giovedì 23 dicembre 2010

E’ LA LOTTA DI CLASSE, BELLEZZA

di Fabiana Stefanoni


“I Paesi capitalisti vanno incontro a grandi rivolgimenti e all’aperta guerra di classe.
Il compito dei rivoluzionari consiste nel preparare le necessarie armi teoriche
e gli strumenti organizzativi per questa inevitabile guerra che si avvicina”
Lev Trotsky
Mentre scriviamo si conclude un’altra giornata di lotta che ha visto protagonisti centinaia di migliaia di studenti. Dopo le oceaniche manifestazioni del 14 dicembre, gli studenti sono scesi di nuovo in piazza per il ritiro del Ddl Gelmini, che sancisce la morte di quel poco che ancora resta dell’Università pubblica. Soprattutto, i giovani non si sono lasciati intimidire dalle cariche della polizia, dagli arresti, né dalle minacce di quei ministri che, dopo essere stati ben addestrati in gioventù all’uso del manganello e al saluto romano, oggi gridano allo scandalo e invocano persino gli “arresti preventivi” per i manifestanti. Il Ddl Gelmini è stato approvato, ma le lotte di questi mesi hanno lasciato un segno che gli starnazzi dei ministri ex picchiatori fascisti non potranno cancellare: si tratta di trarne i giusti insegnamenti per prepararsi alla stagione di lotte operaie che, anche nel nostro Paese come nel resto d'Europa, può aprirsi nei prossimi mesi, saldandosi alla lotta studentesca. Una lotta studentesca che dovrà ora continuare per far rimangiare al governo le misure appena approvate.
Una generazione senza futuro nel capitalismo 
Le centinaia di migliaia di giovani e giovanissimi che sono scesi in piazza non sono solo studenti: si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di figli di lavoratori che in questo sistema economico non vedono un futuro. La giovane generazione che ha dato vita alle barricate per le strade di Roma, ai blocchi stradali, alle occupazioni delle scuole e delle università, all’assalto ai palazzi è la stessa generazione che subisce l’attacco padronale nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Sono milioni i giovani lavoratori, spesso assunti con contratti ultraprecari, che stanno subendo l’espulsione dal mondo del lavoro. Le prime vittime dei licenziamenti di massa in corso nel nostro Paese sono proprio i giovani precari, soprattutto donne e immigrati: milioni di lavoratori che nel capitalismo devono rassegnarsi a un futuro di miseria. E’ per questo che le straordinarie lotte studentesche di questi mesi anticipano le lotte che verranno: il sistema degli ammortizzatori sociali sta per esaurirsi, il capitalismo sta per togliersi la maschera. Ministri, sottosegretari, padroni e padroncini lo sanno bene: quello che è successo per le strade di Roma è solo l’antipasto, gli antagonismi di classe sono destinati a inasprirsi nei prossimi mesi. Le burocrazie sindacali gettano acqua sull’incendio della lotta: Cisl, Uil e Ugl, veri agenti del governo Berlusconi tra le file dei lavoratori, si inchinano di fronte al peggiore attacco padronale dal dopoguerra ad oggi; la direzione della Cgil, per voce della neosegretaria Camusso, continua a procrastinare l’indizione di uno sciopero generale, nonostante venga chiesto a gran voce non solo dagli studenti, ma anche dalle avanguardie operaie più combattive. Le responsabilità di queste direzioni è immensa: stanno indebolendo la lotta, cercando di costringere la classe operaia e i giovani a una sconfitta storica senza precedenti, come dimostra il caso Fiat. Oggi più che mai è urgente una direzione alternativa e di classe del movimento operaio.
La via non è quella istituzionale
Non c'è da stupirsi che il parlamento (dei padroni) sia stato impermeabile alla grande mobilitazione studentesca contro il Ddl Gelmini: si tratta di una legge fortemente voluta da Confindustria e dalla grande borghesia italiana, che vede nella privatizzazione dell’Università una ghiotta occasione di investimento. Non solo i finiani l’hanno appoggiata pienamente, ma anche lo stesso Pd, per voce dell’ex ministro Treu, in commissione cultura si è più volte sperticato in apprezzamenti per “la sostanza” della legge. Del resto, le stesse rivendicazioni del movimento, centrate sulla richiesta dello sciopero generale, mostrano che vi è tra le avanguardie studentesche la consapevolezza della necessità di un’azione di lotta più estesa, che coinvolga anche i lavoratori, che si sviluppi fuori e contro i palazzi del potere borghese.
