giovedì 21 luglio 2011

A VOI IL TITANIC, A NOI L'INCROCIATORE AURORA

di Alberto Madoglio   Lega internazionale dei lavoratori (LIT)


In questi giorni, in queste ore, sembra che la speculazione finanziaria internazionale abbia deciso di farla finita con gli scherzi e si sia decisa a puntare il bersaglio grosso.
Dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, oggi tocca all’Italia subire gli attacchi dei vari fondi pensione, assicurativi, speculativi (conosciuti anche come fondi “locusta”) e vedere il proprio sistema finanziario traballare nel suo insieme.
Come in ogni guerra, il casus belli è stato un atto di per sé non molto significativo: un’intervista, rilasciata al quotidiano la Repubblica venerdì 8 luglio dal premier Berlusconi, ha dato il via a una giornata che è passata alle cronache col nome, in verità poco originale, di “venerdì nero”.
Per molte ore, almeno fino al lunedì successivo, gli analisti economici, i politici e tutti i commentatori borghesi hanno temuto il peggio: il rischio di un default del Paese con la conseguente uscita dell’Italia dalla zona dell’euro. Una riedizione, moltiplicata per cento, di quanto accadde nel 1992, quando la speculazione costrinse la lira ad una pesante svalutazione e la conseguente uscita della moneta nazionale dallo Sme, antesignano della moneta comune europea.



La crisi italiana: speculazione passeggera? No, debolezze strutturali
In poche ore si sono palesate tutte le difficoltà dell’economia nazionale e, inoltre, si è visto che i presunti punti di forza del “sistema Paese”, tanto solidi non sono.
Per mesi si è detto, ad esempio, che le banche italiane, in possesso di ingenti somme del debito pubblico nazionale, erano meno soggette ai colpi della speculazione: ma quando a entrare in fibrillazione sono stati Bot e Btp, anche i campioni nazionali del risparmio, come Unicredit e Banca Intesa, hanno visto precipitare il loro valore di borsa.
Si è ripetuto che la "grande propensione al risparmio" degli Italiani era una garanzia di tenuta per il sistema economico nel suo complesso, salvo scoprire che la maggior parte di queste risorse sono investite prevalentemente nella rendita (immobili, titoli pubblici, obbligazioni) e molto poco, o non in maniera sufficiente, nel capitale di rischio (azioni). Ne consegue che le imprese nazionali sono “sotto-capitalizzate” rispetto ai loro concorrenti internazionali e quindi in un periodo di crisi sono meno in grado sia di difendersi che di competere sul mercato mondiale, col risultato di vedere aumentati in maniera esponenziale fallimenti, chiusure e ristrutturazioni aziendali, licenziamenti.


Il parlamento borghese accorre in difesa della "Patria in pericolo"
Come due decenni fa, sono immediatamente scattati gli appelli alla "unità nazionale", all’abbandonare gli “interessi di parte” (sic) per salvaguardare i cosiddetti "interessi generali della Nazione".
Questa fetida campagna patriottarda sta raggiungendo vette che non si vedevano da tempo, ma che non sono nuove.
Nel 1915 si è assistito ad una propaganda simile, quando l’Italia decise di entrare nel primo conflitto mondiale per partecipare alla nuova spartizione del mondo. Anche allora si diceva che i sacrifici immediati (vita di trincea, morte e disperazione, riduzione dei diritti e dei salari per chi non era al fronte) sarebbero stati ripagati alla fine del conflitto con l’inizio di una nuova era di prosperità e di ricchezza per tutti. Si è visto come è andata a finire.
Oggi si assiste allo stesso copione, allo stesso imbroglio. Una manovra finanziaria da 70 miliardi viene approvata in 48 ore, con plauso di tutti i partiti sia di governo che di opposizione, della Confindustria, del Vaticano.
Vengono, per l’ennesima volta, colpiti i settori più deboli della società, lavoratori, studenti, donne, disoccupati, coloro i quali, già in passato, hanno dovuto pagare il conto della crisi; vengono introdotti i ticket sulle prestazioni sanitarie, tagliate le riduzioni e le detrazioni fiscali, aumentando così le tasse a chi già le paga in abbondanza; aumenta l’età per andare in pensione; milioni di dipendenti pubblici avranno il salario bloccato fino al 2014; centinaia di migliaia di precari della scuola verranno licenziati; col taglio di oltre dieci miliardi agli enti locali si avrà un aumento delle tariffe su molti servizi pubblici (trasporti, asili, assistenza sociale) e un peggioramento della qualità (già scarsa) delle prestazioni fornite.
Col suo “atteggiamento responsabile” l’opposizione liberale del Pd, acquista ancora una volta titoli di merito davanti alle grandi famiglie capitaliste nazionali e non solo, candidandosi a governare il Paese nel loro interesse quando cadrà il governo Berlusconi (nel 2013 o prima)


