sabato 2 febbraio 2019

Che la salute della donne sia affidata alla sanità pubblica e laica

Con il contributo di Mauro David e Francesca Perri, membri del Gruppo sanità Potere al Popolo Lazio 



Venerdì 1 febbraio una delegazione di Potere al Popolo, insieme ad altri movimenti ed associazioni,  ha occupato il piazzale davanti la giunta regionale del Lazio  nel quartiere Garbatella. Siamo  insieme alle donne per chiedere il rilancio dei consultori mortificati in questi ultimi 6 anni dalla giunta Zingaretti appoggiata da Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni. La Regione Lazio ha accettato il confronto ed ha promesso una risposta concreta, nelle prossime settimane. Per  evitare di trovarsi di fronte al  solito bla bla vigileremo affinché queste promesse , messe per iscritto, vengano mantenute!. Le donne non si fermano! Da mesi portiamo avanti la battaglia sui Consultori, che devono ritornare ad essere luoghi dove trovare delle risposte concrete ai bisogni non solo di salute, ma di crescita e di consapevolezza di tutti. I Consultori devono ritornare ad essere strutture territoriali socio-sanitarie multidisciplinari con la presenza di tutte le figure professionali che servono (ginecologi, ostetrici, pediatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri). 

La  risposta di Elisabetta Canitano, presidente di Vita di Donna e membro del Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo.

giovedì 31 gennaio 2019

Venezuela No all'Interferenza imperialista e della destra continentale!

dichiarazione della Ust
(Unità Socialista dei Lavoratori
sezione venezuelana della Lit-Quarta Internazionale)


 
Nessun riconoscimento all'autoproclamato e pro-imperialista governo di Guaidó!
Che siano le masse lavoratrici a espellere Maduro dal potere!
Per la costruzione di una alternativa indipendente
della classe operaia e delle masse povere!
 
Rifiuto dell'ingerenza imperialista e della destra continentale
E' in corso un'ingerenza imperialista in Venezuela, con l'auto-proclamazione di Juan Guaidó come presidente ad interim della Repubblica, il 23 gennaio, precedentemente accordatosi con Donald Trump, che poi ha proceduto riconoscendo e sostenendo il "presidente incaricato". È una totale sfacciataggine del presidente nordamericano, che pretende di nominare da Washington il presidente di un altro Paese, in un chiaro atteggiamento interventista. Allo stesso modo e in conformità con le linee guida del governo yankee, i governi di lacchè della destra continentale si sono pronunciati con Piñera (Cile), Bolsonaro (Brasile), Macri (Argentina) e Duque (Colombia) in testa, e la stessa posizione ha assunto il resto dei Paesi del gruppo di Lima (ad eccezione del Messico) e dell'Oea (Organizzazione Stati Americani).
Nei giorni scorsi questi stessi governi avevano emesso risoluzioni e dichiarazioni che dichiaravano illegittimo il governo di Maduro. Dal momento che l'Ust respinge queste azioni interventiste dell'imperialismo e della destra continentale, affermiamo che il governo degli Stati Uniti non ha alcuna autorità politica o morale per dare lezioni di democrazia, dato che sostiene il governo genocida e nazista-sionista di Israele, il governo genocida dell'Arabia Saudita, oltre ad aver finanziato e sostenuto innumerevoli golpe e interventi militari nel continente e nel mondo. Lo stesso possiamo dire dell'Oea che nel corso della sua storia ha sostenuto dittature colpi di stato militari nel continente.
Bolsonaro, da parte sua, ha in Brasile pretese bonapartiste simili a quelle di Maduro e, d'altra parte, lui e i suoi omologhi Piñera, Duque, Macri, Moreno e altri del continente applicano misure brutali contro i lavoratori dei loro Paesi, a beneficio della banca internazionale, delle transnazionali e del Fmi, misure che sono simili a quelle che già sta applicando la dittatura di Maduro in Venezuela e a quelle che l'autoproclamato governo di Guaidó intende applicare.
Come militanti socialisti non possiamo sostenere nulla di tutto questo e dichiariamo che saremo contro ogni intervento militare contro il Venezuela o qualsiasi tentativo di colpo di stato militare.
Finora, le azioni interventiste dell'imperialismo, della destra continentale e del gruppo di Lima e dell'Oea, sono simili ad altre del passato, sebbene con un aumento di intensità. Attraverso i social network sono state diffuse le minacce di Trump di intervenire attraverso il comando meridionale statunitense contro il governo venezuelano, così come vi è il rifiuto del governo Usa di ritirare il suo personale diplomatico e consolare a seguito della rottura delle relazioni diplomatiche di Maduro e la richiesta di Maduro di richiamare il personale diplomatico in 72 ore. Non sappiamo se questo finirà in un conflitto militare, ma nell'eventualità di in una situazione come questa saremmo contrari e chiameremmo i lavoratori sia del Venezuela che del continente per contratarlo insieme.
 
Opponiamoci alla dittatura affamatrice di Maduro
È noto che il 23 gennaio è una data emblematica nella storia politica del Paese, ed è stata la data scelta dal consiglio dell'Assemblea nazionale (An), nella quale sono rappresentati i principali partiti dell'opposizione borghese al governo dittatoriale di Maduro, per fare appello a una mobilitazione, che ha avuto il massiccio supporto di settori molto ampi della popolazione, insoddisfatti della situazione.
Questa mobilitazione è stata preceduta da una serie di azioni di proteste popolari in diverse aree di Caracas e in altre città del Paese, azioni che si sono ripetute in seguito e che sono state oggetto di una tremenda repressione da parte delle forze di sicurezza dello Stato.
Come Unità Socialista dei lavoratori (Ust), rivendichiamo il legittimo diritto dei lavoratori e delle masse popolari venezuelane di protestare, manifestare e andare contro un governo che li uccide con la fame, che li uccide per la mancanza di medicine, che li ha sottoposti alla più profonda crisi conosciuta nella storia recente del Paese e che mantiene nella più deplorevole distruzione i servizi di salute, istruzione, trasporti, telecomunicazioni. Ripudiamo e denunciamo l'azione repressiva del governo che secondo cifre non ufficiali ad oggi supera già una dozzina di vittime nelle proteste.
Oltre a ciò, il governo di Maduro e prima quelli di Chavez, sono responsabili di un'enorme fuga di capitali che ammonta, secondo gli analisti, a oltre 500 miliardi di dollari, della distruzione dell'intero apparato produttivo dello Stato, compresa la produzione di petrolio, che attualmente raggiunge a malapena un milione di barili al giorno e serve a pagare ingenti somme di denaro ai banchieri per il debito estero, al costo di tagliare di oltre la metà (considerando i dati del 2012) le importazioni di cibo e medicine e assicurare che le multinazionali attraverso joint venture facciano strabilianti profitti dalla vendita del petrolio. Tutte queste sono le cause della brutale crisi subita dai venezuelani oggi e questa è  responsabilità totale del governo, per tutto questo insistiamo affinché questo governo se ne vada. Dichiariamo categoricamente: fuori Maduro!
 
