giovedì 6 luglio 2017

Immigrazione, la nuova frontiera della bad company

Luciano Granieri



 La questione dell’immigrazione  è vergognosa,  disumana, degradante per l’intera umanità. Il flusso dei migranti in arrivo dal Nord Africa, ma anche da altre parte martoriate del mondo è diventato un fenomeno strutturale.  Fermarlo è impossibile, perché sarebbe come voler bloccare lo scorrere del Gange. 

L’Unione Europea,   tutto l’occidente globalizzato e  I paesi a capitalismo emergente, hanno alimentato, sulla pelle delle popolazioni africane e medio orientali, il profitto della loro good company. Si sono impossessati delle ricchezze naturali di quel mondo, pompando nei serbatoi delle multinazionali    petrolio, gas  ,depredando   il  sottosuolo di materiali come il coltan,  indispensabile per il progresso, ma di chi?    Il coltan è una  ricchezza   soprattutto  se alla sua estrazione sono  destinate le popolazioni schiavizzate,   con una percentuale di sfruttamento di bambini vergognosa .   

La good company ha  sovvenzionato i conflitti  tribali, facendo affari con la vendita di armi. Una dinamica fondamentale.  Da un lato, per il business degli ordigni bellici in se, dall’altro per mantenere la destabilizzazione delle aree di maggiore interesse economico. Un caos ideale per alimentare indisturbati i propri affari, sovvenzionando e corrompendo il dittatorello di turno. E quando la situazione lo ha richiesto non  si è esitato  a incancrenire gli scenari con le famose guerre umanitarie, o acuire  devastanti guerre civili. Per questo non ha senso distinguere fra rifugiati ed immigrati economici. Sono tutti vittime della stessa logica predatoria. 

Nonostante questo la ricetta  proposta  dalla Merkel e da tutto il G20 per il risolvere il problema dell’immigrazione è destinata a incrementare ancora di più gli affari della good company e ad aggravare lo stato di una nuova  bad company, quella del traffico di persone e dei morti in mare. “Compact with Africa”, questo è il nome del piano. “Non un banale aiuto economico ai paesi in via di sviluppo,-sostiene la Merkel- ma un programma che mira ad una globalizzazione più inclusiva” 

Che vuol dire globalizzazione inclusiva?  Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale,e Banca Africana di Sviluppo provvederanno a negoziare con i paesi africani  punti di azione specifici per ogni Stato. Azione, in questo caso, significa favorire ancora gli affari delle multinazionali, le quali, in cambio del loro impegno  economico, potranno usufruire di un “miglioramento del clima per gli investimenti” così è scritto. 

Lo sappiamo cosa significa migliorare il clima per gli investitori: ridimensionare la sovranità degli Stati, presentare un conto elevatissimo alle popolazioni in termini di ulteriore deterioramento dei servizi,  e della definitiva dismissione del ogni minimo diritto sul lavoro. In pratica nel prossimo G20 di Amburgo si proporranno  le stesse ricette avanzate sin dagli  anni ‘80  dimostratesi inefficaci e disumane. Solo che nell’epopea dello storytelling reaganiano e thatcheriano  non c’erano   i kamikaze che terrorizzavano l’occidente, e in fondo al  Mediterraneo nuotavano solo i pesci. 

Lo  sfruttamento dell’Africa non aveva ancora generato la paura che oggi  viene vissuta  al di qua del Mare Nostrum. C’era solo   la good company. Oggi invece lo sfruttamento continuato e reiterato ha rafforzato la bad company. Quella delle immigrazioni di massa.  Questa bad company non la vuole gestire nessuno, e si provvede all’erezione di muri, militarizzazione di confini, chiusure di porti, vergognose querelle sulle meritorie azioni salvifiche in mare  delle organizzazioni non governative, respingimenti, in una parola “rifiuto”. 

Rifiuto di un effetto collaterale causato dalla voracità della good company. Si  è concepita  una nuova e più sofisticata dinamica di profitto che utilizza il dramma degli immigrati per mettere in atto  l’ennesima operazione di devastazione dell’Africa, mascherata da aiuto umanitario, dal cosiddetto “aiutiamoli a casa loro”. 

E’ questa la globalizzazione che creerà inclusione? Sicuramente aumenterà la globalizzazione della disperazione, la quale, includerà un numero sempre maggiore di poveri, di rifiutati, non solo  dai confini  militarizzati ma anche da un sistema economico disumano. 

Globalizzazione dei diritti ed inclusione sociale al di là di ogni confine. Questa dovrebbe essere la ricetta, ma per fare ciò bisognerebbe collettivizzare  la good company, con obbligo di indennizzo alle vittime della bad company.

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