sabato 7 marzo 2020

Riattiviamo l'ospedale di Anagni



La situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, anche se a livelli di diversa diffusione sul territorio nazionale, rende evidente e necessaria la collaborazione tra strutture sanitarie e istituzionali per assicurare un maggiore ed efficace supporto all' opera di contenimento e contrasto al contagio da corona virus la cui durata non è ancora possibile determinare.
Il lavoro straordinario che stanno svolgendo medici, ricercatori, infermieri e operatori sanitari chiede anche ai cittadini una forma opportuna di solidarietà e di unità di intenti, sottolineata anche dalle parole delle autorità sanitarie ed istituzionali.
Il Comitato scrivente propone alle autorità competenti destinatarie di questo documento l' utilizzo di strutture sanitarie esistenti come supporto all' emergenza in atto.
L' ex-Ospedale  di Anagni, che pur smantellato nelle sue dotazioni efficienti e funzionanti e ridotto ai minimi termini da insensate scelte politiche, è un Presidio che potrebbe assolvere alle necessità poste dall'emergenza sanitaria in atto, nella prospettiva di una espansione del contagio virale e della incerta capacità di risposta del sistema sanitario del nostro territorio, alleggerendo in particolare la pressione sull'ospedale del capoluogo.
Siamo convinti che la nostra non sia una proposta peregrina ma un contributo di solidarietà umana e civile nello spirito del comune impegno di contenimento e di controllo della diffusione della malattia.

Il Comitato “Salviamo l’Ospedale di Anagni  ”

Per info telefonare al  n.:  3930723990.
mail: info@dirittoallasalute.com.
Per aggiornamenti: www.anagniviva.org
www.dirittoallasalute.com



Per un 8 marzo di lotta e di rivoluzione

dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale


Pubblichiamo di seguito l’appello, Lit-Quarta Internazionale, che invita ad una massiccia partecipazione allo sciopero che ormai da anni viene convocato per la Giornata internazionale della donna. In Italia è però ormai certo che questo appello andrà disatteso non per «cattiva» volontà, ma per lo stop pretestuoso imposto dalla Commissione di garanzia sugli scioperi che ha invitato in maniera formale le segreterie nazionali dei sindacati di base che avevano proclamato lo sciopero, ad astenersi. La richiesta della Commissione, formalmente non è un vero divieto, ma prevede l’adozione di misure disciplinari verso singoli lavoratori o sigle che decidano di non uniformarsi a quanto disposto. Lo scorso 24 febbraio, considerato lo stato di emergenza per il coronavirus, la Commissione aveva già chiesto che non venissero effettuate astensioni dal lavoro dal 25 febbraio al 31 marzo 2020. 
Il peso dell’emergenza si sta scaricando soprattutto sulle donne proletarie rendendo così ancora una volta evidente le difficoltà sociali ed economiche contro cui lottiamo ogni giorno normalmente.
Non è una novità che ci sono ambiti professionali cosiddetti «femminilizzati», cioè con una componente occupazionale femminile molto elevata: istruzione, sanità, servizi alla persona e di pulizia sono ambiti lavorativi in cui gli occupati sono per 2/3 donne. Nelle regioni in cui l’emergenza coronavirus è stata più pressante, le donne hanno subito ricadute importanti sia come lavoratrici sia come donne alle quali viene delegata la gestione della cura familiare e del lavoro domestico: la chiusura delle scuole e/o la limitazione dei servizi alla persona se da un lato ha causato importanti danni economici (a volte la perdita del posto di lavoro), dall’altro, in mancanza di soluzioni alternative accessibili e gratuite molte donne sono rimaste a casa con i/le bambini/e, le persone anziane o malate più esposte agli effetti del virus. Da settimane, le operatrici sanitarie e le infermiere lavorano senza sosta a parità di salario. Le lavoratrici domestiche e di cura, soprattutto migranti, rischiano in modo significativo in cambio di salari da fame, le lavoratrici dei servizi di pulizia fanno turni sfiancanti per garantire l’igiene di ambienti pubblici e privati.
L’allarmismo con cui è stata gestita l’emergenza coronavirus e la clausura forzata che ne è conseguita per molte donne proletarie, ha determinato un aumento dei casi di violenza domestica, degli episodi di razzismo e di lgbtfobia.
Come Pdac  (Partito d'Alternativa Comunista) vogliamo ricordare l'esempio di migliaia di donne che in tutto il mondo stanno scendendo in piazza rispondendo alla chiamata allo sciopero internazionale delle donne e dicendo ad alta voce «Basta violenza, maschilismo ed attacchi ai nostri diritti». La lotta contro il maschilismo fa parte della serie di lotte che stiamo affrontando contro il sistema e i governi capitalisti, e siamo convinte che la lotta per la fine della violenza sulle donne e per l'emancipazione di tutti settori oppressi deve essere quotidianamente presente nelle manifestazioni, cioè, deve essere assunta da tutta la classe lavoratrice. Per questo, pur con tutte le limitazioni necessarie a tutelare la salute delle proletarie e dei proletari, pensiamo che l’8 marzo 2020 non debba passare in silenzio: solo con l’unità di tutti i proletari sarà possibile abbattere questo sistema verso un mondo dove poter essere davvero «socialmente uguali, umanamente diverse e totalmente libere».