Nessun sostegno al governo autoproclamato e pro-imperialista di Guaidó
Ma tutto ciò non significa per niente che diamo un sostegno politico al governo auto-dichiarato e pro-imperialista di Juan Guaidó, o di qualsiasi rappresentante o partito della borghesia (sia all'opposizione che al governo).
La leadership politica rappresentata dai partiti e dai dirigenti dell'opposizione borghese non merita alcuna fiducia politica da parte degli operai e delle masse mobilitate questo 23 gennaio; sono gli stessi dirigenti che hanno tradito le lotte popolari e studentesche del 2014 e del 2017, portandole nel vicolo cieco della negoziazione con il governo, sono gli stessi dirigenti e partiti che hanno come obiettivo quello di costituire un "governo di transizione" (come lo hanno definito) con la borghesia tradizionale, le multinazionali, la boliborghesia, i resti della dissidenza chavista e i partiti dell'opposizione borghese, preservando le garanzie dei loro affari e dei loro profitti, derivanti dallo sfruttamento capitalista e dalla corruzione più abbietta dei burocrati statali, civili e militari, mantenendo impuniti gli illeciti e i crimini di corruzione, la fuga dei capitali e le negoziazioni con lo Stato, oltre ai crimini di repressione.
Sono quelli che, con le loro azioni, cercano di evitare che siano gli operai e le masse popolari che, attraverso la loro organizzazione e mobilitazione, espellano Maduro dal potere e distruggano il suo regime dittatoriale, e che sanno che uno scenario come questo chiuderebbe le porte ai loro piani.
Guaidó, oltre ad essere un leader borghese, sostenuto dall'imperialismo, non è stato eletto da nessuno per diventare presidente della Repubblica. Lui, il suo partito (Volontà popolare) e il resto dei partiti di opposizione borghesi incarnano un programma politico ed economico che non ha nulla a che fare con i bisogni delle masse lavoratrici del Paese.
Esempi di questi bisogni sono le sentite rivendicazioni, presenti in tutte le mobilitazioni delle masse lavoratrici, per porre fine agli aumenti dei prezzi dei prodotti di prima necessità, degli abbigliamenti, delle medicine e dei servizi (salute, educazione, tra gli altri) e l'aumento salariale al livello del paniere di base e indicizzato mensilmente. Rivendicazioni come queste non fanno parte del programma politico-economico dei partiti e dei leader dell'opposizione borghese, che, al contrario, si pronunciano permanentemente per la liberazione dei prezzi, l'eliminazione di qualsiasi controllo sui prezzi e, in generale, di tutti i tipi di controllo e costantemente rifiutano aumenti salariali (non, come facciamo noi, perché siano insufficienti o perché non sono degli aumenti reali) sostenendo che questi sono la causa principale dell'inflazione, dei prezzi elevati, del fallimento delle imprese e della disoccupazione.
Questa dirigenza filo-borghese, in assenza di un'alternativa indipendente degli operai, oggi attira e capitalizza il malcontento degli operai e delle masse popolari, che si mobilitano assieme a questi partiti borghesi avendo come punto di accordo la necessità di espellere il governo di Maduro; è per questo che fanno un'unità di azione, ma come abbiamo esemplificato, i loro interessi programmatici non sono comuni. L'ampiezza delle mobilitazioni non significa, come affermano alcuni settori della sinistra, che esiste una svolta a destra delle masse, al contrario ciò che esiste è il ripudio di vasti settori della popolazione a un progetto borghese come il chavismo che ha deluso le aspettative delle masse.
Esortiamo i lavoratori e le masse popolari del Venezuela, a partire dal rifiuto del regime dittatoriale di Maduro, a non sostenere politicamente i rappresentanti dell'opposizione borghese, mobilitandosi in modo indipendente contro la dittatura che li affama.
 
Oggi più che mai abbiamo bisogno di un'alternativa indipendente della classe lavoratrice
Con la situazione creatasi nei giorni precedenti il 23 gennaio e gli stessi eventi di quel giorno, entriamo in un nuovo capitolo della crisi politica venezuelana, caratterizzato dalla sua acutizzazione, mentre la crisi economica continua ad approfondirsi. I lavoratori e i poveri non otterranno alcuna soluzione favorevole da nessuno dei due blocchi borghesi che oggi si scontra per il controllo dello Stato e quindi per il controllo e l'amministrazione diretta delle entrate petrolifere e di altre attività che vengono amministrate dall'apparato statale.
Il chavismo e i suoi partiti con Maduro in testa sono responsabili della fame, della scarsità di cibo e medicine, dell'elevato costo della vita, dei bassi salari, dell'attacco agli accordi collettivi e alle conquiste sindacali, degli attacchi alla libertà di associazione, dell'attuazione di tabelle salariali da truffatori nella pubblica amministrazione e nelle compagnie statali, dei licenziamenti dei lavoratori fino ad una aggressione anti-operaia che dall'anno scorso ha generato un aumento significativo delle lotte operaie e dei conflitti di lavoro.
I partiti dell'opposizione borghese venezuelana e l'imperialismo hanno cavalcato il malcontento degli operai, ma la loro vera intenzione è di approfondire questa aggressione anti-operaia, essendo loro i gestori delle suddette imprese oggi nelle mani del chavismo.
Ecco perché oggi più che mai abbiamo bisogno di un'alternativa politica indipendente della classe operaia, la cui assenza fa sì che i lavoratori e le masse si mobilitino insieme ai partiti padronali per uscire dalla dittatura affamatrice e repressiva di Maduro. Questa alternativa indipendente è necessaria come strumento per coordinare le lotte operaie, unificarle, per sconfiggere l'aggressione anti-operaia e cacciare il governo Maduro, proponendosi come alternativa per un governo degli operai e delle masse impoverite. Questa alternativa, oggi inesistente, potrebbe essere incarnata dalla Intersettoriale dei Lavoratori del Venezuela (ITV), organizzazione ancora embrionale ma che raggruppa diversi organismi, sindacati e federazioni nel Paese, ma è necessario dotarla di un programma operaio e di politica di indipendenza di classe approvata dai lavoratori.
Per noi dell'Ust, solo con la mobilitazione indipendente dei lavoratori e con la costruzione di questa alternativa di classe sarà possibile sconfiggere la dittatura di Maduro, espellerla dal potere, chiudendo la via all'imperialismo e all'opposizione borghese, perché gli uni e gli altri sono tutti nemici della classe operaia e delle masse del Venezuela.
 
