sabato 28 agosto 2021

Piga: «Soldi Ue del Pnrr con troppe condizioni, l’austerità è già tornata»

Che il Recovery Fund e il PNRR fossero un imbroglio ordito dell'èlite neoliberista europea lo dico da sempre. Averne conferma da un accademico come il professore di economia Gustavo Piga dà autorevolezza a questa analisi. Attesta, purtroppo, come tutte le promesse della UE sulla necessità di cambiare le regole basate sull'austerity, a seguito della pandemia,  siano chiacchiere vuote. E tutti, ma proprio tutti, partiti, e corpi intermedi adulatori di Draghi, ci hanno creduto e ancora ci credono, o fanno finta di crederci.

   Luciano Granieri



Intervista di Massimo Franchi dal quotidiano "il manifesto" del 28 agosto 2021

Intervista all'Economista di Tor Vergata. L'autore del libro "Interregno" (Hoepli): a Bruxelles comandano ancora i neoliberisti, gli Usa invece puntano sulla piena occupazione. Draghi aveva parlato di «debito buono» ma ora ha accettato di ridurre il Deficit dal 12 al 4% in un anno: si tratta di 120 miliardi di tagli, buona parte del Recovery fund

Professor Gustavo Piga, docente di Economia a Roma Tor Vergata, sul suo ultimo libro «Interregno» (Hoepli) lei cita Gramsci per invocare investimenti pubblici per salvare l’Europa dalla doppia crisi 2008-Covid. Il Recovery Fund e il Pnrr sono in linea con la sua proposta?

Purtroppo più si delinea il Pnrr e più mi convinco che non ci porterà fuori dalla crisi e anzi potrebbe crearci ulteriori problemi. Il motivo è presto detto: ci sono troppe condizionalità imposte dall’Europa. Due esempi ce lo rivelano già: la riforma della giustizia che abbiamo fatto in fretta per ottenere la prima tranche di finanziamenti non darà certezze alle imprese che investono in Italia – il suo obiettivo primario – perché, come dimostra il fallimento del concorso di Brunetta, le assunzioni solo a tempo determinato previste non invogliano i professionisti necessari a creare il livello di personale che serve a dare certezza del giudizio in tempi celeri. La seconda è la condizionalità maggiore che l’Europa ci chiede: “Ti diamo i soldi solo se prometti di ridurre il rapporto deficit Pil dall’attuale 12 al 3% in un solo anno: significa 120 miliardi di nuove entrate o minori spese, buona parte della cifra dell’intero Pnrr. Una totale pazzia che riporterà l’austerità. L’Italia sarà l’ultimo paese europeo a tornare ai livelli pre Covid, già bassi: la Spagna ci supererà di 3 punti di Pil.



Lei nel libro paragona l’Europa agli Stati Uniti. Lì le cose vanno molto diversamente.
Assolutamente. Biden ha deciso una espansione senza condizioni riassunta dalla sua espressione: «Pagateli di più» che chiede di alzare i salari alla classe lavoratrice, la più colpita dal Covid e dall’aumento delle diseguaglianze. Il piano di Biden è fin troppo keynesiamo e punta alla piena occupazione, obiettivo che in Europa non c’è, in nessun paese.

Dunque lei sostiene che l’austerità che il Covid ci ha fatto abbandonare tornerà dalla finestra? Rimarremo nell’interregno?
Ci siamo terribilmente dentro, l’austerità è già tornata, sia nel piano della commissione Ue sia nel Def del nostro governo. Sapendo benissimo ormai che l’austerità fa aumentare il debito pubblico, non diminuirlo perché abbassa la crescita.

Draghi nel suo intervento sul Financial Times sul «debito buono» sembrava aver svoltato. Ora continua a sostenere che il Fiscal compact non ci sarà più.
Draghi per la sua forza e la sua universalmente riconosciuta capacità avrebbe potuto dire all’Europa: «Invece che tornare al 3% di deficit, mi fermo al 6% e il restante 3% lo utilizzo in investimenti pubblici assicurandovi che la spesa sarà fatta bene». Purtroppo anche lui si è dovuto piegare.