Dichiarazione Lit-Quarta Internazionale

Noi donne ci alziamo, combattiamo, organizziamo barricate e ci mobilitiamo in molti angoli del mondo. Sconfiggiamo i pregiudizi e le paure, e così con i pugni chiusi scendiamo nelle strade del Cile, della Colombia, dell'India, della Turchia, di Hong Kong, dell'Ecuador, di Portorico, della Palestina, della Bolivia, della Francia, dell'Iraq e di altre parti del mondo.
Sono lotte molto diverse tra loro, ma in tutte, come donne lavoratrici, anche noi siamo protagoniste e combattiamo insieme alla popolazione che si mobilita contro i governi e il sistema capitalista, contro il maschilismo e lo sfruttamento. Le nostre stesse richieste si pongono come urgenti, le esprimiamo in ognuna di queste lotte, e chiediamo che le masse che scendono in strada se ne approprino.

Questo 8 marzo non sarà soltanto un giorno di commemorazione, non sarà un giorno per celebrare le donne che sono in posizioni di governo, che non hanno nulla da spartire con le donne che soffrono per le difficoltà del capitale. Questo prossimo 8 marzo deve avere lo stesso spirito che viaggia per il mondo, dal Cile a Hong Kong, e contagiare chiunque non sia ancora stato coinvolto. Questo 8 marzo deve essere un giorno di lotta e di rivoluzione! Come Lit-CI ci metteremo a disposizione di questo compito in tutti i luoghi in cui ci troviamo.
Da alcuni anni ormai diversi settori femministi chiamano ad uno sciopero delle donne in questo giorno. È un bene che le donne prendano questo strumento di lotta dalla classe operaia, lo rendano internazionale e reclamino per i diritti delle donne lavoratrici, delle giovani e delle ragazze.
Nel 1910 la Conferenza internazionale delle donne socialiste propose di fare dell'8 marzo una giornata di lotta mondiale di tutta la classe operaia per ottenere diritti come il voto e l'uguaglianza e per la liberazione di tutte le donne lavoratrici dall'oppressione e dallo sfruttamento, ma questa giornata non riuscì a diventare internazionale fino a quando le lavoratrici tessili di San Pietroburgo iniziarono lo sciopero per la rivoluzione operaia del 1917 che dalla Russia avrebbe avuto un impatto su tutto il mondo.
Oggi più che mai, c’è questa necessità che l'8M sia di nuovo un giorno di lotta, un giorno che dovrebbe far parte del piano di lotta di tutti gli sfruttati e gli oppressi, non vogliamo che in quel giorno combattano solo le donne, vogliamo e abbiamo bisogno di uno sciopero generale per la vita delle donne e per le loro rivendicazioni, che sono una parte fondamentale della lotta di tutta la classe lavoratrice per un sistema socialista, senza oppressione e senza sfruttamento. Le difficoltà che abbiamo sofferto all'inizio del XX secolo sono ancora presenti, e in alcuni casi stanno peggiorando.