Rifiuto totale dell'ingerenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati della destra continentale!
Contro ogni tentativo di intervento e / o golpe militare!
Mobilitazione operaia e popolare indipendente per sconfiggere la dittatura ed espellere Maduro dal potere! Fuori Maduro!
Nessun sostegno al governo autoproclamato e pro-imperialista di Juan Guaidó!
Sconfiggiamo le misure antioperaie del governo Maduro!
Costruiamo un'alternativa politica indipendente dei i lavoratori!
Lottiamo per un governo operaio e delle masse popolari!

Trasporto aereo e Alitalia Tra profitti capitalistici e lotte dei lavoratori

Daniele Cofani
(operaio Alitalia)


Nel 2018 i ricavi passeggero per kilometro sono aumentati del 6,2% rispetto all’anno precedente e nel 2019 l’1% del Pil mondiale (900 miliardi di dollari) sarà speso per i viaggi aerei, a dichiararlo è Alexandre de Juniac direttore generale e Ceo di Iata (associazione internazionale del trasporto aereo) durante il “Global media day” di Ginevra. A novembre 2018, rispetto al periodo precedente, c’è stato un aumento medio della domanda internazionale di passeggeri del 6,6%, trainata principalmente dai vettori europei: in Europa l’aumento della domanda è stato del 9% seguita dagli Usa al 6.1%, Asia-Pacifica 6%, America Latina 5.8% e Medio Oriente 2,8%, in Italia la domanda passeggeri è cresciuta del 5,7% rispetto al periodo precedente. Assolutamente un settore in salute in cui, anno dopo anno, si continuano a stimare e prevedere tassi di crescita sia per quanto riguarda i passeggeri e le merci che i relativi ricavi. Un settore trainante per il turismo e l’economia di numerosi Stati in cui, però, la liberalizzazione del mercato, in assoluto tra le più spietate, e la privatizzazione di aeroporti e compagnie di bandiera, ha di fatto reso un servizio pubblico, con finalità di salvaguardia e rispetto delle esigenze e  necessità di intere comunità e Paesi, in uno strumento di profitto in mano a speculatori privati senza scrupoli che, con il supporto dei governi e delle organizzazioni sindacali compiacenti, ha basato le proprie “fortune” su un sistema impostato sullo sfruttamento dei lavoratori e dei territori.
Lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori: Fiumicino, Linate e Malpensa
Ormai la concorrenza tra le varie compagnie si misura ben poco con i servizi offerti, quasi tutti a pagamento, ma si basa principalmente sul costo del lavoro che viene abbattuto attraverso salari da fame, produttività alle stelle e precarietà diffusa, ma anche mediante terziarizzazioni di attività dove si arriva a utilizzare perfino false cooperative in cui si misura il massimo livello di sfruttamento attraverso ricatti salariali ed occupazionali, dove a farne le spese sono fette di popolazione più povera e lavoratori immigrati.
Tra gli esempi più lampanti possiamo citare senza dubbio lo scalo di Fiumicino, le cui attività sono state delegate alla famiglia Benetton attraverso l’acquisizione e il controllo della società di gestione Aeroporti di Roma, oggi di proprietà del gruppo Atlantia, azienda di famiglia. Ci troviamo, di fatto, di fronte ad un servizio pubblico in concessione ai privati che, finanziandosi con le tasse e tariffe aeroportuali (soldi pubblici), ne ricavano poi profitti personali, né più né meno di come funziona per le autostrade.
Non molto differente la situazione negli scali milanesi di Linate e Malpensa dove la storica società di gestione SEA, dalla quale nel 2014 sono state scorporate (terziarizzate) le attività di Handling verso la società Airport Handling, è di proprietà al 55% del comune di Milano e per il resto della società privata F2i, quest’ultima società infrastrutturale in questi giorni ha anche acquisito il 55% dello scalo triestino.
Il caso Alitalia
All’interno di questa centrifuga del trasporto aereo internazionale, si trova anche Alitalia che dal 2008 ad oggi è di fatto fallita 3 volte ed è in procinto di cambiare di nuovo la propria  ragione sociale, (appunto per la terza volta in 10 anni) e tutto ciò non è accaduto perché Alitalia è stata estranea al “gioco”  del dumping sociale con la rincorsa al ribasso dei salari e dei diritti  o perché in Italia il mercato del trasporto aereo non sia fiorente, anzi tutt’altro: Alitalia in Europa è tra le compagnie, anche paragonata con le Low Cost, con il costo del lavoro più basso e nel nostro Paese viaggiano circa 180 milioni di passeggeri all’anno con previsioni di crescita. Alitalia è stata scientificamente ridimensionata a favore di un progetto ben preciso!
Nel 2000 Loyola De Palacio, commissario europeo per i trasporti, dichiarò che in Europa dovevano rimanere solo 3 grandi compagnie di bandiera a svolgere traffico aereo globale (intercontinentale) e dovevano appartenere ai 3 Stati più industrializzati della EU, Francia (AirFrance), Germania (Lufthansa) e Gran Bretagna (British Airways), tutte le altre dovevano gestire solamente il traffico ancillare. A distanza di 18 anni le dichiarazioni dell’ex commissario sono divenute più che realtà: proprio AirFrance, Lufthansa e British sono le 3 compagnie europee che hanno avuto la maggiore espansione del traffico intercontinentale, avendo un ruolo di primo piano all’interno delle alleanze internazionali insieme alle altre big mondiali dei cieli. Un processo avvenuto molto rapidamente anche grazie alla liberalizzazione del mercato del settore aereo, iniziato nei primi anni 2000 facilitando il proliferare delle compagnie Low Cost, fattore che ha messo in crisi le compagnie aeree tradizionali soprattutto degli Stati minori della EU, che, sotto i colpi di un’efferata concorrenza, in alcuni casi anche sleale, sono andate a perdere pian piano il controllo di ampie fette di mercato, non solo nazionale ma anche internazionale e globale.
Di questo scenario hanno approfittato le grandi compagnie al fine di conquistare e ampliare il controllo del traffico globale attraverso acquisizioni azionarie o totali delle compagnie in crisi o in fallimento. Alitalia è uno dei più evidenti esempi: fallita nel 2008 ne fu, falsamente, salvata “l’italianità” (con 10 mila licenziamenti) dal governo Berlusconi in contrapposizione al piano di vendita ai franco-olandesi del precedente governo Prodi. Falsamente perché nella nuova NewCo il primo azionista fu proprio AirFrance-KLM che, detenendo il 25% delle azioni, gestì gran parte della politica industriale della nuova Alitalia-Cai attraverso una presenza predatoria che di fatto bloccò e ridusse lo sviluppo del lungo raggio da e per l’Italia a favore di Parigi ed Amsterdam e assoggettò le attività di manutenzione della Divisione Manutenzione di Fiumicino portando in terra d’oltralpe numerose rilavorazioni.
Il risultato fu fallimentare tantoché nel 2014 Alitalia si ritrovò sull’orlo di un nuovo fallimento, e l’allora governo Letta/Renzi, invece di nazionalizzare la ex compagnia di bandiera, decise di cederne la cloche al cavaliere bianco emiratino di Etihad che chiese il sacrificio di ulteriori 2000 licenziamenti per dare il via libera all’acquisizione del 49%. Chiaramente anche questa esperienza basò le sue fondamenta su un piano predatorio da parte degli emiratini, i quali spostarono il baricentro del traffico intercontinentale di Alitalia da Fiumicino verso Abu Dhabi e si impossessarono del controllo dei passeggeri AZ acquisendo il programma di fidelizzazione (MilleMiglia). Fu un totale disastro che terminò con la richiesta di ulteriori sacrifici per i lavoratori Alitalia i quali, finalmente, memori dei precedenti “salvataggi”, risposero con determinazione e forza rispedendo a casa tutti gli speculatori privati presenti ancora nella compagine azionaria: gli scioperi del 2017 e il referendum d’aprile, guidati dalle attiviste ed attivisti della Cub Trasporti ed AirCrew Committee, furono un’onda d’urto che mise in crisi tutte le grandi organizzazioni sindacali e la politica tutta, aprendo un non più rinviabile dibattito sul fallimento delle privatizzazioni e sull’importanza della gestione pubblica di asset strategici per il Paese.
Il governo giallo-verde e le nuove minacce di licenziamenti
