“Dopo Auschwitz non è
più possibile la poesia” questa frase fu scritta dal filosofo tedesco di origine ebraica Theodor W. Adorno nel 1949,
poco dopo il suo ritorno in Germania dall’esilio americano. Egli precisò meglio
il senso della frase sostenendo che: “La critica
della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della dialettica di cultura e
barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la
consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie” Molti considerarono queste esternazioni come
la resa degli intellettuali del tempo,
sconfitti dal nazismo e dalla cultura di
massa entro la quale questo si era generato. Su questa posizione
così perentoria lo stesso filosofo ritornò nel 1966, ammettendo di aver
esagerato.
Leggendo le parole di Adorno, non posso fare a
meno di riconsiderare oggi la dialettica cultura-barbarie con un focus particolare
sulla cultura di massa. Dal dopoguerra, in particolare dalla ratifica della
Costituzione, si avviò faticosamente un processo finalizzato al rispetto dei principi di eguaglianza.
Attraverso un percorso accidentato, disseminato di ostacoli ,fermate improvvise,
si era arrivati, alla fine degli anni ’70, ad una evoluzione culturale delle masse orientata verso una democrazia, magari incompleta , ma comunque
consolidata. Basata sulla parità di accesso a quei diritti inviolabili necessari
al pieno sviluppo della persona umana.
A questa evoluzione, oltre all’impegno delle
istituzioni scolastiche pubbliche e degli intellettuali, contribuirono anche i partiti, o almeno certi partiti, allora strumento reale e funzionale alla partecipazione dei cittadini alla vita
politica del Paese. Uno dei massimi
risultati di questo percorso fu l’ottenimento
da parte dei lavoratori di 150 ore retribuite , non solo per seguire corsi di
formazione legati all’occupazione, ma anche
per istruirsi e ottenere quei titoli di studio che non avevano
potuto conseguire prima di accedere al lavoro in fabbrica. Corsi di inglese,
italiano, storia, cineforum ed altre attività culturali erano compresi in questo tempo retribuito.
Come si vede, bene o male, le intere dinamiche sociali erano indirizzate
alla promozione culturale delle masse. Poi, al principio degli anni ’80 del
secolo scorso, tutti gli attori in campo ,
a cominciare dagli intellettuali , abdicarono ad un pensiero unico , all’ineluttabile
egemonia culturale del mercato. Non più solidarietà, ma individualismo, non più
condivisione ma prevaricazione. Si è
avviato un progressivo ma inesorabile
degrado culturale delle masse che, intaccando il principio di eguaglianza, ha
determinato il disfacimento di quell’embrione di democrazia che pure aveva iniziato a vivere nella nostra
società.
Oggi ci troviamo di fronte al
trionfo della diseguaglianza, per cui l’1% della popolazione mondiale possiede
il 90% delle ricchezze globali, lasciando al restante 99% una degradante lotta
per la sopravvivenza. In particolare il rapporto Oxfam rivela che in Italia una
èlite del 20% possiede il 66% della ricchezza
nazionale e il 60% dei più poveri è costretto a spartirsi il 14,8% delle
risorse rimanenti. Un fenomeno del
genere, ormai consolidato ,sta trasformando la comunità. Non più entità composta da cittadini consapevoli, solidali e
attenti alla difesa dei propri diritti, ma un agglomerato
, dove pochi padroni hanno asservito ai
loro capricci una moltitudine (massa?) di schiavi e, fra
questi, alcuni sfogano la rabbia per la loro vita servile contro altri derelitti
come loro. Risentimento, violenza, indifferenza, schiavismo, questi sono
gli elementi che contraddistinguono culturalmente
le masse di oggi.
Si è tornati cioè al predominio della barbarie sulla cultura.
Quello scenario che indusse
Adorno, nel 1949, ad affermare che dopo le barbarie di Auschwitz non era più possibile la poesia. Invece la poesia è necessaria, come ogni forma
d’arte, perché è diffusione di passione di sentimento, di creatività, di ideali, di solidarietà, tutto quanto serve cioè a prendere coscienza di come sia importante l’essere e non l’avere. Ma i poeti ,si sa,
sono pericolosi e allora è meglio zittirli con nuove diffuse e sotterranee
Auschwitz. C’è qualcuno disposto a spendersi
per la libera espressione della poesia, della musica, della pittura,
del teatro, affinchè queste non
soccombano alla barbarie di nuovi olocausti liberisti?
Se ci sono persone disposte a combattere questa
battaglia è bene che si sveglino comincino a lottare. Diamoci da fare perchè è già troppo tardi.
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