dal libro "Stasera jazz" di Arrigo Polillo.
" ll quartetto di John Coltrane con McCoy Tyner,
Elivin Jones e Jimmy Garrison, venne per la seconda volta a Milano nell’ottobre
del 1963. Le emozioni cominciarono subito all’aeroporto, quando ci accorgemmo
che fra i passeggeri appena arrivati da Amsterdam non c’era –contrariamente
alle previsioni – proprio nessuno che assomigliasse a Coltrane e compagni.
Avevamo purtroppo poco tempo a disposizione: l’aereo che avrebbe dovuto portare
i nostri eroi era atterrato a Linate verso le due e mezzo del pomeriggio, e il
primo dei due concerti sarebbe dovuto cominciare due ore dopo.
Accertato che il
successivo aereo da Amsterdam sarebbe
arrivato verso e cinque e mezza, prendemmo le misure necessarie per
fronteggiare la difficile situazione: uno di noi corse in teatro per essere
pronto a comunicare al pubblico quanto gli avremmo fatto sapere per telefono: e
cioè che l’inizio del concerto sarebbe stato posticipato all’ora x, oppure che
sarebbe strato annullato. Gli altri, fra cui io, rimasero all’aeroporto per
cercare di sapere in anticipo se fra i passeggeri del successivo volo ci
fossero i nostri amici, e per poi accompagnarli al teatro. Fu Barazzetta che,
valendosi di sue conoscenze, riuscì ad ottenere ciò che ci venia dichiarato
impossibile, e cioè farsi confermare -
quando già l’aereo era in volo – che su
di esso viaggiavano i Signori John Coltrane
e C. (Ricordo ancora chiarissimamente l’emozione con cui apprendemmo al
telefono ch i quattro passeggeri da noi ricercati erano in volo verso Milano…).
Come Dio volle, i nostri atterrarono a Linate. Li caricai sulla macchina e mi
avviai a tutta velocità verso teatro,
dove il pubblico, tenuto al corrente di quanto stava succedendo, era in
paziente attesa da n paio d’ore (nessuno aveva chiesto l rimborso del
biglietto, che pure avevamo offerto: per Trane valeva la pena aspettare..).
Mentre guidavo i miei nervi erano tanto tesi che ebbi un lapsus: invece di dire
che il pubblico stava aspettando da ore
(hours) in teatro, dissi ai quattro che aspettava da anni (years), otenendo
come risposta una fragorosa risata che mi rivelò che, fra i cinque uomini che
si pigiavano nell’automobile, l’unico veramente preoccupato ero io. Po feci a
Coltrane questo discorsetto: “Ormai non c’è tempo per un intervallo
sufficientemente lungo per andare al ristorante, fra un concerto e l’altrp. Al
massimo possiamo fare un intervallo di mezz’ora durante il quale potrete
mangiare delle bistecche che faremo
portare in camerino”. Mi confortò tranquillo “Okay”: evidentemente il nostro si
immedesimava nella situazione, anche se sembrava calmissimo.
Arrivato in teatro divenne
ancora più calmo: si cambiò d’abito (suonava sempre in smoking) con grande
lentezza, fece un po’ di toilette, e poi si rilassò per alcuni minuti; e i sui
uomni feero altrettanto. In quel modo si perse un’altra mezz’ora e si arrivò
alle sete. E’ vano aspettarsi da un musicista di jazz americano dei movimenti
affrettati prima del concerto; alcuni minuti di relax (a base di sigarette più
o meno “pesanti”) prima di suonare sembrano assolutamente indispensabili.
Ma torniamo a Trane e i
suoi. Quella sera ci regalarono dello splendido jazz suonando quasi senza
soluzione di continuità per più di quattro ore. Ci fu il previsto intervallo di
mezz’ora per la bistecchina in camerino, ma per il resto: non-stop. Se si pensa
che un assolo di Coltrane poteva continuare senza interruzione per tre quarti
d’ora si può avere un’idea del tour de force a cui i quattro si sottoposero.
Eppure alla fine dei due
concerti, il leggendario sassofonista sembrava fresco esattamente come era in
principio. Come allora (quanto tempo era passato dal primo My favourite things
della giornata? A me sembrava un’eternità) rispondeva quietamente, con un
dolce, paziente sprriso sulle labbra, a qualunque domanda gli venisse rivolta.
Era un uomo “serafico”: qesto è l’aggettivo giusto. Proprio il contrario della
sua musica, tumultuosa, ubriacante.
