venerdì 16 settembre 2011

CONFERENZA STAMPA SULLE OSSERVAZIONI ALLA VARIANTE AEROPORTUALE INTERMODALE

Susanna Ficara, Ufficio Stampa CODICI


LUNEDI’ 19 SETTEMBRE: CONFERENZA STAMPA SULLE OSSERVAZIONI ALLA VARIANTE AEROPORTUALE INTERMODALE
Presentano le Osservazioni le Associazioni CODICI onlus, Italia Nostra onlus, Legambiente onlus, Rete per la Tutela della Valle del Sacco onlus
Si terrà lunedì 19 settembre, alle ore 15, presso la sala del CESV di Frosinone, via Pierluigi da Palestrina 14, la Conferenza Stampa aperta che presenterà le Osservazioni protocollate presso il Consorzio ASI relative alla Proposta di Piano Variante urbanistica al Piano Territoriale Regolatore per l’attuazione dell’Area aeroportuale intermodale di Frosinone.
Le associazioni che presenteranno le Osservazioni sono: CODICI onlus, Italia Nostra onlus, Legambiente onlus, Rete per la Tutela della Valle del Sacco onlus.

DANDINI COMMOSSA: "ANDREMO IN ONDA ANCHE IN PIAZZA!". SANTORO: "SIAMO OLTRE LA CENSURA"

Partigiani del Terzo Millennio

ROMA -  Indignata, dispiaciuta ma determinata ad andare avanti: 'Parla con me è stato cancellato dai palinsesti Rai e Serena Dandini difende il suo lavoro e la sua squadra. E promette: «Andremo in onda il prima possibile, dove, quando e come sarete i primi a saperlo. Su La7, su Sky? Non lo so. Al massimo lo faremo in piazza. O al cinema». «Volevo prendermi un anno sabbatico ma per tigna ho deciso di andare in onda», sottolinea in un'affollata conferenza stampa convocata insieme ai vertici della Fandango, Domenico Procacci e Andrea Salerno, per «sfatare alcune leggende metropolitane». «La Rai non sono loro, io ho un patto con gli abbonati - dice -. Abbiamo tenuto duro perchè li abbiamo stanati. Volevo essere cacciata perchè così il percorso si chiude e si capisce». Nella sala di Fandango Incontro, a pochi passi da Montecitorio, anche Michele Santoro e la redazione, gli autori e i collaboratori del programma. «Lavoriamo al programma da quattro mesi, la squadra scalpita. E poi la gente per strada e via mail mi dice continuamente 'non dargliela vintà», racconta Serena, che domani parte con una rubrica su Io Donna. «Saremo in onda, non a Mediaset, ma da qualche altra parte. Abbiamo parlato con altri ma non abbiamo nessun accordo. Valuteremo cercando di capire come farlo al meglio», conferma Salerno. La Dandini ha con sè un modellino del suo celebre divano rosso sul quale siede una bambolina-stile Barbie con il suo look, «la prova che il format è mio». «Lo ideò Serena nel 2004 - spiega Salerno - ma nessuno lo depositò, non ce n'era bisogno». «Siamo stati ingenui. In Rai ho visto vendere e affittare dei format inesistenti», chiosa la conduttrice, che chiarisce: «Non vogliamo fare i martiri. Ma oggi potevamo essere in onda da un'altra parte. Non