lunedì 23 agosto 2010

DUE ANNI DI ALEMANNO

di Paolo Berdini -  da "il manifesto" del 17 agosto.





Dopo due anni di governo della città è venuto il momento di tentare un primo bilancio sull'urbanistica romana ispirata dal sindaco Alemanno. Siamo infatti ormai di fronte ad un quadro abbastanza chiaro che consente una lettura attendibile almeno sotto due ordini di considerazioni: l'orizzonte culturale con cui si affrontano le trasformazioni urbane e i soggetti a cui sono state affidate le chiavi della città.


Riguardo al primo punto non c'è dubbio che la nuova amministrazione abbia estremizzato oltre misura la cultura dei grandi eventi che sembra ormai l'unica possibilità di governo delle città italiane. Cancellata l'urbanistica, e cioè la modalità con cui un'intera comunità tenta di delineare un futuro possibile, le prospettive urbane sono affidate alla prospettiva dei grandi eventi. 


Tutte le energie della città sono dunque concentrate sul progetto Millennium, e cioè per la preparazione alla candidatura ai giochi Olimpici del 2020. I giochi invernali di Torino, l'expo di Milano, solo per fare due esempi, sono ormai le uniche ricette che un sistema politico in profonda crisi è capace di pensare.


Di fronte a malesseri urbani sempre più acuti e generalizzati - dopo venti anni di dominio neoliberista non c'è infatti nessuno che possa affermare che le condizioni di vita delle nostra città siano migliorate - la soluzione è quella di fornire dosi industriali di ossigeno al malato. Senza riflettere che gli effetti sono letali. A Torino il fiume di denaro pubblico utilizzato non ha prodotto alcun risultato e anche il bilancio economico è fortemente negativo. Il Sole 24 ore del 7 aprile ci racconta poi che per i giochi Olimpici del 2004 Atene ha speso 11 miliardi per opere faraoniche oggi inutilizzate e destinate anche «a parziale demolizione», mentre gli introiti hanno coperto solo il 20% delle spese. 


Ma il fatto grave è che nel caso romano l'orizzonte del grande evento non si limita alla candidatura olimpica. È divenuta prassi quotidiana. Invece di interrogarsi fino in fondo sui modi per uscire dalla crisi economica in cui versa la città, alleviata soltanto dalla presenza ancora estesa della pubblica amministrazione o del settore delle comunicazioni, si sceglie il modesto diversivo della Formula 1 automobilistica all'Eur. Nessuna città al mondo può vivere dell'effimero, tanto meno Roma, eppure si veicola una proposta inutile soltanto per ingraziarsi alcuni gruppi mediatico-finanziari e la lobby degli albergatori.


Si strizza l'occhio al turismo effimero anche con la proposta di un ridicolo parco a tema sulla «Roma imperiale». Le altre grandi città del mondo fanno a gara per rendere sempre più accoglienti i maggiori elementi di richiamo storico e culturale. Da noi si assiste impassibili al crollo della Domus Aurea e si pensa di richiamare turisti con una cittadella di cartapesta. Ma anche qui non è soltanto insipienza di qualche assessore (che pure c'è): è l'adempimento al patto scellerato con i padroni della aree ancora libere. L'eterna spinta all'espansione urbana e alla speculazione edilizia. 


E anche la realizzazione di infrastrutture considerate «normali» negli altri paesi, diventa veicolo di straordinarietà. Il progetto della linea «D» (Talenti-Eur) fu affidata da Veltroni al potente gruppo Condotte. Oggi si vorrebbe cancellare l'opera: il risarcimento per la società affidataria ammonterebbe a oltre 400 milioni. Niente male per i cantori del «non ci sono i soldi». Il prolungamento della linea «B» (Rebibbia-Casal Monastero) è stato incardinato sulla cessione di una serie di aree pubbliche: i privati attuatori finanzieranno la metropolitana costruendo su quelle stesse aree. È il modello della «cattura del valore» di quella vergognosa vicenda della Quadrilatero Umbria-Marche. A Parigi in tre anni hanno realizzato una nuova linea tranviaria con progetto, soldi e regia pubbliche. Da noi per realizzare tre chilometri di metro si svende il territorio e si alimenta la speculazione immobiliare.


Ma a chi volete che importino queste considerazioni oggettive? Viviamo nell'era del dominio mediatico e i principali quotidiani romani (Messaggero e Tempo) sono in mano a proprietari di vasti terreni da valorizzare e società che vivono anche di appalti pubblici. E questo gruppo di comando non fa sconti: avendo contribuito generosamente all'elezione di Alemanno, oggi presenta il conto. Questa tragica subalternità dei poteri pubblici verso i potentati economici svela il suo volto non solo nei casi appena narrati, ma anche nella vicenda Acea, dove Francesco Gaetano Caltagirone sta imponendo i suoi disegni anche a costo di privatizzare un'azienda costruita in decenni di giganteschi investimenti pubblici e di competenze tecniche. Così, mentre ci continuano a dire che non ci sono soldi per soddisfare l'immenso arretrato di infrastrutture e di servizi delle città, dietro al proscenio si apparecchia un lauto pranzo fatto di immensi finanziamenti pubblici che andranno nelle mani di pochi. 


Ecco perché le amministrazioni pubbliche sono obbligate a percorrere la strada dei grandi eventi: le possibilità del governo quotidiano sono state ridotte al lumicino e le risorse vengono erogate a patto che la regia dell'operazione sia «fuori scena», facilmente indirizzabile verso esiti -e quadranti urbani- che interessano i soliti noti. Ripeto, questa strada rovinosa non è stata inventata da Alemannno. Non c'è soltanto il precedente rutelliano della fallita candidatura alle olimpiadi del 2004, ma identico problema si pone per tutte le città italiane. Si ottengono finanziamenti soltanto se la regia sta in mano ai Bertolasi di turno o delle tante società di scopo create in questi anni per togliere trasparenza all'azione delle pubbliche amministrazioni. È la crisi della democrazia reale. E infatti il recente incontro con le grandi star dell'architettura si è svolto senza che ci fosse la minima possibilità per la società civile di esprimersi. È una società rigidamente divisa quella che si afferma: pochi controllano ogni centro decisionale. Gli altri hanno solo il diritto di abitare in squallide periferie.


Ma proprio qui si rintraccia il punto debole dell'azione di Alemanno che non tarderà a produrre i suoi effetti. Due anni fa sono state come noto le periferie a tributare il successo del centro destra. Dopo due anni, proprio grazie al trionfo della cultura dell'evento straordinario da affidare agli eterni padroni della città eterna, nelle periferie si respira un'aria sempre più preoccupante. 


Si è compreso che non solo nulla è cambiato ma che il destino di ulteriore marginalizzazione è scritto nei rapporti di sudditanza economica che nessuno osa più mettere in dubbio. Un solo esempio. A Casal Monastero estrema periferia a nord della città la precedente amministrazione aveva pensato bene di portare la qualità urbana che manca attraverso il trasferimento degli autodemolitori ubicati nell'area di Cinecittà! Quell'insensato progetto è stato confermato e verrà attuato nelle prossime settimane. Così dopo aver condannato la precedente, le periferie volteranno inevitabilmente le spalle anche a questa amministrazione.

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