martedì 29 agosto 2017

Trio Lescano, la forza dello swing nell'oscurantismo fascista.

Luciano Granieri




In un  uggioso pomeriggio del novembre 1936, dall’imponente  radio che troneggiava sul mobile più prezioso della sala, la propaganda fascista si alternava a programmi di musica commerciale. Fra uno sfrigolare,  e un proclama del duce, dall’altoparlante incastonato in una solida scatola di legno si diffondevano armonie e melodie orchestrali, a volte banali, a volte intriganti. 

Era l’orchestra Cetra diretta dal maestro  Pippo Barzizza che dagli studi EIAR di Torino, allietava gli ascoltatori con brani di grandi successo. I componenti del gruppo diretto da Barzizza erano fior di musicisti. Molti di loro, al pari del   direttore, erano stregati dai ritmi sincopati che giungevano dagli Stati Uniti. Due eccellenti sassofonisti come Marcello Cianfanelli ,  Sergio Quercioli, il trombonista Beppe Mojetta e il pianista arrangiatore Ezio Gheri erano fra questi. 

In realtà di jazz da quell’altoparlante incastonato nella scatola di legno ne usciva ben poco. Questa musica era considerata dal regime come espressione demo-plutocratica-massonica e dunque vietata. Nonostante l’ostracismo fascista ,  Barzizza riusciva ogni tanto ad intrufolare nella programmazione qualche standard jazzistico, avendo l’accortezza di tradurre i titoli dei brani in Italiano e di attribuirli  ad autori, dal nome chiaramente autoctono. 

Ad esempio qualche volta si potevano ascoltare pezzi  come il classico di Woody Herman “At the Woodchopper’s Ball”, solo che veniva presentato con il titolo  “Al ballo del taglialegna” e il suo autore era Giovanni (Joe) Venuti, il violinista italo americano che mai avrebbe pensato gli sarebbe stata attribuita la paternità  del brano di Herman. In realtà i gerarchi non riuscivano neanche a distinguere un brano di jazz. Si poteva suonare di tutto, basta che il titolo fosse in italiano e l’autore non fosse americano ed ebreo. 

Negli anni fra il 1936 e il 1942 l’orchestra fu  molto attiva sia nelle esecuzioni radiofoniche  che nelle incisioni di dischi. Sedute nelle quali Barzizza e i suoi orchestrali accompagnavano i cantanti dell’EIAR, veri e propri divi della radio. Molte di quelle  esibizioni non avevano nulla di particolare, la solita sdolcinata e sbarazzina sequenza armonica a far da sfondo ad una melodia spesso banale. Ma  fra i molti cantanti che si  esibirono  con l’orchestra Cetra, il trio delle sorelle olandesi Leschan (Lescano era il nome italianizzato) si distaccò non poco dal solito  mieloso  clichè.  

Sandra, Giuditta e Caterinetta, questi i nomi  delle ragazze  , possedevano innegabilmente, un tratto particolare   nel loro modo di rendere la melodia,  vogliamo chiamarlo swing?  Adriano Mazzoletti nel suo libro “Il jazz in Italia” (Laterza)  cosi descrive lo stile del trio: “Le Lescano non furono certamente delle cantanti di jazz, ma possedevano un certo senso del ritmo (Sandra e Giuditta erano state ballerine) e riuscivano a copiare in modo discreto le Boswell Sisters ( un  trio vocale femminile, originario dalla Lousiana, che negli anni ’30 imperversava nei locali e nei teatri americani ndr).  Le sorelle Lescano hanno rappresentato per l’Italia di allora qualcosa di particolare, diverso: quel sottile senso dello swing, quel loro modo di dividere la melodia (così differente da quello dei loro colleghi) quelle voci quasi infantili, ma accattivanti, quel loro accento mitteleuropeo (ma che risentiva dell’influenza americana), le fecero amare da un pubblico a cui piaceva la musica swing”

Sandra Giuditta e Caterinetta Leschan, nate rispettivamente nel 1910,1913 e 1919, la prima a Gouda le altre a L’Aja, erano cattoliche, ma con una madre ebrea. E nel periodo delle persecuzioni razziali, passarono momenti molto difficili. 

Ricorda Sandra,in un’intervista rilasciata a Mazzoletti: “Siamo arrivate a Torino nel 1935, eravamo io mia sorella Giuditta  mia madre, Caterinetta aveva 15 anni ed era in collegio ad Amsterdam. Insomma arrivammo in Italia con un contratto come ballerine. Mia madre era una cantante che aveva sposato un musicista di origine ungherese. A Torino incontrammo, quasi per caso, il maestro Carlo Prato che ci sentì cantare ed ebbe l’idea di formare un complesso vocale. Facemmo venire anche Caterinetta e nacque un trio sul tipo delle Boswell Sisters. Quando facemmo l’audizione all’EIAR venimmo scartate perché la nostra dizione non era piaciuta  ai dirigenti che ci invitarono a riprendere il nostro mestiere di ballerine. Ma tempo dopo, fummo invitate alla Cetra per incidere il nostro primo disco. L’EIAR ci richiamò.  La nostra prima trasmissione venne fatta sotto la direzione del Maestro Petralia. Nel 1936 cominciammo a cantare con Barzizza, poi con Angelini, ed incidemmo tanti dischi con queste orchestre, con Funaro e con tanti cantanti dell’EIAR.  Dopo la promulgazione delle leggi razziali fummo costrette a nascondere nostra  madre (era ebrea ndr) E malgrado fossimo cattoliche, avessimo italianizzato il nostro nome in Lescano, avessimo preso anche la nazionalità del paese che ci aveva dato la celebrità, ci fu qualcuno che per interesse, ci denunciò ai Tedeschi. Erano tre ragazze che volevano prendere il nostro posto e che avevano formato un trio vocale. Fummo costrette ad andarcene e a nasconderci”  


Fra i tanti  dischi incisi dalle Lescano, sia da sole che insieme ad altri cantanti, se ne possono citare alcuni orientate verso un’impostazione prettamente swing: St. Louis Blues, Tuli-Tulip-time, C’è un’Orchestra Sincopata, Danza con me, Non sai tu (con un assolo del sassofonista Marcello Cianfanelli, che era all’epoca geloso fidanzato di Giuditta) . 

Nell’immediato dopoguerra  le Lescano si trasferirono in Sud America. Si sposarono, Giuditta e Caterinetta rimasero in Venzuela , Sandra tornò a Parma  con suo marito, per poi trasferirsi a Salsomaggiore .  

In quell’uggioso pomeriggio di novembre del 1936, dall’imponente radio che troneggiava, sul mobile più prezioso della sala, il prorompente swing del trio Lescano, accompagnato dall’orchestra Cetra del maestro Pippo Barzizza, illuminava l’oscuro scenario  gonfio di nubi e della tensione alimentata dalla propaganda fascista. Un raggio di luce musicale nel buio dell’odio razziale.




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