avrebbero dovuto tenerci fermi fino all'ultimo. Ci avevano chiesto di apportare delle modifiche al format e il primo agosto le modifiche erano sul tavolo del direttore generale. Ci hanno detto 'vi facciamo sapere in 48 orè, ma siamo invece stati bloccati per un mese e mezzo. Non devo essere per forza in onda, ma perchè non dircelo prima e usare la diffamazione?». L'accusa che proprio non le va giù è quella di essere avida: «Esco dalla Rai senza neanche un paio di calze. Anzi, lascio all'azienda un baule con tutti i miei vestitini neri». E ancora: «Cacciarmi dalla Rai non costa nulla. Non ho mai voluto un contratto in esclusiva con l'azienda, nè cariche dirigenziali, che mi sono state offerte ma che ho sempre rifiutato: volevo essere libera. Sono pagata bene, ma a progetto. Non ho tredicesime, quattordicesime». Se la prende con Alessio Butti, capogruppo PdL in Vigilanza, e con «Silvio Maria Petroni» (ovvero Angelo Maria Petroni, consigliere Rai, ndr.): «Sono disinformati. 'Parla con mè era fatto per il 70% con le straordinarie risorse interne Rai, che mi duole il cuore lasciare. La Fandango si occupava solo di autori e artisti. Al dg ho detto che in qualunque caso non avrei rinunciato alle persone che hanno creduto in me e nel programma quando nessuno, neanche in Rai, ci credeva. Sono leonessa e tigre, io non le tradisco le persone». «Dall'anno scorso anche gli ospiti erano Rai. Il 30 maggio abbiamo proposto un risparmio del 5%», precisa Salerno. «Se Petroni e Butti volevano fare gli autori ce lo potevano dire...», sottolinea Dandini, che confessa di «aver creduto» nel dg Rai Lorenza Lei: «Non capisco cosa sia successo. Comunque è molto più brava di Masi, infatti sta facendo tutto quello che lui non è riuscito a fare». Procacci tenta di dare una spiegazione: «Quei cinque consiglieri si sono sentiti col colpo in canna, con la possibilità di sparare: e hanno sparato». E a una domanda su un eventuale azione legale, dice: «Non ci abbiamo ancora pensato, ma grazie del suggerimento». «Mai visto un dg e un presidente Rai bocciati in questo modo», rileva Salerno, che non parla di censura ma di «chiusura», di «non volontà di fare un programma». A fare arrabbiare di più la Rai, per Dandini, deve essere stata «l'intervista a Scalfari, forse alcune imitazioni e sicuramente le ragazze nel bagno di Palazzo Grazioli (spunto della minifiction 'Lost in WC', ndr). Ma abbiamo solo rifatto le scene viste sui giornali». Santoro è lì ad assistere in qualità di «amico. Se serve siamo pronti a dare una mano, c'è solidarietà assoluta. Anche per aiutarli a fare il trasloco. Se non ci sono ragioni aziendali credibili per chiudere, perchè l'hanno chiusa? Una sola cosa, grave: quando non si riesce a usare la parola censura, vuol dire che anche la parola censura è censurata».