Perché? L’egemonia liberista in Europa è ancora imperante?
Le condizionalità imposte all’Italia lo dimostrano. Il neo liberismo è ancora alla base del modello europeo. Solo la politica può cambiare un modello che dovrebbe consentire a ogni paese autonomia fiscale responsabile finché non ci sarà una vera politica fiscale unica europea a Bruxelles. L’egemonia liberista è poi molto attenta a far sì che non si super i una soglia di intervento pubblico in economia.

Anche da questo punto di vista i primi esempi in Italia non sono positivi: l’ex Alitalia Ita è partita col modello Marchionne, all’ex Ilva si sono persi anni inseguendo Arcelor Mittal; Mps rischia di essere regalata a Unicredit. Problema di linea politica o di scelta dei manager presi dal settore privato?
Su Ita mi sembra che l’elefante ha partorito un topolino che rischia di essere schiacciato in fretta. Mps sarebbbe l’esempio perfetto di «banca del territorio» e regalarla a Unicredit che si prenderà il meglio lasciando ai contribuenti il resto è senza senso. Ma anche questo ci è imposto dalla commissione europea.


Tornando agli Stati Uniti, è di ieri la notizia che la Fed inizierà a ridurre gli stimoli per paura dell’inflazione. Qualcuno inizia a preoccuparsi anche di qua dall’Atlantico.
Mi viene da ridere. Io ho conosciuto l’inflazione al 20%. La Bce da decenni non riesce a mantenere l’obiettivo del 2%, finendo sempre sotto. Preoccuparsi per un po’ di inflazione dovuta in gran parte alle storture nella catena di forniture dovute al Covid è risibile. Sarei ancora più contento se l’inflazione fosse dovuta all’aumento dei salari, ma questo purtroppo non è.

Lei chiude il suo libro con una nota di ottimismo parlando dei suoi studenti. Sono loro a darle fiducia nel futuro?
Ho fiducia nei nostri giovani che sono stupendamente appassionati, dinamici, innovativi e curiosi. Sono una Ferrari che deve però fare i conti con noi anziani che stiamo dando loro un’autostrada piena di buche e poca benzina. Anche per questo dovremmo investire realmente e coprire di soldi e contratti a tempo indeterminato gli ingegneri, gli specialisti di informatica, gli economisti che serviranno per gestire il Pnnr. Un cambio nella gestione degli appalti è la madre di tutte le riforme.



giovedì 26 agosto 2021

Sunshine i colori della musica, il nuovo libro di Diego Protani

  Luciano Granieri



Si terrà domani, venerdì 27 agosto, alle ore 21.00, a Frosinone, in Piazza Garibaldi la presentazione del libro di Diego Protani "Sunshine - I colori della musica " edito da “LFA Publisher”. 

Dopo il buon successo di Sulle labbra del tempo - Area tra musica gesti e immagini, scritto con Viviana Vacca per lo stesso editore (Vincitore dell' VIII premio nazionale di storia contemporanea Luigi di Rosa), lo scrittore, attraverso quest’ultima pubblicazione, completa la descrizione del variegato, e stimolante, quadro artistico-musicale di un’epoca storica , gli anni ‘60 e ‘70, dai forti contrasti sociali e culturali. 

Diego Protani, attraverso le interviste effettuate a musicisti di fama mondiale, codificatori emozionali di quei conflitti, rivela, grazie alla loro testimonianza, come il messaggio rivoluzionario di speranza in un mondo nuovo, presente in quei dischi ed in quei concerti, possa aver coinvolto intere generazioni.

