giovedì 29 settembre 2011

NATIVI E IMMIGRATI: UNA SOLA CLASSE UNITA CONTRO LA BORGHESIA

Partito di Alternativa Comunista (Pdac) Lega Internazionale dei lavoratori


Il 24 settembre, a Milano, un corteo, di lavoratori nativi e immigrati, si è snodato per le vie del centro storico, per manifestare durante la cosiddetta “2° giornata della collera” (dopo la 1° giornata della collera con sciopero generale del 15 aprile scorso), organizzata dal sindacato Cub (Confederazione Unitaria di Base) e dal Comitato Immigrati in Italia. La manifestazione ha rappresentato una delle tappe nel percorso di lotta in vista di uno sciopero generale; “un vero sciopero generale da costruire con un ampio fronte sociale”, recitava il volantino distribuito dalla Cub.
Milano è la città del sindaco Giuliano Pisapia, ex parlamentare di Rifondazione Comunista che votò durante il governo Prodi a favore della creazione dei Cpt (Centri di permanenza temporanea) per gli immigrati (ora diventati Cie Centri d’identificazione ed espulsione), sindaco sostenuto pubblicamente dalla borghesia economica e finanziaria milanese, da Unicredit e dal gruppo De Benedetti, oltre che da Sinistra e Libertà di Vendola, Rifondazione Comunista, alcuni centri sociali e quasi tutta la sinistra (con l'eccezione del Pdac).
Milano è la città che si prepara a gestire l’Expo 2015, un enorme affare economico e finanziario per i padroni lombardi, ed è la città in cui, con “buona pace” del cosiddetto popolo della sinistra che ha creduto che con Pisapia ci sarebbe stata la vera alternativa alla gestione di Letizia Moratti, continuano a governare i poteri forti: grande borghesia, banche, Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere… Per fare solo qualche esempio, la gestione Pisapia si è distinta per l’aumento dei biglietti dei trasporti, per il taglio delle spese sociali e per aver concesso il centro di Milano alla celebrazione dello Stato sionista.
Erano numerose le bandiere palestinesi che sventolavano nel corteo di sabato, a ricordare che i lavoratori erano in piazza per i loro diritti ma con lo sguardo e il cuore rivolto alla situazione internazionale, ai nostri fratelli palestinesi e ai compagni combattenti della “primavera araba”.
Un corteo che ha visto l’eterogenea presenza di lavoratori di diverse nazionalità (lavoratori senegalesi, algerini, tunisini, italiani, e di numerosi diversi altri paesi), lavoratori che ogni giorno di più sono colpiti dalla crisi economica internazionale del capitalismo, crisi che banchieri e padroni intendono far pagare ai lavoratori e alle masse popolari; una crisi che, aumentando il numero di licenziati, disoccupati, poveri, svela con i fatti le bugie razziste della Lega Nord che, lungi da essere il partito che rappresenta il “popolo”, è parte attiva di un governo che colpisce indiscriminatamente i lavoratori, sia del sud sia del nord, a vantaggio dei poteri forti.
Il Partito di Alternativa Comunista, unico partito presente (con un nutrito spezzone) al corteo di sabato, ha distribuito un volantino che ribadiva la necessità di una piattaforma e di una lotta comune dei lavoratori nativi e immigrati contro la borghesia e i suoi governi, sia di centrodestra sia di centrosinistra. Una piattaforma che respinga l’attacco violento ai diritti e alle condizioni materiali di vita di tutti i lavoratori e che contenga al contempo rivendicazioni specifiche per i lavoratori immigrati: parità di diritti tra lavoratori italiani e immigrati, diritto d'asilo ai rifugiati in fuga dalle guerre, dalla fame e dalle dittature, permesso di soggiorno e di cittadinanza per tutti. Gli stessi temi sono stati ripresi da Patrizia Cammarata che è intervenuta nei comizi conclusivi della manifestazione. La Cammarata ha anche ribadito come sia necessario arrivare al più presto ad uno sciopero generale prolungato contro il governo Berlusconi. Un vero sciopero generale che la burocrazia sindacale della Cgil non ha nessun’intenzione di proclamare (perché mira a tornare al tavolo della concertazione con il padronato e a salvare il capitalismo) e che è ostacolato anche dalla frammentazione del sindacalismo di base (spesso alimentata dal settarismo di vari gruppi dirigenti).