L'economia uccide più delle bombe

Flavio Lotti , Mario Pianta  fonte http://www.sbilanciamoci.info



A 50 anni dalla prima marcia Perugia-Assisi e a 14 anni dalla marcia "per un'economia di giustizia", i pacifisti saranno di nuovo in cammino il 25 settembre 2011. Nel mezzo della crisi europea. È l'occasione per rileggere l'appello di 14 anni fa, le cose non fatte allora, e urgentissime adesso
"L'economia mondiale sta diventando sempre più ingiusta e insostenibile: uccide più delle bombe". "Quest'ingiustizia affonda le radici in un neoliberismo che non sa rispondere ai veri bisogni delle persone" e cresce in un'economia che privilegia "le rendite finanziarie e i guadagni speculativi anziché la produzione, la crescita quantitativa anziché la qualità, lo sfruttamento della natura e dell'ambiente anziché la loro protezione". Dopo la crisi finanziaria di questi mesi non è difficile essere d'accordo con questa critica. Ma queste parole erano scritte 14 anni fa nell'appello della Marcia Perugia-Assisi "Per un'economia di giustizia" del 12 ottobre 1997. La Tavola della Pace, nata in quell'occasione, portò centomila persone a chiedere – con indubbia capacità di anticipazione – un'economia meno ingiusta.
La pace si costruisce con la giustizia, e l'ingiustizia dell'economia che si globalizza è la fonte principale dei conflitti, "uccide più delle bombe". La soluzione è in un ordine internazionale che faccia a meno delle armi – era ancora aperta l'occasione del disarmo alla fine della guerra fredda – e che riduca sottosviluppo e disuguaglianze. Per farlo, il potere dei mercati, della finanza e delle grandi imprese multinazionali deve cedere il passo agli strumenti della politica e ai diritti delle persone. Questo il filo del discorso di allora.
L'analisi era precisa: le disuguaglianze aumentano ovunque, i problemi di sopravvivenza della parte più povera dell'umanità sono irrisolti, il sottosviluppo genera disastri ambientali, lotta per le risorse, conflitti senza fine. L'ingiustizia viene dal neoliberismo e da una logica di profitto che impedisce il benessere di tutti; il mercato calpesta le persone e i benefici di tutto questo vanno ad "alcuni paesi più forti e alcune élite economiche e sociali, aumentando la marginalizzazione di milioni di persone".
Qualcosa è cambiato da allora, non molto nella sostanza. Allora non si immaginava che l'Italia sarebbe stata messa fuori così presto dal gruppo dei paesi forti, che da allora a oggi il Prodotto interno lordo (Pil) italiano in termini reali non sarebbe praticamente aumentato. Cina, India, altri paesi asiatici, alcuni paesi dell'America latina hanno avuto un rapido sviluppo, i redditi medi sono aumentati, ma così pure le disuguaglianze – enormi – interne a quei paesi. L'ingiustizia non è diminuita.
L'insostenibilità del modello neoliberista ha portato al grande crollo del 2008 e alla recessione attuale, ma il potere politico ed economico resta aggrappato all'intoccabilità della finanza e al mito dell'efficienza dei mercati. Così l'insostenibilità si aggrava.
È cambiato – denunciato solo dai pacifisti – il ricorso alla forza militare, tornato all'ordine del giorno. Dalla guerra nei Balcani del 1999 ai bombardamenti in Libia di oggi – passando per le guerre del Golfo e in Afghanistan – l'occidente e il nostro paese si sono rimessi a fare la guerra per imporre un ordine neocoloniale, occasionalmente travestito con la tutela dei diritti umani. Le vittime – e le conseguenze – si moltiplicano.
Che cosa si chiedeva, 14 anni fa, ai potenti dell'economia? Partire dalle persone, battersi contro povertà e disuguaglianze, dare lavoro a tutti e dare dignità al lavoro, mettere cooperazione, democrazia e sostenibilità dentro l'economia. Mentre la globalizzazione neoliberista costruiva i suoi pilastri – il "consenso di Washington" e l'Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) – i pacifisti chiedevano ai governi un'autorità politica sovranazionale che bilanciasse il potere dell'economia globale e la perdita di sovranità degli stati. La scommessa era di democratizzare e riformare il sistema delle Nazioni Unite, dare spazio all'agenda illuminata delle grandi conferenze Onu degli anni '90 – sull'ambiente, le donne, lo sviluppo sociale, il razzismo, etc. – e alle convenzioni sul lavoro dell'Organizzazione internazionale del lavoro dell'Onu – creando una possibile difesa contro una globalizzazione pagata dai lavoratori.
Quest'offensiva "cosmopolitica" ha avuto pochi risultati, l'Onu si è ripiegata su se stessa, soprattutto negli anni bui delle presidenze Bush, le conferenze Onu a dieci anni di distanza hanno tutte registrato un arretramento degli obiettivi di cambiamento. Ma anche la globalizzazione è finita, prima ancora della crisi del 2008; la "spinta propulsiva" del libero commercio e dell'Omc si è esaurita, si è affermata una dinamica regionale – in Asia e America latina, come in Europa – che diversifica le traiettorie di sviluppo.
