Le lobby israeliane e la politica americana
Grant F. Smith traduzione di Luciano Granieri
Dale Sprusansky: Grant Smith è il direttore dell’Istituto
per la ricerca sul rinnovamento delle politiche per il Medio Oriente. E’
l’autore del libro, pubblicato nel
2016:” La Grande Israele: Come le Lobby Israeliane muovono
l’ America”. Un’opera che si occupa
della storia, dei ruoli e delle attività di efficienti organizzazioni
israeliani operanti negli Stati Uniti . Grant ha inoltre scritto due storie non
ufficiali dell’AIPAC e molti altri
libri.
La sua organizzazione di sondaggi è costantemente al lavoro all’interno
del Freedom of Information Act (FOIA), è sempre al lavoro , e ha scoperto importanti documenti riguardanti,
in modo particolare, il programma
nucleare israeliano. Potremmo dire poco sull’argomento se molte persone non
lavorassero così intensamente come fa Grant. Considerando
le sue frequenti ricerche, le sue
apparizioni nel tribunale del FOIA, i suoi sondaggi le sue E-Mail delle 5 del mattin ,possiamo realmente affermare che
Grant è un One Man Machine.
Oggi, ci rivelerà i dati di alcuni sondaggi condotti dalla
sua organizzazione e da altre agenzie sugli aiuti americani ad Israele.
Grant Smith: Grazie
Dale, l’opinione del pubblico rivelata dai sondaggi è molto importante,
ovviamente, ma non c’erano molte considerazioni da fare in relazione alle domande su cosa la gente pensi dei programmi
fondamentali delle lobby israeliane. Ma qualcosa oggi è destinata a cambiare. I
sondaggi che stiamo per analizzare, in relazione al contributo che potrebbero e
dovrebbero offrire gli eletti, coloro i quali sono incaricati di agire nell’interesse pubblico, rimarcano che in merito
ai programmi della lobby israeliane
prese in esame, si sta verificando un
distacco crescente fra ciò che pensa
l’opinione pubblica e le azioni
governative pianificate in favore di
queste .
L’anno scorso ho qui trattato della nascita delle lobby
israeliane negli Stati Uniti, la loro crescita, la loro grandezza, il loro
organigramma, e la loro organizzazione operativa . Su questo argomento era
incentrato il mio libro “La Grande Israele”in
cui ho illustrato come un patrimonio di 3,7 miliardi di dollari detenuto da organizzazioni no profit sono in campo per arrivare ad ottenere nel 2020 un profitto di 6,3 miliardi.
14.000 impiegati, 350.000 volontari, una membership con remunerazioni pari a 774mila dollari, congiuntamente a
campagne per finanziamenti di infrastrutture, ingenti donazioni individuali ,oscure
azioni politiche di diversi comitati, contribuiscono a consolidare gli aiuti americani che Israele altrimenti mai avrebbe potuto avere. Tutto ciò apparirà
in un luminoso display quando 15.000 membri dell’AIPAC si riuniranno il prossimo week end nel loro congresso annuale. Comunque ritorniamo alle lobby e a
ciò che gli Americani pensano dei loro programmi.
Le indagini che di
seguito sto per mostrarvi sono state
condotti dall’Istituto di Ricerca per i
Consumatori di Google, l’unico e più accurato servizio di sondaggi disponibile
oggi in America .
Diamo un’occhiata a
cosa gli Americani pensano del singolo e più importante programma in base al
quale Israele sta ottenendo aiuti da
parte del Dipartimento di Stato Americano,
inclusi armamenti avanzati,
finanziamenti per le aziende di armi israeliane
orientate all’esportazione. Tale
programma è compreso nel memorandum d’intenti
decennale , altrimenti noto come MUOs
Il MUOs decennale che
ci accingiamo ad analizzare sovraintende all’intera questioni dei piani d’armamento nucleare israeliani che sono sul tavolo.
Gli Stati Uniti hanno provveduto, a fornire 254 miliardi di finanziamenti conosciuti
ad Israele, più di ogni altro paese. Ora
c’è stato un recente tentativo da parte di studiosi come il Prof. Hillell Frisch
finalizzato a spostare la questione
affermando che Giappone, Germania e Sud
Corea sono i maggiori destinatari di aiuti.
Naturalmente questa notazione è errata.
Giappone, Germania e Sud Corea sono in un’altra categoria, quella degli alleati
di frontiera. Le spese per le alleanze militari con contribuzioni da entrambe
le parti impongono obblighi reciproci minimamente comparabili con gli aiuti ad Israele con non ha alcun
obbligo.