Alitalia fu posta in amministrazione straordinaria dall’ex ministro dello sviluppo economico Calenda ed ora, dopo roboranti promesse elettorali, con parole d’ordine come zero esuberi e nazionalizzazione, ci sembra di essere tornati indietro come nel gioca dell’oca, indietro al 2008 rispetto la situazione commissariale, al 2014 rispetto le prospettive di un’ennesima vendita ad uno o più diretti concorrenti, ma rispetto anche al referendum del 2017 vista la pretesa di un ulteriore ridimensionamento con licenziamenti e tagli in cambio di investimenti. Con l’avvento del nuovo governo giallo-verde il dossier Alitalia, dopo un breve e sciagurato passaggio al ministero dei trasporti, è passato sotto la gestione del Mise nella veste del ministro Di Maio il quale, dopo aver attaccato per tutta la campagna elettorale la terna commissariale nominata dal predecessore Calenda, lascia Gubitosi e Co. alle redini della compagnia con evidenti risultati nefasti: mentre i media mainstream ci raccontano di misere migliorie di risultati riguardo i ricavi da passeggeri, si “dimenticano” di evidenziare le perdite di gestione che ad oggi ammontano a 1,5 milioni al giorno che con il passare del tempo stanno velocemente erodendo la cassa composta solamente da ciò che rimane dei 900 milioni del prestito ponte. Unico passaggio fin ora effettuato dal governo a novembre’18, è stato l’entrata in partita delle Ferrovie dello Stato attraverso una proposta di acquisizione di Alitalia condizionata e condizionante attraverso dei vincoli, tra cui la partecipazione cospicua nella NewCo di un partner internazionale del settore, quindi un concorrente, e la possibilità di fare arrivare l’alta velocità direttamente all’interno degli aeroporti con garanzie di un ridimensionamento della rete nazionale di Alitalia sovrapposta a quella ferroviaria. Passaggio avvenuto parallelamente all’addio di Luigi Gubitosi (commissario guida di Alitalia), che lascia spontaneamente il timone della compagnia per andare a svolgere il ruolo di A.D. presso TIM: non solo non è stato destituito dal governo, ma è stato addirittura premiato…
FS, nella veste del suo A.D. Battisti, preso l’impegno di presentare un piano industriale entro il 31 gennaio’19, rinviato poi a febbraio, ha iniziato delle serrate trattative con i 2 principali concorrenti che hanno attestato interesse al bando di vendita, il duetto franco-americano Delta Air Lines/AirFrance-KLM e la tedesca Lufthansa. Entrambe le proposte prevedono un ridimensionamento con licenziamenti e tagli: i tedeschi pretendono una dura ristrutturazione con la “messa a terra” di circa 40 dei 118 aerei operativi in AZ con relativi 6 mila esuberi, compresi i lavoratori dell’Handling che sarebbero totalmente esclusi dalla procedura, inoltre esigono la maggioranza azionaria e la governance su attività e tratte. I franco-americani propongono un piano più “soft” in cui sarebbero solo 8 gli aerei esclusi dall’attuale flotta e gli esuberi si attesterebbero a quota 2/3 mila con una percentuale azionaria pari al 40% ma con l’opzione del totale controllo della guida operativa e delle rotte intercontinentali, le più remunerative, anche attraverso la connotazione della nuova Alitalia nella prossina joint venture transatlantica e nell’alleanza SkyTeam in cui la compagnia italiana avrebbe, in ogni caso, un ruolo marginale.
Centrodestra, centrosinistra, gialloverdi: tutti le stesse politiche padronali
Il dato è uno ed inequivocabile: il governo si appresta a vendere e privatizzare per la terza volta in 10 anni la ex compagnia di bandiera italiana attraverso un ulteriore ridimensionamento, con altre migliaia di licenziamenti, in nome di un rilancio che mai potrà essere garantito da nessuno dei diretti concorrenti, i quali sarebbero interessati solo a impossessarsi del controllo del ricco mercato del trasporto aereo della penisola attraverso, appunto, l’acquisizione della rete dei collegamenti in capo ad Alitalia. Sarebbe il più grande tradimento dell’inconfutabile mandato dei lavoratori Alitalia rappresentato da mesi di dura lotta e dal risultato referendario, mandato che mai accetterebbe l’ennesimo ridimensionamento con conseguenti licenziamenti e tagli, e soprattutto non accetterebbe, dopo i governi di centrodestra e centrosinistra, un ulteriore diniego anche da parte del governo del “cambiamento” a rendere di nuovo pubblica quella che dovrebbe essere la compagnia di bandiera italiana. Anche un’eventuale partecipazione pubblica al 51% non assicurerebbe l’autonomia del controllo operativo della compagnia e di conseguenza del trasporto aereo nazionale, ma sarebbe funzionale solo come garanzia per i papabili acquirenti e alleati che, non a caso, pretendono da subito la governance sulle tratte. Abbiamo l’esempio portoghese dove, il governo del “bloqueio à esquerda”, sceneggiando una ri-nazionalizzazione della compagnia di bandiera Tap, ha solamente versato soldi pubblici a garanzia dei privati, i quali continuano ad avere la totale governance senza favorire nessuno sviluppo e senza nessun beneficio per i lavoratori: continuano a rimanere esternalizzate tutte le attività di Handling e i lavoratori Tap, insieme ai colleghi Iberia ed Alitalia, hanno i salari più bassi d’Europa a confronto, oltre che con le compagnie di riferimento, anche con alcune Low Cost.
L’assurdo si evidenzia ancora di più se andiamo a consultare i dati del traffico aereo in Italia: Assoaeroporti ci informa che nel 2018 negli aeroporti italiani sono “atterrati” 185 milioni di passeggeri con un aumento di circa il 6% rispetto al 2017 dove, a farla da padrone, sono stati l’aeroporto di Roma-Fiumicino (42 milioni) e Milano-Malpensa (25 milioni) i due Hub intercontinentali. In tutto ciò Alitalia trasporta non più di 25 milioni di passeggeri l’anno e rinunciare, per l’ennesima volta, ad un suo sviluppo, significherebbe lasciare campo aperto ai big dei cieli e alle Low Cost, proprio in un anno in cui, alcune di loro, mostrano una determinata sofferenza, in parte dettata dalle mobilitazioni dei piloti e assistenti di volo che con forza hanno rivendicato migliori condizioni, in parte dovute dalla questione Brexit che vede coinvolte le compagnie Low Cost britanniche Ryanair ed EasyJet ma anche il gruppo IAG di cui fanno parte la British Airways, le spagnole Iberia e Vueling, l’irlandese AirLingus e la Norwegian, le quali, nel dopo Brexit, in previsione degli accordi, potranno viaggiare liberamente all’interno dell’Europa solamente se la loro quota azionaria sia al 51% in possesso di una o più società EU, al contrario gli sarebbero concesse solo tratte dirette da/per Regno Unito ed EU.
L'"imperialismo dei cieli" e la necessità di una lotta internazionale
Come appare evidente dai fatti e dall’analisi fin qui evidenziati, il settore aereo, di sua natura, vive in un sistema internazionale in cui la fanno da padrone i grandi capitali provenienti dagli Stati più potenti del globo, una sorta di "imperialismo dei cieli" in cui Paesi come Usa, Cina, Emirati Arabi, Francia, Germania, Gran Bretagna, controllano la gran parte dei flussi e dei ricavi anche attraverso la guida delle più importanti alleanze del settore (SkyTeam, OneWold, StarAlliance), in cui le compagnie minori, con una dimensione cosiddetta regionale, svolgono solo un servizio ancillare.
È chiaro che per opporsi a tutto ciò non potranno essere sufficienti, anche se importanti, le lotte intraprese singolarmente nei vari territori o aziende/compagnie, ma la strada da percorrere sarebbe tentare di unificare le rivendicazioni e le iniziative a partire da una base nazionale per poi estenderla a livello internazionale. Compito arduo ma che nel suo piccolo ha intrapreso da anni la Cub Trasporti, sindacato guida di importanti lotte come in Alitalia ma anche negli aeroporti di Milano Linate/Malpensa e Verona, alla quale va riconosciuto il merito di utilizzare costantemente lo sciopero generale di comparto aereo-aeroportuale-indotto appunto per provare, con tutte le difficolta, a connettere ed unificare le vertenze su territorio nazionale.

