martedì 17 novembre 2020

Covid e piccola borghesia impoverita

 Un'analisi sociale del negazionismo



di Fabiana Stefanoni

La diffusione di teorie negazioniste del Covid è un dato di fatto. Benché il fenomeno abbia indubbiamente degli aspetti psicologici – quando una realtà è difficile da accettare si tende a negarla, costruendo un mondo immaginario che offre un'illusoria consolazione – sarebbe riduttivo considerarlo solo dal punto di vista della psiche individuale. È evidente che si tratta di un fenomeno sociale: il negazionismo si sta diffondendo in ampi strati della popolazione e, soprattutto, sta diventando l'ideologia di gruppi, movimenti e partiti politici che danno vita, in alcuni Paesi, anche a manifestazioni di massa. In questo articolo cercheremo di spiegarne, quindi, l'origine sociale. Crediamo che la causa principale della diffusione del negazionismo stia in una caratteristica tipica del capitalismo nelle fasi di crisi e decadenza: l'impoverimento di massa della piccola borghesia e delle classi medie (drasticamente accelerato dalla pandemia).

Destre negazioniste
Col termine «negazionismo» ci riferiamo a un'insieme di convinzioni, teorie, atteggiamenti volti a negare, in modo più o meno sfacciato, l'esistenza di un'emergenza sanitaria (cioè di una pandemia) che richiede misure di tutela straordinarie. Lo spettro dei sostenitori di questa ideologia è piuttosto ampio e include settori apparentemente eterogenei dal punto di vista della collocazione economica e culturale.
Le espressioni più stravaganti (e pericolose) sono rappresentate dai cosiddetti movimenti No Mask, che hanno dato vita soprattutto in alcuni Paesi europei – Germania, Francia, Spagna, Inghilterra – a partecipate manifestazioni di protesta contro le misure di quarantena (che sarebbero lesive della «libertà individuale»): queste manifestazioni sono state in molti casi egemonizzate da gruppi di estrema destra, neonazisti o populisti (anche in Italia i partiti di estrema destra hanno promosso manifestazioni contro la «dittatura sanitaria», benché per ora meno partecipate che in altri Paesi). In alcuni casi, queste convinzioni si affiancano a bizzarre teorie complottiste (come quelle sugli imperscrutabili poteri del 5G) e a convinzioni xenofobe e reazionarie (gli «untori» sarebbero gli stranieri, in particolare cinesi e immigrati africani).
Posizioni sfacciatamente negazioniste hanno anche espressioni istituzionali, in particolari nei Paesi governati da leader populisti e di destra: in Brasile, ad esempio, è lo stesso presidente Bolsonaro a farsi portavoce del negazionismo. Similmente Putin e l'ormai ex presidente Trump hanno spesso propagandato teorie di questo tipo, affermando esplicitamente che non esiste alcun serio pericolo legato all'epidemia.
Vogliamo aggiungere che si tratta di un fenomeno eterogeneo anche dal punto di vista culturale: non sono esclusivamente persone ignoranti, alla «Angela da Mondello», quelle che hanno cercato di farci credere che il virus non esiste o comunque non è pericoloso. Rientrano nel novero anche medici, intellettuali, artisti, giornalisti rinomati. E non si tratta di scomodare solo i casi grotteschi (i Zangrillo e gli Sgarbi di turno, per intenderci): in Italia il messaggio che il virus non rappresentasse una minaccia ha avuto più portavoce di quanto oggi si voglia far credere (e non solo a destra).
Per spiegare questo fenomeno sociale, per spiegare cioè perché l'ideologia negazionista si stia diffondendo in ampi strati della società dando vita anche a manifestazioni di massa (come in Germania), occorre guardare alla società, e precisamente a una classe sociale: la piccola borghesia.