I femminicidi continuano ad aumentare in tutto il mondo, gli stupri, le molestie sessuali e i rapimenti per traffico di donne sono all’ordine del giorno. Abbiamo dovuto cantare in diverse lingue «Lo stupratore sei tu» per mettere sullo scenario mondiale la violenza sessuale, simbolica ed economica che subiamo.
Ci violano con le pensioni da fame e vogliono costringerci a lavorare fino alla morte. Le riforme del lavoro cercano di assoggettarci ancora di più, le giovani donne perdono l'accesso all'istruzione, la vita è precaria e il nostro lavoro è instabile. Quelle di noi che sono nere, migranti, indigene o diverse soffrono la crudeltà in tutte le sue forme e sono discriminate sul lavoro.
Vogliamo porre fine ai crimini d'odio, diciamo basta alla Lgbtifobia e chiediamo una quota di lavoro transgender. È dovere dei governi allontanare le donne dal flagello della prostituzione e invece di «regolarla» in modo che i magnaccia aumentino i loro profitti, dovrebbero garantire lavoro a tutte. In questa società capitalista, oltre ad essere sfruttate, molte di noi subiscono oppressione, molestie e violenza maschilista sul posto di lavoro, solo perché sono donne. Ma lungi dall'accontentarci, lottiamo per condizioni di lavoro dignitose. Il nostro corpo e la nostra sessualità non sono in vendita! Non siamo merce!  
Il grido per il diritto di scegliere il momento della maternità sta diventando sempre più urgente e, grazie alla lotta, si sta rafforzando in molti luoghi del mondo. Pañuelazos e azioni per le strade chiedono l'aborto libero e legale, chiedono anche che non ci siano più arresti per aborto e che l'educazione sessuale sia obbligatoria e non sessista in tutte le scuole. C'è un bisogno urgente di un sistema sanitario universale e gratuito. Non vogliamo controlli da parte dei genitori, morti per aborti clandestini o donne costrette ad affittare il proprio utero per nutrirsi. Vogliamo che tutte le chiese siano separate dagli Stati.

Continuiamo ad essere schiave delle faccende domestiche, i piani di aggiustamento e di austerità dei governi, sia di destra che di «sinistra», continuano a porre sempre più compiti di cura sulle nostre spalle. Vogliamo che si rompa con la romanticizzazione di questi compiti e che ci siano politiche e finanziamenti specifici per impedirci di lavorare 4-6 ore in più rispetto agli uomini. Abbiamo bisogno di avere un'assistenza pubblica e gratuita per i bambini ovunque, pagata dai datori di lavoro.
Vediamo i governi di destra che cercano di ridurre i nostri diritti, di trattare la nostra vita e quella dei lavoratori come semplice merce, ma non crediamo che l'obiettivo di questa giornata sia la lotta contro un «fascismo emergente». Al contrario, crediamo che le donne e le persone si stiano sollevando e stiano rispondendo alle politiche da fame e di repressione di ogni tipo di governo, sia di destra come di quelli che si definiscono «di sinistra». La rivoluzione cilena, la resistenza palestinese, le lotte in Francia o in India, persino la resistenza al colpo di Stato in Bolivia dimostrano che noi e le masse popolari possiamo e dobbiamo scendere in piazza.

Dove ci alziamo, ci reprimono e cercano di farci tacere, questo 8M andremo a denunciare la repressione, a dire che non tollereremo più l'uso della violenza sessuale come forma di tortura. Andremo a chiedere l'immediato rilascio di tutti i prigionieri politici.
La nostra lotta è parte della lotta della classe operaia e delle masse popolari, le nostre richieste devono essere sollevate da tutti coloro che soffrono e lottano contro le difficoltà del capitale, per questo crediamo che uno sciopero femminista solo di donne non sia sufficiente, che divida le forze, vogliamo che il mondo si batta per i nostri diritti, vogliamo uno sciopero generale per le donne.
Crediamo che i sindacati e le centrali sindacali nel mondo debbano rompere l'inerzia e mettere la loro forza al nostro servizio. Saranno le donne lavoratrici, le donne povere e le giovani donne ad essere in prima linea questo 8 marzo, a discutere le richieste e le necessità, ma la lotta deve essere di tutti. Siamo convinte che sia imperativo lottare contro il maschilismo in queste organizzazioni e nella stessa classe operaia, affinché le lavoratrici possano unirsi alla lotta comune in condizioni migliori. Abbiamo bisogno che gli uomini della nostra classe sostengano le nostre rivendicazioni e vengano con noi a rafforzare questa lotta, perché fa parte della lotta più generale di tutti gli sfruttati e gli oppressi contro questo sistema e i suoi governi.

