Non è passato giorno, in questa calda estate del 2010, senza che venisse a galla un avvenimento scandaloso riguardante il rapporto capitalismo-politica. Appare inutile passare in rassegna la descrizione di ogni scandalo nella sua specifica caratterizzazione. Ciò che sembra necessario, qui, è un'analisi complessiva su quanto sta accadendo. Gli scandali P3, appalti post-terremoto a L'Aquila, infiltrazioni mafiose in appalti decisivi per l'economia italiana, agganci strutturali tra politici corrotti e speculatori hanno un elemento in comune: la necessità, per la loro determinazione, dell'esistenza di un sistema economico incentrato sul profitto di pochi a discapito di molti. Non è certamente un caso se si pensa che il dilagare degli scandali che si stanno susseguendo si sta palesando in un periodo di profonda crisi del sistema capitalistico.
Sullo sfondo un dato incontrovertibile: la crisi capitalistica Il capitalismo, e quello italiano non fa eccezione, sta attraversando un profondissima crisi a livello internazionale. Una crisi che ne sta cambiando inevitabilmente il volto, e che ne sta mettendo in discussione alcuni caratteri strutturali. Se si guarda alla storia italiana, si può facilmente tracciare un parallelo tra l'attuale situazione economico-politica del Paese con quella che caratterizzava gli anni della c.d. Tangentopoli. Delineato il quadro oggettivo, occorre precisare in quale rapporto stiano i fattori della crisi economica e degli scandali politici. I comunisti non possono commettere un errore così madornale come sarebbe quello di ritenere i due fattori in un rapporto di equiordinazione. Nulla sarebbe più sbagliato e fuorviante. In realtà, ad un'analisi più approfondita dei fatti, corrispondono delle conclusioni radicalmente alternative; la colossale crisi economica che sta attanagliando il capitalismo è la causa scatenante che ha come effetto l'emersione di questi scandali. Non bisogna mai dimenticare che, all'interno di quest'ordine economico-sociale, la poltica è semplicemente uno strumento al servizio della borghesia nazionale ed internazionale. Politica ed economia non si pongono affatto sul medesimo livello; ma sono l'una alle dipendenze dell'altra.
Nell'attualità del quadro politico italiano, a calcare la scena indossando le vesti di attore protagonista, è la maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi. Un altro tassello fondamentale per articolare l'analisi appena abbozzata è il riferimento allo scontro, tutto interno ai poteri forti del Paese, tra chi vuole la testa di Berlusconi e chi ritiene conveniente continuare con questa maggioranza. A questa contrapposizione, che vede il predominio della prima fazione, corrisponde, come sottoprodotto, la rottura tra finiani e centrodestra, con i primi pronti ad appoggiare un governo di "unità nazionale" composto da Udc, Rutelli (Alleanza per l'Italia), Pd, Idv e fors'anche Sinistra e Libertà di Vendola. Non potrebbero interpretarsi altrimenti i continui affondi nei confronti della maggioranza di centrodestra da parte dei giornali vicini a pezzi importanti dei poteri forti italiani (vedi La Stampa). Ultimo, ma solo in ordine di tempo, l'attacco frontale sferrato da Famiglia Cristiana (uno dei più importanti megafoni del Vaticano) a Berlusconi e al berlusconismo.
La crisi capitalistica mette in pericolo l'intero sistema; il quale ha due modi per poter trarre in salvo la struttura economico-sociale esistente: imbonire le masse, facendo loro credere che far saltare qualche testa (vedi Scajola, Brancher, Balducci, ecc.) possa servire a cambiare le cose (c.d. questione morale!); oppure, in seconda ed eventuale battuta, attuare un'ondata di azioni repressive qualora le masse non dovessero credere alle falsità propinate dalle istituzioni dello Stato borghese. Dunque, o una specie di "rivoluzione di velluto" oppure repressione su vasta scala. È del tutto evidente come, dal punto di vista della borghesia italiana, sia meno dispendioso e perciò più profittevole sbarazzarsi di qualche servo sciocco colto con le mani nella marmellata, piuttosto che inasprire le già esistenti e vive tensioni sociali con politiche repressive.
In una tale situazione, Berlusconi e la sua maggioranza, in un primo momento accettati seppur non scelti dalla grande borghesia confindustriale e vaticana, sembrano non essere più funzionali a governare la crisi in cui il capitalismo italiano è andato sprofondando.
Nell'attualità del quadro politico italiano, a calcare la scena indossando le vesti di attore protagonista, è la maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi. Un altro tassello fondamentale per articolare l'analisi appena abbozzata è il riferimento allo scontro, tutto interno ai poteri forti del Paese, tra chi vuole la testa di Berlusconi e chi ritiene conveniente continuare con questa maggioranza. A questa contrapposizione, che vede il predominio della prima fazione, corrisponde, come sottoprodotto, la rottura tra finiani e centrodestra, con i primi pronti ad appoggiare un governo di "unità nazionale" composto da Udc, Rutelli (Alleanza per l'Italia), Pd, Idv e fors'anche Sinistra e Libertà di Vendola. Non potrebbero interpretarsi altrimenti i continui affondi nei confronti della maggioranza di centrodestra da parte dei giornali vicini a pezzi importanti dei poteri forti italiani (vedi La Stampa). Ultimo, ma solo in ordine di tempo, l'attacco frontale sferrato da Famiglia Cristiana (uno dei più importanti megafoni del Vaticano) a Berlusconi e al berlusconismo.
