martedì 5 aprile 2011

Il risveglio del gigante

di Gianmarco Satta Coordinatore PCL sezione provinciale di Sassari


La crisi catastrofica del capitalismo non ha avuto come risultato solo la rivoluzione araba in corso. Alcune settimane fa si è verificato negli Stati Uniti un fatto di grande importanza; probabilmente un punto di svolta storico: i primi, fragorosi, segni di risveglio della classe operaia nordamericana. Tale è la portata e l’intensità degli avvenimenti da far subito parlare al noto intellettuale di sinistra americano Noam Chomsky del probabile preludio – con il pensiero, probabilmente, a ciò che accadeva contemporaneamente nel Maghreb - di una rivolta anche negli Stati Uniti. Come sottolinea il compagno Martín López, del Partido Obrero, in suo recente articolo , di cui non possiamo far a meno di riprendere il titolo, quello a cui assistiamo è “il risveglio di un gigante”. 
Il Wisconsin è uno degli stati costituenti la cosiddetta Rust Belt americana. La “cintura arrugginita”- in italiano - è un area che va, grosso modo, dalla costa nord-orientale degli Stati Uniti abbracciando tutta una fascia degli stati più al nord della nazione fino al centro. Essa è il cuore industriale e manifatturiero degli Stati Uniti, e quindi la culla storica della classe operaia nordamericana. È anche, come indica il nome, un’area che ha vissuto un processo di profonda decadenza economica a partire dagli anni ’70 del ‘900. Quella decadenza che ha spinto i nuovi guru del post-modernismo, a cavallo tra XX e XXI secolo, a blaterare di new economy e fine della civiltà industriale, o ancora di fine del lavoro o di lavoro immateriale, e in definitiva a dichiarare morta la lotta di classe e parlare di scomparsa stessa del proletariato. Questi guru, prendendo, come si direbbe in sardo, “busciccas pro lampiones” , interpretavano come l’inizio di una epoca nuova ed inedita del capitalismo, se non addirittura della storia umana, quello che invece era, ed è, la manifestazione dell’ultimo stadio della decadenza storica irreversibile di questo sistema economico e sociale. Un esempio di ciò sono gli attacchi alla scuola pubblica americana oggi. In molti stati USA, per esigenze di bilancio, si è già provveduto al taglio di un giorno della settimana scolastica! In questo modo si pensa di ridurre le spese per scuolabus, insegnanti e personale. In Wisconsin si discutono misure analoghe, e intanto il governatore Walker ha appena annunciato una taglio del 5.5% all’istruzione pubblica - circa 465 milioni di dollari tra il 2011-2012. Anche gli attacchi alla cultura non sono quindi un’anomalia italiana. Il capitalismo sta minando le basi della civiltà ovunque. 
Esattamente il Wisconsin è, oggi, l’avanguardia di una lotta della classe salariata americana che si sta estendendo agli altri stati della “cintura” e rischia di dilagare nel resto degli Stati Uniti. Il 14 febbraio un’inaspettata marcia di protesta di 1200 studenti universitari e specializzandi del Wisconsin ha coinvolto subito, nelle ore e nei giorni successivi, migliaia di persone fino ad arrivare a circa 40 mila lavoratori, insegnanti e studenti, tra cui i pompieri ed anche personale delle forze di polizia dello stato, che hanno marciato a Madison capitale dello stato al grido di “kill the bill”, occupando l’interno del Campidoglio, sede del parlamento del Wisconsin, e l’area circostante. Il motivo di tale protesta è il progetto di legge (bill, in inglese) con cui il governatore dello stato, il repubblicano Scott Walker e la maggioranza, anch’essa repubblicana, del parlamento del Wisconsin, si accingevano ad imporre drastici tagli al bilancio pubblico statale, con il pretesto del risanamento del deficit dello stato, l’aumento dei contributi per pensioni e assistenza sanitaria, e ad abolire il diritto di contrattazione collettiva nel pubblico impiego. L’attacco ai diritti sindacali e la cancellazione della contrattazione collettiva sono indicativi della tendenza al sovversivismo che anima la borghesia, costretta com’è, ad imporre sacrifici draconiani alla classe salariata e soffocare ogni resistenza, dal suo tentativo di fronteggiare la crisi. Se i democratici americani lavorano per imporre maggiori sacrifici salariali, far fallire le lotte e contenere le resistenze dei lavoratori, i repubblicani sono la prima linea dell’assalto ai diritti sindacali. L’imponenza della mobilitazione a Madison, e la decisione mostrata dai manifestanti, hanno inizialmente costretto l’opposizione democratica in parlamento a ricorrere all’ostruzionismo per bloccare l’iter della legge. Infatti, boicottando con la loro assenza l’aula senatoriale hanno privato la maggioranza del quorum necessario alla validità delle sedute di voto. Per fare ciò i deputati democratici dell’opposizione sono stati costretti ad abbandonare lo stato e rifugiarsi nel confinante stato dell’Illinois per sfuggire al “call in house” lanciato dal governo. Infatti nella “più grande democrazia del mondo”, come vengono spesso definiti, anche dai nostri apologeti, gli Stati Uniti, la legge prevede che qualora i deputati rifiutino di partecipare alle sedute parlamentari locali, privandole del numero legale, il governatore può costringerli, attraverso l’invio della polizia, a presenziare. 