Agli organismi sovranazionali – Fondo monetario e Banca mondiale – si chiedeva di cambiare politica e "la cancellazione del debito estero dei paesi impoveriti, che ha raggiunto la cifra record di circa 2.000 miliardi di dollari". Ora il debito del terzo mondo non è più cosi pesante, e l'Italia da sola supera quella cifra, con un debito che in dollari vale 2700 miliardi. Perfino l'Fmi ha moderato la sua ortodossia liberista; in compenso, la sua vittima più recente è diventata la Grecia.
Alle politiche dei governi si chiedeva "di redistribuire le ricchezze, di offrire nuova occupazione anche riducendo gli orari di lavoro", di tutelare i diritti dei lavoratori, di dare spazio alle donne e all'economia solidale. Su questo fronte – tutte responsabilità rimaste alla politica nazionale – nulla è stato fatto, continuiamo ad arretrare rispetto a 14 anni fa, le richieste di oggi sono le stesse. Il sistema politico degli stati sembra più immobile di quello mondiale.
Per i pacifisti, poi, c'era la "responsabilità di agire". Non solo marce e proteste. Si è lavorato a costruire reti transnazionali di società civile capaci di proporre alternative, che avessero ascolto nelle istituzioni globali. Per questo 14 anni fa a Perugia si tenne – prima della marcia – la prima Assemblea dell'Onu dei popoli con un centinaio di rappresentanti di movimenti, associazioni, comunità locali di altrettanti paesi diversi. E due anni dopo, nel 1999, la successiva Assemblea dell'Onu dei popoli si intitolava "Un altro mondo è possibile": tre mesi dopo ci fu la rivolta di Seattle contro l'Omc e un anno e mezzo dopo il primo Forum sociale mondiale di Porto Alegre scelse lo stesso titolo. Incontri di massa di questo tipo tra i movimenti di tutto il mondo sono diventati appuntamenti regolari, e la società civile – con le sue reti, campagne, eventi – è diventata un soggetto visibile e influente sulla scena globale.
Agire ha voluto dire fare dell'economia di giustizia un tema condiviso da centinaia di associazioni ed enti locali, capace di mettere in moto migliaia e migliaia di persone, aprendo la via alle proteste di massa degli anni successivi contro la globalizzazione liberista, fino al G8 di Genova del 2001.
Agire ha voluto dire incalzare la politica ad affrontare le ingiustizie, proporre alternative. Nel 2005 all'Assemblea dell'Onu dei Popoli ci fu un confronto con Romano Prodi, candidato del centro-sinistra alle elezioni (vittoriose) dell'anno successivo. Fece qualche apertura sul ritiro italiano dalla guerra in Iraq – poi realizzato dal governo – ma difese la globalizzazione come forza positiva e l'integrazione europea guidata da mercati e moneta. I risultati di quelle politiche – il crollo del 2008, la crisi dell'euro, disuguaglianze record – sono ora sotto gli occhi di tutti. Chissà se il centro-sinistra saprà imparare dagli errori commessi? Sarebbe interessante un nuovo confronto, a Perugia quest'anno.
Oggi come 14 anni fa i nodi irrisolti restano il potere dei mercati, della finanza e delle imprese, e l'assenza di una politica capace di affrontare le ingiustizie, nazionali e globali. Qui si misura il fallimento di un'Europa che ha costruito la sua integrazione sul liberismo e la finanza, e ora si trova sotto l'attacco della speculazione, divisa e indebolita.
Troppe cose non sono state fatte allora. L'agenda per cambiare non è cambiata. Per limitare il potere della finanza si chiedeva già allora la Tobin Tax sugli scambi di valute. Impensabile e irrealizzabile, ci rispondevano. Ora la fattibilità della tassa sulle transazioni finanziarie è sostenuta da Fondo monetario e Unione europea (Merkel compresa), ma manca ancora la volontà politica di introdurla.
Più aiuti allo sviluppo si chiedevano allora; i governi dei paesi ricchi si sono reimpegnati all'Onu nel 2000 a destinare lo 0,7% del loro Pil agli aiuti allo sviluppo, ma hanno subito mancato le promesse; con la crisi attuale gli aiuti sono i primi tagli effettuati.
Più occupazione e diritti per tutti i lavoratori, si chiedeva. Ora l'Unione europea ha 23 milioni di disoccupati – un problema non diverso da allora – e in più 15 milioni con lavori temporanei, a tempo pieno o parziale: una precarizzazione generale che 14 anni fa non avremmo sospettato.
Le cose non fatte allora sono diventate urgentissime adesso, con l'ingiustizia che si è fatta strada nel nostro paese, i problemi aggravati dalla crisi, la politica sempre più screditata. Le alternative ci sono, oggi come allora. Le forze del cambiamento anche, unite da un filo che attraversa le mobilitazioni di decenni. Pacifisti e movimenti saranno ancora sulla strada da Perugia ad Assisi, l'appuntamento è per la mattina presto, domenica 25 settembre 2011.