Inoltre va riconosciuto il merito ai propri attivisti di aver costruito, essendone i promotori, il I incontro internazionale del sindacalismo combattivo del settore aereo avvenuto a Madrid ad ottobre’18, in cui attivisti di diverse organizzazioni sindacali di vari Stati come Spagna (CGT), Francia (SUD Arièn), Portogallo (SOS Handling) ed Italia CubTrasporti/Acc, sono riusciti a confrontarsi su varie tematiche costruendo insieme una piattaforma di analisi e rivendicazioni da utilizzare poi ognuno nel proprio Paese, costruendo le basi per la creazione di un coordinamento internazionale di settore con l’ambizione che possa divenire in futuro uno strumento non solo di condivisione e solidarietà, ma anche di azione e lotta unitaria.

mercoledì 30 gennaio 2019

Antonio Sanchez, against muro.

Luciano Granieri




In questi tempo oscuri  in cui la parola immigrato è associata ad invasore, in cui si perpetua una  difesa identitaria  incentrata sulla razza, sulle scelte sessuali, sul censo e sull’integralismo religioso, come pensiate possa reagire il mondo del jazz? Quel mondo che si fonda sull’abbattimento di confini culturali sociali e politici , quell’universo che ha fatto, e   fa,  della comunicazione musicale un linguaggio   universale inteso da tutti i musicisti del mondo, risponde  ignorando totalmente muri e barriere   elementi del tutto estranei al lessico jazzistico.

Non nette divisioni ma ibridazioni.  Questa è la principale caratteristica di una musica che, pur investita nel corso della sua storia da  rigurgiti razzisti e discriminatori, ha sempre, non senza difficoltà, imposto il proprio carattere inderogabile di contaminazione, cercando in linguaggi musicali diversi fonte d’ispirazione e creatività.  

Il tema dell’invasione da parte di gente inerme è tristemente diffuso nella parte più gretta della popolazione mondiale che,badate bene, non è la maggioranza. E’ solo quella che strilla di più.  La maggior parte di coloro che sono e resteranno umani non strepitano, ma usano anche le arti per farsi sentire. E’ forse una modalità poco incisiva oggi, ma notevolmente più potente e destinata ad imporsi anche nella barbarie  covata nella solitudine di soggetti sedotti e abbandonati da un vorace liberismo che li ha resi  soli e rancorosi.

Un esempio di  ambasciatore culturale che usa l’arte, in questo caso la musica jazz, per imporre la sua umanità è il batterista Antonio Sanchez. Un artista che purtroppo soffre più di altri la presenza dei muri, in particolare di un muro, quello che divide il Messico dagli Stati Uniti. Sanchez infatti è nato nel 1971 proprio a Città del Messico. Nel 1990   riesce ad arrivare negli Stati Uniti nel suo paese si era già diplomato al conservatorio. Un privilegiato?  Forse, ma il  suo talento dopo averlo traghettato  verso Boston nel 1997 gli consente di vincere diverse borse di studio come il Memorial Scolarship Buddy Rich ed il premio  Zildjian.  A Pat Methney non interessa che Antonio sia del Messico, è un talento, uno straordinario batterista e tanto basta per farlo entrare stabilmente nel suo gruppo. Ma neanche a Chic Corea, a Dee Dee Bridgwater, a Charlie Haden o a tanti altri jazzisti  che hanno collaborato e collaborano con lui interessa molto che Sanchez sia messicano.  E' un musicista con cui diventa stimolante ed appagante suonare, questo solo  è importante.