Piccola borghesia e crisi economica
Quando parliamo di piccola borghesia (o classi medie) ci riferiamo a un gruppo sociale ampio ed eterogeneo, che comprende tutti gli strati sociali intermedi tra la classe operaia e la grande borghesia industriale e finanziaria: commercianti, piccoli esercenti, artigiani, funzionari,  intellettuali, manager, proprietari di piccole aziende a gestione famigliare, piccoli e medi proprietari terrieri, ecc. È una classe eterogenea, che comprende sia settori ricchi, che per condizioni economiche e stile di vita si avvicinano alla grande borghesia (pensiamo ai manager, per esempio), sia settori poveri, che si confondono col proletariato (e talvolta col sottoproletariato). Marx la definiva una «classe intermedia all'interno della quale si smussano gli interessi delle due classi» e che per questo «si immagina di essere superiore ai contrasti di classe» (1).
Nelle fasi di profondo cambiamento storico e, in particolare nei momenti di crisi economica (come quello che stiamo vivendo), la piccola borghesia si impoverisce, così come si ingrossano le file del sottoproletariato. In queste fasi, si registrano frequentemente fenomeni – di carattere ideologico e politico – come questi di cui stiamo parlando.
Se la classe operaia, per responsabilità delle sue direzioni opportuniste, resta in disparte e non scende in campo da protagonista nella vita politica, la piccola borghesia si prende la scena. Si tratta di una classe decisamente più debole della classe operaia: quest'ultima controlla nei fatti i mezzi di produzione e di trasporto e può, con le sue azioni di sciopero e di lotta, cambiare il corso politico degli eventi. La piccola borghesia non ha questa forza: è una classe atomizzata, disorganizzata, i cui membri sono isolati e rinchiusi in un orizzonte ristretto, talvolta angusto («pulviscolo di umanità», la definiva Trotsky). Eppure, è una classe che, se il palcoscenico è libero, può farsi sentire, anche rumorosamente: come diceva Marx, non si fa riguardi nel presentare sé stessa come «superiore ai contrasti di classe».
Tornando al contesto attuale, negli ultimi anni, soprattutto nei Paesi imperialisti, la piccola borghesia ha subito un impoverimento di massa. Già negli anni scorsi, i malumori di questo ampio strato sociale – che essendo numericamente consistente, ha un peso visibile nelle elezioni – ha dato vita a fenomeni politici nuovi, sedicenti «né di destra né di sinistra» (dal M5S nostrano al Podemos dello stato spagnolo), e ha portato ai vertici degli Stati personaggi grotteschi privi di qualsiasi spessore politico (da Di Maio a Conte, da Trump a Bolsonaro).
Se, parafrasando Marx, la storia mondiale sembra essersi ridotta, di elezione in elezione, a un susseguirsi di buffonate (2), la ragione sta anzitutto nel fenomeno sociale che abbiamo descritto. Insofferenti per il drastico peggioramento delle proprie condizioni di vita, le masse piccolo-borghesi, incapaci per la loro composizione eterogenea e frammentata di un'espressione politica realmente autonoma, hanno trovato l'unica unità possibile in un voto di protesta, esprimendo il loro consenso a figure tanto limitate quanto limitato è, per forza di cose, l'orizzonte di vita del bottegaio: alla sera i conti devono quadrare, costi quel che costi in termini di rispettabilità, cultura e intelligenza.  