L'appello. "Noi Popoli delle Nazioni Unite per un'Economia di Giustizia"


Presentiamo qui l'appello che convocava la Marcia per la pace Perugia-Assisi del 12 ottobre 1997

L'economia mondiale sta diventando sempre più ingiusta e insostenibile: uccide più delle bombe, semina guerre e tensioni, alimenta la povertà, la disoccupazione e l'esclusione sociale. L'abisso che separa una minoranza ricca e la maggioranza impoverita dell'umanità sta diventando sempre più profondo.
Noi popoli delle Nazioni Unite, preoccupati per la colpevole indifferenza che continua a circondare questa realtà e per l'assenza di adeguate politiche nazionali e internazionali capaci di affrontare le radici di tanta sofferenza e miseria, abbiamo deciso di dare vita, il 12 ottobre 1997, alla marcia Perugia-Assisi "per un'Economia di Giustizia".
Negli ultimi cinquant'anni il mondo ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti. La ricchezza pro capite è triplicata. Dovremmo, dunque, stare tutti meglio. E invece... Ogni 3 secondi muore un bambino che non abbiamo saputo proteggere. Le disuguaglianze aumentano. In 102 paesi oggi si vive peggio di 15 anni fa. Nello stesso arco di tempo, il numero dei più ricchi è raddoppiato ma quello dei più poveri è triplicato. Oltre il 60% della popolazione mondiale è costretta a sopravvivere con 2 dollari o meno al giorno. Tre quarti della produzione mondiale sono concentrati nei paesi industrializzati, e appena un quarto nei cosiddetti "paesi in via di sviluppo", dove vive l'80% della popolazione del pianeta. Anche all'interno dei paesi più avanzati aumentano le diseguaglianze tra ricchi e poveri.
L'ingiustizia economica provoca la maggior parte dei conflitti del nostro tempo alimentando instabilità e insicurezza in tutto il mondo. L'impossibilità per molti Stati di svilupparsi economicamente sta moltiplicando le tensioni e le fratture sociali, i danni ambientali, le carestie e la diffusione delle malattie, la crescita della criminalità organizzata, i conflitti per il controllo di risorse vitali come la terra, l'acqua o l'energia, le guerre civili ed etniche, le distruzioni e i profughi.
Quest'ingiustizia affonda le radici in un neoliberismo che non sa rispondere ai veri bisogni delle persone e non rispetta i diritti umani. Essa cresce in un'economia organizzata per il profitto di pochi anziché per il benessere di tutti, che mette il mercato al di sopra delle persone e che privilegia: la competizione selvaggia anziché la cooperazione; i profitti resi possibili dalle disparità anziché la riduzione di esse; le rendite finanziarie e i guadagni speculativi anziché la produzione; la crescita quantitativa dell'economia anziché la qualità e la distribuzione dei beni e dei servizi; lo sfruttamento della natura e dell'ambiente anziché la loro protezione.
Tutti i popoli dovrebbero beneficiare della crescente interdipendenza e dei progressi realizzati in campo scientifico e tecnologico. E invece... priva di ogni regolazione democratica, la globalizzazione dei mercati e dell'economia, con la forte crescita degli scambi commerciali internazionali e degli investimenti esteri delle imprese multinazionali, sta favorendo solo alcuni paesi più forti e alcune élite economiche e sociali, aumentando la marginalizzazione di milioni di persone e dei paesi più poveri del mondo.
L'economia mondiale che sta emergendo è fondata su una "ideologia del mercato e della competizione senza regole" che rischia di travolgere tutto e tutti, in una spirale verso il basso che riduce i salari e la protezione sociale, viola molti diritti umani, crea nuove povertà, provoca l'aumento della disoccupazione, distrugge le risorse e l'ambiente naturale, alimenta la diffusione dell'economia "sporca" e accentua la crisi della democrazia politica.
Di fronte a questa grave realtà è urgente cambiare strada. Occorre innanzitutto:
1. mettere le persone al centro. L'ordine delle priorità va rovesciato. Non sono le persone che devono adattarsi al dominio del mercato, ma è l'economia che deve contribuire a soddisfare i bisogni delle persone. La crescita economica non può essere il fine ma solo un mezzo. Il fine è lo sviluppo umano, in un'economia rispettosa di tutte le diversità sociali, le culture e le identità, come affermato dalla Dichiarazione dell'Onu sul Diritto allo Sviluppo del 1986. Per questo la promozione della crescita economica deve essere riconciliata con l'impegno politico per il pieno impiego, la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, la promozione di pari opportunità per tutti e in particolare per le donne, la salvaguardia dell'ambiente e delle risorse naturali. È paradossale che i processi di integrazione economica siano realizzati aprendo le frontiere alla finanza, agli investimenti, alle merci e non alle persone. Mettere le persone al centro vuol dire anche resistere alla "economicizzazione del mondo", alla diffusione dell'ideologia del mercato in tutte le aree della nostra vita.