Nessun muro può fermare l’ibridazione con il  talento, ma anche la semplice condivisione di vite, storie umane, nascita di amicizie. Infatti Antonio Sanchez quel muro fra Stati Uniti e Messico  non lo digerisce proprio . Il gruppo di cui oggi è leader si chiama “Migration band”. Quando il quartetto si esibisce, fra un brano e l’altro,  il batterista non lesina disprezzo per la politica repressiva e gretta dell’amminstrazione Trump. Fa politica? Certamente perché divisione e segregazione, non solo non fanno parte del jazz, ma non fanno parte neanche di rapporti sociali umani. Per  questo suonare, dipingere, scrivere poesie, significa fare politica combattere la guerra contro la barbarie con le sole armi dell’arte.  E vi pare poco!

Good Vibrations


martedì 29 gennaio 2019

Degrado ambientale nella Valle del Sacco. E’ ora di pianificare soluzioni diverse e finalmente efficaci

Assemblea Territoriale Potere al Popolo Frosinone




Quando l’assemblea di Frosinone di Potere al Popolo, in occasione della manifestazione organizzata a Ceccano sull’inquinamento del fiume Sacco nel dicembre scorso, espresse la preoccupazione che, finita l’indignazione per l’invasione di schiuma inquinante nel corso d’acqua, il problema della Valle del Sacco sarebbe tornato nel suo alveo dormiente, non sbagliava. Ciò perché la situazione di totale degrado ambientale in cui versa la “Seveso del Sud “ non ha mai trovato soluzioni basate sulla  dimensione globale  del problema. Eppure analisi esaustive sull’intero complesso delle criticità  sono state avanzate, anche nell’ultimo convegno organizzato  il 25 gennaio scorso a Ceccano  dal giornale on line uno&tre.it  Ma mai hanno suscitato una risposta adeguata  che è, inutile negarlo, complessa e articolata. La stessa mozione presentata alla Camera a firma dei deputati di Leu, Muroni, Fornaro,Epifani, Occhionero, Rostan ,Fassina il 5 dicembre scorso, pur completa nell’analisi, risulta debole nelle richieste limitate ad un moratoria nel conferimento di rifiuti da Roma e nell’insediamento di industrie impattanti nella zona Sin. Meglio che niente! Ma si da il caso che il Parlamento sia lontano anni luce dal calendarizzarne la discussione.  Proviamo qui a fornire un quadro complessivo e ad avanzare le nostre proposte.  Una prima fondamentale  operazione    riguarda la classificazione dei detrattori ambientali, ossia tutti quegli elementi che impattano in modo nocivo sull’ecosistma. 

IL CONSUMO DI  SUOLO                                                                                                                     Iniziamo con il  consumo di suolo.  Per consumo di suolo s’intende la   concentrazione  di insediamenti abitativi ,  di attività industriali  e produttive in aree definite.  Nel piano di gestione  dell’Autorità di Bacino Distrettuale  dell’Appennino Meridionale, ente pubblico incaricato di monitorare i bacini  del  Liri-Garigliano  e del Volturno,  la percentuale di consumo di suolo (fra il 1910 e il 1998)  , nel  sotto bacino Sacco-Cosa, che rientra nell’area Liri-Garigliano,  è stata  del 12,1%.  Lo stesso dato per il  bacino del Volturno è esattamente la metà,  6% . Nel rapporto Ispra del 2017 la Provincia di Frosinone ha subito un ulteriore aumento pari al 7%. Come incide il consumo di suolo sull’inquinamento?  La scomparsa di spazi aperti, spazi verdi, aree naturali boscate e agricole, trasforma le superfici  permeabili in impermealizzate  con il conseguente aumento della velocità di scorrimento delle acque dei fiumi, l’annullamento dell’effetto filtro  del terreno  sugli inquinanti che si riversano direttamente   nei corsi d’acqua . Se ciò è devastante in termini di inquinamento ambientale lo è ancora di più per il rischio di alluvioni. Un consumo di suolo elevato, causato da un processo di urbanizzazione ed industrializzazione incontrollata, determina ulteriori pressioni ambientali  in termini di eccessivi scarichi nocivi nei corpi idrici  ed emissioni atmosferiche  di sostanze tossiche per l’uomo.  Non è un caso che l’inquinamento da polveri sottili sia elevatissimo per gran parte dei Comuni che insistono nel Sin, Frosinone e Ceccano su tutti .
IMPIANTI DI DEPURAZIONE
Un potente detrattore  ambientale è la totale insufficienza degli impianti di depurazione. I depuratori situati nella provincia di Frosinone ricadente nel Sin sono 58. Tutti sono poco, o per nulla, funzionati . Sempre nel piano di gestione dell’ Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale si rileva che lo stato pessimo del fiume in termini sostanze tossiche presente nell’asta fluviale  è dovuto all’insufficiente  trattamento delle acque reflue. Gli impianti di depurazione  sono gestiti da Acea Ato5.  Nel 2014 il pm Adolfo Coletta dispose il sequestro degli impianti di Frosinone,Ferentino, Anagni, Ceccano, Fiuggi, Veroli e Trevi nel Lazio  perché, a seguito di un’indagine del Noe,  i reflui civili provenienti da  questi comuni non erano depurati.  Ad oggi non è cambiato molto. Suggestiva,  a dire poco, è l’odissea del depuratore industriale di Anagni. Una mega struttura costata 20 milioni di euro le cui traversie sono iniziate sin dagli inizi degli anni  ‘90.  L’impianto doveva servire la depurazione dei reflui provenienti dalle aziende del distretto Asi, ma non ha mai funzionato. Non solo, nel corso degli anni la struttura ha subito furti e danneggiamenti. Finalmente nel 2013 la Regione cede la gestione dell’impianto al consorzio Asi senza  però che nulla cambiasse. Durante un’audizione di movimenti   e associazioni ambientaliste presso la commissione parlamentare ecomafie, avvenuta nel 2015, emerse la sussistenza di 88 scarichi industriali, con 17 milioni di metri cubi di acque non trattate sversate direttamente nel Sacco. Nel marzo 2017 in pompa magna la Regione attraverso l’assessore all’ambiente Mauro Buschini, firmava un ulteriore accordo con l’Asi  guidata del sodale di partito Francesco De Angelis in cui il consorzio, a seguito di un’ulteriore finanziamento  (160mila euro), riattivava il sistema, affidandone la gestione ad una ditta privata la AeA . L’amministratore delegato di tale azienda recatosi presso il depuratore, lo  ha trovato letteralmente devastato. A oggi  la struttura non è ancora funzionante.

