martedì 25 gennaio 2022

Non può esistere la memoria senza la storia

 Luciano Granieri.




Il prossimo 27 gennaio ricorre il giorno della Memoria. Il giorno in cui si commemora lo sterminio degli Ebrei, dei Rom, dei Sinti, degli omosessuali e di tutto il genere umano non conforme al super uomo ariano, compiuto dai nazifascisti. Può sembrare singolare che una tale ricorrenza sia stata istituita solo da poco più di vent’anni, ma la sua determinazione è stata quanto mai opportuna e necessaria. 

E’ importante la memoria.  E' importante, anche se doloroso e crudele, sentire quelle testimonianze,  vedere quei luoghi in cui si compiva uno sterminio pianificato scientificamente. E’ importante come tutte le generazioni del mondo, grazie a queste testimonianze e alle visita di quei luoghi dell’orrore, possano maturare una maggiore consapevolezza del degrado infimo in cui può degenerare il genere umano.  Ciò è possibile venendo a conoscenza delle tragiche storie personali che in quei luoghi si sono consumate. Storie di bambini, uomini, donne, persone dalla dignità umana negata, andate incontro ad un destino inimmaginabile, terribile, ignari di come quel fato fosse scientificamente pianificato. Proprio la memoria generatrice di  un processo emotivo forte, quasi insopportabile, ammonisce sul fatto che tutto ciò possa ripetersi. 

Dunque istituzione necessaria quella della giornata del 27 gennaio, ma non sufficiente. Infatti coinvolgendo in modo così potente la sfera prettamente emotiva, si rischia di sfociare nella retorica. Il ricorso ipertrofico agli aspetti emozionali mette in pericolo la forza e l’incontrovertibilità dell’analisi storica.  Lo sterminio è prima di tutto un evento storico, con tutto il portato dei fatti che lo hanno determinato e le conseguenze poi susseguitesi. Questo concetto va ribadito con ancora più forza. Si ha l’impressione che all’emotività della memoria si sottometta la realtà della storia. Non è un caso che 4 anni dopo l’istituzione della data del 27 gennaio, come giornata di commemorazione delle vittime dell’Olocausto, si è aggiunta quella del 10 febbraio in ricordo delle vittime delle Foibe. Tutto nel nome di una supposta incontrovertibile  cattiveria universale dell’uomo sull’uomo che emozionalmente  riduce tutto  alla perversa e semplice contrapposizione fra vittime e carnefici. 

Vittime sono gli ebrei, carnefici i nazifascisti. Ma nella  dinamica emotiva,  vittime sono anche i 33 soldati tedeschi del battaglione Bozen morti in via Rasella il 23 marzo del ‘44, carnefici i Gappisti che hanno piazzato la bomba che li ha uccisi. Ugualmente vittime sono i giustificabili ragazzi di Salò -così definiti, da un presidente della Camera ex comunista- carnefici i partigiani che li hanno uccisi. Fino all’aberrazione, raggiunta da alcuni esponenti di estrema destra di Sora, i quali hanno chiesto al sindaco Luca di Stefano di concedere la cittadinanza onoraria a Claretta Petacci definita “figura che rappresenta al meglio lo spirito delle donne italiane , spirito contraddistinto dal coraggio, dalla tenacia e dall’amore per i propri ideali, e per i propri sentimenti”, perché vittima dei barbari carnefici partigiani. 

E’ evidente che giovani vite spezzate di donne e uomini suscitino orrore e ribrezzo, e dunque una compenetrazione emotiva comune. Ma passando dalla memoria alla storia, risulta innegabile come il delirio nazifascista sia drammaticamente provato ed esistito. Ha inondato l’Europa ed il mondo con il sangue di persone innocenti, a cui è stata negata, prima la dignità umana e poi la vita. Dall’Italia alla Spagna, alla Grecia, fino ai Balcani e all’Africa Orientale, i fascisti, i così definiti, “Italiani brava gente” hanno trucidato, torturato, gasato, stuprato intere popolazioni, così come i Tedeschi hanno pianificato e attivato una efficientissima, quanto crudele, fabbrica dello sterminio e invaso la stessa Italia con deportazioni, stragi di civili, coadiuvati dai fascisti. 

Ed allora in base alle responsabilità che la storia ci rimanda, la morte di Claretta Petacci non può essere paragonata a quella di Evelina Pieri, trucidata nell’eccidio di S.Anna di Stazzema.  La  morte di un soldato della brigata Bozen non può minimamente paragonarsi allo strazio di Ilario Canacci, cameriere ucciso nella strage delle fosse ardeatine. La scomparsa di un giovane repubblichino non è minimamente paragonabile, alla tragedia di Giorgio Grassi, un ragazzo fucilato dai tedeschi, insieme a Pierluigi Bianchi e Luciano Lavacchini proprio qui a Frosinone il 6 gennaio del 1944. 

Memoria  e storia dovrebbero procedere insieme, completarsi a vicenda nella rivelazione di un orrore, quello si condiviso, che non dovrà mai più ripetersi. Ma nell’anomalia italiana un revisionismi storico imperante ha tolto lucidità e autorevolezza alla storia. Il nostro Paese i conti con il fascismo non li ha mai fatti. 

 Violenza criminale,  abusi, apologia fascista, hanno continuato ad imperversare, funzionali anche a certe manovre di potere. Stragi come quelle di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Stazione di Bologna sono lì a dimostrarlo. Ma imperversano ancora oggi, basta vedere le condotte violente e apologetiche di formazioni dichiaratamente fasciste, come CasaPound, o Forza Nuova che assaltano sedi sindacali, aggrediscono le forze dell’ordine inviate a sgomberare fabbricati da loro abusivamente occupati, spargono violenza, odio e razzismo a piene mani, fomentando una crudele e,   ancora funzionale al potere , guerra fra poveri. 

Se  il Governo, ad una interrogazione sollecitata il 10 gennaio scorso da alcuni parlamentari, nella quale si chiedeva lo scioglimento di tutti i movimenti politici di ispirazione fascista - a seguito di fatti violenti messi in atto da CasaPound e Forza Nuova - in base a quanto prescritto dal comma n.3 della legge Scelba, ha risposto che tale comma non è stato mai applicato in precedenza, e non è consuetudine farlo, significa che i conti con il passato fascista non si vogliono ancora fare e forse non si faranno mai . Allora  è necessario vigilare affinché una memoria, non corroborata dalla verità storica, non  finisca per scadere in vuota retorica.

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