2. battersi contro la povertà e le disuguaglianze sociali mediante l'adozione di coerenti politiche e patti locali, nazionali e sovranazionali che coinvolgano anche gli enti locali, le forze sociali e quelle economiche. Siamo la prima generazione che ha i mezzi e le capacità per eliminare la povertà, con tutte le sue conseguenze e i suoi costi umani e sociali. Ciononostante 1 miliardo e 300 milioni di persone sono ai margini di tutto. Molte sono donne, anziani, bambini e bambine. Ogni minuto 47 persone nel mondo diventano povere: circa 70.000 al giorno. Che ne facciamo di loro? Il diritto allo sviluppo è un diritto universale e inalienabile di tutti gli esseri umani o solo di alcuni? La povertà non è solo moralmente ripugnante, ma anche economicamente distruttiva e politicamente pericolosa. Per questo la sua eliminazione deve diventare un obiettivo prioritario sia a livello nazionale che internazionale. Un passo decisivo in questa direzione deve essere la cancellazione del debito estero dei paesi impoveriti, che ha raggiunto la cifra record di circa 2.000 miliardi di dollari, e la revisione del sistema di concessione dei crediti che genera processi insostenibili di indebitamento.
3. creare nuova occupazione e ridare piena dignità al lavoro e ai lavoratori di tutto il mondo. 35 milioni di disoccupati nei paesi industrializzati, di cui oltre 20 milioni in Europa. Più di 700 milioni di persone che, pur lavorando, non sono in grado di dare a se stessi e alla propria famiglia una vita dignitosa. Sono questi i numeri di quella che è la più grave crisi sociale del nostro tempo. Una crisi destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro quando si produrrà sempre di più con molto meno lavoro. Bisogna ricercare nuove politiche nazionali e locali capaci di ridistribuire le ricchezze, di offrire nuova occupazione anche riducendo gli orari di lavoro, di favorire l'accesso paritario delle donne alle risorse, all'occupazione, ai mercati e al commercio, di sostenere lo sviluppo di un'economia plurale e solidale valorizzando il ruolo e le finalità del "Terzo settore" e di stimolare la realizzazione di esperienze, anche di piccola scala, che possono offrire alternative concrete alla disoccupazione. Allo stesso tempo bisogna operare affinché in tutto il mondo siano introdotti e difesi gli standard internazionali che proibiscono lo sfruttamento del lavoro minorile e garantiscono il rispetto dei fondamentali diritti economici e sociali dei lavoratori contenuti nelle Convenzioni fondamentali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e in numerosi altri documenti internazionali.
4. puntare sulla cooperazione a tutti i livelli. Mai come oggi abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale intensa ed efficace. Ma molti governi ritengono che se ne può fare a meno e spesso prevale la miope difesa dei cosidetti "interessi nazionali". Affidarsi alle leggi del mercato e della competizione globale o a misure di carattere nazionale non serve a risolvere i problemi che dobbiamo affrontare e ad assicurare la governabilità del pianeta. A livello internazionale, l'Onu ha promosso una serie di importanti Conferenze, come il Vertice di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo, il Vertice di Copenaghen per lo sviluppo sociale, il Vertice di Pechino sulle donne e il Vertice di Roma sull'alimentazione, nelle quali i governi hanno sottoscritto numerosi impegni che ancora oggi attendono di essere applicati e rispettati. Basti pensare alla cooperazione allo sviluppo: le risorse disponibili nel mondo per l'aiuto ai paesi più poveri hanno toccato il livello più basso degli ultimi 25 anni. Ogni paese ha il dovere di invertire questa tendenza aumentando gli stanziamenti, finalizzando gli interventi alla promozione dello sviluppo umano, accettando un maggiore coordinamento internazionale e promuovendo la cooperazione diretta tra comunità locali.
