giovedì 28 aprile 2022

Resistenza Sanitaria

Luciano Granieri, operatore Cittadinanzattiva Tribunale per la difesa dei Diritti del Malato 



E' da poco trascorso  un 25 aprile in cui il senso della resistenza e della liberazione si è diluito in analogie improprie, quanto non storicamente azzardate, con vicende belliche estere. Ciò ha tolto dallo scenario storico-politico quegli elementi, passati ed attuali,  certamente fastidiosi per l'establishment economico e mediatico massivamente asservito. Mi riferisco  alla  lotta al nazifascismo, e il grande sforzo di resistenza che gran parte della popolazione italiana, nativa ed immigrata, consapevolmente, o inconsapevolmente, ingaggia tutti i giorni, per assicurarsi un minimo di vita dignitosa, a cominciare dal diritto a non ammalarsi. 

Proprio su questo fronte vorremmo porre qualche riflessione, in una fase di post pandemia acuta. Ci limiteremo alla nostra realtà territoriale: provincia di Frosinone e Regione Lazio. Quella, cioè,  che come Cittadinanzattiva , Tribunale per la Difesa dei Diritti del malato di Frosinone, abbiamo avuto, e abbiamo, maggiormente sotto gli occhi, nonostante una ripresa della attività ancora non a pieno regime. 

Lo stato dell'arte

A conferma di quanto la sindemia ha messo in luce, cioè l’inadeguatezza della sanità privata   nel gestire, non solo la crisi del Covid, ma anche la normale cura delle patologie - a meno che esse non siano altamente remunerative - durante la nostra attività abbiamo ricevuto, fra le altre,  due segnalazione gravi di malasanità, proprio a carico di strutture private accreditate, una di Fiuggi e l’altra di Sora. Nel primo caso ci è stata segnalata la supposta scarsa cura di un degente anziano, il quale, accusava, al momento del ricovero in una Rsa della città termale nel 2021, patologie neurologiche. 

A causa della pandemia, le visite dei parenti erano state interdette, con il personale sanitario che rassicurava i familiari sulle buone condizioni del paziente. Nonostante ciò, dopo tre mesi di degenza, l’anziano veniva trasferito d’urgenza presso il pronto soccorso di Alatri in stato soporoso con dispnea e tachipnea, presenza di piaghe da decubito nella zona lombo sacrale. Nel frangente si è resa urgente “l’aspirazione di secrezioni tracheobranchiali dense con numerose concrezioni” (relazione del P.S. di Alatri), operazione inspiegabile  a seguito dell’intervento di un impianto Peg, eseguito precedentemente  al policlinico Tor Vergata per agevolare la nutrizione del degente. Proprio ad Alatri il paziente è deceduto, dopo che lo stesso personale medico del pronto soccorso aveva rilevato le gravi mancanze terapeutiche sopra descritte. 

Nel secondo caso una signora ci ha denunciato il mancato intervento di rimozione della safena, necessario alla risoluzione di una patologia tromboflebitica, a cui si era sottoposta presso una struttura privata accreditata di Sora. Operazione in teoria effettuata, come da  regolare degenza e  decorso terapeutico, e come riportato anche  nella cartella  clinica.  Però, a seguito di sintomi persistenti post operatori, la paziente si sottoponeva   ad ulteriori esami diagnostici, presso la casa della salute di Pontecorvo e presso l’ospedale San Raffaele di Cassino, dai quali risultava ancora la presenza della vena in sito, sconfessando quanto scritto nella  stessa cartella clinica rilasciata dalla struttura sorana e soprattutto ignorando a quale intervento sia era   realmente sottoposta. Sottolineiamo che per questo secondo caso è stato interessato il legale dell’associazione, in quanto, se tutto ciò venisse accertato, si prefigurerebbe, oltre al danno per il paziente, anche un danno per la Asl e per la comunità, che avrà pagato per un intervento mai effettuato. 

