martedì 12 giugno 2018

Spagna 1982, un mondiale vinto calcisticamente ma perso ideologicamente.

Luciano Granieri




Dal prossimo 14 giugno rimpiangeremo le belle grigliate che si fanno di solito quando gioca la  nazionale  ai mondiali. Disgraziatamente i leoni azzurri si sono fatte pecore freddolose e hanno capitolato di fronte alla fredda Svezia. Volendo trarre un bilancio su i mondiali di calcio a cui ho assistito nella mia vita,  direi che è positivo. Due competizioni vinte (1982-2006) contro una mancata partecipazione, quella di quest’anno.  In mezzo una serie di brutte figure alternate  a qualche discreta prestazione.  

La vittoria degli azzurri (a proposito, quando si bandirà il colore azzurro dei Savoia dalla maglie delle nazionali?) del 1982 è quella che mi piacerebbe condividere con chi avrà  la bontà e la voglia di leggermi. Quella, per noi marxisti romanisti,  fu un trionfo nazionalista, ma una sconfitta ideologica. Lo so quello che state pensando ” E dalle co’ sta ideologia, ma è una fissa”. Ebbene si   l’ideologia per noi marxisti-romanisti è un valore da cui non possiamo prescindere. Ma vado meglio a spiegare. 

Un ideologia collettiva di calcio
Quei campionati del mondo, arrivavano dopo la rivoluzione tattica  della Roma di Liedholm, quella della zona, quella di Falcao, soprattutto quella che il 10 maggio del 1981, subì uno dei più clamorosi furti calcistici mai perpetrati nella storia de  football: l’annullamento del gol regolare  segnato da  Turone alla Juventus,grazie al quale la Signora riuscì a vincere il campionato rubandolo alla Roma. 


Ma soprattutto prendeva corpo  un conflitto  ideologico, fra la concezione del calcio brasiliano e romanista , il cui  profeta era Paulo Roberto Falcao, e l’idea  del calcio sparagnino e speculativo italiano, incarnato dalla Juve trapattoniana.  Ad una squadra che giocava un football  propositivo, fatto di passaggi, triangolazioni,  continua ricerca del gioco d’attacco, grazie alle geometrie sviluppate da campioni  come Falcao, Bruno Conti, Carlo Ancelotti, Agostino Di Bartolomei, e alle straordinarie finalizzazioni di bomber Pruzzo, rispondeva la filosofia speculativa  della Juventus del Trap, una squadra arcigna,  basata sulla solidità difensiva,  con randellatori del calibro di Furino, Gentile, Brio , ma anche con difensori  dell’abilità di Cabrini e Scirea.

Insomma la Roma proponeva  un’immagine  creativa  (allora si era appena usciti da un’era in cui si auspicava la creatività al potere, o qualcosa del genere) che  si contrapponeva ad un’idea di calcio, tipicamente democristiana, sparagnina il cui successo derivava dai giochi di palazzo, così come il successo bianconero scaturiva dai giochi “CON IL PALAZZO”.   Questo fu il leit motiv che accompagnò anche la stagione successiva, quella propedeutica ai mondiali. Nel campionato 81/82 la Juve scippò alla Fiorentina lo scudetto, e la Roma arrivò terza.  

Dal campionato alle nazionali
Quella stessa filosofia si trasferì nelle squadre nazionali che parteciparono ai mondiali dell’’82.  Da un lato il Brasile stellare di Falcao, dall’altro  la Nazionale Italiana difensivista  di Gentile e Scirea. Inutile dire che noi marxisti-romanisti, nonostante Bruninho de Oro, alias Bruno Conti,  giocasse nella formazione di Bearzot stavamo tutta la vita con Falcao, anche perché, nell’ottica dell’internazionalismo comunista  non necessariamente si doveva tifare per la propria nazionale, anzi questo era terribilmente borghese.

Le  partite dei gironi non fecero  che confermare la nostra passione per la creatività ed il divertimento. Mentre l’Italia passava il turno per il rotto della cuffia  non vincendo nemmeno una partita, finendo a pari punti con  il Camerun  escluso per differenza reti ,  con l’unico lampo, per noi marxisti-romanisti dello  straordinario gol di Bruno Conti al Perù, il  Brasile passeggiava sul velluto chiudendo a punteggio pieno il suo girone, rifilando due gol all’Urss quattro alla Scozia e quattro alla Nuova Zelanda. Mi ricordo il tono di sufficienza e compassione con cui assistevamo alla partite dell’Italia, spesso guardati male da chi stava vicino a noi. Assistemmo al match   con il Perù ospiti dai alcune amiche  che momenti ci cacciavano.  Ci salvò  l’esultanza per il gol di Conti considerato uno straniero “creativo” in Patria.



Uno squallido passaggio del turno e la rinascita 
Dopo la prima fase nel team brazilero era tutto un tripudio di canti e balli, la squadra italiana invece era in silenzio stampa sommersa dalle critiche e dalla certezza che, oltre quella risicata qualificazione, non si sarebbe andati . Infatti ci saremmo giocati il passaggio alle semifinali  incontrando, in un  terribile gironcino a tre  , l'Argentina, ma soprattutto il  Brasile.  Seguimmo la partita con l’Argentina al Nestor, davanti al maxi schermo, credo fosse una delle prime volte che si tentava l’esperimento di trasmettere le partite al cinema. Inaspettatamente l’Italia vinse, grazie ad una partita tutta cuore, e a Gentile che seviziò Maradona dal primo all’ultimo minuto. Tardelli e Cabrini segnarono i due gol azzurri contro l’unica rete Argentina di Passarella. Nella bolgia del Nestor  in tripudio, la nostra valutazione fu lapidaria. Ecco, la vittoria dell’Italietta ottenuta con le solite randellate e i soliti mezzucci propri della filosofia juventina, Juventus  che per altro costituiva l’ossatura della squadra. Prima della partita con i verde oro assistemmo all’ennesima passeggiata di Falcao e compagni contro la stessa Argentina schiantata  per 1 a 3 Zico, Serginho, e Junior gli autori dei gol brazileri.

