Luciano Granieri
Nel 1956 gli Stati Uniti, in piena guerra fredda, tentarono di innescare contro l’Unione Sovietica l'arma culturale. Il Dipartimento di Stato Americano decise di reclutare alcuni jazzisti famosi, in particolare Louis Armstrong, Duke Ellington, Dave Brubeck, Dizzy Gillespie, per inviarli in tutto il mondo, in particolare nei paesi dell’est, con l’obbiettivo di contrastare la propaganda sovietica che accusava l’America di discriminazione razziale.
Il tentativo non ebbe grande successo perché, soprattutto i musicisti afroamericani, in particolare Armstrong e Gillespie, si trovarono presto in difficoltà con le finalità del programma. Come potevano loro, neri d’America, promuovere all’estero l’integrazione razziale, quando in Patria erano oggetto di discriminazione e soprusi? Proprio Armstrong si ritirò dal progetto quando gli arrivò la notizia del governatore dell’Arkansas Orval E. Faubus, che aveva mobilitato la guardia nazionale per impedire l’ingresso alla Central High School di Little Rock di nove studenti neri che invece avrebbero avuto il diritto alla frequenza. A parte Brubeck, che si esibì in Polonia e nella Germania dell’Est per lungo tempo e con grande successo, il resto dei musicisti neri abbandonarono l’incarico.
Se gli ambasciatori del jazz americani sostanzialmente fallirono, diversa sorte ebbero gli ambasciatori del jazz italiani, che addirittura arrivarono direttamente in Unione Sovietica.
Nel 1957 si svolse a Mosca il più grande festival della gioventù organizzato dal Partito Comunista sovietico . Fra le varie attività era in programma il Concorso di Jazz. Una gara fra le maggiori orchestre di jazz mondiali. Le più accreditate per la vittoria finale erano, la formazione inglese, la tedesca e la cecoslovacca. Fra le diciassette formazioni partecipanti, figurava anche la Seconda Roman New Orleans Jazz Band di Carlo Loffredo che non esitò ad iscrivere il gruppo al concorso.
L’impresa cominciò subito in salita. Il trombettista Paolo Saraceni non partì per problemi di lavoro, il batterista Roberto Podio, fu costretto a rinunciare per le paure del padre che già lo vedeva confinato in Siberia. Ma Loffredo, senza perdersi d’animo, riuscì, a solo otto giorni dalla partenza, a sostituire i musicisti rinunciatari con il cornettista torinese Sergio Farinelli ed il batterista lombardo Sergio Clerici.
Il viaggio fu lungo: Roma-Marsiglia in treno, imbarco sulla nave sovietica “Pobieda”, traversata di, Mediterraneo, Bosforo e Mar Nero con arrivo ad Odessa. Da lì in treno, attraverso tutta l’Ucraina, fino a Mosca. In realtà i sei giorni di traversata servirono a mettere a punto il repertorio integrando i nuovi arrivati all’organico già presente fra cui figuravano, Gianni Sanjust al clarinetto, Peppino De Luca al trombone, il pianista vibrafonista Puccio Sboto, e lo stesso Loffredo al contrabbasso.
Il giorno stesso dell’arrivo i musicisti italiani furono invitati ad esibirsi presso il teatro dell’Opera di Odessa in occasione della serata d’addio della celebre ballerina Galina Ulianov, ormai giunta all’età di sessant’anni. Dopo il Lago dei Cigni, che accompagnò le evoluzioni della ballerina, si esibì la Roman. Essa potè usufruire della diretta televisiva, preparata per celebrare la Ulianov, che mandò in onda i jazzisti italiani in tutte le repubbliche sovietiche. Il concerto fu visto, praticamente in tutta la Russia. Con questo importante viatico Loffredo e compagni, osannati e salutati al grido di: “Bolscioi Jazz, Bolscioi!…..carasciò carasciò!”, guadagnarono un ottimo viatico per vincere il concorso. Che infatti vinsero.
Inizialmente superarono, a fatica, la big band argentina, poi con qualche difficoltà ebbero ragione dell’orchestra inglese. In semifinale si scontrarono con l’orchestra svedese composta da diciotto elementi. Questa s’impantanò negli arrangiamenti complicati dell'orchestra di Stan Kenton. La scelta risultò fatale per gli scandinavi, superati dai sei ragazzi della Roman, presi dal sacro fuoco dell’improvvisazione molto più apprezzata dei freddi arzigogolamenti kentoniani, rigorosamente scritti, proposti dagli svedesi. Ad aspettare i jazzisti italiani in finale era la formazione cecoslovacca che aveva avuto ragione dei temutissimi tedeschi.
La trovata escogitata da Loffredo di far entrare la band dal fondo della platea suonando When the Saints Go Marchin’in fu decisiva per proclamare la vittoria dei nostri eroi. Il successo nel concorso e la popolarità che ne seguì, procurò alla Roman una scrittura per un film sul festival diretto dal regista russo Alexandrov con una paga esorbitante: trecento rubli per ogni minuto di apparizione sullo schermo. Fu offerta anche l’incisione di un long playing che vendette trentacinquemila copie in una settimana.
Non potè, infine, mancare l’invito a suonare al Cremlino davanti alle più alte autorità del Partito Comunista Sovietico, fra cui spiccava un tizio “pelato, e con una bella faccia da salumiere seduto al centro del tavolone a cui tutti mostravamo ruffiana ammirazione”, queste le parole di Lofffredo. Dopo mezz’ora di esibizione un giovane tenente si avvicinò e, in buon italiano, annunciò che i grandi dirigenti seduti al tavolo avrebbero gradito ascoltare del jazz italiano. Loffredo spiegò che il jazz era una forma d’arte americana. Poteva essere eseguita da musicisti italiani, ma non era musica italiana.
Dopo un po’ il tenente ritornò e stavolta, con voce perentoria e minacciosa, ribadì che quelli volevano sentire jazz italiano. Il terrore di una deportazione in Siberia attanagliò i “nostri” tanto che Loffredo si voltò verso i suoi musicisti e disse: “A regà, sonamo Arrivederci Roma e Funiculì Funiculà”. Fu il trionfo! E a gradire maggiormente l’esibizione fu proprio l’uomo al centro del tavolo con la faccia da salumiere. Era Chrusev.
A proposito dei rubli. Loffredo e i suoi presero a fantasticare su come spendere quella marea di soldi una volta tornati in Italia. Non ci avrebbero cavato niente, perché il rublo nulla valeva in occidente.
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