giovedì 4 agosto 2011

A proposito di aeroporti Il nodo strategico di Sigonella.

Antonio Mazzeo


Dal 1973 è una delle stazioni aeronavali chiave per gli interventi militari USA in Europa orientale, Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico ed una delle infrastrutture  estere che ha assorbito i maggiori investimenti da parte del Pentagono (poco meno di un miliardo di dollari negli ultimi 15 anni). Si tratta di Sigonella, la grande base dell’US Navy che sorge nella piana di Catania, oggi trampolino di lancio degli attacchi della coalizione internazionale a guida NATO contro le forze armate libiche fedeli a Gheddafi.
Congiuntamente ad un’altra base siciliana (Trapani-Birgi), Sigonella sta funzionando da vero e proprio hub per la movimentazione di uomini, mezzi e sistemi d’arma destinati allo scacchiere di guerra libico. Operano in particolare dalla stazione aeronavale gli aerei senza pilota UAV MQ-1 Predator che il Pentagono sta utilizzando per bombardare caserme, aeroporti, postazioni radar e centri di telecomunicazione. Secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra, nella base siciliana sono stati schierati due squadroni dell’US Air Force con velivoli Predator. Realizzati dalla General Atomics Aeronautical Systems Inc., i velivoli misurano 8,22 metri di lunghezza, raggiungono medie altitudini (sino a 9.000 metri sul livello del mare) e hanno un’autonomia di volo di 40 ore. I sensori ottici e i sistemi di video-sorveglianza possono individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma più che aerei spia, i Predator sono un’arma letale in grado d’intercettare ed eliminare gli obiettivi con estrema precisione grazie ai missili aria-terra a guida laser AGM-114 “Helfire” di cui sono armati.
Per le missioni d’intelligence e per dirigere gli attacchi, il Pentagono utilizza pure un altro tipo di velivolo senza pilota, l’RQ-4 Global Hawk (“falco globale”), prodotto dalla Northrop Grumman. È il “grande fratello” teleguidato che intercetta ogni movimento sospetto in aree che si estendono per migliaia di chilometri quadrati, l’anello strategico delle catene di controllo e comando delle guerre del XXI secolo, quelle a costo zero – in termini di vittime - per gli eserciti che le scatenano, e dove restano invisibili i morti, civili e militari, dei paesi che le subiscono. Di dimensioni nettamente maggiori del Predator, i “falchi globali” godono di un’autonomia di volo di circa 30 ore e possono volare a 60.000 piedi di altezza in qualsiasi condizione meteorologica. Il viceammiraglio William Gortney, in un’intervista alla stampa statunitense, ha confermato che il Global Hawk “sta fornendo una sorveglianza continua del territorio libico, eseguendo missioni di volo dalla base aerea di Sigonella”. Dopo aver ingrandito con i propri visori di bordo le immagini captate e calcolate le coordinate geografiche dei potenziali obiettivi, il grande UAV invia le informazioni ai centri di analisi terrestri e agli aerei-radar AWACS della NATO (questi ultimi operativi da Trapani-Birgi) che stabiliscono i target da bombardare con i cacciabombardieri, i missili da crociera e i Predator.
Anche se il primo dei Global Hawk è giunto segretamente solo nell’ottobre del 2010, la base di Sigonella è destinata a divenire la “capitale internazionale” di questi velivoli destinati a coordinare i futuri attacchi, convenzionali e nucleari, contro ogni possibile obiettivo nemico in tre continenti (Europa, Asia ed Africa). Stando ai piani del Pentagono, nello scalo sarà pienamente operativo entro il 2012 un plotone di 4-5 Global Hawk, mentre altri cinque velivoli saranno consegnati entro il 2015 ai reparti della Marina USA di stanza in Sicilia. Il ruolo strategico di Sigonella nelle operazioni in Libia è consacrato pure dai velivoli per il pattugliamento marittimo P-3C “Orion”, gioielli dell’intelligence navale convertiti in aerei d’attacco: la US Navy ha dotato gli “Orion” dei missili aria-superficie AGM-65 “Maverick”, ampiamente utilizzati per distruggere le imbarcazioni libiche. Nella base sarebbero pure schierati gli aerei A-10 “Thunderbolt” e AC 130 “Spectre”, infernali strumenti di morte dell’US Air Force. Il “Thunderbolt” è armato con un cannone lungo più di sei metri, il GAU-8/ “Avenger” (vendicatore), in grado di sparare fino a 4.200 colpi al minuto. I proiettili di 30 centimetri contengono ognuno 300 grammi di uranio impoverito per perforare blindati e carri armati. Conti alla mano, ad ogni raffica l’“Avenger” disperde nell’ambiente più di 15 chili di microparticelle radioattive. Lo “Spectre”, invece, può essere dotato alternativamente di un cannone da 105 millimetri o da cannoncini da 40 e 25 millimetri con proiettili perforanti anti-carro. I sempre più numerosi arrivi nella base siciliana dei giganteschi aerei cargo dell’US Air Force, congiuntamente al dispiegamento dei velivoli senza pilota del tipo Global Hawk e Predator, rischiano di rendere ancora più sovraffollati gli spazi aerei della Sicilia e di buona parte del sud Italia, con prevedibile peggioramento delle condizioni di sicurezza per il traffico civile e le popolazioni che vivono nelle aree vicine all’installazione aeronavale. Sono in particolare gli UAV a porre pesanti interrogativi sui pericoli futuri, ma le ripetute denunce degli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella non hanno condotto sino ad oggi a un serio dibattito pubblico sui rischi di questi sistemi a controllo remoto per le attività di decollo e atterraggio del vicino aeroporto civile di Catania-Fontanarossa, il terzo scalo in Italia come volume di passeggeri (oltre sei milioni di transiti all’anno). Diversamente era andata invece in Spagna, dove le autorità statali che in un primo tempo avevano candidato Zaragoza come “principale base operativa” del sistema AGS in alternativa a Sigonella, si erano poi ritirate perché “l’installazione dei velivoli senza pilota presentava molti inconvenienti al normale funzionamento del vicino aeroporto della città”, come dichiarato dal portavoce del governo Zapatero. “Dato che le aeronavi della NATO voleranno continuamente per catturare le informazioni, si potevano generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli”.
