lunedì 5 dicembre 2011

Taci, il nemico ti ascolta !

Lucia Fabi,   Angelino Loffredi

La squadra di calcio “ Annunziata “rimase un punto di attrazione per gli sportivi del circondario e, sotto alcuni  aspetti, alimentò anche una certa identità cittadina. Nell’anno 1953/ 54 vinse il campionato di Promozione per passare  in IV serie. In tale categoria rimase per tre anni ottenendo risultati lusinghieri.

L’avvenimento da ritenere molto importante fu la costituzione nel 1954 della squadra “ ragazzi “, composta prevalentemente da giovani ceccanesi. Se la prima squadra aveva fatto sognare gli sportivi,  quella dei ragazzi fu un buon investimento morale e calcistico. I trenta e più ragazzi che la composero, successivamente sono stati dirigenti sportivi e allenatori.  Fra questi merita di essere ricordato Vincenzo Tiberia, “ il mister” , ancora oggi preparatore e animatore della scuola calcio comunale.
Improvvisamente poco prima della fine del campionato 1956/57, il commendatore decise di non essere più il finanziatore della squadra. Il ruolo di filantropo del calcio comportava esborso di denaro che egli preferì, invece, accumulare.
La Lega calcio per terminare il campionato fu  costretta così a nominare un commissario straordinario per la guida della squadra ceccanese . In questa fase terminale  il fatto positivo, visto che i calciatori professionalizzati si rifiutarono di giocare vengono immessi  in prima squadra  tanti giovani calciatori ceccanesi.
Insomma “ sor Antonio” con il calcio ci rimetteva e la pubblicità che gli derivava da questa attività non era cosi importante quanto la fornitura che gli stava arrivando. Giulio Andreotti, infatti, gli aveva assicurato una milionaria commessa per rifornire l’Esercito Italiano.
La città rimase priva di ogni coinvolgimento sportivo. Il campo sportivo, privo di custodi e non riconsegnato tempestivamente al comune,  fu spogliato delle strutture: spogliatoi  scardinati, porte divelte  e cosi finestre, infissi e rubinetteria.
 In questo modo inglorioso finì il calcio ma il conflitto sociale dentro l’azienda, anche se sordo, rimaneva sempre aperto. Nell’estate  del 1957 si manifestarono due iniziative separate ma sostanzialmente convergenti rivolte a denunciare il clima di paura e la mancanza di diritti nell’interno della fabbrica. Da una parte si muoveva Giuseppe Bonanni, consigliere comunale e federale del Msi che con una certa regolarità  faceva  comizi in Piazza e dall’altra la CGIL e Csil, finalmente uniti, che ricordavano  la grave situazione di arretratezza in cui si trovavano operaie e operai.
Vale la pena ricordare, inoltre che presso l’amministrazione comunale, dalla metà del 1956 non esisteva una giunta di sinistra ma una coalizione di centro, conflittuale e litigiosa, e che aveva in maggioranza due consiglieri comunali dipendenti di Annunziata con importantissime funzioni. Sicuramente queste persone condizionarono l’amministrazione che pur in presenza di tali iniziative rimase inerte ed indifferente.
Gli onorevoli Silvestri e Compagnoni portarono tale situazione in parlamento evidenziando: mancanza di diritti sindacali, mancato riconoscimento delle qualifiche, abiti da lavoro acquistati dai dipendenti ma con marchio reclamizzante; mancato pagamento di indennità di turno; mancata prevenzione contro il nocivo. Aspetto quest’ultimo veramente inquietante considerato  che il saponificio era una fabbrica chimica  con alto indice di pericolosità.
Durante il periodo autunnale, il ministero del lavoro, sottoposto a tante pressioni mise in azione l’Ispettorato del Lavoro che, finalmente, si mosse: va in fabbrica, ispeziona, verifica, sente i dipendenti.
 Ma a dicembre, prima di conoscere gli accertamenti o la relazione ufficiale vengono licenziate cinque operaie: Giuseppa Mastrogiacomo, Annunziata Carlini, Maria Giuseppa Loffredi, Maria Dal Monte e Giuseppa Abbate.
Sono gettate sul lastrico non perché abbiano intenzione di portare il sindacato in fabbrica o di sollevare atti di contestazione verso il regime interno, ma solamente per aver descritto agli ispettori, ( una senza sapere delle altre ), quali fossero le drammatiche condizioni di lavoro.

Nella discussione alla Camera del  4 febbraio 1958 il sottosegretario Repossi rispondendo a una interrogazione posta dagli onorevoli Silvestri e Compagnoni afferma” risulta che le condizioni di lavoro nell’azienda non si svolgono in effetti nel migliore dei modi” che la società “ aveva fissato alle lavoratrici, impiegate a squadre un quantitativo minimo obbligatorio di produzione giornaliera, che le costringeva spesso a continuare il lavoro oltre il normale orario” lo stesso pur nella stringatezza  precisa che il trasporto dei pezzi di sapone veniva effettuato dalle operaie “ senza che venissero osservati i limiti di peso fissati dalla legge”.
Certo era importante che il Ministero, per i tempi che correvano, riconoscesse le gravi inadempienze dell’azienda e il sovraccarico di lavoro, ma era riprovevole che lo stesso  sottosegretario all’onorevole Compagnoni che gli chiedeva di far riassumere le operaie licenziate non avesse altro da rispondere che con tale affermazione quale:” vorrebbe forse che io andassi laggiù con un plotone di esecuzione ?”
 Ancora tanto timore e tanta impotenza verso un industriale che aveva fatto propri i metodi e gli strumenti di lavoro praticati nel 1800, ai tempi dei padroni delle ferriere, ma anche intimidazioni e forme di pressione che anticipavano di venti anni i metodi praticati dai brigatisti, quando minacciavano “ colpire cinque (operai) per educarne cinquecento “

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