Nonostante l'Onu e molti settori del femminismo vogliano farci credere nella possibilità di porre fine a tutte le nostre oppressioni sotto il capitalismo dando potere alle donne della borghesia, la realtà è che anche questa data, dichiarata Giornata internazionale della donna, è emersa per la prima volta come un movimento di base di donne immigrate che lavoravano nelle fabbriche tessili di New York e che hanno organizzato scioperi e azioni di massa per migliorare le loro condizioni di lavoro e ottenere il diritto alla rappresentanza sindacale.
Questo 8 marzo vogliamo che sia un giorno di lotta e di rivoluzione, vogliamo che la nostra forza si faccia sentire nel mondo e diciamo che, così come dobbiamo essere in prima linea nelle lotte contro l'ultra-destra, i governi e i capitalisti, non ci lasciamo ingannare dalle posizioni che una minoranza di donne raggiunge nei governi o nelle aziende. Anche se alcune rompono il cosiddetto «soffitto di vetro», la maggior parte di noi è ancora attaccata a un pavimento sempre più appiccicoso, che ci impedisce di muoverci. Né dobbiamo permettere di essere messe a tacere da trappole parlamentari o da attacchi repressivi. Noi saremo lì e chiederemo che ovunque si convochino uno sciopero generale e giornate di protesta per i nostri diritti.
La Lit-Quarta Internazionale sarà in prima fila in questa lotta e noi faremo tutti gli sforzi per prepararla, perché oltre ad essere un diritto umano di primo ordine, la lotta per la liberazione delle donne fa parte della nostra lotta quotidiana per la costruzione di un mondo socialista dove, come ha detto Rosa Luxemburg, «siamo socialmente uguali, umanamente diverse e totalmente libere».

Solidarietà e aiuti da parte dell’Italia e dell’Europa ai profughi e alle famiglie siriane in fuga


Fermiamo la guerra in Siria – No a interventi della Nato e all'invasione della Siria da parte della Turchia
Una catastrofe umanitaria e di civiltà senza precedenti
Solidarietà e aiuti da parte dell’Italia e dell’Europa ai profughi e alle famiglie siriane in fuga


Al Segretario generale dell’ONU
Al Presidente del Parlamento UE
Alla Commissione e al Consiglio della UE
Al Presidente del Consiglio Italiano