E venne il Covid...
La pandemia ha dato un ulteriore duro colpo alle condizioni di vita delle classi medie e, in particolare, dei suoi settori più poveri. Quando vanno al governo, i partiti che pure devono le loro fortune elettorali al malessere della piccola borghesia si accodano al carro della grande borghesia: non sviluppano una politica autonoma, ma finiscono per sostenere politiche a vantaggio della grande industria e della finanza. I governi di tutto il mondo, inclusi quelli con una presenza significativa di partiti a base piccolo-borghese (come il M5S o Podemos), hanno attaccato duramente con le loro politiche non solo la classe operaia, ma anche questi strati intermedi. Dovendo scegliere tra la grande borghesia industriale e finanziaria e le altre classi sociali, questi governi non hanno avuto dubbi su da che parte stare: enormi risorse pubbliche sono state elargite alla grande industria, mentre a salariati, commercianti, lavoratori autonomi sono state sottratte persino le briciole. Le timide misure di quarantena adottate dai governi di tutto il mondo raramente hanno posto all'ordine del giorno la chiusura delle fabbriche, mentre si chiudono i ristoranti, i bar e i piccoli esercizi commerciali senza alcun sussidio economico degno di questo nome.  
Sull'onda della delusione, constatando che le sue tasche sono sempre più vuote, la piccola borghesia può mettere in campo azioni di protesta, come sta avvenendo in Italia con le manifestazioni contro le misure di lock-down. Sul piano ideologico – della mentalità, come si usa dire – le teorie negazioniste del Covid trovano in questa classe pauperizzata un terreno fertile. Se già prima era difficile, per il ristoratore o il piccolo negoziante, sbarcare il lunario, la chiusura dell'attività e le conseguenti perdite economiche sono uno spettro da esorcizzare. «Se il Covid mi chiude la bottega, allora il Covid non esiste! Se l'obbligo di mascherina va di pari passo con la perdita di clientela, togliamoci le mascherine!»: così sarà indotto a ragionare il piccolo borghese che attorno agli affari del suo esercizio ha costruito tutto il senso della sua vita.
Non è un caso che gruppi fascisti e dell'estrema destra abbiano approfittato della situazione per farsi portavoce del malessere di questi settori. Al loro fianco si sono affiancati persino settori di «sinistra» che, non avendo una prospettiva di classe e di sistema, vedono in ogni protesta un segno positivo di ribellione (3). Intendiamoci: la piccola borghesia è realmente una vittima delle vergognose politiche borghesi dei governi. Soprattutto, è un settore che ha sempre svolto un ruolo importante nelle rivoluzioni: Trotsky negli anni Trenta del secolo scorso scriveva che, affinché una crisi sociale possa sfociare in rivoluzione, «è necessario che le classi piccolo borghesi si dirigano con decisione verso il proletariato» (4). Ma non possono essere alla testa delle mobilitazioni: devono trovare nella classe operaia organizzata una salda guida per l'azione nella lotta, che possa rappresentare, nella testa del piccolo borghese, un'alternativa radicale e credibile alle allettanti sirene dell'estrema destra.

La classe dominante lascia fare
Se la base di classe dell'ideologia negazionista sono le classi medie, è al contempo vero che la classe dominante – quella cioè che detiene i mezzi di produzione, quindi la grande borghesia – appare totalmente incapace di contrastarla. Al contrario, ha gettato nei mesi scorsi il concime che è servito per dare forza e vigore a queste teorie reazionarie. Non volendo mettere in atto misure efficaci e reali di quarantena generalizzata, preoccupata essenzialmente di mantenere attive la produzione e la compravendita delle merci (e quindi di conservare alti tassi di profitto), ha assecondato, in accordo coi suoi governi, la falsa convinzione che fosse possibile «convivere col Covid».
I governi borghesi di tutto il mondo, chi più chi meno, hanno avallato l'idea che la pandemia non rappresenti un reale pericolo per le masse popolari: da Macron a Sanchez, da Conte alla Merkel tutti i principali leader dei Paesi capitalistici hanno giustificato l'allentamento delle misure di quarantena con discorsi volti a occultare l'esistenza di una pandemia in pieno corso. Gli argomenti usati sono stati i più disparati: dall'argomento che il virus era stato sconfitto (mentre invece si registravano centinaia di contagiati) fino alla falsa credenza che fosse mutato (o comunque meno mortale e pericoloso).
La grande borghesia, si sa, controlla anche i mezzi di comunicazione: e non a caso in Italia tutta la stampa borghese e tutte le trasmissioni radio-televisive (intervallate da pubblicità che ci invitavano a comprare come se la vita fosse tornata all'assoluta normalità) hanno offerto un non trascurabile sostegno al discorso negazionista. Per mesi hanno occultato o minimizzato i dati sul Covid, lasciando intendere che l'emergenza fosse finita. In Italia l'enorme spazio mediatico che hanno avuto personaggi da baraccone come Zangrillo, ospiti spesso di trasmissioni di orientamento opposto a quello del gaglioffo berlusconiano (pensiamo all'Annunziata o alla Gruber, entrambe fedelissime alla linea del Pd), non è stato casuale: creava confusione nelle coscienze delle masse sempre più povere e desiderose di tornare alla «normalità». «Il virus è clinicamente morto», «No, non è morto ma si è indebolito», «Zangrillo esagera però effettivamente col caldo le cose vanno meglio», «il virus sembra meno aggressivo», ecc: bastava accendere la tv o la radio per sentire ripetere ossessivamente argomenti di questo tipo. C'è poco da stupirsi se poi, in questo marasma di idee, i giovani andavano in discoteca o a farsi un aperitivo di gruppo sui Navigli. Se i fatti vengono presentati in modo nebuloso e ambiguo, tanto vale credere alla versione che costa meno sacrifici.
Nella migliore delle ipotesi, si è creata ad arte una pericolosa confusione in merito ai pericoli del Covid: e questa confusione è risultata molto utile ai profitti della borghesia. Credere che l'emergenza fosse finita è servito a riattivare il mercato: chi, del resto, si sarebbe comprato una macchina o una casa nuove sapendo di dover passare un inverno come quello che stiamo vivendo, in cui si rischia di morire di fame oppure di Covid?
Se ora ci troviamo ogni giorno con centinaia di nuovi morti, con decine di migliaia di nuovi contagiati, con gli ospedali al collasso, sappiamo chi ringraziare: i capitalisti hanno preparato il piatto, i mass-media lo hanno condito e, infine, il governo lo ha servito!