Quando è stata resa nota questa notizia il 60% degli americani ha ritenuto che gli aiuti stranieri americani ad Israele fossero
veramente troppi. Queste conclusioni possono ritrovarsi nei sondaggi di Shibley Telhami e in altri di
Gallup. Il risultato si è confermato
costante nel tempo. Gli ultimi anni, 2014-2015-2016 hanno mostrato lo stesso esito
. Gli Americani che hanno risposto al sondaggio sapevano che gli aiuti
israeliani si potevano quantificare
intorno al 9% del totale del budget destinato ai finanziamenti stranieri. Ma questa domanda sarà destinata a
cambiare in futuro, secondo Dale, fino a quando non si attuerà la proposta dell’amministrazione Trump di
ridurre il budget al Dipartimento di Stato, mantenendo inalterati gli aiuti ad
Israele. Quando ciò accadrà Israele otterrà
fondi per il 10,il 20, 30% dell’intero
budget? Ancora non lo sappiamo.
Nel Memorandum d’Intenti del settembre 2014, gli Stati Uniti
garantiscono un MOUs che va oltre I 10 anni. Non ci sono obblighi per Israele e oltre il 28% dei fondi potrebbe essere investito nelle industrie di
proprietà israeliane orientate all’esportazione, questo è l’ultimo di una serie
di impegni. In pubblico è stato detto che ciò garantirà il livello qualitativo
militare di Israele.
Quando il Congresso approva gli aiuti a favore di Israele li
presenta in un documento da sottoporre
alla firma del presidente , entrambi (congresso e presidente) confidano in un sotterfugio ,cioè che gli Stati Uniti, non
possono realmente conoscere se Israele possieda armi nucleari. In base al protocollo di controllo sull’esportazione delle armi (Arms Export Control Act), ogni
volta che gli Stati Uniti pianificano aiuti militari devono conoscere quali sono le potenze che non hanno firmato il trattato di
non proliferazione delle armi nucleari. Nel 2012 sotto la crescente pressione
esercitata da una giornalista Helen Thomas, l’amministrazione americana di Obama,
emanò un ordine di censura che punì alcuni impiegati e funzionari federali i quali diffusero informazioni, che
molte persone già conoscevano, sull’entità di armamenti nucleari in possesso di
Israele.
Da un sondaggio sulla pubblica opinione, primo nel suo genere,
emerge che la maggior parte di Americani
preferiscono un’onesta discussione sugli armamenti nucleari israeliani. Il 52%
si è espresso a favore del fatto che il Congresso avrebbe dovuto tenere in
considerazione la questione nucleare. Ufficialmente il Congresso ha dichiarato di non voler prendere
alcuna decisione sulla tema. Ma sotto la pressione di reporter, della
pianificazione di una serie di azioni
legali per bloccare gli aiuti
statunitensi, incuranti di questi programmi nucleari , e un’ampia azione di denuncia , ciò potrebbe
cambiare.
Di seguito un’intervista di Sam Husseini ( scrittore e attivista
politico direttore della comunicazione dell’ Institute for Pubblic Accuracy, un organizzazione informativa no profit) al Senatore
democratico Chuck Schumer
Sam Husseini: Riconosce
che Israele possiede armi nucleari signore?
Sen. Chuck Schumer:
Non lo so, ma può leggere ciò che scrivono i giornali in merito.
Sam Husseini:
Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?
Sen. Chuck Schumer: E’ un fatto ben noto che Israele possiede armi nucleari, ma il
governo israeliano non ha mai ufficialmente rivelato che tipo di armi possieda, dove siano allocate etc. etc.
Sam Husseini: Potrebbe il governo degli Sati Uniti essere più franco
Sen. Chuck
Schumer: Ok sarà così.
Grant Smith: Questo
era Sam Husseini . Nel 1985 Isreale e le
sue lobby erano le forze primarie che
offrivano accessi preferenziali
nel mercato statunitense ad aziende esportatrici
israeliane. Questa dinamica fu definita come
il primo accordo americano sui liberi affari. Siccome le aziende e le forze
sindacali americane erano unanimemente contrarie a ciò, un agente clandestino dell’Ambasciata
Israeliana intercettò un rapporto segreto di 300 pagine contenente dati industriali riservati di proprietà dell’ITC ,
e li usò per aiutare l’AIPAC a
neutralizzare la contestazione. Ciò fu l’oggetto di un indagine dell’FBI e classificato come un problema di controspionaggio.
Come probabilmente ci si sarebbe potuto aspettare da tali
processi, essi sostituirono un bilanciato rapporto commerciale con un cronico squilibrio a favore di Israele.
Infatti alla presenza
di un’inflazione stagnante , l’accordo di liberi affari fra gli Stati Uniti ed Israele è il peggiore
mai realizzato con un deficit cumulativo pari a 144 miliardi di dollari.
