venerdì 3 gennaio 2014

Fiat: l'abilità di fare soldi anzichè macchine

Luciano Granieri


Sergio Marchionne è bravo a fare i soldi e non le macchine. Questo è assodato, per buttarla in lotta di classe possiamo dire che l’Ad Fiat è bravo ad ingrassare gli azionisti e a fottere gli operai.  Tale   solita morale   sta alla base anche    della conquista di Chrysler .

Con magno gaudio dei media di regime  e dei sindacati, egualmente di regime, il Lingotto conquista definitivamente l’America . Quando Marchionne ha a che fare con sindacati recalcitranti sfodera il meglio di se. Ed è stato così anche con il Uaw, United Auto Workers, la potente organizzazione sindacale che attraverso il fondo sanitario Veba deteneva il 41,5% delle azioni di Chrysler.  Quelle quote ora sono di Fiat e consente al gruppo di possedere al 100% Chrysler. 

La trattativa è stata da manuale. Veba pretendeva  5 miliardi,  Marchionne sdegnato per la insolente ed esosa offerta ne offriva al massimo due.  Si è arrivato alla fine ad un accordo per il quale Marchionne è stato incensato come grande manager da giornalisti, politici e sindacati.  A dire il vero l’affare in soldi è sembrato più soddisfacente per i sindacati che hanno spuntato una cifra di poco inferiore alla loro richiesta, 4 miliardi e 300mila dollari, ma il colpo da maestro sta nelle modalità con cui  Fiat pagherà questo importo. 

Dalle casse del lingotto usciranno solo 1,75 miliardi,  gli eredi Agnelli non cacceranno un dollaro di più. Di aumento di capitale neanche a parlarne. Il resto  della cifra verrà corrisposto come segue:  Altri 1,9 miliardi, necessari per comprare Chrysler,  li pagherà Chrysler  e il fondo Veba  cioè coloro che hanno venduto. Potenza della finanza!  In pratica gli azionisti di Chrysler, Veba e Fiat  anziché spartirsi un generoso dividendo di un miliardo e nove lo destineranno all’acquisto  da parte di Fiat dell’intero pacchetto azionario.  Il resto della spesa, 700 milioni verrà pagato al sindacato in quattro tranche per quattro anni, trasformato in premio di produzione.  Cioè se gli operai   saranno bravi avranno saldate le loro spettanze sulle quote che hanno ceduto a Fiat, altrimenti nisba. Bel colpo!  

Ma da questo gioco delle tre carte, agli operai di Cassino, Pomigliano, Melfi, Mirafiori e all’Italia tutta , che ne verrà in saccoccia? Questo è una domanda blasfema che come al solito pongono i soliti comunisti disfattisti. La fusione, sostengono  le truppe cammellate, consentirebbe a Fiat di assaltare il tesoretto di Chrysler, accumulato con i successi commerciali  ottenuti nel  mercato americano e quello brasiliano,  e destinarlo a faraonici investimenti sugli stabilimenti italiani per trasformare le asfittiche catene di montaggio nazionali in mirabili fabbriche sforna suv. Ma sarà vero? 

Perché le  agenzie di rating non benedicono questa operazione?   La struttura finanziaria del gruppo  in verità ha ancora qualche debituccio, la sua  situazione  economica , tutt’altro  che solida,   è superiore solo al gruppo Peugeot.  Un poco di dollari per pagare i buffi saranno forse necessari. Poi,  a quanto si conosce, gli investimenti previsti riguarderebbero il rilancio dei marchi Alfa Romeo e Maserati.  A Cassino verranno prodotte, sotto il segno del biscione,  un’ammiraglia  e un Suv, oltre che l’erede della Giulietta.  E’  possibile che    la catena del Suv  vada  Mirafiori.  A Grugliasco,    ai modelli Maserati   Quattroporte e Ghibli già in produzione, si affiancherebbe un altro Suv di maggiore potenza e prestigio.  A Melfi sono   invece previsti  la   nuova Punto, sempre annunciata  e mai  realizzata  e  due mini Suv  500X e Jeep. Solo per i tre nuovi modelli di Cassino gli investimenti dovrebbero aggirarsi attorno ai 3 miliardi di euro.  

Con tutta la buona volontà è difficile capire quale successo potrà avere la scelta di produrre Suv e ammiraglie,  vetture che si pongono in segmenti dove Volkswagen, Audi e Bmw la fanno da padroni e dove il numero di auto vendute è limitato.  Di investimenti su auto elettriche o a bassa emissione neanche a parlarne.  Inoltre  molti dubbi arrivano dai mercati di riferimento. In Italia Fiat continua a perdere anche se il business dell’auto è in ripresa, in Brasile le cose non sembrano rimanere così rosee come in passato. E negli Stati Uniti, finta la cura da  cavallo  di Obama che ha risollevato l’economia   a botte di politiche keynesiane e iniezioni di denaro fresco dalla Federal Reserve,  il successo commerciale fini ad ora ottenuto verrà riconfermato?  Di conquistare  nuovi mercati emergenti, in  Russia, in Cina, in Asia in generale, non si fa menzione.  

Basterà il tesoretto Chrysler a  pagare i debiti e  a rilanciare la produzione in Italia? Ma soprattutto - considerata la spoliazione operata da Marchionne degli stabilimenti italiani, con l’aiuto dei sindacati , attraverso  la chiusura di Termini Imerese e della Irisbus,  usando dosi massicce di cassa integrazione e erodendo i diritti dei lavoratori -siamo sicuri che ci sia la volontà di investire in Italia? Di certo da questa operazione di fusione c’è solo che un’altra parte del gruppo migrerà in paradisi fiscali come già e accaduto per la Fiat Industrial  - sottraendo    ulteriori entrate fiscali all’erario  - che la nuova società verrà quotata alla borsa di New York anziché a Milano e che gli azionisti Fiat già da ieri hanno visto le proprie azione apprezzarsi del 16%. Forse varrebbe la pena che il governo vigilasse un po’ meglio sulle attività di questo genio capace di fare soldi ma non di fare macchine, cioè per dirla in termini di lotta di classe, capace di ingrassare gli azionisti e fottere gli operai.

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