venerdì 15 maggio 2020

La magia del cofanetto n.374

Luciano Granieri


Premessa
Il pezzo che segue è dedicato a Ezio Bosso, in una giornata triste come quella in cui Ezio ci ha lasciato , tutto ciò che parla di musica, che ne descrive la bellezza e la passione deve essere dedicato a lui.



“Un concerto perfetto se non fosse che il contrabbassista assomigliava a Peppino Di Capri” Queste erano le valutazioni che, in una mattinata del 1979, a scuola ,stavo scambiando con Vincenzo,  mio compagno di classe e di banco di allora (Vincenzo oggi è uno dei più autorevoli critici di jazz, scrittore,saggista musicale,  nonché docente presso diversi conservatori)  Si trattava del concerto  del pianista Bill Evans, con  Marc Johnson al contrabbasso (quello che assomigliava a Peppino di Capri) e Joe La Barbera alla batteria. Lo aveva trasmesso la Rai la notte prima. 

La musica di Bill Evans aveva su di  me  uno strano effetto. Non riusciva a prendermi subito  .  Un aspirante batterista, “ormonale” come ero io in quel periodo,  tutto sbaradam-bam-dish, preferiva bearsi delle evoluzioni di band    sfavillanti   dove il drummer  rutilava acrobaticamente     bacchette e spazzole   su pelli e cimbali.  Quelle atmosfere eteree, quei fraseggi raffinati  e curati, all’inizio di ogni ascolto mi lasciavano un po’ interdetto, ma inspiegabilmente mi tenevano inchiodato alla sedia. 

Non era il seguire con la testa o con il piede il ritmo, era consegnarsi completamente a quelle armonizzazioni a qui colori ritmici soffusi, che solo grandi musicisti   potevano eseguire .  Una sensazione strana ma  bellissima che ti portava fuori dalla  corporeità comunicativa e gestuale tipica della maggior parte dei brani jazz . Anch’io come Vincenzo ero rimasto abbagliato da quel concerto e ne stavo condividendo  le mirabilie attirando gli strali della professoressa di Filosofia. 

Un anno dopo,  a settembre, Bill Evans venne a mancare. Una perdita enorme non solo per il jazz ma per la musica in generale. Su la rivista Musica Jazz di novembre si dava conto dell’imminente uscita di un cofanetto con 4 dischi . L’opera  raccoglieva  tutte le incisioni che Bill Evans, insieme al bassista  Paul Motian, e al contrabbassista Scott La Faro,  fra il 1959 e il 1961, aveva realizzato per la Riverside etichetta guidata da Orrin Keepnews. Era un omaggio che la Fonit Cetra voleva dedicare alla memoria di Bill attraverso la pubblicazione dell’intera espressione creativa del   grande trio jazzistico, precursore di una nuova concezione formale del  rapporto armonia –melodia -ritmo. Quell'esperienza fu interrotta dalla morte prematura di Scott La Faro a causa di un incidente stradale occorsogli  nel luglio  del 1961.  

La particolarità di quel cofanetto era che sarebbe uscito in edizione limitata . Solo  2000 copie
Al desiderio dell’appassionato di musica si aggiunse la fregola del collezionista.  Una  di quelle 2000 copie non doveva  mancare nella mia discoteca jazz. 

Sulla rivista diretta da Arrigo Polillo, erano elencati i negozi presso cui era possibile prenotare il cofanetto. Non accettavano prenotazioni telefoniche, e bisognava presentarsi di persona. Il punto vendita più vicino, ovviamente era a Roma, più esattamente Millerecords  vicino alla stazione Termini. In un uggioso pomeriggio di novembre presi il treno con la preoccupazione che le prenotazioni fossero chiuse.  Per i soldi non c’erano problemi. Monetizzai i regali di compleanno e di natale per disporre della cifra necessaria. 

Roberto, il vero e proprio deus ex machina, di Millerecords, mi consegnò il biglietto di prenotazione, con la promessa di avvisarmi all'arrivo del cofanetto . Un mese dopo, con una certa solennità, mi fu consegnata da Roberto  la copia n.374.

Sarà stato il  fatto di possedere un'opera  dall’emissione limitata, sarà stata la forma austera della confezione, il cofanetto, a differenza degli altri dischi, rivestì per me  un’aurea di straordinaria  sacralità  . Non che gli altri vinili di cui ero in possesso non avessero  valore, ma quelli del cofanetto erano  speciali. Ad esempio non li riversai su cassetta,  come era mia abitudine fare per gli altri dischi. Non mi andava di ascoltare quelle incisioni in macchina o sul  walkman, oppure provare a seguire Evans, La Faro e Motian con la batteria attraverso le cuffie, altra consuetudine consolidata per  gli altri vinili. 

Ascoltare quei quattro dischi era un rito che cominciava dall’aprire il cofanetto , estrarre la prima sottocopertina  , sfilare il vinile e porlo sul piatto, apprezzando la consistenza della carta, il luccichio dei solchi.   Poi sorbire l’inebriante  effluvio di quelle note. Così per ogni disco dei quattro, fino all’ultimo Village Vanguard session 2. Mai quel cofanetto è uscito da casa, spesso invitavo i mie amici per condividere con loro quell’inimitabile esperienza d’ascolto ma erano loro  venire da me, giammai una puntina che non fosse quella del mio piatto avrebbe potuto solcare quelle tracce.  

Era un atteggiamenti maniacale, me ne rendo conto, ma invito chi mi sta leggendo a cercare in rete perle come  Blue in Green, Solar, My Romance, o Waltz for Debbie -  solo per citare alcuni brani di quelle registrazioni -ed ascoltarle. Potrà almeno immaginare come ci si potesse  sentire nell'apprezzare   quella musica, al netto della ritualità tipica  della fruizione in vinile. 

Di seguito pubblico un video in cui provo a raccontare la storia di quel cofanetto, con la riproposizione finale del brano My Romance. Spero di riuscire a condividere con chi mi vorrà ascoltare  la magia del cofanetto n.374.



P.S. Vincenzo, l’allora mio compagno di banco, è Vincenzo Martorella,  Ha insegnato ed insegna tutt’ora Storia del Jazz e Analisi dei Processi Compositivi e Improvvisativi del Jazz presso numerosi Conservatori. Da vent’anni tiene conferenze, guide all’ascolto e corsi di storia del jazz in tutt’Italia. Ha pubblicato e tradotti diversi libri sul jazz e sulla musica in generale, oltre ad aver collaborato con le maggiori riviste e giornali.

Buona Visione.


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