In quest’epoca di disapprovazione popolare di accordi
commerciali, comprendenti fra gli altri l’iniziativa della partnership
trans-pacifica o i liberi accordi
commerciali nord americani, una volta
appreso dell’accordo di libero scambio con Israele, il 63% degli americani avrebbe voluto rinegoziarlo o cancellarlo.
Un altro pessimo affare, in campo da molto tempo, concernente Israele e le sue lobby riguarda lo spostamento dell’ambasciata
americana a Gerusalemme. Sin dal 1948 Israele ha tentato di persuadere le
ambasciate straniere ricollocarsi a
Gerusalemme, la cui ripartizione è sancita
da accordi internazionali . Ma ,
sfruttando le aspirazioni presidenziali di Bob Dole, nel 1995 l’organizzazione
sionista d’America e l’AIPAC hanno sostenuto una legge, per altro approvata, in cui si prevedeva di de-finanziare il bilancio del Ministero Degli Affari esteri
se l’ambasciata non fosse stata trasferita. Il presidente statunitense di
allora si rifiutò di dare corso alla norma, ma ci sono oggi molti fautori di
questo trasferimento presso l’amministrazione Trump .
Gli Americani non sono così entusiasti di essere
coinvolti nel valutare questa
situazione. Le lobby israeliane degli Stati Uniti, vogliono che l’ambasciata
americana venga trasferita da Tel Aviv a
Gerusalemme. Nessun altro Paese, nel rispetto degli accordi
internazionali, opponendosi a tale trasferimento ha fatto pressioni in questo senso. Il 56% degli americani si è espressa contro il trasferimento
dell’ambasciata , mentre il 38% si è rivelata a favore. C’è una rinnovata
spinta affinchè si ritorni ad una politica di accordi poco trasparenti fra
Israele e Stati Uniti. Questa politica e particolarmente sostenuta dal Primo
Ambasciatore Israeliano negli Stati Uniti. Michael Oren sostiene che Stati Uniti ed Israele possono anche non
essere d’accordo su alcune questioni , ma non mostrarlo apertamente , in quanto ciò
rafforzerebbe i comuni nemici e renderebbe Israele vulnerabile. Naturalmente tale politica beneficia grandemente
Israele, come merce di scambio , questa può speculare sull’apparenza di un
incondizionato supporto degli Stati Uniti nelle proprie relazioni . Quindi è in corso un grande sforzo in questo senso .
Gli Americani, quando si sono espressi e sono stati invitati ad esprimersi su
Israele e le sue lobby americane , in particolare sull’affermazione:”Israele e
le sue lobby americane non desiderano una politica alla luce del giorno, il presidente non condanna gli insediamenti israeliani in Palestina, fornisce aiuti economici e un supporto in seno
all’ONU” La maggior parte , il 56%, la
maggioranza sostiene che non dovrebbe esistere una politica occulta.
Abbiamo qui con noi oggi Maria LaHood, la quale potrà
fornirci un ottimo lavoro descrivendo cosa è Boycott, Disinvestiment and
Sanctions (BDS) , un movimento che
cerca il
supporto internazionale affinchè si ponga fine all’oppressione
israeliana in Palestina e si oppone allo
sforzo delle lobby israeliane nel proporre leggi che blocchino le
attività del movimento stesso
sancendone l’illegalità in tutto
il paese .
Dunque dirò solo che le campagne dirette di raccolta fondi
messa in campo dalle lobby israeliane sono virtualmente ed inequivocabilmente
focalizzate a fermare BDS, come l’iniziale, attuale, programma prioritario
dimostra. E’ estremamente palese. E’ l’obiettivo numero uno.
Domanda: “Israele e
le sue lobby americane vogliono una politica non alla luce del giorno un
presidente che mai apertamente critica gli insediamenti israeliani in
Palestina, che ha fornito miliardi in
aiuti e supporto diplomatico nel consesso dell’ONU”
Ma gli Americani sono ambivalenti .Quando gli abbiamo
sottoposto un sondaggio sul BDS il 60%
né supporta né si oppone alle leggi
riguardanti l’organizzazione , il 21% si oppone ad esse e il 18% le
approva. Quindi gli americani non seguono BDS, non sono estremamente in
sintonia con esso , non concepiscono nemmeno
l’idea di un
singolo centro di potere che fa pressioni su un solo paese straniero.
Quella che segue penso sia la più importante indagine del sondaggio perché ci porta nel cuore
dell’intero meccanismo per il quale le lobby hanno accumulato una così grande influenza nell’orientare
campagne di finanziamento. Il fatto è questo. Il sistema parte dalla selezione di candidati cui
finanziare la campagna elettorale, raccogliendo
fondi attraverso l’azione spesso poco chiara di
alcuni comitati . Ciò allo scopo di eleggere politici impegnati
ad assicurare leggi pro Israele e a favore dei più grandi finanziatori
israeliani . Janet McMahon e due primari
membri del congresso, parleranno di questo, ne sono sicuro.