Ancora una volta centinaia di migliaia di civili siriani, donne uomini e bambini, in fuga dalle proprie case , pagano con la vita e la perdita di ogni bene lo scontro militare in atto tra Russia ,Siria, Turchia e Iran. Civili che si dirigono verso i confini della Turchia che , per ricattare l'Europa, spinge molti di loro verso la Grecia. Quest'ultimo paese lasciato irresponsabilmente solo dalla UE commette crimini contro l'umanità sparando gas lacrimogeni e granate fumogene contro i profughi siriani in fuga.  A Lesbo come in Siria la nostra civiltà e la nostra Europa si mostrano incapaci di umanità e di solidarietà così come già accaduto verso i migranti annegati a decine di migliaia nel mar mediterraneo. Questo stato di cose, se non avverrà un cambiamento sostanziale,  condanna ad una lenta agonia la stessa democrazia europea. Le responsabilità  dirette ed indirette all’origine della nuova guerra sono molteplici e chiamano in causa i maggiori paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, e quelli medio orientali. Tuttavia la responsabilità oggi principale appare attribuibile al regime turco guidato da Erdogan, reo di crimini contro l'umanità sia in patria che in Siria, come hanno denunciato la ex rappresentante ONU per i crimini in Siria Carla Del Ponte e moltissimi difensori dei diritti umani in Europa. 
Erdogan, dopo aver cancellato lo Stato di Diritto in Turchia trasformando il paese in una dittatura sanguinaria alla quale l’UE ha affidato ciononostante il controllo delle proprie frontiere esterne, aver finanziato e appoggiato militarmente l’ISIS e i gruppi jiadisti negli scorsi anni e di nuovo recentemente con l'invasione del nord est della Siria contro l’esperienza democratica curda, aver sottoscritto con la Russia “l’accordo” di Sochi per impossessarsi  - contro il diritto internazionale - di vaste porzioni di territorio siriano,   ora scatena una nuova guerra contro la Siria (colpevole di volere riprendere il controllo del proprio territorio a Idlib occupato dalle formazione jiadiste finanziate dalla stessa Turchia) .
Chiediamo quindi l’immediata cessazione delle ostilità, l’apertura di trattative sotto egida dell’ONU per giungere ad un accordo internazionale sulla Siria, un piano globale e immediato di aiuti e solidarietà da parte della UE verso i civili siriani, sia accogliendoli in Europa sia favorendo il loro ritorno in una Siria pacificata, la condanna di Erdogan da parte dell'Europa e dell'ONU , l'istituzione di un tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità in Siria da chiunque commessi.

                              CDC  dell'Emilia Romagna

venerdì 6 marzo 2020

Emergenza sanitaria e distacchi idrici



Al Prefetto della Provincia di Frosinone
e per il tramite della Prefettura
a tutti i Sindaci della Provincia di Frosinone


Vista l’emergenza sanitaria in corso legata alla diffusione del virus Covid-19 si chiede che le Autorità in indirizzo intervengano immediatamente, con la massima urgenza, ordinando ad Acea Ato5 di ripristinare l’erogazione dell’acqua a tutti i soggetti disalimentati.
L'emergenza sanitaria impone di non lasciare agli utenti un approvvigionamento di fortuna.
Se dovesse ammalarsi un solo utente disalimentato, l'assenza di acqua costituisce senza alcun dubbio una concausa determinante per favorire il contagio posto il basso livello di igiene, ed Acea Ato 5 ne sarebbe responsabile.
Confidiamo nell’immediato seguito alla presente richiesta.