Il ruolo della classe operaia
Ancora una volta, nella storia, la soluzione è nelle mani della classe operaia. Solo la classe lavoratrice, diretta dal partito rivoluzionario, potrà offrire una via d'uscita dal disastro in corso. Già a marzo, gli operai in Italia hanno dato prova di non essere destinati al ruolo di spettatori passivi: sono scesi in campo, hanno organizzato scioperi a oltranza, con adesioni che non si vedevano da anni, spesso in contrasto con le stesse indicazioni dei loro dirigenti sindacali (che li invitavano alla rassegnazione). Anche in questi giorni gli operai stanno organizzando dure lotte e scioperi, di cui poco si parla: dalla Whirlpool di Napoli all'Ex-Ilva di Genova fino alla Sevel (gruppo FCA) di Atessa. Numerosi scioperi sono in corso in altri settori, da quello socio-educativo alle poste, dai trasporti alla sanità. È da queste esperienze, che bisogna organizzare e generalizzare, che possono crearsi le basi per una ripresa della lotta di classe anche in Italia, in grado di trascinare anche i settori di piccola borghesia impoverita in una prospettiva di rovesciamento del capitalismo.
In tanti, anche nel proletariato, si erano fatti delle illusioni sulla fine dell'emergenza sanitaria. Le idee dominanti sono le idee della classe dominante e contaminano anche le coscienze dei salariati. La realtà si presenta ora per quello che è: una realtà amara. Ma quando viene lacerato il velo dell'inganno, quando il mostro si toglie la maschera – il capitalismo che sacrifica milioni di vite umane per la sete di profitto – si apre anche la possibilità di un cambio di coscienza nelle avanguardie delle lotte. Le lavoratrici e i lavoratori stanno frequentando una dura scuola, che ha per loro pesanti costi in termini di vita e salute. Ma è, al contempo, una scuola di verità: la fine dell'illusione che questo sistema possa ancora garantire un'esistenza dignitosa può divenire l'inizio di una trasformazione rivoluzionaria.

Note
(1) K. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte (1852).
(2) Il riferimento è a un celebre passo delle Lotte di classe in Francia, dove Marx definisce l'elezione di Luigi Bonaparte a presidente della Repubblica francese (10 dicembre 1848) una «buffonata della storia mondiale» (l'accostamento non è peregrino dato che quel risultato elettorale ebbe come causa principale il malcontento dei contadini).
(3) È il caso ad esempio di alcuni centri sociali, ma anche di alcuni settori sindacali, che si sono accodati alle manifestazioni contro le chiusure di attività commerciali. Approfondiremo in altri articoli il ruolo di settori intellettuali nonché di numerose organizzazioni politiche e sindacali della sinistra nell'avallare pericolose politiche di sostegno alle riaperture (in particolare in relazione al tema dell'apertura delle scuole, dei teatri, dei cinema).
(4) L. Trotsky, “E ora?” (1932).

 

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