domenica 15 dicembre 2013

Gaetano Liguori a sinistra della storia.

Intervista al  leader dell’”Idea Trio” , terzo mondista ante litteram

Franco Bergoglio. Da “Alias” del 14 dicembre

Pochi minuti con Gaetano  Liguori  e si capisce quanto può essere fuorviante, per eccesso di cinismo, la massima di Oscar Wilde: la coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione. Liguori è stato (e sarà) un artista  con l’immaginazione “a sinistra”. Una coerenza che non lo confina al mantra del formidabili quei tempi. Celebre per le esibizioni di fronte alla platea milanese  della Statale Occupata dal “suo” movimento studentesco, ha  scontato la fama giovanile con una maturazione saggia, all’insegna di una musica  nobile, suonata dove  serve (più che nei club bene): per i ribelli, le vittime, i poveri. Ha condiviso con l’idea Trio migliaia  di piazze, di festival, fabbriche e centri sociali. Spesso che si è dedicato all’arte politica poi ha danzato tra le ideologie  a saltelli da quaglia o si è ritirato nel privato, asuonare e basta. Quando si iniziò  a respirare l’aria normalizzatrice degli anni Ottanta Liguori divenne un altromondista  ante litteram:  membro della delegazione italiana per il Festival della Gioventù a Cuba nel 1978, fece viaggi di solidarietà in Eritrea, Amazzonia, Sahara, Senegal, Nicaragua; a Gerusalemme e Sarajevo per  Time for Peace  a Beirut nel ventennale di Sabra e Chatila, a Bagdad per l’associazione Naga, che offre assistenza sanitaria agli indigenti. Il Comandante (2002) , pubblicato dai Dischi del Manifesto, scatta una istantanea in jazz della sinistra  italiana: da un cupo risveglio significativamente intitolato Genova G8, attraverso nostalgie dolenti, fino alla volontà di riprendere il cammino. Di questo 2013 l’ultima zampata: ristampare su cd  Cile libero Cile rosso,  il primo ellepì con l’idea Trio pubblicato all’indomani  del  golpe (11 settembre 1973). Da atto di denuncia in musica, ora, dopo quarant’anni, assume il senso di consegnare al futuro il ricordo di una pagina tragica nella storia  della sinistra.
Per il cd del 2011 “Noi cedevamo” ( e crediamo ancora) hai recuperato materiai degli anni Settanta , con spezzoni di musica popolare “significante” :”Bella Ciao”, “El Pueblo unido” “Hasta siempre comandante”. Nelle note di copertina, elenchi i personaggi  in cui credere  da Marx a Mani Pulite. Vorrei intervistarti a  partire dai tanti nomi che citi, per costruire  una biografia generazionale. Il secondo della lista è Lenin . Hai ancora il suo busto dietro il piano forte?
Certo che ce l’ho! Quando Pat Garrett si vende ai latifondisti  e al suo vecchio amico Billy the Kid dice: “Billy il mondo è cambiato” . Billy in pieno stile loser risponde: “Il mondo è cambiato, io no!”.  Ecco io sento di appartenere a una razza in via d’estinzione, i coerenti. Non vuol dire che non possa guardare ciecamente a un passato quasi remoto, ma non significa neanche che in virtù di una prostrazione di comodo a nuove – ma non necessariamente giuste – idee, debba fare il salto della quaglia come tanti politici o uomini di cultura.  Questo affermo in “ Noi credevamo ( e crediamo ancora)” Credere ancora in miti  della nostra (mica tanto spensierata) giovinezza non è disdicevole, perché nomi di musicisti come Hendrix o Coltrane o parole come Resistenza ora più che mai vanno riproposti ai giovani.  Nella mia storia generazionale c’erano musicisti  e personaggi come Malcom X o Che Guevara , c’erano i “Magnifici 7” E IL “Mucchio selvaggio”; insomma non vivo con i fantasmi  ma non li butto via per un piatto di lenticchie. Quando ero  un giovane musicista e non sapevo come sarebbe andata la mia vita ero intransigente verso l’onestà intellettuale e pur avendo bisogno di sodi per vivere non mi sono mai venduto a manager, partiti e alle sirene del successo.  Figuriamoci ora, che sono una attempato signore alla soglia della pensione di insegnante  del Conservatorio.