Il Comitato Acqua Pubblica Frosinone e Provincia


CORONAVIRUS: C’É CHI SCOMMETTE SUI TUOI STARNUTI

Marco Bersani





Mentre nel turbinio di notizie, spesso fra loro contraddittorie, sulla diffusione e pericolosità del Coronavirus, ciascuno di noi cerca di affrontare l’epidemia come meglio riesce, qualcuno sui mercati finanziari sta scommettendo cifre importanti sulla salute individuale e collettiva.
Sembra incredibile, ma in un sistema che cerca di mettere a valore finanziario l’intera vita delle persone, anche il Coronavirus rientra nella macabra contabilità dei guadagni e delle perdite.
Stiamo parlando della Banca Mondiale e dei catastrophe bonds (per gli amici Cat-bond) emessi dalla stessa nel 2017 per finanziare il progetto Pandemic Emergency Financing Facilithy, con scadenza a luglio 2020.
Di cosa si tratta? Organizzato ed emesso dalla Banca mondiale, strutturato e gestito da Swiss RE, Munich RE e GC Securities (colossi della riassicurazione), il bond pandemico del 2017 era diviso in due diverse classi. La prima classe (A) ha raccolto 225 milioni di dollari, e secondo il prospetto informativo di 386 pagine, era dedicato solo all’influenza stagionale; la seconda (B), focalizzata sull’epidemia di Ebola, ha raccolto 95 milioni di dollari. Si tratta di obbligazioni, l’acquisto delle quali promette agli investitori un cedola annuale di interessi pari al 6,9% (classe A) o pari all’11,5% (classe B).
In pratica, la Banca Mondiale emette bond con gli interessi sopra descritti, gli investitori mettono i soldi e, se nel tempo di scadenza non si verifica alcuna pandemia, gli investitori incassano interessi rilevanti (oltre al rimborso del capitale), mentre, se la pandemia dovesse effettivamente verificarsi, gli investitori perdono i loro soldi che verranno destinati dalla Banca Mondiale come aiuti al paese colpito. Ma, perché scatti la clausola di pandemia (e conseguente default) occorrono alcuni dati numerici: 2500 morti nel Paese epicentro della pandemia e almeno 20 in un paese terzo.
Nascono anche da questi squallidi interessi parte delle diatribe “scientifiche” relative alla discussione se con il Coronavirus si sia in presenza di una pandemia o di una “più semplice” epidemia, e le relative pressioni delle lobby finanziarie sull’Organizzazione Mondiale della Sanità (d’altronde il Cat-bond scade a luglio e gli investitori sono in grande affanno).
Senza contare come, nello specifico dei Cat-bond della Banca Mondiale, l’ultima parola spetti per contratto ad un’azienda privata, la Air Worldwide Corporation di Boston.
Va inoltre aggiunto come questi bonds siano regolati da una serie infinita e molto complessa di criteri da soddisfare (dall’esatta collocazione geografica del primo focolaio, alla dettagliata causalità dei decessi registrati etc.).
Complessità che è stata più che evidente nel caso dell’epidemia di Ebola che ha sconvolto la Repubblica Democratica del Congo, dove, nonostante gli oltre 2000 morti non è arrivato neppure un dollaro degli aiuti decantati, perché non era stato soddisfatto il criterio dell’internazionalità dell’epidemia, misurabile con almeno 20 morti in un paese terzo (ci ha provato l’Uganda, ma non è arrivata oltre i due decessi).
Se riusciamo a mettere in gioco il denaro privato e continuare a migliorare la struttura dei bond e rendere facile e redditizio per i paesi acquistare l’assicurazione, allora questo può diventare un processo attraverso il quale i paesi possono auto-finanziarsi con il passare del tempo, piuttosto che fare affidamento sull’assistenza dei donatori.” ha dichiarato Mukesh Chawla, coordinatore delle strutture di emergenza per le pandemie della Banca Mondiale.
Così, invece che mettere risorse decisive per contrastare la crisi climatica e il conseguente disequilibrio ecologico -causa primaria della proliferazione di virus vecchi e nuovi- o finanziare sistemi sanitari pubblici in grado di prevenire e intervenire, si è riusciti ad impiantare un altro mercato finanziario che scommette sulla vita e la salute collettiva, lasciando le persone in balia degli eventi, mentre ai fondi d’investimento luccicano gli occhi nel constatare il volume degli interessi guadagnati.
E’ il capitalismo, bellezza! Il più pericoloso dei virus che tutte e tutti dovremmo debellare.

fonte :attac italia

giovedì 5 marzo 2020

Cittadinanzattiva Tribunale della Difesa dei Diritti del Malato: fra protesta e proposta

Luciano Granieri




Si è svolto ieri 4 marzo 2020, presso l’associazione Spazio Arte Rigenesi di Frosinone, la festa di tesseramento della sezione di Cittadinanzattiva Tribunale  per la difesa dei diritti del Malato del capoluogo. 

Il programma -basato  sulla condivisione del bilancio di quanto svolto nel 2019, con  la proiezione di un video su lotte e proposte, organizzate dall’associazione,   per la salvaguardia della sanità pubblica e il diritto alla salute,   un concerto di jazz tenuto dalla Whistle Jazz Band, più  una corposa apericena -  ha visto una buona partecipazione di pubblico nonostante il Coronavirus . E , quel che conta, sono state sottoscritte numerose tessere. 

Un esito soddisfacente e quanto mai gradito.  Infatti  l’azione  del Tribunale per i Diritti del Malato di Frosinone,  a seguito di un rilancio delle proprie attività in termini qualitativi e quantitativi, necessita di un ulteriore salto di qualità. L’impegno per una sanità pubblica  in grado di assicurare il diritto universale alla salute sancito in Costituzione dovrà essere ancora più incisivo. 