Italia  - Brasile
Quel 5 luglio del 1982  decidemmo di assistere al trionfo della filosofia creativa brazilera, contro i mezzucci italiani a casa mia,  io e l’altro amico marxista-romanista. Ne avevamo abbastanza degli scomposti festeggiamenti  della gente italica esaltata da prestazioni tutto cuore , mazzate e niente spettacolo. Quella sottile soddisfazione di veder trionfare la propria ideologia doveva essere vissuta intensamente e solo fra fini estimatori del calcio moderno . Per altro al Brasile era sufficiente  il pareggio per passare.  Ma la partita prende  una strana piega. Gli esteti brasiliani cominciano   a scambiarsi palla sulla propria tre quarti, mentre gli italiani prendono    a correre come forsennati  , a rubare palloni su palloni, e a ripartire con efficacia. Conti recupera  palla sulla sua fascia, si accentra,   inaspettatamente libero,  calibra un passaggio  per Cabrini, che mette in mezzo e Rossi (già proprio lui l’improbo del calcio scommesse), tutto solo -le diagonali difensive non erano nelle corde del  Brasile -  fa uno a zero.

Tranquilli non c’è problema, vedi che fine fa l’Italia quando questi inizieranno a giocare. Ed infatti i verde oro cominciano a far vedere il loro calcio, dopo qualche occasione sprecata, ci pensa Zoff a scansarsi dal primo palo consentendo a Socrates  di pareggiare. Ah  ecco mi pareva! Vedi è stato un fuoco di paglia. Ma chi di topica ferisce di topica perisce. Il futuro romanista Cerezo  ciccando un pallone che doveva essere per Junior pensa bene di mettere Rossi solo davanti alla porta. E’ due a uno. Qualche dubbio sula filosofia del calcio propositivo comincia ad affiorare. D’accordo sulla bellezza degli schemi d’attacco, però ogni tanto qualcuno in difesa deve rimanere un po’ sveglio soprattutto quando la squadra è in fase di uscita.  Una certa delusione inizia  a pervaderci.  

Dopo che, come al solito, Gentile si porta a casa un pezzo della maglia di un avversario ,  in questo caso Zico in piena area di rigore, non visto dall’arbitro,  ci pensa  lui,  Paulo Roberto Falcao,  l’ottavo Re di Roma prima di Totti. Con un passo di danza il numero 5 romanista manda a spasso tutta la difesa italiana e le metta alle spalle di Zoff. Un gol fantastico! Era quello che aspettavamo saltiamo dalla sedia gridando goool gooool forza Roma! grande Falcao!  



Credevamo fosse la nemesi, ma ci sbagliavamo. Su corner di Conti un tiro maldestro  di Tardelli diventa un assist per Rossi solo davanti alla porta praticamente vuota.   Scaraventare la palla in rete è un gioco da ragazzi. Ma è troppo solo! È in fuorigioco! Sembra. Perché Junior,  o Socrates non mi ricordo   fa la bella statuina vicino alla   linea di porta  disturbando il suo portiere ed  evitando di mettere in fuori gioco gli attaccanti italici.

La resa
Il resto è storia.  Dopo un gol di Antognoni annullato per un fuorigioco inesistente,  Zoff diventa un mostro ed inchioda sulla linea un colpo di testa di Paulo Isidoro che sembrava destinato in rete. E’ finita. L’Italietta dei sotterfugi delle randellate, della difesa ad oltranza ha vinto. La grigia arte di arrangiarsi italiana aveva trionfato sul colorato calcio spettacolo brasiliano, per altro meritatamente .

Scendemmo in strada un po’ mesti  a vedere i caroselli e la gente intorno a noi non capiva perché non fossimo proprio tanto felici. Stavamo elaborando il lutto della perdita di un’ideologia calcistica che per noi era la guida, fu un po’ come quando capimmo che avevamo perso la lotta di classe.

Contrordine compagni si torna a tifare Italia 
 Masi sa il calcio è strano è passione pura. Così il giorno dopo tornammo borghesemente a fare un tifo sfegatato per l’Italia. La Polonia battuta due a zero in semifinale, la Germania sconfitta,   l’urlo di Tardelli, il gol di Altobelli che sembrava non volesse mai entrare, e poi il Presidente Pertini, il Presidente Partigiano esultante  come un bambino ai gol segnati contro la  squadra degli invasori tedeschi,   sono  diventati i frame di un film bellissimo.



Dopo la finale andammo anche noi in strada a festeggiare la vittoria dell’Italietta dei sotterfugi e delle randellate che in quel frangente era diventata la squadra più forte del mondo.  

Ma la nostra ideologia calcistica risorse l’anno dopo, quando la Roma di Liedholm, Falcao, Ancelotti, Di Bartolomei, Pruzzo , del campione del mondo Bruno Conti vinse il campionato. I  festeggiamenti durarono molto più che una notte, andarono avanti per tutta l’estate.

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