La legge di stabilità appena licenziata è aspramente criticata da sindacati e Confindustria perché le risorse destinate
alla riduzione del cuneo fiscale sono esigue.
Secondo le parti sociali un centinaio di euro in più in busta paga per i
lavoratori e la stessa cifra di sgravi
fiscali per le imprese, non sono
sufficienti a far partire la crescita la cui conseguenza diretta dovrebbe
essere un miglioramento delle condizioni economiche e il relativo aumento dell’occupazione.
In un Paese dove i salari sono fra i più
bassi d’Europa e la loro ulteriore
compressione serve a sostituire la svalutazione monetaria come
strumento utile a rendere la aziende competitive all’estero ed ad incentivare le
esportazioni , neanche 300 o 400 euro in più in busta paga servirebbero a
mettere in moto un processo tale da produrre una crescita occupazionale. Neanche il job act di Renzi, che pur nella sua genericità, comunque prevede una maggiore flessibilità in
uscita, escludendo dalle protezioni dell’art.18, per tre anni,
i nuovi assunti, è utile a creare occupazione. In altri Paesi dove è
consentito il licenziamento senza giusta causa, l’occupazione è in calo così
come da noi.
Se non si esce dalla logica neoliberista del “MERCATO
DEL LAVORO” non esiste alcun artificio utile a creare occupazione. Il primo obbiettivo dell'ultraliberismo è quello
di creare accumulazioni di capitale e profitti sempre più ingenti. Una delle più importanti fonti necessarie ad
alimentare profitti, oltre alle speculazioni finanziarie, è il plusvalore determinato dalla forza
lavoro. L’obbiettivo è di sottrarre sempre maggiori quote di questo plusvalore da
lavoro per destinarlo alla generazione del profitto. Con tale logica al lavoratore rimarrà poco o
nulla della ricchezza che produce. E’ quindi
necessario per la prassi liberista il permanere
della disoccupazione e del lavoro precario.
Se il lavoro è una merce, questo sottostà alle
regole della domanda e dell’offerta. E’ interesse della casta ultra liberista che l’offerta di lavoro sia
sempre e comunque di molto inferiore alla domanda di occupazione, in
modo da creare una dinamica contrattuale
sempre più favorevole all’offerta. La compressione dei diritti sul lavoro non ha come primo obbiettivo quello di
abbassare i costi di produzione per
aumentare la competitività sul mercato, ma quello di aumentare la quota di
plusvalore da destinare al profitto. Se si da per assodato il contesto
capitalista e neoliberista, nessun provvedimento, nessun programma potrà essere
pianificato per creare occupazione.
E’
necessario smetterla di pensare al “MERCATO DEL LAVORO” . Bisogna ritornare a considerare il LAVORO come
un diritto naturale necessario a donne e uomini per vivere un’esistenza
dignitosa. Se l’offerta di occupazione è limitata rispetto alla domanda, allora è
necessaria una redistribuzione del lavoro esistente in modo da soddisfare completamente
la domanda. Lavorare meno, lavorare
tutti a parità di salario. Questa
potrebbe essere una prima risposta.
Prevedere la diminuzione delle ore di
lavoro, un ampio utilizzo del part-time,
magari con un contributo dello Stato consistente nel farsi carico di una parte
del salario del lavoratore part-time in
modo tale che l’azienda, che usufruisce
delle prestazioni di questi addetti,
non abbia l’onere di pagare il salario per intero. Alla redistribuzione del tempo di lavoro si
dovrebbe affiancare la creazione di nuovo lavoro. In tal senso si potrebbero individuare settori diversi bisognosi della creazione di beni e servizi.
Settori come la sanità,
la scuola, i servizi agli anziani, ai bambini, ai disabili, sono in continua
emorragia di addetti. Blocco del turn-over, chiusura di strutture sociali,
scuole, ospedali, sono all’ordine del
giorno. In quest’ambito si potrebbero
creare enormi opportunità occupazionali. Un altro settore che ha fame di
addetti è quello relativo alla salvaguardia del territorio. L’Italia, come è
noto e come ogni giorno le cronache non smettono di ricordare, è un paese ad
alto rischio idrogeologico e sismico. Ma un programma di tutela del territorio
non esiste. Un altro campo potrebbe riguardare la ristrutturazione di immobili
in degrado per destinarli ad alloggi popolari anche in questo caso si potrebbe
creare occupazione. E’ evidente che i nuovi occupati in questi settori,
dovrebbero essere assunti dallo Stato.
Tutto
ciò quanto ci costa? La domanda sorge
spontanea. Contributi alle aziende che
assumono part-time per la quota eccedente la metà del salario, nuove assunzioni
dirette, sicuramente avrebbero un costo
notevole. Ma i soldi si possono trovare.
Ad esempio togliendo i contributi alla sanità e alla scuola privata, destinando
alla tutela del territorio i fondi delle
grandi opere, aumentando la tassazione sulle rendite finanziarie, sui
grandi patrimoni e sui profitti della speculazione finanziaria.
Inoltre molte
risorse potrebbero arrivare da una seria lotta all’evasione fiscale, da una
maggiore tassazione a carico delle agenzie pubblicitarie, da una drastica
riduzione delle spese militari. Anche
una rideterminazione della spesa sociale potrebbe liberare risorse. Ad esempio
la rimodulazione degli assegni familiari, pensioni di invalidità. Prestazioni
che oggi vengono erogate a tutti ma dalle quali si potrebbero escludere le
famiglie più ricche. Il risparmio ottenuto potrebbe risultare
cospicuo.
E’ evidente che in questo modo
si disinnesca il ricatto neoliberista e dunque tali misure non saranno mai
adottate in un ambito che considera ineluttabili le regole del mercato. Quindi l’azione primaria che sta alla base di queste politiche
a favore del lavoro è rovesciare il regime ultraliberista. Qualsiasi
organizzazione e movimento, sindacale o
politico, che propone programmi a favore
del lavoro senza partire da un contrasto al liberismo e al capitalismo non è
credibile. Tutte le proposte che oggi sono
sul tavolo esplicandosi in un contesto
liberista, più o meno mitigato da un improponibile controllo della politica,
non sono assolutamente credibili, sanno di grande presa in giro.
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