martedì 16 luglio 2019

Passare il guado

Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Comitato Provinciale di Frosinone



Abbiamo ormai appreso e consolidato il giudizio sul governo e sui suoi protagonisti danno i compagni e i democratici variamente collocati. Un giudizio di estrema preoccupazione, di condanna e di scherno insistentemente ribattuto sui moderni canali di sfogo (più che di comunicazione, almeno per l'uso diffuso che vediamo farne).
Appurato quindi che il governo attenta alle libertà costituzionali ed alle condizioni materiali di vita dei cittadini e non (che poi è più o meno la stessa cosa, sfumature a parte), che chi siede oggi sugli scranni delle massime Istituzioni, dal Parlamento al Governo, dagli Enti locali alle Regioni sia in genere indegno o/e inabile ad occuparli, che gli elettori sono disorientati e che mancano riferimenti (leggi: leaders) sicuri per l'alternativa, rimane intatto il problema: il governo resta al suo posto, il suo consenso aumenta, le conquiste democratiche vanno a farsi friggere ogni giorno che passa più in basso. Per chiarire, intendiamo conquiste democratiche non tanto il voto, quanto la scuola, il welfare, il valore del lavoro, la giustizia, la tripartizione dei poteri, ecc. ecc. (non possiamo elencare tutto, l'Italia ha costruito moltissimo).
Questo nonostante il lavoro faticoso e improbo di migliaia di cittadini responsabili, che dedicano buona parte della loro vita a coltivare e custodire il progetto di società disegnato dai Costituenti qualche tempo fa; non molto tempo fa, anche se a noi di memoria corta sembra preistoria.
Ci siamo quindi convinti di una ovvietà, che però tarda a farsi coscienza: la volontà non basta, la partecipazione in ordine sparso non si adatta alla guerra, nemmeno in tempo di pace; qualcuno direbbe anche oggi che lo spontaneismo non  è rivoluzionario, al massimo ribelle.
Vogliamo dire che dovremmo prendere atto non tanto della sconfitta, che c'è stata e non è elettorale ma politica, ossia di programma e di valori che lo fondino, quanto delle forze disperse che oggi o si ingegnano a darsi una dimensione sociale lottando come e dove possono e trasferendo il loro impegno solidale dalla questione del potere alla pratica dell'umanità (che non guasta ma non cambia le cose) o rinunciano in attesa di tempi più favorevoli (che non si producono da soli) o addirittura cedendo allo sconforto.
Nel primo caso si finisce per confondere la solidarietà, dove ci si mette assieme per affrontare problemi anche diversi ma mutualmente moltiplicando le forze, con la carità - nobile e spesso necessaria - che non rimuove le cause e non incide quindi sulla costruzione dell'alternativa (sociale, non meramente elettorale). 
Nel secondo si sprecano le forze e si accetta il sistema egemone come ineluttabile, non si prova neppure più a scavarne le cause e le eventuali ragioni per studiare come superarlo in positivo. 
Noi, forti dell'esperienza trasmessaci dalla Lotta di Liberazione, siamo invece certi che, poiché nessun sistema sociale è dato dalle leggi di natura, l'alternativa è sempre possibile. Si tratta però, e non è compito facile da assolvere per cui non basta chiunque di buona volontà o un leader che piaccia in televisione, di fondarla su questioni reali, su esigenze storiche e non su alchimie politiciste o su calcoli aritmetici applicati al consumismo. 
Un esempio: Greta Tunberg è stata descritta come una nuova meraviglia della politica, così come era stato per vari e meritori personaggi in giro per il mondo, da Iglesias ad Alexandria Ocasio-Cortez passando per altri importanti soggetti. In realtà, tutti costoro hanno posto a tema questioni già presenti in forma più o meno latente nella sensibilità civile dei rispettivi Paesi o del mondo intero; ma si trattava di questioni reali, percepite come critiche sebbene non trovassero posto nei programmi e nelle dichiarazioni dei vari organismi che si candidano alla direzione politica ai rispettivi livelli ed ambiti. Salvo qualche generica invocazione, qualche dichiarazione di principio più o meno spenta, quei temi venivano e vengono ancora messi ai margini perché le forze tradizionali non sono attrezzate ad affrontarli. 
Il problema vero, però, è che quelle forze non fanno sforzi adeguati per dotarsi di strumenti di conoscenza (dati, analisi, diagnosi) che consentano di elaborare proposte serie, ossia fondate e credibili.
Ora, tutto questo dove ci porta? Secondo noi al problema dei problemi: continuare a ficcarsi nella trappola a rete sapientemente costruita per neutralizzare le forze di cambiamento (quelle vere che si dotano di coscienza sociale, non quelle a servizio dedite all'ammuina) impedisce efficacemente qualsiasi tentativo di alternativa, occupando tutti ad una sterile gara a chi ha meno torto in una infinita lotta intestina senza alcuno sbocco concreto. Allora sarebbe ora che si mettesse un po' di testa nelle cose, dismettendo i vessilli da Curva Sud e iniziando a ragionare su quali siano i problemi del rinnovamento sociale e quali le strategie per risolverli. Molto è già stato fatto, ma in forma dispersa, pulviscolare, e quindi ininfluente, incapace a diventare egemone per dimensione.
Tutt'altro che buonista, è un metodo impervio, faticoso e non scontato nei risultati. Ma se si vuole parlare di politica e non di mestierame è uno dei pochissimi modi per farlo. 
Non nutriamo grosse speranze che i militanti ed i simpatizzanti delle varie sigle della democrazia della diaspora (tutte nobili e con fondi di verità, certamente) siano in grado di imporre nulla ai loro gruppi dirigenti, viste anche le modalità per lo più plebiscitarie che hanno sostituito (non sempre, per fortuna) la discussione. Tuttavia, l'auspicio è che all'interno di ciò che rimane della politica democratica organizzata si lavori per l'unità, che è concetto assai distante dall'unanimismo e dal cartello elettorale. 
C'è ancora, perché sta nelle esigenze sociali, la possibilità di ricostruire forze in grado di porre nuovamente il tema dell'egemonia nei rapporti all'interno della Costituzione. Non siamo sicuri che questo sia l'obiettivo dei gruppi dirigenti, spesso troppo autoreferenziali per intendere la rappresentanza come carico dei bisogni maturi che la società produce e non come delega per amministrare lo stato di fatto e la spesa corrente. Tocca quindi alla base, se ne è capace, organizzarsi in forme unitarie sui temi e porre le questioni al di sopra delle rispettive e legittime forme organizzative. 
Del resto, non sarebbe cosa così inedita, visto che sui temi reali ci si ritrova sempre nella stessa marcia. Anche nella nostra provincia, che si tratti di Trisulti o del Pride, dell'acqua o dell'inquinamento, della scuola o dei migranti, del lavoro o dei servizi, le facce si mescolano, le culture si rispettano, le forze si fondono, salvo poi tornare a battibeccare il giorno dopo sulla stampa. 
Così non va. Serve politica, serve partecipazione, che presuppongono differenze in grado di unirsi per obiettivi alti e comuni. Non è un obiettivo troppo alto: è la condizione per essere utili, incisivi, egemoni.

Fraterni saluti.

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