E immancabilmente in questa sordida campagna elettorale, arrivò
la polemica fra i due pseudo sinistri Vendola e Ingroia. Non voglio
soffermarmi sul merito delle questioni .
Pare che Ingroia abbia imputato a Vendola la colpa di essere in una coalizione
con un partito che ha sostenuto e ancora sostiene un governo liberista che lo stesso presidente della regione
Puglia aborrisce. C’è peraltro
da chiedersi allora perché lo stesso Ingroia cercasse un dialogo con il Pd cioè
con quello stesso partito con cui è
alleata Sel e che tanto viene
bistrattato, anche dai riformisti giustizialisti ex comunisti guidati dal
magistrato siciliano. Ma il punto non è
questo. La questione è su quale debba
essere il campo di discussione di due formazioni che dicono a parole di essere
contro le politiche lacrime e sangue del governo Monti e contro il predominio del capitale sul
lavoro. Ad esempio proponiamo alcuni
temi che le cronaca recente ha riproposto all’attenzione. Non mi pare di aver sentito nel corso delle scorribande
televisive di Ingroia, né in interventi di Vendola, nessuna condanna ai nuovi
soprusi e alle nuove balle dispensate dall’Ad Fiat Sergio Marchionne nel corso della
settimana passata. Una di queste è la necessità della cassa integrazione per
gli operai di Melfi, stabilimento in cui
si produce la Punto, unico modello a tenere ancora sul mercato. Cassa integrazione
invocata con la scusa dell’aggiornamento della catena
di montaggio basata su tecnologie innovative per la produzione di due
nuovi modelli . E’ lapalissiano che la punto verrà fabbricata all’estero,
Serbia o Polonia. Dovrebbe anche essere degna di attenzione l’ammissione,
condivisa dai sindacati devoti e piangenti, che nonostante tutti gli sforzi
possibili immaginabili a Pomiglino non c’è proprio posto per i 1400 operai
rimasti fuori con la
promessa di essere reintegrati al compimento del faraonico progetto “Fabbrica
Italia” il cui esito fallimentare è stato ampiamente dimostrato. Il mercato è asfittico per cui anche a
Cassino si lavora per tre giorni al mese quando va bene e il resto è cassa
integrazione. Un'altra vicenda di
strettissima attualità che dovrebbe trovare posto nella campagna elettorale è
la situazione dell’Ilva. In particolare
in relazione a quanto deciso da un consiglio dei ministri straordinario convocato
venerdì scorso. Consiglio, giova
ricordarlo, composto da ministri
ancora agli ordini di quel Mario Monti che in
piena campagna elettorale sta occupando TV giornali e internet. Ebbene nell’assemblea di venerdì governo,
istituzioni locali e sindacati hanno
fermamente deciso sull’assoluta
necessità di applicare il decreto legge
207 del 3 dicembre convertito nella legge n.231 del 24 dicembre, nonostante su questo provvedimento sia
pendente il giudizio della Corte Costituzionale. Per fare in modo che ciò accada domani il governo presenterà un nuovo provvedimento “esplicativo
della legge”. Ricordiamo che la legge in
questione delibera , in aperto contrasto con
la procura, che il milione e 700mila tonnellate di semi lavorati tra colis e lamiere per un
valore di un miliardo e 200mila euro, possa tornare nella disponibilità della
famiglia Riva per essere venduto nonostante
la procura lo abbia posto sotto sequestro perché è frutto di attività illecita .
Infatti il materiale in questione è stato prodotto fra il 26 luglio e il 26 novembre negli impianti dell’area a caldo del siderurgico nonostante questi
fossero posti sotto sequestro preventivo
senza facoltà d’uso perché nocivi alla salute della cittadinanza . Proprio il conflitto di attribuzione fra poteri dello stato sollevato dai
magistrati ha coinvolto in giudizio la Corte Costituzionale. Quello che si sta consumando è un fatto
gravissimo. Cioè governo, enti locali e sindacati, si apprestano a fare l’ennesimo
favore a i Riva incriminati per disastro ambientale, padre agli arresti domiciliari
e figlio latitante, senza
attendere il necessario pronunciamento
della Corte Costituzionale, ma cedendo al loro ricatto per cui in mancanza dell’attuazione di quella legge
licenzieranno 1.500 operai e non sborseranno neanche un centesimo dei quattro miliardi necessari per mettere a
norma gli impianti, condizione primaria e imprescindibile richiesta da Monti e Clini per
rendere attivo il provvedimento in questione ma che i Riva non hanno intenzione di rispettare
. Su questo abuso e strappo
istituzionale del governo, non una parola è stata spesa in campagna elettorale né
da Ingroia, né tanto meno da Vendola.
Eppure per risolvere la questione
non è necessario invocare la rivoluzione
e la dittatura del proletariato o diventare seguaci di Grillo, basta attuare l’articolo
43 di quella costituzione a cui, tanto
Vendola che Ingroia, dicono di
richiamarsi . L’articolo 43 stabilisce che : A fini di utilità generale la legge può
riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo
indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti
determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi
pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale” Dunque perché non invocare con forza in campagna elettorale ai fini dell’utilità generale il trasferimento dell’Ilva e della Fiat ai lavoratori, senza ulteriore
indennizzo visto che questo è stato già anticipato abbondantemente dallo Stato? Ecco, anziché litigare per rivendicare una paternità anticapitalista
che né il magistrato palermitano, né il
governatore della Puglia hanno, perché non
cominciare a discutere delle questioni
Ilva e Fiat e più in generale di piani industriali e politiche per il
lavoro. Per ripristinare gli strappi ai diritti dei lavoratori perpetrati da
Sacconi con l’art 8 sulle deroghe al contatto collettivo nazionale e dalla
Fornero con lo stravolgimento dell’articolo
18 votato anche dai compagni di Vendola, i referendum possono essere utili ma
non risolutivi visto l’esito delle consultazioni sull’ acqua . Risolutivo potrebbe
risultare invece un vero impegno a raggiungere
questi obbiettivi se eletti in Parlamento, ma non mi pare che dalle parole ascoltate in
campagna elettorale emerga questa volontà .
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