FINCANTIERI-S.PONENTE
La questione del debito pubblico è una grande questione sociale e di classe che svela la totale irrazionalità del capitalismo e delle sue crisi.!
L’ esplosione del debito pubblico risale all’esaurimento del boom economico postbellico, con la crisi recessiva internazionale del ’74 -’75.
Fu l’epoca del Reaganismo e del Teacherismo: ovunque furono ridotte le tasse su rendite, profitti, patrimoni, ovunque le classi subalterne pagarono di tasca propria, con una prima drastica riduzione delle protezioni sociali acquisite, in varie forme, nel decennio precedente. Tali politiche contribuirono al dissesto dei bilanci pubblici, con conseguente impennata dei debiti pubblici.
Per finanziare l’erario pubblico, i governi borghesi si indebitarono sul mercato finanziario, mettendo in vendita titoli di Stato a un determinato tasso di interesse.
Chi erano i compratori ? Certo anche piccoli borghesi, pensionati, fasce di lavoratori, che ancora disponevano di risparmi da investire. Ma i maggiori compratori divennero sempre più le grandi banche (private e pubbliche), le compagnie di assicurazione, le imprese industriali e varie cordate finanziarie.
Questo meccanismo infernale ha ricevuto una spinta ulteriore e abnorme con la grande crisi internazionale iniziata nel 2007.
Cos’è successo? E’ successo che la crisi di sovrapproduzione mondiale e il crollo della piramide finanziaria hanno scosso alle fondamenta il sistema bancario internazionale, a partire dagli USA. Stati e Governi ancora una volta sono accorsi al capezzale delle banche versando loro una massa gigantesca di risorse pubbliche: pagate da un nuovo e più pesante attacco a sanità, pensioni, istruzione, lavoro, ma anche da una crescita enorme del debito pubblico, cioè di un nuovo massiccio indebitamento degli Stati presso banchieri e capitalisti.
Larga parte dei soldi regalati dagli Stati a capitalisti e banchieri sono stati da questi investiti non in produzione e lavoro (data anche la crisi di sovrapproduzione) ma nell’ennesimo acquisto di titoli di stato, cioè nel debito pubblico.
Da un lato i bilanci pubblici sono sempre più dissestati dall’aiuto statale ai banchieri, dall’altro i banchieri, acquirenti dei titoli di Stato (coi soldi regalati dagli Stati) pretendono da quest’ultimi l’assoluta certezza di pagamento degli interessi pattuiti. E dunque una politica di maggior rigore della finanza pubblica, attraverso aumento delle tasse e tagli drastici al welfare, una rapina portata avanti, in America come in Europa, da governi bipartisan e di ogni colore.
Anche in Italia, negli ultimi 20 anni è cresciuta la dipendenza dello Stato verso il capitale finanziario, interno e internazionale. Ad oggi i titoli di Stato italiani tendono a valere sempre meno e dunque a costare sempre di più alle banche acquirenti.
E le banche, interne ed estere, pretendono come garanzia del loro “rischio” una politica di massacro sociale ancor più severa e convincente.
Tutta la drammatica stretta sociale e finanziaria di queste settimane (prima una finanziaria di 40 miliardi, poi il suo raddoppio in 10 giorni, poi l’anticipo del pareggio di bilancio deciso su pressione BCE in 24 ore, poi l’annuncio di nuove misure di rapina contro lavoro e pensioni…) sono solo l’affannosa rincorsa del ricatto usuraio delle banche e dei loro portavoce istituzionali.
I capitalisti, i loro partiti e i loro governi vogliono costringere alla bancarotta i lavoratori e i servizi sociali, per cercare di evitare la bancarotta del proprio sistema di sfruttamento.
L’unica alternativa a questa politica di rapina e massacro sociale è l’abolizione del debito pubblico verso le banche e la loro nazionalizzazione, senza indennizzo, sotto controllo dei lavoratori, per sottrarle alla logica del mercato e per unificarle in un’unica banca pubblica sotto controllo sociale.
E ciò può essere realizzato sino in fondo solo da un governo dei lavoratori.
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