Quel sorriso mi diede il
coraggio di rivolgergli alcune domande formali nella speranza di ottenere
risposte sufficienti per cavarne un’intervista. Poi però troncai corto, perché
provai della compassione per gli altri
tre uomini che, dopo aver fatto
un viaggio da Amsterdam a Milano e aver dato due concerti di fila, il tutto nel
giro di sei ore o giù di lì, avevano il diritto di andare a dormire. Tuttavia
feci in tempo a ottenere qualche
riposta, e la ricordo bene. Tra l’altro rammento la scarsa importanza che
Coltrane annetteva a un suo disco che a
me pareva ottimo, Olè Cotrane, e ricordo soprattutto l’incredibile modestia di
cui, con ogni sua risposta dava prova. A un certo punto mi disse di avere un
contratto con la Impulse che lo obbligava a registrare tre LP all’anno. “E’ un
problema serio” mi disse a questo proposito. “ Per registrare tre dischi
bisogna avere inventato tanta di quella
musica! Nei dischi bisogna mettere solo il meglio di quanto si è inventato e
suonato durante l’anno, e i non so proprio come farò…” Rividi l’ultima volta Coltrane, ancora con i
sui tre amici , al Festival del jazz di Juan les Pins, nel luglio del 1965. Gli
sentii suonare un magnifico A Love Supreme (era la prima volta che ascoltavo da
lui questo pezzo oggi famoso, perché allora il disco non era ancora arrivato in
Italia) e poi andai fra le quinte a salutarlo e a congratularmi con lui.
“Guarda chi c’è” disse a Tyner, col sorrisetto serafico che conoscevo già. E’
inutile aggiungere che, nonostante l’impegnativa impresa (A Love Supreme durava
circa tre quarti d’ora), era fresco come
una rosa."
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Vogliamo proporre a tutti gli appassionati di jazz e ai nostri
naviganti le gesta dei quattro personaggi protagonisti del racconto di Polillo.
I video che seguono infatti vedono, John Coltrane –sax tenore e soprano, McCoy
Tyner - pianoforte, Elvin Jones – batteria e Jimmy Garrison al contrabbasso, impegnati nell’esecuzione di tre brani
emblematici della poetica jazzistica del quartetto. Il set fu registrato a San
Francisco nel dicembre del 1963 e faceva
parte di un ciclo televisivo prodotto dal giornalista e critico musicale Ralph
J.Glesason, denominato Jazz Casual. I brani in questione sono “Afro
Blue” scritto da Mongo Santamaria, un pezzo in tre quarti. Una struttura
ritmica molto congeniale al quartetto del sassofonista di Hamlet North
Carolina, basti pensare che la stessa forma ritmica è la base di My Favoirute Things il
brano tratto dall’omonimo valzer di Roger e Hammerstein, utilizzato come colonna sonora di “Tutti
insieme appassionatamente”, che segnò uno dei capolavori assoluti di
Coltane. L’improvvisazione che Coltrane sviluppa in Afro Blue, prima con
il soprano e poi con il tenore, è
costruita secondo la logica modale. Un linguaggio che sposta il fluire della melodia
al di fuori del contesto definito dagli accordi. Segue “Alabama” una composizione dello
stesso Coltrane, un brano dall’atmosfera mistica, austera. Dopo l’enunciazione
del tema, l’improvvisazione si snoda uscendo dal recinto degli accordi per svilupparsi ancora una volta
su un binario modale. Il terzo pezzo è Impression, sempre di Coltrane. Una favolosa cavalcata
improvvisativa in cui tutti i musicisti si esprimono su livelli straordinari.
McCoy Tyner sfodera una assolo straordinario, grappoli di note si susseguono in
modo brillante. La mano sinistra sfodera un tocco poderoso, sempre alla scoperta di nuove
armonie, e la destra è impegnata a
impreziosire il tutto con arpeggi veloci e finissimi. Impressionante è la parte
in cui restano soli Coltrane e Jones a rincorrersi con brillanti suggestioni.
Elvin Jones è immenso mostra una libertà ritmica inusitata, intensa, capace di
fondersi perfettamente con l’esuberanza improvvisativa di Coltrane, l’assolo di
Garrison è una perla, il suo contrabbasso sembra a tratti un’orchestra. Ascoltando questi tre brani si può facilmente
intuire la ragione per cui il pubblico di Milano rinunciò a farsi rimborsare il
biglietto e attese pazientemente due ore per l’esibizione del quartetto di
Coltrane. John Coltrane, pur nella tranquillità e mitezza del suo carattere,
riuscì ad esprimere una musica dalla forte connotazione politica e di
lotta per i diritti sociali e civili dei neri e di tutte le categorie sociali
emarginate . Il suo stile, forgiato dall’esperienza del Rythm and Blues, del Be
Bop, dall’aver avuto compagni di viaggio come Miles Davis e Thelonius Monk e dall’improvviszione modale, evoca i canti di
lavoro degli schiavi neri e la rabbia che esplodeva nei ghetti. Non c’è dubbio
che Cotrane fu il degno continuatore di quella rivoluzione espressiva iniziata
da Charlie Parker.
Good Vibrations.
Luciano Granieri
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