In generale, la mobilitazione ha fin da subito mostrato una maggiore maturità politica rispetto all’Onda di due anni fa: dopo aver sperimentato sulla propria pelle l’inganno delle promesse della sinistra governista (che garantiva “modifiche” in sede parlamentare in cambio di un acquietamento delle acque), i giovani hanno capito che la sola strada percorribile è quella della contrapposizione frontale agli industriali, ai banchieri e ai loro rappresentanti istituzionali. I luoghi attaccati dalla protesta studentesca hanno un’importanza non solo  simbolica: l’assalto al Senato e l’assedio al Parlamento, le proteste davanti alle sedi di Confindustria, le contestazioni alla Marcegaglia (ma anche ai burocrati sindacali, come è successo a Roma contro Bonanni e la Camusso) ci dicono che gli slogan degli studenti che gridano “noi la vostra crisi non la paghiamo” hanno alla base la consapevolezza, per quanto embrionale, che questa crisi è la crisi del sistema dei padroni.
I pompieri della lotta si apprestano a far risorgere dalle ceneri nuove illusioni: come quella di un referendum o, peggio, di appelli al presidente Napolitano. L’esperienza ha insegnato con chiarezza che la via istituzionale è una via perdente per i movimenti di lotta: le istituzioni rappresentano precisi interessi di classe, quelli della classe contro cui i giovani e i lavoratori devono lottare, la classe padronale. E’ importante quindi che il movimento studentesco rigetti queste proposte e prosegua sul terreno della mobilitazione.
Il teatrino su violenza e non violenza
Ci sembra ridicolo che qualche intellettuale da salotto gridi allo scandalo della violenza del movimento per qualche blindato che brucia o per qualche vetrina sfasciata. E ci pare quasi ridondante ricordare che la vera violenza sta da un’altra parte: è quella del capitale che dopo aver spremuto fino al midollo milioni di operai li lascia su una strada per trasferire la produzione dove la forza lavoro costa meno; è quella dell’imperialismo che sgancia bombe su popoli inermi; è quella dei poliziotti e degli eserciti (“le bande armate del capitale”, le definiva efficacemente Engels) che massacrano giovani manifestanti; è quella delle leggi razziste che fomentano l’intolleranza verso i lavoratori immigrati.
I comunisti rivoluzionari non hanno il culto della violenza in sé: non credono che lanciare una molotov o un sasso contro una vetrina sia una "fonte di piacere" o uno "sfogo della libido", come per alcuni nostalgici del Toni Negri di qualche decennio fa (il Toni Negri odierno preferisce i salotti della borghesia). I comunisti rivoluzionari sanno però che la violenza ha sempre avuto una funzione rivoluzionaria nella storia: le classi dominanti non hanno mai ceduto il potere in modo indolore. E' ingenuo pensare di "espropriare gli espropriatori" con il loro consenso, senza rovesciare il loro sistema economico e la loro falsa democrazia. E senza rovesciamento del capitalismo non sarà possibile dare una risposta alle rivendicazioni dei giovani e dei lavoratori che chiedono quello che il capitalismo non è in grado di offrire: condizioni di vita dignitose per le masse.
Ma le lotte, se prive di una direzione, di una organizzazione, non hanno mai portato e non possono portare a nulla. Per questo, è necessario anzitutto organizzare già oggi l’autodifesa delle manifestazioni e degli scioperi dalla violenza delle forze dell’ordine borghese (violenza che è destinata a inasprirsi con l’inasprirsi del conflitto sociale). Per questo è necessario che le mobilitazioni studentesche si dotino di coordinamenti locali che, sulla base dell’elezioni di delegati revocabili, portino alla costruzione di un coordinamento nazionale delle lotte. Soprattutto, è necessaria l’unità di lotta tra lavoratori e studenti: è urgente l’indizione di un grande sciopero generale, infrangendo la barriera che frappongono le burocrazie sindacali. Serve uno sciopero che possa legarsi alle lotte degli altri Paesi, fino a dare vita a uno sciopero generale europeo accompagnato dall’occupazione delle fabbriche e dalla costruzione di organismi di direzione delle lotte, democraticamente scelti dai lavoratori.
Solo così sarà possibile respingere al mittente l’attacco in corso e rovesciare i rapporti di forza a vantaggio delle masse popolari, aprendo la strada all'unica alternativa vera, quella rivoluzionaria.

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