Sindacati: tra burocrazie gialle e direzioni inadeguate
Particolarmente ripugnante è l’atteggiamento pusillanime delle direzioni sindacali e dei partiti della, sempre più fantomatica, sinistra radicale. Davanti a una manovra che impone misure pesantissime, invece di fare appello alla mobilitazione, proclamando lo sciopero generale ad oltranza fino al ritiro delle misure di austerità e alla cacciata del governo, si limitano a battere i piedi, a fare appelli a modifiche secondarie, "auspicare" la fine dei sacrifici. Il gruppo dirigente della Camusso appare sempre più  come la quinta colonna di governo e borghesia tra i lavoratori.
Non diverso appare al momento l’atteggiamento del sindacalismo di base (a partire da Usb) quasi spaventato dall’opportunità che gli si presenta: quella cioè di riuscire finalmente a rompere l’egemonia della Cgil nel mondo del lavoro. Certo che per farlo bisognerebbe che avanzasse un programma realmente alternativo, non solo a parole ma anche nei fatti, a quello del sindacato della Camusso. Un programma su cui costruire una grande mobilitazione unitaria, al di fuori di piccole logiche settarie di conservazione di una micro-burocrazia, qualcosa di ben diverso dagli sciopericchi rituali.
Una cura che non guarirà il malato
L’amara medicina della Finanziaria difficilmente avrà l’effetto di guarire il malato. Forse i conti pubblici saranno messi in ordine, ma fino a quando?
L’enorme debito pubblico continuerà a crescere. Anzi, gli effetti recessivi della manovra, deprimendo ulteriormente il potere di acquisto di salari e pensioni, avranno come risultato quello di ridurre la già asfittica crescita economica, rendendo impossibile una riduzione dello stock del debito pubblico. Anche la politica della Bce, che da mesi ha deciso di aumentare il costo del denaro, renderà sempre più oneroso per lo Stato ottenere prestiti sul mercato finanziario.
La struttura del capitalismo italiano (enorme percentuale di imprese piccole o piccolissime e conseguente livello della produttività inferiore rispetto ai concorrenti esteri) farà sì che le imprese tricolori saranno sempre più in difficoltà nel competere sul mercato mondiale, con ulteriori conseguenze negative sulle prospettive di crescita economica. Ci vorrà altro che l’abolizione degli ordini professionali o una maggiore flessibilità del mondo del lavoro (che, detto di passata, con le molteplici forme di lavoro precario, atipico, ecc, rendo oggi sempre più facile per il Capitale liberarsi di quella manodopera che ritiene in eccesso, senza dover sostenere oneri aggiuntivi, ad esempio Tfr), per consentire alle imprese italiane di crescere a ritmi sostenuti.
Se a tutto questo si aggiunge il rischio concreto che dai primi di agosto gli Usa non siano più in grado di aumentare il loro debito pubblico, con conseguente dichiarazione di fallimento, ecco che il quadro è completo. Per una volta concordiamo con Obama: c’è il rischio di una vera e propria Apocalisse finanziaria ed economica di livello mondiale.

A voi il Titanic, a noi l'Aurora!
Per parte nostra, come comunisti rivoluzionari, non abbiamo dubbi. A chi dice che è il tempo della responsabilità, noi rispondiamo: giusto. A chi dice che è tempo di realismo, rispondiamo: giusto. A chi dice che la priorità è la salvezza dell’economia, rispondiamo: giusto.
Siamo responsabili e realisti, per questo sosteniamo che questo sistema economico e sociale deve essere rovesciato. Chi crede che si possa salvare il capitalismo con qualche riforma più o meno radicale o è un illuso o è un imbroglione. Siamo concordi nel ritenere che si debba salvare l’economia mondiale, ma non per tutelare i profitti di poche multinazionali, ma per salvare la vita e garantire un futuro degno di essere vissuto a centinaia di milioni di lavoratori, contadini, disoccupati e sfruttati di ogni tipo che da questo sistema economico non ricevono altro che miseria, fame e guerre.
Per loro la salvezza non è venuta ieri da Zapatero, Lula, Chavez, Jospin e Prodi, così come domani non verrà da Bersani, Vendola, dai laburisti inglesi o dai socialisti francesi o tedeschi.
E’ dalle piazze in fiamme di Atene, Tunisi, Il Cairo, Damasco, dalle megalopoli della Cina sconvolte da scioperi e rivolte sempre più frequenti, che può arrivare la sola alternativa a questo sistema: solo una crescita delle lotte anche in Italia, capace di spezzare la cappa soffocante imposta dalle burocrazie, può riaprire una nuova prospettiva per i lavoratori e le masse subalterne.
A Tremonti che ci descrive tutti sulla stessa barca, padroni e operai, un Titanic che sta affondando, noi rispondiamo: lasciamo a voi padroni il Titanic, l'unica nave su cui vogliamo imbarcarci noi è l'Aurora (*).
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(*) Nel suo intervento in parlamento per illustrare la manovra, il ministro Tremonti ha paragonato la situazione dell’Italia a quella del Titanic, affondato nel 1912. L'incrociatore Aurora, che noi preferiamo, è invece la nave che con colpi di cannone annunciò, nell'ottobre 1917, l'insurrezione rivoluzionaria che diede il potere ai soviet guidati dai bolscevichi di Lenin e Trotsky.


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