Di fronte alle resistenze del governatore repubblicano dello stato, Scott Walker, che è arrivato a minacciare l’intervento della guardia nazionale per disperdere i manifestanti, la mobilitazione non si è mai arrestata. Nonostante le proteste, la legge è però stata prima approvata dalla Camera il 25 febbraio scorso, dove i repubblicani vantano una maggioranza schiacciante. Il giorno successivo dalle 70 alle 100 mila persone hanno manifestato a Madison. In questa occasione circa 800 persone hanno mantenuto l’occupazione interna del campidoglio sfidando le minacce di arresto delle autorità e gli inviti a smobilitare della burocrazia sindacale dell’AFL-CIO. Alla fine anche il Senato è riuscito, con un escamotage, ad approvare mercoledì 9 marzo una legge che priva i lavoratori statali del diritto alla contrattazione collettiva e li costringe a versare di più per l’assicurazione sanitaria e la pensione. Alla fine il Governatore Walker ha firmato la legge l’11 marzo scorso. La mobilitazione non si è però arrestata ed è andata estendendosi coinvolgendo, lavoratori del settore privato, anche le altre classi non borghesi della società, e generando simpatie e sostegno anche da parte dei lavoratori degli stati circostanti ugualmente colpiti, o a rischio di subire misure analoghe a quelle che Walker sta imponendo al Wisconsin. Il giorno successivo, sabato 13 marzo, infatti : “…oltre 100.000 lavoratori, giovani e altri contestatori hanno marciato nella capitale dello stato Madison nella più grande in un mese di mobilitazioni.” “… i lavoratori sono confluiti nella capitale dagli stati circostanti. Molti hanno percorso centinaia di miglia dall’Illinois, Nebraska, Iowa, Michigan e altri stati. Decine di migliaia di insegnati, pompieri, infermiere e altri dipendenti pubblici cui si sono aggiunti lavoratori, dei sindacati e non, edili, siderurgici, dell’auto e di altri settori dell’industria privata. La resistenza della classe lavoratrice ha il sostegno popolare di dottori, professori, avvocati e piccoli uomini d’affari, compresi ristoranti e negozi, di tutta Madison, che esponevano cartelli denuncianti le misure di Walker.   “… molti cartelli della manifestazione riflettevano la crescente consapevolezza che i lavoratori sono impegnati in una lotta di classe con l’elite aziendale e finanziaria. La portata storica della rivolta del Wisconsin risiede nel fatto che, dopo le sconfitte pesanti subite dalla classe operaia negli anni passati si assiste oggi, sotto le sferzate della crisi, ad una ripresa della lotta di classe negli Stati Uniti, centro del capitalismo mondiale ed epicentro della crisi in corso. Per i rivoluzionari ed il movimento operaio mondiale, oltre ad avere delle evidenti ripercussioni sulla lotta di classe internazionale, si tratta di una conferma, e anche di un potente esempio da agitare instancabilmente tra le masse dei paesi capitalisti avanzati. Questi eventi, al di fuori degli Stati Uniti, hanno, non a caso, trovato, poco spazio nelle cronache della stampa e dei media occidentali – significativa la totale assenza dalla cronaca dei telegiornali. Sarà un caso, o non è forse indicativo del timore gelido da cui è pervasa la borghesia, già turbata dagli eventi che scuotono il mondo arabo, all’idea dell’effetto che potrebbe avere la diffusione di un tale esempio tra le masse e la classe operaia occidentale? Già queste ultime hanno dato i primi segni di turbolenza con la rivolta greca del 2010, le grandi proteste studentesche in Inghilterra nel novembre del 2010, con l’assalto di migliaia di giovani alla sede tory a Londra, e i grandi scioperi in Francia, Spagna e Irlanda, tanto da spingere lo stesso presidente della commissione europea Barroso ad agitare la minaccia, di fronte al presidente della Confederazione Europea dei Sindacati CES – TUC, John Monks, di un rischio per la sopravvivenza della democrazia “così come è stata finora conosciuta in Europa” . 
La borghesia, infatti, può sempre riesumare, nei confronti della rivoluzione araba, i luoghi comuni, i pregiudizi e gli spettri creati dall’ideologia reazionaria dell’orientalismo, per presentare agli occhi dei lavoratori e della classe operaia occidentale, la rivolta delle masse arabe ed asiatiche come una “rivoluzione democratica” contro l’autoritarismo dovuto ai residui semifeudali e “all’arretratezza orientale” “tipica” di alcuni dei paesi cosiddetti emergenti. Essa è, però, completamente disarmata e priva di giustificazioni ideologiche nei confronti delle rivolte che esplodono nello stesso occidente “avanzato”. Tuttavia gli eventi del Wisconsin stanno lì, anche a confermare la debolezza delle mistificazioni della borghesia. Infatti, l’esempio della rivoluzione egiziana e l’occupazione di piazza Tahrir sono ben presenti nelle parole, negli slogan e nello spirito stesso dei lavoratori e degli studenti che animano la rivolta a Madison e in altre città degli USA. Forse non sarebbe sbagliato dire che proprio la rivoluzione araba deve aver avuto una parte nell’ispirarla: C’erano un sacco di cartelli che paragonavano Walker a Mubarak. I lavoratori si stanno identificando ciascuno con le lotte degli altri.” Infatti non sono mancate nemmeno lettere di solidarietà provenienti da piazza Tahrir e rivolte ai lavoratori e agli studenti che occupavano il campidoglio a Madison. L’internazionalismo proletario delle masse emerge istintivamente in queste lotte. 
In realtà sia la rivoluzione araba che la rivolta negli Usa sono figlie della stessa epoca e delle stesse contraddizioni sociali: l’epoca e le contraddizioni catastrofiche, appunto, del capitalismo giunto nella sua fase di totale decadenza al capolinea storico.

15.000 Lavoratori del Winscounsin vogliono cacciare il governatore Walker




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