A queste due gravi mancanze, si aggiungono le peripezie ordinarie di chi deve prenotare una prestazione diagnostica. Con file interminabile al Cup e pianificazione delle visite ambulatoriali a distanza di anni, spesso non corrispondenti con la data degli esami diagnostici, posticipati rispetto al giorno della visita, e quindi inutili. Da anni sollecitiamo la Asl ad aggiornare i software in modo che le visite di controllo, la cui data è fissata dallo specialista, non debbano essere vidimate dal Cup, sollevando il paziente da un disagio inutile. Ricordiamo che questa è una prescrizione inserita nel Piano Regionale per il Governo delle Liste d’Attesa 2019-2021, a cui la Asl di Frosinone non si è ancora conformata

A questi casi, relativi alla provincia di Frosinone, si può aggiungere quanto avvenuto presso l’Ospedale S.Andrea di Roma, dove una paziente disabile è rimasta in attesa per ore fuori al pronto soccorso, in ambulanza, al freddo, in attesa di essere presa in carico dalla struttura. Ciò a causa  dell’insufficienza del personale medico presente in organico

Indigna la mancanza di  357 medici nei pronto soccorso del Lazio ed una carenza di personale infermieristico insostenibile. Quelli sopra ricordati non sono che una piccola testimonianza di uno stato critico della sanità , in provincia di Frosinone, nel Lazio, ma anche  in tutta Italia.



Il toccasana dei soldi europei. Toccasana per chi?

 Ma non bisogna preoccuparsi.  A risolvere tutto ci penserà il PNRR, con i soldi derivanti dalla misura 6 dedicata alla sanità territoriale. Il dispositivo andrà  licenziato entro giugno per non perdere i fondi della Ue.  A tale scopo è pronto un decreto governativo approvato dalla conferenza Stato-Regioni, contraria la sola la Campania. Cosa  prevede? Si basa sulla pianificazione di strutture di prossimità, in particolare di centrali operative territoriale il cui fulcro è costituito dalle Case di Comunità (Cdc).

Una buona soluzione se non fosse che non vengono stabiliti gli standard di livello assistenziale che esse dovrebbero assicurare. Spieghiamo meglio: lo standard del personale ipotizzato in queste strutture è di 7/11 infermieri, un assistente sociale, 5/8 unità di personale socio sanitario e amministrativo

Le Case di Comunità più grandi, centrali (hub) dovrebbero erogare servizi diagnostici ed ambulatoriali, assicurate da equipe multi professionali e specialistiche. Già.  Dovrebbero!

 Infatti nel decreto è scritto quanto segue: “La Cdc hub garantisce la presenza dei seguenti professionisti nell’ambito di quelli disponibile a legislazione vigente, anche attraverso interventi di riorganizzazioni aziendale”. Tradotto: non ci sono le risorse per assumere nuovo personale sanitario, per cui le Case di Comunità dovranno essere gestite da quello già in organico. Le strutture andranno inserite nel programma della attività territoriali che, come si legge “determina le risorse per l’integrazione socio-sanitaria a carico delle aziende sanitarie e dei comuni” Cioè dovranno essere le singole Asl ed i Comuni a contribuire. Ma noi sappiamo che le Aziende Sanitarie hanno possibilità diverse in base alla regioni di residenza e ciò aumenterà le  disparità fra territori, con buona pace dell’universalità del sistema sanitario nazionale. Gli stessi Comuni non hanno un centesimo perché sono, per la maggior parte,  in dissesto o predissesto, in ossequio al patto di stabilità interno, mai abrogato neanche durante la pandemia . 

E allora come si fa ad assicurare le prestazioni pomposamente annunciate? Semplice Non si assicurano. 

Infatti nel decreto la presenza infermieristica è solo “fortemente consigliata”. I consultori, le vaccinazioni ai minori (0-18 anni) e gli screening sono facoltativi. I servizi per la salute mentale sono solo consigliati, senza “fortemente”.

 Per quanto concerne la Case di Comunità periferiche (spoke) dovrebbero assorbire gli studi associati dei medici di famiglia, con orari di apertura più estesi. Oggi sono in servizio 42 mila, medici di base, un numero assolutamente insufficiente che andrà ulteriormente a diminuire visto che, secondo i calcoli dell’Università Cattolica, entro il 2028 se ne perderanno tra i novemila e i dodicimila, per prepensionamenti e mancato turnover. Inoltre l’ulteriore impiego dei medici di famiglia nelle Case di Comunità è tutto da definire,  perché, lo ricordiamo, questi professionisti non sono alle dirette dipendenze del Sistema Sanitario Nazionale, ma costituiscono un’organizzazione professionale privata in convenzione, e l’impiego nelle strutture di prossimità, inteso come prestazione aggiuntiva alla normale attività, con turni assimilabili ai medici ospedalieri, che comprendono anche l’impiego durante i week end, deve essere ancora discusso con la Fimmg, l’associazione che li rappresenta. 