Il depuratore di Anagni
ATTIVITA’ PRODUTTIVE INQUINANTI.
Passiamo alle  industrie. 623 aziende insistono nel Sin della provincia di Frosinone. Fra queste 14 sono classificate come altamente inquinanti, tanto da rientrare nel controllo della  direttiva Seveso. La   norma, emanata dalla UE e recepita nel 1988 dall’Italia con successive modificazioni,  prevede l’adozione di controlli e protocolli particolari   a cui devono adeguarsi  fabbriche   che fanno uso di sostanze pericolose e nocive per l’ambiente. Alcune fra queste 14 attività hanno procedimenti legali in corso proprio per la mancata osservanza della direttiva.
SMALTIMENTO RIFIUTI
Infine non si può sottacere la critica questione sullo smaltimento rifiuti. Nel 2015 l’Unione Europea  ha comminato al nostro Paese   sanzioni per 218 infrazioni in materia di discariche abusive . 32 sono nel Lazio, 27 nella Provincia di Frosinone. Interessano 85 comuni sui  91 della Provincia . In base all’ultimo rapporto ISPRA,  alcuni residui di metalli nel fiume Sacco non possono che derivare da rifiuti nocivi interrati ad oggi non ancora localizzati. Un discorso particolare riguarda la discarica di Via Le Lame  nella zona industriale di Frosinone. Una superficie di 4 ettari  con 650.000 metri cubi di rifiuti. La bonifica di questo sito si è già mangiata 8 milioni di euro. Nonostante ciò ne è stato ordinato il sequestro perché a seguito di un’ispezione dell’Arpa si è rilevato che  la discarica ancora produce inquinamento da percolato e che lo stesso percolato è inquinato da metalli pesanti. Ad aggravare il problema contribuisce la strategia che la Regione Lazio sta adottando per lo smaltimento dei rifiuti. Per supplire la carenza d’impiantistica di Roma  gli impianti di trattamento TMB e di produzione del CDR, presenti nel territorio della Valle del Sacco, ricevono  i rifiuti solidi urbani da Roma.  Tanto che l’impiantistica di Frosinone tarata per  la lavorazione di 175.000 tonnellate all’anno  di RSU, dal 2017, ne tratta un milione.  Una quantità di otto volte superiore al fabbisogno del  territorio con le conseguenze che sappiamo in termini di inquinamento dell’aria attraverso gli inceneritori e la contaminazione dei terreni attraverso le discariche.

SITUAZIONE SANITARIA
Tutto ciò non può che ricadere drammaticamente sulla salute delle persone. Lo studio epidemiologico  nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento, commissionato dall’Istituto Superiore di Sanità, sia nel rapporto 2011,che in quello del 2014, (nel 2016 il rapporto  non è stato pubblicato) ha evidenziato come nelle aree limitrofe al fiume Sacco si riscontri  una mortalità superiore rispetto alle altre zone d’Italia  per tutte le malattie, in particolare per i tumori alle vie respiratorie e per diverse tipologie di leucemie. I rapporti evidenziano come  la grave situazione sanitaria della valle sia pari, se non superiore, ai livelli riscontarti presso l’Ilva di Taranto. In base al nuovo modello di politica  sanitaria europea, denominato Health 2020, stipulato dai 53 paese facenti parte della Regione Europea dell’OMS,    il sistema  sanitario pubblico  deve potenziarsi  per curare più efficacemente  le patologie derivanti dall’inquinamento. Nella Valle del Sacco tutto ciò è totalmente disatteso. I  trattati europei ,si  sa,   devono  essere rispettati  tassativamente solo per il rapporto deficit/pil, gli altri accordi, soprattutto se riguardano aspetti sociali, possono diventare carta straccia.
SOLUZIONI
Come risulta evidente la  grave crisi ambientale della Valle del  Sacco  sembra ormai irreversibile.  Di fronte a questa conclamata gravità, l’assemblea territoriale di Potere al Popolo  di Frosinone  valuta del tutto insufficienti  le soluzioni proposte.  Si sta assistendo ad uno  scarica barile fra istituzioni. I sindaci  scaricano le responsabilità sulla Regione, la Regione non recepisce ed imputa al governo centrale una parte delle cause. La verità è che sono tutti responsabili. I sindaci, ad esempio,  per assecondare la speculazione fondiaria  alimentata dall’ urbanistica contrattata.   Per ogni  opera urbanistica da strutturare , concedono ai privati  aree estese da seppellire sotto  milioni di metri cubi di cemento. Il risultato è una disordinata urbanizzazione che aumenta l’inquinamento del terreno, dell’aria e delle acque,rendendo inefficienti i depuratori. Anche sul tema della depurazione  i  sindaci dovrebbero essere maggiormente vigili, verificando   l’efficienza gestionale dei privati sugli impianti. Gravi responsabilità ricadono sul consorzio Asi e sulla Regione. Come assemblea di Potere al Popolo di Frosinone chiediamo al presidente Francesco De Angelis di procedere immediatamente  all’attivazione del depuratore di Anagni anche se ciò dovesse configgere con gli interessi delle aziende che, per risparmiare sul trattamento dei reflui,  preferiscono sversare direttamente nel fiume.  Così come chiediamo la moratoria di ogni insediamento industriale inquinante. Denunciamo inoltre la totale insipienza della Regione Lazio sullo  smaltimento dei rifiuti. Manca ancora un piano definito, l’ultimo fu redatto nel 2010.  Tutto si svolge in regime di emergenza e  privilegia  lo smaltimento a mezzo incenerimento e discarica un sistema altamente inquinante e desueto. Invitiamo il presidente Zingaretti a redigere finalmente un piano rifiuti basato su  differenziazione, ricircolo e riuso. Un sistema che, oltre a evitare l’inquinamento, potrebbe creare nuovi posti di lavoro. E ancora esortiamo il presidente Zingaretti a fermare il processo di disarticolazione della sanità pubblica nel Lazio  e ripristinare i presidi sanitari all’interno della Valle del Sacco. Se si considera il territorio del Sin emerge che  l’unico  Ospedale attivo  è lo Spaziani di Frosinone .  Invitiamo il ministro dell’ambiente Costa ad aumentare i fondi per la bonifica (50 milioni di euro sono briciole) e coinvolgere direttamente nel processo  i sindaci del coordinamento Valle del  Sacco. Ma, soprattutto, rigettiamo l’attuale sistema economico  basato sulla privatizzazione del profitto e la publicizzazione delle perdite in termini di costi finanziari sociali e sanitari. Il totale fallimento di queste pratiche è certificato da  un tasso di disoccupazione del 14%, la distruzione ambientale della valle e la devastazione del sistema sanitario pubblico a fronte del preoccupante aumentare delle malattie causate da inquinamento. E’ necessario che siano i cittadini a riappropriarsi del proprio territorio, a chiedere la nazionalizzazione delle aziende che de localizzano che non  hanno scrupoli in nome del profitto ad inquinare aria suolo e acqua. Bisogna pianificare investimenti pubblici sotto  controllo partecipato della collettività  per  la riqualificazione d’impianti inquinanti dismessi  e la  valorizzazione  della  vocazione turistica ed agroalimentare. E’ necessario riaffermare il primato degli interessi delle persone sugli affari della speculazione finanziaria. La  soluzioni dei problemi della Valle del Sacco deve, da un lato,  prevedere azioni specifiche e mirate per procedere all’individuazione delle fonti inquinanti, la bonifica e la valorizzazione della Valle, ma nel frattempo è fondamentale mettere in discussione un’ economia che punta al profitto finanziario ai danni del progresso civile e sociale dell’intera collettività. Per questi obiettivi  l’assemblea territoriale di Potere al Popolo di Frosinone si batterà con forza senza se e senza ma.