Attempato non ti si adatta. Dopo Mao Tse-Tung, metti: amicizia, amore, donne, sesso libero tre temi universali e uno slogan…
C’è dell’ironia, in sesso libero. Quando rivedo le immagini  d Woodstock con tutte quelle belle ragazze nude penso che per la mia generazione che arrivava dagli anni Cinquanta il sesso fosse ancora un mito-tabù da affrontare.  Il movimento hippy ci aiutò, come  la liberazione sessuale della donna, il Maggio francese... Andando a vedere i complessi Beat al Piper di Milano, capii subito quanto il  suonare uno strumento facilitasse negli incontri con l’altro sesso, anche per chi suonava  del sano free jazz!
Oggi i musicisti sembrano vivere una dimensione esclusivamente musicale. Non ci sono jazzisti che si permettono di citare, come fai tu, elenchi  che portano in quest’ordine : la Statale Occupata, Albert Ayler, oppure Charles Mingus, Eric Dolphy,  i partigiani, la Resistenza.
Non voglio fare  la morale a nessuno. Certo, le mie scelte erano diverse, non facevo il comico in televisione, suonavo in Aule Magne occupate da ragazzi a cui  celerini avevano rotto la testa per quella scelta di campo e dunque c’era poco da ridere. Se poi dedicavo un brano ad uno studente ammazzato dalla polizia, allora la sintonia con il pubblico che seguiva i miei concerti era massima. A volte penso a quanto ora siamo più lontani  dal Sessantotto di quanto noi lo fossimo allora dalla Resistenza antifascista. Eppure titoli e musica del mio primo disco Cile libero, Cile rosso sono ancora validi ideologicamente, ma – lasciamelo dire  - anche musicalmente. Suonavamo, Del Piano, Monico  ed io, come se fosse l’ultimo  concerto della nostra vita: impegno, tecnica, suono, ritmo, melodie….. tutto concorre a cerare quella magica atmosfera che distingue un buon disco da un affare commerciale.
Gli eroi come icone assolute, dall’adolescenza all’eternità. Metti fianco a fianco Frank Zappa,  Tex Willer, il Grande Blek, Moby Dick, I raazzi della via Pal, l’ultimo  dei Mohicani…
Certo nono ho mai distinto i musicisti rock da quelli jazz, pop, o dai cantastorie. Ho sempre ascoltato la musica per quello  che mi comunicava in quel preciso momento.  Chiaramente con la maturità posso aver cominciato ad apprezzare anche un’opera di Verdi, una suonata di Scarlatti, una polacca di Chopin o una Fuga di Bach. Uguale per la letteratura:  leggere Moby Dick o Cuore di tenebra a  15 anni non è lo stesso di farlo a sessanta; ci sono cose, sentimenti, atmosfere, che dopo averle vissute ti fanno cambiare la sensazione di “sentire la parola”. Il mio libro preferito a vent’anni era  Confesso che ho vissuto  di Pablo Neruda. Allora vivevo  le sue parole sula pelle.  In questo il viaggiare, l’avventura, le guerre, le rivoluzioni, i morti, i vivi, gli amori veri e quelli scomparsi, tutto ha concorso a farmi pensare  che la vita va vissuta “day by day” e di questo sono grato al mio pianoforte che ha fatto si che si avverassero i sogni della mia gioventù, compresi quelli del Grande Blek.
Un ultimo slogan, non dall’elenco. Il disco in ristampa: “Cile libero, Clle rosso”.
Devo dire che l’operazione di ristampare vecchi dischi non mi piace molto. Primo, perché ho ancora tanto da dire: poi perché ti volti un attimo, e tac! Sono passati quarant’anni. Mi sembra ieri: ascoltai gli Inti-Illimani al Festival de l’Unità pochi giorni prima dell’11 settembre 1973 e dopo preso dallo sdegno, composi con Filippo Monico alla batteria e Roberto Del Piano al basso  elettrico la suite a cui diedi il titolo Cile libero, Cile rosso , così come si poteva leggere sui muri della città. Aveste visto la faccia del direttore  artistico della Pdu, l’etichetta di Mina, quando firmai il contratto  che mi legava loro e proposi  come primo titolo proprio quello. E l’adrenalina che ci prese quando annunciai il titolo della suite al palazzetto dello sport di Bergamo dove suonavamo prima di Mingus, accolto da cori del pueblo unido jamas serà vencido.


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