Dopo la manifestazione diversi compagni del Pdac e altri partecipanti alla manifestazione si sono recati in piazzale Selinunte, nella zona San Siro di Milano, dove due ragazzi, un marocchino e un egiziano, entrambi senza permesso di soggiorno, da sabato 10 settembre, trascorrono i loro giorni e le loro notti sopra una torre termica. La protesta di questi compagni è rivolta contro la “sanatoria truffa” (legge 102/09) e più in generale contro la vita di paura, precarietà e sfruttamento di migliaia d’immigrati nel nostro Paese.
Questa vita di paura, di precarietà e di sfruttamento è stata testimoniata anche dal racconto di diverse donne, sia native sia immigrate, arrivate alla manifestazione da diverse città d’Italia, con i loro bambini. Lamia, ad esempio, una donna algerina con tre figli piccoli, ha raccontato ai giornalisti che le chiedevano il motivo della sua presenza alla manifestazione:
“ Mio marito è stato licenziato, non siamo stati più in grado di pagare le bollette della luce, del gas, dell’acqua. Non siamo più stati in grado di pagare l’affitto, per questo siamo stati sfrattati. L’Amministrazione comunale di Vicenza ci paga un albergo, paga tanti soldi per mantenerci in un albergo, per fare dormire in un albergo i miei bambini, mio marito ed io. Vivere in un albergo non è per noi un lusso, non è un privilegio, per noi è molto triste e difficile: dormiamo in due camere separate, io e mio marito, perché non c’è una camera per tutti e cinque. Non posso cucinare, devo comperare il cibo al supermercato, arrangiandomi.  Non posso lavare gli indumenti, devo farlo fuori, trovare delle soluzioni. I miei bambini non hanno uno spazio in cui giocare, sono costretta a passare l’intera giornata fuori per non disturbare gli altri ospiti dell’albergo. Come farò quando arriverà l’inverno? Ci basterebbe un appartamento, anche piccolo: l’Assessore dice che non c’è. Credo che questa sia una politica per incoraggiare il rimpatrio. Tutto è cominciato quando mio marito è stato messo in cassa integrazione, pensavo che si sarebbe risolto, invece la cassa integrazione è stata il primo passaggio per il licenziamento. Poi non c’è stato più niente da fare, non è stato più possibile lottare, è stato troppo tardi. Non bisognava accettare la cassa integrazione”.
Parole, queste, che confermano la giustezza della battaglia contro la cassa integrazione e i licenziamenti condotta dal nostro partito dall’inizio della crisi. Una battaglia che ci ha visto isolati a sinistra, con compagni che ci rimproveravano di “non capire le esigenze dei lavoratori, il loro diritto alla sopravvivenza”.
La nostra avversione nei confronti del sistema capitalista, che altri pretendono di voler curare con un programma moderato di “cinque punti”, è totale. Per questo motivo siamo impegnati, con i compagni di altri 24 Paesi nel mondo, alla costruzione della Lega Internazionale dei Lavoratori e della Quarta Internazionale; l’internazionale che si ponga l’obiettivo di radunare sotto la medesima bandiera i lavoratori in lotta di ogni Paese, per la liberazione dallo sfruttamento e dal razzismo, per il socialismo. Affinché ad ogni bambino sia concesso il diritto di vivere con la propria famiglia in una casa e non in un dormitorio, affinché nessun altro ragazzo sia costretto a trascorrere i suoi giorni e le sue notti sopra una torre per sperare di vivere con dignità.


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