l’autodeterminazione palestinese. Questo sciopero della fame dimostrerà ancora che il movimento dei prigionieri è la bussola che guida la nostra lotta, la lotta per la Libertà e Dignità, il nome che abbiamo scelto per questo passo nel nostro lungo cammino verso la libertà.
Le autorità israeliane e il loro regime carcerario hanno trasformato i diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti sotto la legge internazionale – compresi quelli conquistati dolorosamente con precedenti scioperi della fame – in privilegi che il regime carcerario in modo arbitrario decide di concederci o di toglierci. Israele ha cercato etichettare tutti noi come terroristi per legittimare le sue violazioni, compresi gli arresti di massa, la tortura, le misure punitive e le restrizioni dure. Come parte dello sforzo per minare la lotta palestinese per la libertà, un tribunale israeliano mi ha condannato a cinque ergastoli e a quarant’anni di prigione in un processo-show politico che è stato denunciato dagli osservatori internazionali.
Israele non è la prima potenza occupante coloniale a ricorrere a simili espedienti. Tutti i movimenti di liberazione nazionale della storia ricordano simili pratiche. Ecco perché in molti che hanno combattuto contro l’oppressione, il colonialismo e l’apartheid stanno dalla nostra parte. The International Campaign to Free Marwan Barghouti e All Palestinian Prisoners, a cui l’icona anti-apartheid Ahmad Kathrada e mia moglie, Fadwa, hanno dato vita nel 2013 nella cella in cui fu rinchiuso Nelson Mandela a Robben Island, gode del sostegno di otto premi Nobel per la pace, di 120 governi e di centinaia di leader parlamentari, artisti e accademici in tutto il mondo.










La loro solidarietà mette in evidenza il fallimento morale e politico d’Israele. I diritti non sono concessioni date dall’oppressore, la libertà e la dignità sono diritti universali che sono inerenti all’umanità, e che vanno goduti in ogni nazione e da tutti gli esseri umani. I palestinesi non faranno eccezione. Solo la fine dell’occupazione porrà fine a questa ingiustizia e segnerà la nascita della pace.

Nessun commento:

Posta un commento