Alcuni giorni fa, a circa un miglio dalla costa di Perdasdefogu, alcuni pescatori si sono imbattuti in un missile di oltre tre metri e mezzo di lunghezza: l’hanno tirato su con le reti, convinti fosse un grosso carico di pesce.
È l’ultimo di una lunga serie di episodi che hanno portato alla ribalta il Poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra, a Perdasdefogu, centro dell’Aeronautica Militare in attività dal 1956 e legato soprattutto alla sperimentazione aerospaziale, poligono che negli ultimi tempi ha risollevato la questione dell’utilizzo militare dell’uranio impoverito e delle imprevedibili conseguenze che coinvolgono ambiente ed esseri umani.
L’uranio impoverito, o depleted uranium o U238, è il prodotto di scarto del processo di arricchimento dell’uranio. Normalmente presente in natura, usato nelle centrali e negli ordigni nucleari, è una materia molto conveniente sia per le sue caratteristiche – elevata densità, duttilità, piroforicità – che per la sua reperibilità: essendo il prodotto di scarto delle 442 centrali nucleari distribuite per il globo, sono enormi le quantità didepleted uranium disponibili.
La storia dell’uranio impoverito è iniziata nel 1943, quando un rapporto, ormai declassificato, del Pentagono diede il via alla sperimentazione in campo militare. Dopo trentacinque anni, nel 1978, iniziò la produzione di proiettili all’uranio impoverito. Il primo “incidente” è avvenuto nel 1980, quando la statunitense National Lead Industries Inc. – produttrice di proiettili all’U238 – superò il limite di emissioni radioattive consentite e fu costretta a chiudere. All’inizio degli anni Novanta la Science Applications International Corporation, compagnia vicina al Dipartimento della difesa Usa, diffuse un rapporto in cui erano descritti i rischi radiologici dell’inalazione di polvere di uranio impoverito.
In piena guerra del Golfo centinaia di tonnellate di depleted uranium finiscono in Iraq, in Arabia Saudita e in Kuwait; quasi contemporaneamente diversi A-10 sorvolano la Bosnia e fanno piovere centinaia di proiettili all’uranio impoverito; nel 1998 quattrocento missili Tomahawk all’uranio impoverito colpiscono l’Iraq; più di dieci anni, e molte battaglie dopo, è il turno di Kosovo e Jugoslavia, sebbene la conferma dell’impiego dell’U238 in quelle zone arrivi solo nel 2000 grazie all’interessamento del Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.
E poi il poligono di Quirra, in Sardegna, dove negli ultimi anni si è verificato un incremento di tumori e linfomi pari al 28% negli uomini e 12% nelle donne, dove la Procura della Repubblica ha disposto indagini che riescano a confermare o smentire un nesso tra le attività balistiche dell’area e l’incremento di morti e malattie tumorali.
La correlazione tra uso di uranio impoverito e incremento del tasso di tumori sembra ormai accertato, soprattutto una volta giunti a conoscenza del comportamento delle particelle di uranio inalate o ingerite, ma non è questo il punto oscuro della vicenda.
In Italia i due fatti sotto esame sono proprio le azioni in Kosovo e le attività di Quirra.
Inutile entrare nei dettagli delle vicende, ormai sviscerate dalla stampa e mostrate spesso o attraverso la lente dell’antimilitarismo estremo o del sentimentalismo privo di pudore.
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