domenica 15 ottobre 2017

Il giro a Gerusalemme: lettera aperta ai nipoti di Gino Bartali

Ugo Giannangeli

Illustrazione a cura di Luciano Granieri


A Gioia e Giacomo.
Apprendiamo da un articolo del Corriere della sera del 19 settembre che, nella vostra qualità di nipoti di Gino Bartali, siete stati in Israele alla cerimonia di presentazione del prossimo Giro d’Italia riscuotendo grandi applausi. Noi non conosciamo il vostro livello di consapevolezza della situazione in Palestina. Ci piace pensarvi in buona fede ed inconsapevoli della strumentalizzazione in corso della figura di vostro nonno e del Giro d’Italia. Se così è, siete ancora in tempo a prendere le distanze da questa cinica e squallida operazione propagandistica. Questo e non altro è la partenza del prossimo Giro d’Italia da Israele.

Nell’articolo si legge che Miri Regev, ministra israeliana della cultura e dello sport, ha detto che “mai è stato stanziato un budget così alto da Israele per un evento sportivo”. Il motivo è semplice: perché l’evento non è solo sportivo e il significato politico propagandistico che gli attribuisce Israele prevale di gran lunga su quello sportivo. Israele deve rappresentarsi come un Paese normale nascondendo la realtà del suo essere uno Stato su base etnico-razziale, colonizzatore e violentatore del diritto internazionale.

Se ne rende ben conto il nostrano ministro dello sport Luca Lotti quando afferma che “questo giro sarà una sfida sportiva ma anche culturale, un ponte ideale tra Italia ed Israele” (laddove in realtà “culturale” sta per “politica”).

Se ne rende ben conto il direttore della corsa Mauro Vegni quando profetizza che “le strumentalizzazioni saranno all’ordine del giorno”. Vegni dice il vero quando afferma che “non siamo mai andati oltre la linea politica del nostro governo”. E come sarebbe stato possibile andare oltre quando la linea politica del governo italiano è quella di ignorare l’esistenza stessa di una questione palestinese? Andate a rileggervi l’ignobile discorso di Renzi alla Knesset: è stato l’unico uomo politico a non avere neppure accennato alla questione palestinese, neppure con frasi di circostanza. Così pure hanno fatto gli organizzatori del Giro che non hanno preso alcun contatto con i palestinesi neppure per concordare il percorso nella parte palestinese di Gerusalemme. Sì, perché anche questo avviene e mente Vegni quando afferma che “non oltrepassiamo i limiti riconosciuti dello Stato di Israele”. Così non è e i 10 chilometri della prima tappa a cronometro includeranno anche Gerusalemme est, occupata nel 1967 e da allora luogo di espansione (come tutta la Cisgiordania) di quella colonizzazione condannata ripetutamente e vanamente dall’ONU, da ultimo nel dicembre dello scorso anno con la risoluzione n. 2334.

Israele non ha “limiti riconosciuti”, non ha confini dichiarati. In modo neppure troppo celato Israele vuole dimostrare che Gerusalemme è tutta israeliana (e, quanto prima, sua capitale come da aspirazione più volte esternata).

Non è casuale che questa operazione propagandistica avvenga in occasione del 70° anniversario della nascita dello Stato di Israele (l’anno in corso ha visto il 100° anniversario della Dichiarazione di Balfour e il 50° della occupazione del 1967).
Il 2018 sarà, però, anche il 70° anniversario della Nakba (Catastrofe): 385 villaggi palestinesi rasi al suolo, quasi 15.000 uccisi, 770.000 espulsi dalle case e dalle terre.

Complessivamente nel 1948 è stato occupato il 78% della Palestina mandataria e sono stati espulsi i 2/3 della popolazione palestinese. Nei tre anni successivi il numero dei centri abitati distrutti salirà a 475 e quello dei profughi ad oltre un milione.
I corridori pedaleranno quindi sulle macerie dei villaggi distrutti ma non ne leggeranno i nomi perché sono stati cancellati dalla carta geografica e dalla memoria (non quella dei palestinesi). Tutti i villaggi ebraici che saranno attraversati sono stati costruiti al posto di quelli palestinesi. Moshe Dayan in una intervista ad Haaretz del 4 aprile 1969 disse: “Villaggi ebraici furono costruiti al posto di quelli arabi. Oggi voi ignorate persino i nomi di quegli antichi insediamenti e non è colpa vostra perché non esistono libri di geografia che ne parlano. Anzi, non solo non esistono più quei libri, ma non esistono più neppure quei villaggi. Nahalal è sorto al posto di Mahalul, Gevat al posto di Jibta, Sarid al posto di Haneifs e Kfar Yehoshua al posto di Tel Shaman. Non c’è un solo luogo in questo paese che non fosse stato prima abitato da popolazioni arabe”.

Altro che “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”!

I sionisti non hanno avuto remore a speculare sulla Shoah (leggete il libro di Finkelstein “L’industria dell’Olocausto”), figuriamoci sulla figura di vostro nonno o su una corsa ciclistica.

L’articolo del Corriere mostra anche una foto di due ciclisti israeliani insieme al campione turco Ahmet Orken, professionista assoldato dalla squadra israeliana. Sulla maglia di Orken compare quella mezzaluna che è effigiata anche sulle autombulanze della Mezzaluna rossa, quelle bombardate dagli aerei e dai cannoni israeliani mentre prestano soccorso durante gli eccidi del 2008/9, 2012, 2014. Orken è un professionista e certamente l’uomo d’affari milionario canadese-israeliano Sylvian Adams, grande finanziatore della operazione, non gli avrà lesinato danaro in fase di ingaggio. Anche vostro nonno era un professionista ma certamente, vista l’intera sua vita e la sua attività a favore degli ebrei, aveva un alto senso di giustizia e nobili ideali. Uno storico ebreo, Bruno Segre, ha detto che i palestinesi sono gli ebrei del nostro tempo. Oggi “Ginettaccio” sarebbe al nostro fianco, a fianco dei palestinesi e pedalerebbe sì per le vie di Gerusalemme ma sventolando una bandiera palestinese per farsi portavoce di questo popolo oppresso ed espropriato.

Ne siamo sicuri.

E non solo noi: uno dei fondatori del celebre Museo del ciclismo del Ghisallo, Paolo Ceruti, ha detto in una intervista al quotidiano “La Provincia” di Como del 20 Settembre: “Ho conosciuto Bartali, così lo strumentalizzano” E prosegue: “questa scelta va contro lo spirito di pace dello sport. Il Giro con partenza da Gerusalemme di fatto offende ed umilia i palestinesi e quanti si battono, compresi anche molti ebrei, per una soluzione equa in Terra Santa… Il voler giustificare questa scelta con quanto fatto da Bartali durante la seconda guerra mondiale è solo un espediente. Nessuno si permetterebbe mai di contestare un omaggio a Bartali, ma realizzato in questo modo diventa solo una strumentalizzazione di cui si poteva fare a meno”.

I responsabili della Fondazione che gestisce il Museo del ciclismo prendono le distanze dalle sue parole e, dimostrando di non avere capito nulla (nella migliore delle ipotesi), replicano: “La politica resti fuori dallo sport”, quando è palese che è stato Israele ad utilizzare lo sport per la sua operazione politico-propagandistica.

Vi invitiamo, pertanto, a riflettere sulla strumentalizzazione di cui è vittima vostro nonno e a prendere le distanze da una cinica operazione politica che offende i palestinesi ma anche il grande Gino.
Ottobre 2017

Ugo Giannangeli - Coordinamento lombardo solidarietà Palestina

( Fonte: Infopal.it )

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