Il 71% degli Americani non approva questo sistema .
Probabilmente non sanno perché i lobbisti per Israele non
parlano lungamente di armi e diplomazia per il loro Paese. Parlano del
mantenimento delle relazioni
privilegiate fra Stati Uniti ed Israele e c’è una ragione legale per questo. I
lobbisti per Israele, compreso un
veterano come Abrham Feinberg e il
fondatore di AIPAC Isaiah Kenen, nei
loro scritti e nei loro discorsi erano molto più franchi all’inizio. Loro
affermavano onestamente che il loro
obbiettivo erano le armi, i soldi e supporto diplomatico perché Israele ne
aveva bisogno. Non c’era alcuna dichiarazione sul perché l’America avesse
bisogno di Israele.
AIPAC ha indirettamente ricevuto soldi
per iniziare a lanciarsi e oggi lo stretto coordinamento con il governo
d’Israele è ancora in atto. Ma il quadro delle pubbliche relazioni è mutato.
Ora c’è l’unico obiettivo di preservare interessi speciali e valori comuni. Dal 1970 non ci si è posti
alcun problema su cosa le lobby facessero. Il Dipartimento di Giustizia smise
di indagare se alcuni di questi attori
fossero agenti segreti stranieri e quindi
trattarli come tali . E fino a
quell’anno un numero crescente di indagini per spionaggio sull’AIPAC e anche sull’ADL furono avviate , ma poi
tranquillamente insabbiate senza alcun
giustificabile motivo. Il 1970 infatti fu l’ultimo anno in cui il Dipartimento
di Giustizia trattò le lobby di Israele
come possibili componenti dei servizi segreti. Ci furono nel 1962 e 1963 echi
clamorosi su richieste all’IRS (Internal
Revenue Service, dipartimento per il
controllo fiscale ndr ) di verifica del
loro status di esenzione fiscale, ma nulla accadde.
Naturalmente gli Americani sembrano approvare un ritorno a
quei tempi più autentici quando gli
agenti segreti stranieri erano costretti ad adeguarsi a leggi di trasparenza e
non godevano di un potere maggiore rispetto al congresso e agli eletti . Il
66% delle persone coinvolte in questo
sondaggio si sono dichiarati favorevoli
al ripristino di un sistema di norme funzionale a disciplinare queste
problematiche.
Forse ciò è emerso per opera di un coraggioso tipo di giornalismo investigativo che ha
indagato sul coordinamento delle lobby con
i funzionari di governo israeliani, i quali stanno ancora usando tutti i mezzi ,compreso quelli segreti, per vincere. Fra essi è compreso il tentativo di modificare i trattati
sul nucleare stipulati dall’amministrazione
Obama con l’Iran, JCPOA, accolti con
favore dalla maggior parte di
Americani ma inviso ad Israele e alle
sue lobby.
Quindi , grazie ad un giornalismo efficiente è emerso il
controllo che il governo Israeliano ha esercitato sui negoziati con l’Iran, è risultato chiaro come questo si sia offerto di fare tutto quanto fosse necessario verso
singoli membri del Congresso affinchè essi si opponessero alla approvazione di JCPOA , impegnando l’intero
principale establishment: lobby
israeliane-AIPAC-, l’ADL , L’AJC (American Jewish Committee) unito nell’opporsi all’ accordo.
Quindi, in conclusione, una solida maggioranza dell’elettorato
americano, ritiene che gli aiuti americani ad Israele siano
veramente troppi. In verità non approvano
nemmeno i mezzi con cui le lobby hanno
ottenuto ciò che volevano , i fondi, gli impegni unilaterali americani pronti
ad essere mantenuti. Ovviamente è una maggioranza passiva . Nessuna di queste
opinioni o punti di vista si è recentemente tradotta, salvo poche eccezioni, in azioni dirette da parte dei membri del
Congresso. Per cui solo attraverso un’opposizione
attiva , non passiva, che chiaramente oggi sta venendo fuori sarà
possibile rendere gli Americani capaci di convincere il loro
governo a tornare a rappresentare i propri interessi . Solo con l’aiuto di indagini chiare, movimenti di opinione,
sondaggi , solo operando serie ricerche
sui programmi delle lobby di Israele e su cosa gli Americani pensino
della questione, noi saremo in grado di instaurare un processo che prenda il
volo e diventi virale, e parlare in modo da convincere più Americani ad uscire dalla loro passività e iniziare ad
diventare partecipanti attivi, ancora una volta verso il loro governo.
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