Le vicende relative alla rapida diffusione del Covid-19 hanno messo in evidenza come solo la sanità pubblica, nonostante i continui tagli subiti, nonostante la carenza di personale sanitario e posti letto, sia in grado di gestire un contagio così importante. Anzi spesso, considerato l’apporto quasi inesistente delle strutture private in convenzione nei momenti di crisi conclamate,   viene il dubbio che se quei soldi, destinati ai privati, fossero stati impiegati per  il miglioramento del servizio sanitario nazionale,   la crisi del Coronavirus avrebbe gravato in modo meno penalizzante sui già eccellenti presidi sanitari pubblici. 

Proprio nell’assemblea svolta ieri  si è convenuto  sulla necessità di sollecitare la Regione Lazio a mettere a disposizione dei pazienti - qualora la carenza di unità di terapia intensiva e personale sanitario, dovesse diventare insostenibile - le strutture delle cliniche private convenzionate  SENZA ONERI PER LA COLLETTIVITA’. 

Un altro impegno, fra gli altri,  che ha caratterizzato e caratterizzerà le attività del Tribunale per la Difesa dei Diritti Malato  riguarda le liste d’attesa, la cui  estenuante lunghezza   ha dello scandaloso. Perché se è vero che “la Repubblica deve tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art.32 cost.), un paziente dovrebbe accedere alle cure in tempi adeguati. 

Per questo motivo, abbiamo portato con forza le nostre posizioni all’interno dell’Osservatorio per il Governo delle liste d’Attesa della Asl, sollecitando l’adeguamento dei macchinari diagnostico-terapeutici  obsoleti, quanto non addirittura mancanti, invocando una maggiore attenzione dei medici prescrittori nella redazione delle ricetta con la corretta indicazione dei codici di priorità e l’appriopriatezza del quesito diagnostico , oltre che sollecitare l’utilizzo delle prestazioni in intramoenia  senza oneri aggiuntivi in caso di mancato rispetto dei tempi indicati dai codici di priorità.

 Grazie alla nostra perseveranza nell’invocare interventi ad ogni livello (territoriale, regionale, nazionale) per risolvere l’indegna piaga delle liste d’attesa,  e alla disponibilità del nuovo direttore generale della Asl,  Dott.  Stefano Lorusso,  un nostro iscritto è stato inserito nella commissione incaricata di redigere un progetto organico per la drastica riduzione dei tempi necessari all’effettuazione di una visita piuttosto che di un esame diagnostico. 

Naturalmente a queste attività di tipo rivendicativo si affiancano le permanenze all’interno dell’ospedale per fornire supporto agli utenti che a noi si rivolgono per orientarsi nel complesso, e spesso caotico, tran-tran del nosocomio cittadino. 

Facciamo politica? Sicuramente perché il nostro essere cittadini attivi (non a caso il Tribunale per la Difesa dei diritti del Malato è una branca dell’associazione Cittadinanzattiva) è l’esempio di come, nel dissolvimento totale dei partiti - ormai ridotti a comitati elettorali e non più ad  associazione di liberi cittadini il cui scopo è di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale “ come da dettato costituzionale - sia sempre un’aggregazione collettiva ad agire in difesa dei diritti universali.  

Fra protesta e proposta riteniamo che la nostra attività possa essere preziosa al fine di assicurare  a tutti  una sanità di qualità e pubblica . Probabilmente la festa di ieri sarà uno degli ultimi eventi assembleari e di partecipazione collettiva  da qui a qualche mese,  dopo le direttive governative che, proprio da ieri, hanno vietato convegni per limitare il contagio da Coronavirus. 

Comunque noi per scongiurare  ogni evenienza nefasta abbiamo aperto il concerto jazz con un blues: il blues del corona virus, dico noi perché anche chi scrive insieme agli amici Alberto al sax, Raimondo alla chitarra e Antonello al basso fa parte della Whistle Jazz Band per l’occasione ribattezzata Coronavirus jazz band.