Annus horribils il 1980. Iniziava il riflusso, la marcia di
40.000 alla Fiat segnava la definitiva sconfitta delle lotta operaie, aprendo
la strada a quella che sarebbe stata l’annientamento delle classi subalterne da
parte del capitalismo e della sua deriva neo liberista.
Ma il fervore artistico, e in particolar modo musicale, diede vita ad una
sorta di onda lunga che, proprio fra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80l si
consolidò in modo consistente nel vecchio continente. Una marea di jazzisti
americani, in particolar modo dell’avanguardia free, incrementò il proprio
esodo, da un’America lanciata a vele spiegate verso l’edonismo
reaganiano, con tutto il suo devastante portato di macelleria sociale e
culturale, verso l’Europa. Nel Vecchio Continente l’epoca delle rivolte
fra la fine degli anni ’60 e tutti gli anni ’70 e la maturazione di
notevoli musicisti autoctoni aveva reso terreno fertile alla fruizione di
espressioni artistiche complesse, quanto ermetiche ed
espressivamente di difficile comprensione.
Fatto sta che artisti del calibro degli Art Ensemble of Chicago, Steve
Lacy, Ornette Coleman, Don Cherry, solo per citarne alcuni, ma anche Miles
Davis , Chet Baker, due jazzisti non proprio consoni al free-anche se Miles
aveva avvicinato la sperimentazione con implicazioni elettriche in Bitches Brew
- erano di casa in Europa. In Francia, in Scandinavia, ma anche in Italia.
A Roma , Milano nei jazz club, nei teatri, nei festival,
Umbria jazz su tutti, era frequente imbattersi in musicisti che
probabilmente nel loro paese d’origine, l’America, non si sentivano capiti e
neanche sicuri. Non a caso Roscoe Mitchell, sassofonista degli Art Ensemble of
Chicago, ebbe a dire che almeno in Europa potevano girare senza il fucile in
macchina visto che non correvano rischi di subire aggressioni razziste.
In quei fatidici anni ’80 un po’ di quel ben di Dio jazzistico passò anche
da Frosinone. In un contesto di crescente passione per il jazz che si
concretizzò con l’organizzazione di concerti dei migliori jazzisti
italiani, presenti nel territorio anche grazie alla fama del conservatorio - da
Enrico Pieranunzi a Maurizio Giammarco, a Patrizia
Scascitelli, solo per citarne alcuni - capitarono a Frosinone
proprio gli Art Ensemble of Chicago e Chet Baker. Lester Bowie e
compagni offrirono una memorabile performance al
teatro Nestor. Chet, invece, tenne
un concerto presso il mitico auditorium Edera, sito sotto l’omonimo
grattacielo.
Un fecondo fervore culturale aveva pervaso tutta la città grazie
anche all’attività di un gruppo di giovani, radunati
nella cooperativa culturale “La Luna”, che con la loro
ostinazione e pervicacia riuscì a sensibilizzare l’amministrazione
comunale a dare una mano affinchè nel capoluogo della
Ciociaria sorgesse un piccolo Birdland. Sicuramente gli
amministratori di allora, pur con tutti i loro difetti, avevano molto più a
cuore il livello culturale dei cittadini e ne avevano anche un giudizio
migliore, rispetto a chi guida la città oggi.
L'attuale sindaco persegue l'unico scopo
di assicurare una sarabanda tutta luci ed effetti speciali da dare in
pasto ad un popolo considerato di scarsa levatura culturale. Il popolo della
"sbicchierate" a cui la posticcia piana di plastica
e terra incolta del parco Matusa ,caciarona e greve, è sufficiente a
dichiarare imperitura fedeltà al suo conducador. Fatto salve il festival dei
conservatori , che pure presenta limiti organizzativi e costi
spropositati, l’immondizia culturale è tutto ciò che questa
amministrazione è in grado di offrire con una tendenza al peggioramento visto
che i prossimi tagli dell’ente ridurranno a mero deposito il museo
archeologico. Ma questa è un’altra storia.
Tornando a quegli incredibili concerti ricordo con particolare emozione
quel clima. Poco più che diciannovenne, insieme ad altri amici con cui nel
garage di casa strimpellando su una chitarra, un sax ,un basso, e una batteria
cercavamo di ispirarci a quei mostri sacri, mi adoperai a dare una mano ai
ragazzi della “Luna”. Bassa manovalanza in cambio dell’ascolto dei nostri
eroi in carne ed ossa.
In particolare la performance di Chet Baker fu entusiasmante. Contornato da
straordinari musicisti, Enrico Pieranunzi al pianoforte, Nicola Stilo al
flauto, Enzo Pietropaoli al contrabbasso, e Roberto Gatto alla batteria, Chet
ci ammaliò con il fraseggio morbido, drammaticamente rilassato della sua
tromba, con la sua voce così particolare ed ipnotica. I suoi compagni di
avventura non furono da meno ricordo un Nicola Stilo particolarmente ispirato
in grado di fornire delle suggestioni timbriche coinvolgenti insieme alla
tromba di Baker.
Proprio in quel periodo usciva per la Edi-Pan Record il
disco Soft Journey inciso da Chet e
Pieranunzi con la stessa formazione del concerto di Frosinone tranne
Nicola Stilo sostituito in sala di registrazione da Maurizio Giammarco al sax.
Un vinile che ho consumato a furia di ascoltarlo, perché ogni nota di quelle
tracce da Funny Valentine a Night Bird, ad Animali
diurni, è preziosa per la sua esecuzione ma soprattutto perché
mi riporta alle meravigliose sensazioni di quel concerto all’Auditorium di
Frosinone.
Ringrazio Maurizio Barnaba che su Fb ha pubblicato lo foto scattate
all’epoca di Rino Zangrilli durante quella incredibile esibizione. Foto
straordinarie ma che solo marginalmente riescono a descrivere
l’incredibile magia di ciò che stavamo vivendo.
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