lunedì 25 marzo 2019

Il fallimento del M5S non è dovuto solo all’incompetenza

Michele Prospero




Soprattutto nei giornali d’area come il Fatto quotidiano, il coinvolgimento del M5S nel malaffare viene spiegato, in modo alquanto riduttivo, con il problema del reclutamento difettoso dei candidati. Si tratterebbe di una pecca comprensibile per un movimento ancora giovane che non riesce a riconoscere la competenza. Ora che il non-partito dell’onestà-onestà sta rivelando il suo volto poco onorevole negli scandali romani, la sinistra deve saper porre la domanda giusta per accompagnarlo al meritato declino (confermato anche dal voto in Basilicata). Quello che non dovrebbe rimarcare, dinanzi al fallimento pentastellato, è proprio il richiamo alla competenza perduta come rimedio da offrire al governo degli incompetenti che blocca tutto. 
Il volto peggiore del grillismo non è infatti l’incompetenza, che pure abbonda nel personale im-politico arruolato in rete tra un esercito di sconosciuti promosso a colpi di clic a funzioni di governo. Il nodo più rilevante da cogliere è che il M5S rappresenta una scheggia del sistema che ha abilmente occupato anche uno spazio della sinistra con simboli di rivolta per ripristinare l’essenza del bel mondo antico fatto di trame affaristiche e spartitorie. 
A una rivolta di sistema che vede l’alto inventare la ribellione del basso con le passioni del risentimento e della rabbia, secondo uno schema che si può cogliere nel solco di certe raffigurazioni di Shakespeare, non si risponde con una nostalgia della competenza. Al ministro Fornero non mancava la competenza, così come a Monti e ad altri titolari del suo dicastero la tecnica non faceva difetto. Però la dimestichezza con i numeri e il galateo delle istituzioni europee non ha risparmiato l’adozione di politiche antisociali che hanno determinato la grave crisi della democrazia.
Il lato del conflitto sociale, con la lotta alle esclusioni e alla precarietà, non la competenza è il centro di una cultura politica della sinistra da riprogettare. Lo chiariva anche un liberale alla Tocqueville. “Importa senza dubbio al bene delle nazioni che i governanti abbiano delle virtù o dei talenti: ma quello che forse importa di più è che i governanti non abbiano interessi contrari alla massa dei governati; poiché, in tal caso, le virtù potranno diventare inutili e i talenti funesti”. Non la tecnica ma gli interessi sociali antagonisti sono alla base dei progetti politici che se perdono questa matrice della loro azione sono condannati ad essere rigettati come occupazione di un ceto separato.
Il fallimento del governo del non-partito non rinvia solo alle pratiche di abituale incompetenza per cui, per archiviare il tempo dell’improvvisazione, occorre ritrovare un professionismo politico esperto e metterlo di nuovo alla prova per risolvere il malessere accumulato. Il problema vero è che il M5S, con le maschere della rivolta, ha giocato un ruolo di conservazione a tutela di un non-partito a direzione aziendale. Non si tratta perciò solo di una difettosa selezione della classe dirigente imputabile alla giovinezza di un movimento che non sa ancora come scegliere la rappresentanza. 
Come non-partito d’azienda il M5S si è inserito in maniera accomodante dentro le “congiunzioni astrali” del sistema che per sopravvivere nelle antiche consuetudini ha agitato la finzione dello tsunami e del “tutti a casa” come ingannevole cambiamento di tutto. Una classica operazione gattopardesca che ha trionfato perché nel frattempo la sinistra, anche per l’adozione della parentesi tecnica che assumeva “interessi contrari” a quelli della propria parte di società, era evaporata come combattivo soggetto dell’autonomia politica del mondo del lavoro.

Michele Prospero

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