Sui pericoli rappresentati dalla proliferazione degli UAV non mancano gli studi e gli interventi scientifici anche dall’altra parte dell’Oceano. Nel documento The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision, in cui l’aeronautica militare statunitense delinea la “visione strategica” sul futuro utilizzo dei sistemi di guerra, si ammette che “i velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force”, si legge ancora, anche se si aggiunge essere “al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi”. Il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica militate e di Alitalia (poi consulente del Registro aeronautico italiano e perito per diverse Procure della repubblica e studi legali in procedimenti relativi ad incidenti aerei) spiega che Global Hawk e Predator “non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile”, perché “sono stati progettati in modo tale che, pur disponendo a bordo di un sensore capace di “vedere”, secondo il principio ICAO di see and be seen, altro traffico in volo con il quale la loro traiettoria potrebbe interferire, non hanno la capacità completa di rispettare l’altro principio sul quale si basa la sicurezza dell’aviazione civile e cioè il protocollo see and avoid – vedi ed evita il traffico a rischio di collisione”. Per Dentesano, cioè, gli UAV “non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe”.
Queste problematiche sono note alle autorità militari italiane. Durante un’ispezione compiuta nella base siciliana (31 marzo 2008) dal parlamentare di Sinistra Critica-PRC, Salvatore Cannavò, l’allora comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica militare, colonnello Antonio Di Fiore, aveva negato l’ipotesi d’insediamento a Sigonella dei Global Hawk in quanto “la gestione di quel tipo di aerei non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile Fontanarossa”. Senza poi dimenticare che i velivoli decollano e atterrano a pochi chilometri in linea d’area dal cosiddetto “triangolo della morte” Augusta-Melilli-Priolo dove imperversano impianti chimici, raffinerie, depositi di carburante e munizioni per le unità navali USA e NATO, compresi i sottomarini e le portaerei a capacità nucleare.
Che Sigonella e dintorni siano ad altissimo rischio militare lo conferma la lunga lista d’incidenti verificatisi in questi anni: collisioni in volo, velivoli precipitati al suolo o nelle acque del basso Tirreno, atterraggi di fortuna su campi e strade siciliane, ecc.. Il peggiore dei disastri risale a ventisette anni fa. Il 12 luglio 1984, un quadrigetto C141B “Starlifter” dell’US Air Force precipitò in contrada Biviere, nel comune di Lentini (Siracusa), e nell’incidente morirono i nove membri dell’equipaggio. I militari statunitensi vietarono il soccorso ai mezzi locali e impedirono che giornalisti e fotoreporter si avvicinassero all’area. Massimo fu il riserbo sul carico trasportato dal velivolo e il segreto militare fu esteso pure alle cause di incidente. Per una quarantina di giorni, la strada statale 194 che collega Catania a Ragusa fu interdetta al traffico veicolare. Solo a seguito di uno studio del colonnello dell’US Air Force Paul M. Hansen sugli incidenti con oggetto i C141B (ottobre 2004), la Flight Safety Foundation di Washington ha pubblicato sul proprio data base una scheda di quanto accaduto a Lentini. La fondazione segnala che la destinazione del volo era la base aeronavale di Diego Garcia, Oceano indiano. “Immediatamente dopo il decollo da Sigonella – si legge nel report – il motore n. 3 del velivolo accusava una grave avaria. Il motore iniziava ad emettere dei rottami che causavano il danneggiamento del motore n. 4. I rottami entravano pure all’interno del compartimento di cargo, incendiando un pallet contenente vernici. L’incendio alle merci trasportate produceva uno spesso fumo velenoso che rendeva il controllo visivo dell’aereo estremamente difficoltoso. L’aereo finiva su un ripido terrapieno ed esplodeva ad appena 198 secondi dal decollo. Gli esami tossicologici effettuati dopo l’incidente indicavano che i membri dell’equipaggio avevano ricevuto potenzialmente livelli fatali di cianuro dal fumo assorbito prima dell’impatto”.
Dopo più di vent’anni, la Procura della Repubblica di Siracusa ha aperto un’inchiesta sull’incidente di Lentini facendo seguito alla denuncia dell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele” sull’altissimo tasso di malformazioni congenite e l’anomalo aumento di patologie leucemiche, tumori al cervello e alla tiroide, registrati tra il 1992 e il 1995 nel comprensorio dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte. Secondo il Registro Tumori della Usl di Siracusa, infatti, il tasso di mortalità in quest’area è tre volte maggiore che nel resto d’Italia. A legare la vicenda del C-141B e lo sviluppo delle patologie oncologiche, l’ipotesi che a bordo del velivolo USA ci fosse un carico di centinaia di chili di uranio impoverito, utilizzato ancora sino a qualche tempo fa come contrappeso degli aerei da trasporto dell’US Air Force e di altri paesi NATO. 

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