5. democratizzare l'economia. L'assenza di regole democratiche sulle grandi imprese multinazionali e sulle istituzioni economiche e finanziarie internazionali priva i governi della capacità di controllare le proprie economie e i cittadini di determinare il proprio destino. In particolare, l'assenza di controlli per il rispetto delle Convenzioni dell'OIL e delle norme commerciali internazionali da parte delle grandi imprese multinazionali determina una grave situazione di arbitrio, sfruttamento del lavoro e degrado delle condizioni di vita, del lavoro e dell'ambiente. A livello globale è innanzitutto necessario democratizzare e rafforzare il sistema delle Nazioni Unite, cui spetta il compito di gestire l'interdipendenza, consentendogli di intervenire sulle scelte economiche che sono alla radice dei problemi globali che è chiamato ad affrontare. Occorre procedere alle riforme necessarie perché il Fondo Monetario, la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale per il Commercio agiscano nel rispetto dei principi e degli impegni per lo sviluppo sostenibile fissati dall'Onu, garantendo la trasparenza, la partecipazione e il controllo democratico di tutti i paesi e della società civile. Democratizzare l'economia vuol dire anche modificare quelle regole del commercio internazionale che impediscono il libero accesso ai mercati dei prodotti dei paesi in via di sviluppo. La democratizzazione dell'economia esige, inoltre, una coerente azione anche all'interno dei singoli paesi, delle imprese e dei luoghi di lavoro dove é necessario rimuovere tutte le discriminazioni nei confronti delle donne e promuovere una ripresa di controllo dei governi e dei parlamenti, dei lavoratori e della società civile sui problemi e le scelte da compiere. La democrazia si sviluppa se cresce a tutti i livelli, dalla città all'Onu, e se viene rispettato il principio di sussidiarietà.
6. adottare un modello di sviluppo sostenibile. Pensare di continuare ad espandere l'attuale modello di sviluppo vuol dire alimentare l'ingiustizia e sottrarre diritti alle generazioni future. Bisogna invece ripensare che cosa si produce, come e perché. Bisogna rivedere gli stili di vita personali e collettivi eliminando gli sprechi e gli eccessi, controllando e ripensando i consumi, sostenendo le esperienze di commercio equo e solidale, promuovendo una nuova gestione etica del risparmio. Bisogna mettere fine al deterioramento dell'ambiente da cui dipende il nostro benessere. Le grandi emergenze ambientali (riscaldamento globale, distruzione della biodiversità, deforestazione, desertificazione,...) devono essere al centro dell'impegno degli Stati, delle istituzioni internazionali e degli stessi enti di governo locale.
Questo, noi Popoli delle Nazioni Unite, chiediamo alle grandi imprese, alle istituzioni economiche internazionali, alle forze politiche, ai governi nazionali e all'Onu, dando attuazione a quanto previsto dall'art. 55 della Carta delle Nazioni Unite e agli impegni sottoscritti nelle Convenzioni e nelle grandi Conferenze internazionali. Le risorse non mancano. Per decenni siamo stati capaci di spendere somme enormi per la difesa militare degli stati. Oggi è venuto il momento di spendere quelle stesse risorse per garantire la vera sicurezza delle persone, dei popoli e del pianeta.
La nostra generazione ha la speciale responsabilità di cambiare. Per farlo è necessario passare dalla cultura del dominio e della competizione selvaggia alla cultura della cooperazione e della solidarietà: dalla cultura della guerra alla cultura della pace positiva.
Molto dipende dalle decisioni dei responsabili della politica e dell'economia mondiale. Ma anche ciascuno di noi, donna e uomo, lavoratore, consumatore e risparmiatore, può fare qualcosa: a partire da sè, nella propria famiglia, a scuola o nel luogo di lavoro, nel proprio quartiere o nella propria città.
Abbiamo il diritto di chiedere ma anche il dovere di agire. E, insieme, dobbiamo contribuire a rafforzare la società civile mondiale che sta emergendo attraverso una grande rete di associazioni e organismi di cittadini impegnati nella promozione della pace e dei diritti umani. Anche per questo, dopo le manifestazioni organizzate per il cinquantenario dell'Onu, abbiamo convocato, dal 5 al 12 ottobre 1997, la seconda Assemblea dell'Onu dei Popoli, cui parteciperanno i rappresentanti della società civile di tutto il mondo. Con loro vogliamo dire: basta con "l'ideologia del mercato" e della competizione selvaggia. Lavoriamo insieme per costruire una Economia di Giustizia. Frutto della giustizia sarà la pace.
Perugia, 31 maggio 1997