APPELLO PER L’IMMEDIATO SBARCO DEI MIGRANTI DELLA SEA WATCH

Pierpaolo Brovedani 





Come operatori sanitari, che quotidianamente si prendono cura della salute delle donne e dei bambini, assistiamo attoniti a quanto si svolge al largo di Siracusa, dove alla nave Sea Watch, con 47 migranti tra cui diversi minori a bordo, viene impedito lo sbarco a terra per soccorrere persone in pericolo e costrette all’addiaccio in un mare agitato ed esposte a temperature invernali.
Possiamo solo immaginare, nelle nostre comode e calde abitazioni, il dolore e l’angoscia degli adulti e dei bambini a così grave rischio di serie conseguenze fisiche e psicologiche.
Siamo indignati per l’indifferenza del nostro governo, che riduce questa tragedia umanitaria a mera questione di opportunità politica e a merce di scambio nei confronti degli altri stati europei.
Rivolgiamo un appello innanzitutto alle forze di governo locali, al Sindaco di Trieste Di Piazza e al Presidente della Regione Fedriga perché dichiarino aperti i nostri porti e le nostre strutture per accogliere queste poche decine di migranti e prioritariamente i bambini e i minori.
Chiediamo al Primo Ministro Conte, al Ministro degli Interni Salvini, al Ministro delle Infrastrutture Toninelli di uscire dall’indifferenza e consentire lo sbarco a terra di queste persone.
Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sanitaria con possibili tragiche conseguenze. Scongiuriamola subito, accogliamo i naufraghi. Ce lo impongono non solo le regole internazionali di assistenza e salvataggio in mare, ma anche il senso morale che deve caratterizzare la società civile, il dovere del pronto soccorso sanitario e infine, ma non ultime, la pietas e la solidarietà che deve caratterizzare ogni essere umano.


  1. Pierpaolo Brovedani, pediatra , brovedanisardo@libero.it , cell 328 7437144
  2. Franco Colonna, pediatra
  3. Claudio Germani, pediatra
  4. Marco Rabusin, pediatra
  5. Giuseppe Ricci, ginecologo
  6. Francesco Maria Risso, pediatra
  7. Giuseppe Abbracciavento, neuropsichiatra infantile
  8. Anna Agrusti, medico, specializzanda in Pediatria
  9. Stefano Amoroso, medico, specializzando in Pediatria
  10. Stefanny Andrade, medico, specializzanda in Pediatria
  11. Laura Badina, pediatra
  12. Francesco Baldo, medico, specializzando in Pediatria
  13. Elena Battistuz, medico, specializzanda in Pediatria
  14. Maria Bernardon, ginecologa
  15. Martina Bevacqua, medico, specializzanda in Pediatria
  16. Benedetta Bossini, medico, specializzanda in Pediatria
  17. Jenny Bua, pediatra
  18. Giulia Caddeo, medico, specializzanda in Pediatria
  19. Marta Campagna, pediatra
  20. Giorgia Carlone, medico, specializzanda in Pediatria
  21. Adriano Cattaneo, epidemiologo infantile
  22. Gabriele Cont, pediatra
  23. Sarah Contorno, medico, specializzanda in Pediatria
  24. Cristiana Corrado, medico, specializzanda in Pediatria
  25. Francesca Corrias, medico, specializzanda in Pediatria
  26. Luisa Cortellazzo Wiel, medico, specializzanda in Pediatria
  27. Alessandro Daidone, medico, specializzando in Pediatria
  28. Laura De Nardi, medico, specializzanda in Pediatria
  29. Lucia De Zen, pediatra
  30. Irene Del Rizzo, medico, specializzanda in Pediatria
  31. Sara Della Paolera, medico, specializzanda in Pediatria
  32. Giulia Maria Di Marzo, medico, specializzanda in neuropsichiatria infantile
  33. Anna Favia, pediatra
  34. Francesca Galdo, pediatra
  35. Maria Rita Genovese, medico, specializzanda in Pediatria
  36. Rita Giorgi, pediatra
  37. Sara Lega, pediatra
  38. Marta Massaro, pediatra
  39. Giuliana Morabito, pediatra
  40. Giovanna Morini, neuropsichiatra infantile
  41. Laura Morra, medico, specializzanda in Pediatria
  42. Enrico Muzzi, medico ORL pediatrico
  43. Daniela Nisticò, medico, specializzanda in Pediatria
  44. Tarcisio Not, pediatra
  45. Laura Novello, assistente sociale
  46. Paola Pascolo, pediatra
  47. Matteo Pavan, pediatra
  48. Roberto Pillon, medico, specializzando in Pediatria
  49. Stefano Pintaldi, medico, specializzando in Pediatria
  50. Riccardo Pinzan, anestesista pediatrico
  51. Angela Pirrone, pediatra
  52. Federico Poropat, pediatra
  53. Sara Romano, medico, specializzanda in Pediatria
  54. Nicoletta Santangelo, ginecologa
  55. Alessia Giuseppina Servidio, medico, specializzanda in Pediatria
  56. Aldo Skabar, neuropsichiatra infantile
  57. Alice Sorz, ginecologa
  58. Meta Starc, pediatra
  59. Gianluca Tamaro, medico specializzando in Pediatria
  60. Alberto Tommasini, pediatra
  61. Laura Travan, pediatra
  62. Marina Trevisan, pediatra
  63. Andrea Trombetta, medico specializzando in Pediatria
  64. Angelica Velkoski, medico specializzanda in Pediatria
  65. Giulia Ventura, pediatra
  66. Uri Wiesenfeld, ginecologo