Avremo l’opportunità di ascoltare, dallo stesso autore l’esperienza e le riflessioni che ne ha tratto nel raccogliere le impressioni di veri mostri sacri del rock, del blues, della psichedelia, del progressive, come, ad esempio, John Sebastian, Al Kooper , Leo Lyons dei Ten Years After , musicisti che suonarono al festival di Woodstock, ma anche di tanti altri artisti come Captain Beefhart, che ha collaborato con Frank Zappa

Il libro è aperto dalla prefazione di Bila Copellini, batterista dei Nomadi di Augusto Daolio dal 1965 al 1969, e contiene un’intervista a Mario Capanna

Modererà l’incontro Luciano Granieri e i Doctor Louis & the icebreakers offriranno il loro contributo musicale eseguendo brani rock e blues degli anni ‘60 e ‘70

Non mancate.



martedì 24 agosto 2021

Fascisti ripuliti e il Tampax jazz.

 Luciano Granieri



Ve lo ricordate Fernando Tambroni? L’onorevole democristiano che, nel 1960, guidò un esecutivo supportato dai fascisti dell’MSI. Tambroni, quello che il 7 luglio del 1960, a Reggio Emilia, spinto dalla furia missina, aizzò le forze dell’ordine contro degli operai in manifestazione, provocando una strage con cinque civili, tutti iscritti al Pci, uccisi dalla ferocia della polizia? 

 I fascisti ripuliti,  in cambio del supporto al governo Tambroni, provarono a mettere le  mani, in modo sciagurato anche all’interno della Rai. Nel 1960 la TV di Stato decise di organizzare La coppa del jazz. Un concorso riservato ai jazzisti italiani che avrebbe dovuto decretare, nel corso di diverse trasmissioni, il miglior gruppo o artista in attività. Il concorso era pensato per dilettanti ma, a sorpresa, si iscrissero molti professionisti già noti. Fra questi la Seconda Roman New Orleans Jazz Band, la Riverside Syncopator Jazz Band, tanti altri gruppi e musicisti anche di jazz più moderno, fra cui il trio di Enrico Intra, il quintetto di Torino, il quintetto di Gilberto Cuppini, che vinse la gara. 

La giuria, ovviamente, era composta da musicisti esperti, giornalisti competenti, e tale Giovanni Attilio Baldi. Chi era costui? Un musicista? No. Un giornalista di settore? Neanche. Semplicemente si trattava di un raccomandato da un politico del Msi  che mirava a mettere suoi protetti all’interno della Rai. Costui dal basso della sua ignoranza e dall’alto della raccomandazione provò a condurre perfino una trasmissione sul jazz. 

Per fare bella figura incaricò alcuni sedicenti musicologi di trovargli brani rari  da proporre, come vere e proprie chicche, agli ascoltatori. I finti ricercatori gli giocarono un brutto scherzo. Neiki Libohova, Eugenio Bombrini, Gigi Martini e Carlo Silij, i sedicenti esperti, si divertirono a suonare fra di loro utensili di casa: brocche di terracotta, pettini avvolti nella carta velina, assi per lavare. Gli strumenti, cioè, utilizzati dalle jug band e washboard band nere degli anni venti, alcune provenienti da Tampa in Florida. 

 Libohova e compagni registrarono la loro casalinga e goffa esibizione su un disco pronto ascolto e la consegnarono a Baldi spacciandola per l’unico reperto esistente di una registrazione rarissima della Tampax Jug Band. Il raccomandato missino, orgoglioso della sua finta competenza, annunciò ai microfoni lo strano nome di quell’orchestra e i funzionari Rai caddero dalla sedia. 

Non solo il malcapitato non sapeva nulla di jazz, ma neanche di certi prodotti utilizzati per le necessità tipiche femminili. 

Nonostante tutto Baldi insistette nel voler fare carriera. Provò a scalare la dirigenza del sindacato musicisti per accaparrarsi l’esclusiva dell’organizzazione dei concerti jazz ma, tale fu la sua incapacità, che neanche questo gli riuscì. Della serie i fascisti neanche se s’impegnano riescono a fare cose buone.