venerdì 18 novembre 2011

Armi da guerra liberalizzate? Rispondo ai critici

Giulio Marcon: portavoce "Sbilanciamoci"

L'articolo pubblicato qualche giorno fa sull'abolizione del catalogo delle armi
da sparo ha scatenato una valanga di reazioni contrarie. Marcon, che ha sollevato il problema, risponde.

Sappiamo, dai tempi del referendum sulla caccia, quanto i possessori di armi fossero un gruppo suscettibile, agguerrito (senza ironie) e organizzato. Anche nella lettura del manifesto.  La più forte critica e preoccupazione contro l'abolizione del Catalogo delle armi da sparo è venuta dalle organizzazioni di categoria della polizia, che certamente -in materia di sicurezza interna e di lotta alla criminalità- hanno più competenza dei pacifisti e anche dei cacciatori di anatre e degli appassionati del tiro a segno. Ci fidiamo molto di più dei lavoratori della polizia della CGIL (che hanno ricordato come “l'abolizione del catalogo avrà un effetto diretto rispetto all distinzione tra armi comuni da sparo e da guerra. Il che vorrebbe dire che verrebbe autorizzata una diffusione di quelle armi che hanno un maggiore potenziale offensivo” ) che delle tesi dell'Anpam (Associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni) ripetute in modo abbastanza pedissequo dai chi ha polemizzato contro l'articolo di sabato scorso.
Non si capisce perchè se si fosse trattato di un provvedimento così naturale si sia dovuta aspettare una Legge di Stabilità per introdurre la cancellazione del Catalogo di soppiatto ed in modo truffaldino: si tratta con tutta evidenza di una materia incongrua con le finalità e i confini di una misura come la Legge di Stabilità che ha come obiettivo la correzione dei conti pubblici.
I pacifisti da tempo hanno chiesto di affrontare il tema della riforma delle leggi sulle armi (anche a partire dal Catalogo, per migliorarlo in un vero strumento di tracciabilità, in particolare delle cosiddette "small arms") e le risposte sono sempre state vaghe: invece ci si continua a nascondere nelle righe di provvedimenti di spesa pubblica.
Diversi tra i possessori di armi citano la differenza di armi da guerra e non da guerra – motivo alla base del Catalogo - come una stramba astrazione legislativa. Ricordiamo che da tempo viene chiesto che tutte le armi leggere e non solo quelle "da guerra" vengano inserite nella legge che disciplina l'export di armi (la legge 185/90 che possiede alti criteri di trasparenza). Eppure in questo caso, per la cancellazione di questo tipo di differenziazione, che facilita la circolazione di pistole made in Italy (come ad esempio la vendita di 10mila pistole e fucili ai servizi di sicurezza di Gheddafi), gli appassionati e i costruttori di armi non si stracciano le vesti. Speriamo che in futuro lo facciano.

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