La crisi capitalistica mette in pericolo l'intero sistema; il quale ha due modi per poter trarre in salvo la struttura economico-sociale esistente: imbonire le masse, facendo loro credere che far saltare qualche testa (vedi Scajola, Brancher, Balducci, ecc.) possa servire a cambiare le cose (c.d. questione morale!); oppure, in seconda ed eventuale battuta, attuare un'ondata di azioni repressive qualora le masse non dovessero credere alle falsità propinate dalle istituzioni dello Stato borghese. Dunque, o una specie di "rivoluzione di velluto" oppure repressione su vasta scala. È del tutto evidente come, dal punto di vista della borghesia italiana, sia meno dispendioso e perciò più profittevole sbarazzarsi di qualche servo sciocco colto con le mani nella marmellata, piuttosto che inasprire le già esistenti e vive tensioni sociali con politiche repressive.
In una tale situazione, Berlusconi e la sua maggioranza, in un primo momento accettati seppur non scelti dalla grande borghesia confindustriale e vaticana, sembrano non essere più funzionali a governare la crisi in cui il capitalismo italiano è andato sprofondando.
Gli scandali e la loro contestualizzazioneAssodato quanto detto, non resta che dimostrare quanto è stato solamente abbozzato. Chi fa del materialismo dialettico la modalità attraverso la quale interpretare la realtà, non può pensare che un susseguirsi così frenetico e continuativo di scandali possa essere frutto di una semplice coincidenza. Susseguirsi di scandali, nella storia del capitalismo italiano, ve ne sono sempre stati. Ciò che caratterizza questa fase politica è la devastante crisi economica. Non è un caso se le peggiori trame "occulte" dei servi del Capitale vengano a conoscenza delle masse durante momenti in cui l'intero sistema sembra vacillare. Così fu negli anni Settanta con la cosiddetta P2; così fu negli anni di Tangentopoli; e lo stesso accade anche oggi. In tutti e tre gli episodi citati, il sistema economico-politico attraversa una profonda crisi. Sono cicli che vanno di pari passo con i collassi strutturali del sistema economico. Restando ai riferimenti storici tutti nostrani, occorre sottolineare il ruolo salvifico, per la borghesia, giocato dai rappresentanti dello stalinismo italiano. Negli anni Settanta, infatti, il Pci di Berlinguer pianificava la tattica del "compromesso storico" per illudere le masse che il capitalismo, se governato anche dai "comunisti", potesse offrire migliori condizioni di esistenza al proletariato italiano. Negli anni di Tangentopoli, fu il Pci-Pds, nei fatti, a preparare il terreno per la costituzione della c.d "seconda repubblica", illudendo ancora una volta le masse che l'inchiesta giudiziaria e la sostituzione dell'apparato politico avrebbe realmente modificato qualcosa all'interno della società. Oggi sono quei delfini dello stalinismo che compongono le fila del Pd a prendere sulle proprie spalle la responsabilità di guidare un governo di transizione che liquidi Berlusconi e riscriva la legge elettorale. Questa è, in brevissima sintesi, la visione plastica dei danni incalcolabili provocati dallo stalinismo italiano.
La necessità di un'alternativa radicaleÈ dunque assolutamente evidente la malafede di chi, anche nelle file della sinistra, proponga accordi programmatici o di desistenza col Pd in prospettiva elettorale. Il riferimento è palesemente rivolto alle ultime dichiarazioni dei massimi esponente del Prc, i quali hanno nuovamente rivendicato la necessità di un'alleanza (c'è da discutere solo sulla forma) coi rappresentanti più autorevoli della grande borghesia italiana, vale a dire il Pd.
Come non ci stancheremo mai di ribadire, la corruzione, il malaffare altro non sono che sottoprodotti delle caratteristiche strutturali di un sistema economico e sociale incentrato sul profitto e sullo sfruttamento da parte di un'esigua minoranza nei confronti della stragrande maggioranza. Il discrimine fondamentale tra la brodaglia riformista (dirigenti di Sel e Prc) e i rivoluzionari sta nel concepire la lotta contro la corruzione ed il malaffare come un tassello della contrapposizione all'intero sistema capitalistico. Un tassello certamente importante, ma non sufficiente per poter effettivamente mettere in discussione lo stato di cose presenti. A ciò occorre aggiungere la necessità di costruire un movimento di massa, radicale ed unitario, di tutto il mondo del lavoro italiano. Un movimento che abbia la maturità di comprendere quanto iniquo sia l'attuale sistema economico-sociale e, soprattutto, la centralità della dicotomia capitale-lavoro quale stella polare di questa contrapposizione. Solo un movimento che assuma questa consapevolezza potrà effettivamente creare le condizioni per poter parlare di questo marciume come uno squallido ricordo del passato.
Come non ci stancheremo mai di ribadire, la corruzione, il malaffare altro non sono che sottoprodotti delle caratteristiche strutturali di un sistema economico e sociale incentrato sul profitto e sullo sfruttamento da parte di un'esigua minoranza nei confronti della stragrande maggioranza. Il discrimine fondamentale tra la brodaglia riformista (dirigenti di Sel e Prc) e i rivoluzionari sta nel concepire la lotta contro la corruzione ed il malaffare come un tassello della contrapposizione all'intero sistema capitalistico. Un tassello certamente importante, ma non sufficiente per poter effettivamente mettere in discussione lo stato di cose presenti. A ciò occorre aggiungere la necessità di costruire un movimento di massa, radicale ed unitario, di tutto il mondo del lavoro italiano. Un movimento che abbia la maturità di comprendere quanto iniquo sia l'attuale sistema economico-sociale e, soprattutto, la centralità della dicotomia capitale-lavoro quale stella polare di questa contrapposizione. Solo un movimento che assuma questa consapevolezza potrà effettivamente creare le condizioni per poter parlare di questo marciume come uno squallido ricordo del passato.
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