I soldi ci sono?

Tornando ai soldi del PNRR, nella prima versione stilata dal governo Conte bis, si stanziavano 4 miliardi di euro per la realizzazione di 2564 case di comunità. Nella versione definitiva, quella del governo Draghi, tutto è stato dimezzato, vincolando alla realizzazione delle infrastrutture, cioè alle mura, l’erogazione dei fondi. Per quanto concerne il personale le Regioni potranno attingere solo ai 94 milioni di euro stanziati a marzo 2020 per gli infermieri di comunità. Il resto delle assunzioni dovrà essere fatto senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.  Così è scritto. 

Giova ricordare che, nonostante la pandemia, il Def 2022 prevede che la spesa sanitaria cali dal 7% al 6,2% del Pil nei prossimi tre anni. Invece, come sappiamo, le spese per gli armamenti devono aumentare in ossequio al nostro servilismo verso la Nato, o molto più semplicemente verso i mercanti d’armi, i cui manager, siedono bellamente   nei consigli d’amministrazione di tante multinazionali e dei maggiori giornali del pensiero unico

Un enorme regalo alla sanità privata

A questo punto la domanda è: come incideranno le norme di questo decreto sul servizio sanitario? Le nuove strutture da realizzare per avere i soldi europei, rimarranno vuote? Perchè non sono previsti contemporaneamente investimenti per l’assunzione di nuovo personale sanitario? . 

La risposta è semplice.  Per dotare  le Case di Comunità del  personale necessario  si ricorrerà al subappalto verso imprese private, che già hanno dato ampia dimostrazione della loro inefficienza, dovuta al perseguimento del profitto piuttosto che della salute dei pazienti. 

In pratica con i soldi del PNRR si costruiranno  confortevoli strutture da mettere a disposizione delle imprese sanitarie private le quali spunteranno sontuosi contratti di convenzione, a totale danno del sistema pubblico, non risolvendo il problema delle liste d’attesa, né di tutte le altre criticità che stanno minando un SSN il quale,  nonostante le sue problematiche ha limitato, e di molto, le conseguenze della pandemia.

La piaga del decreto concorrenza

Se poi consideriamo che nel decreto concorrenza, approvato dal consiglio dei ministri ed in discussione in Parlamento, le nuove norme per l’accreditamento delle strutture sanitarie  private, richiedono  una semplice  descrizione, rilasciata dalla stessa organizzazione, attestante la conformità delle attività per ottenere la convezione, eliminando il periodo di esercizio provvisorio, in vigore nella precedente legislatura, in cui si misuravano le reali capacità della struttura ad operare secondo i requisiti necessari all’accreditamento definitivo, ecco che si completa l'entità dell'enorme regalo  alle imprese private, nonostante la pandemia abbia insegnato altro. 

Forse una prima forma di resistenza vera, comune e condivisa, dovrebbe essere quella di lottare per la difesa di  un sistema sanitario pubblico  il cui interesse sia la salute dei cittadini e non il profitto dei grandi interessi privati. 

Ma bisognava pensarci prima. Prima di mettere un banchiere, difensore degli interessi della comunità  finanziaria, alla guida del nostro governo. Oggi non è impossibile resistere ma è molto più difficile. Un primo passo potrebbe essere contrastare e denunciare  fortemente l’aumento delle spese militari a fronte di una diminuzione delle spese per sanità e scuola. 

Certo in Ucraina la gente muore per una guerra insensata, ma anche da noi molti muoiono perché non hanno i soldi per curarsi. 

Prima di finanziare strumenti di morte sarebbe il caso di finanziare strumenti di vita.

1 commento:

  1. Grazie. Che il tuo scritto svegli, come una giusta secchiata d'acqua in faccia tutti noi.

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