Riforme e riformismo

Mario Saverio Morsillo

Nel 1980,la casa editrice Einaudi ha pubblicato un interessantissimo libro sul concetto di riforme nel socialismo, intitolato "Riforme e Rivoluzione". In esso, dieci padri nobili del Socialismo europeo post bellico (un nome per tutti : Leo Valiani) spiegano, affabilmente ma senza mezzi termini, i capisaldi teorici della dottrina socialista. Particolarmente interessante è il capitolo curato da Riccardo Lombardi. In esso, l'illustre esponente della Sinistra socialista anticraxiana spiega efficacemente la differenza politico-concettuale tra le Riforme (necessarie al progresso dei diritti dei lavoratori, delle donne, delle categorie e classi sociali disagiate) ed il riformismo, che non scriveremo con l'iniziale maiuscola perchè, per chi non lo sapesse, è un dispregiativo. Il riformismo infatti altro non è che il complice atteggiamento di strutture antioperaie che, fregiandosi arbitrariamente di aggettivi quali 'socialista', 'socialdemocratico', 'sindacato', 'sinistra' ecc. garantiscono la necessaria pace sociale alle classi dominanti, in cambio di qualche briciola, di qualche miserrimo contentino per i lavoratori. In altre parole, il riformista è un valido strumento politico per frenare le conquiste operaie e favorire la permanenza al potere di chi già lo detiene. Più o meno quello che era il sindacato giallo durante il fascismo. Ora, queste cose le ha pubblicate trent'anni fa un parlamentare ed intellettuale del PSI, non Armando Cossutta, Renato Curcio o qualche altro mostro di comunismo militante in grado di turbare i sonni della grassa borghesia.
Poco dopo, mi pare nel 1981, Craxi rifonda la corrente riformista del PSI, con lui a capo. I socialisti lombardiani, i comunisti di Berlinguer e quanti altri avevano titolo a rappresentare la Sinistra in Italia, gridarono al tradimento, ed iniziarono una in verità troppo morbida lotta contro l'ex compagno craxiano.
La particolare posizione politica del Psi ed il potere della corruzione fecero sì che i craxiani potessero sbaragliare i lombardiani, ed altresì umiliare l'opposizione comunista, che, dopo la morte di Berlinguer (1984) fu guidato da una dirigenza a voler essere generosi incapace.
Dopo una diplomatica malattia del segretario del Partito, Natta, il suo ruolo fu preso da un cialtrone, Achille Occhetto, che negli anni'60 era stato filosovietico (lo era la maggioranza del Partito), negli anni'70 ingraiano (Berlinguer non si fidava di lui), da segretario di quello che si chiamava ancora Partito Comunista Italiano, che si inventa Occhetto, per buttare a mare 70 anni di sia pur controversa storia del movimento operaio italiano? Si inventa una nuova fase politica: il RIFORMISMO FORTE. Abbiamo detto prima cos'è il riformismo, prendendo spunto da Riccardo Lombardi. Gli effetti della cosiddetta sinistra riformista sono sotto gli occhi di tutti.

giovedì 15 settembre 2011

Forse le terme romane di Frosinone hanno una speranza

Prc Frosinone Circolo Carlo Giuliani

Il consiglio comunale del 14 settembre ha portato una novità nel comune di Frosinone,  importante soprattutto in un periodo come quello presente. Dall’aula consiliare è arrivato il messaggio che non sempre gli interessi dei privati riescono a prevalere su quelli della comunità, e soprattutto che se i cittadini riescono ad unire le forze è possibile arrestare quei meccanismi, ben collaudati e diffusi nel passato e nel presente, tramite i quali immensi patrimoni pubblici sono andati persi o svalutati. Due mozioni, una presentata dalla consulta delle associazioni con la firma di 750 cittadini, ed una messa a punto nel circolo Carlo Giuliani del Prc di Frosinone e presentata dal consigliere Smania della lista “la sinistra” (Prc, Verdi, Pdci), riguardavano il problema della salvaguardia del sito archeologico posto nei pressi della villa comunale. La mozione della lista la sinistra aveva come punto centrale il  blocco di qualsiasi permesso a costruire nelle aree private adiacenti senza una precedente valutazione dell’importanza dei reperti archeologici presenti nell’area pubblica. Quindi fino a che non verranno portati a termine nell'area pubblica i lavori in precedenza bloccati per mancanza di fondi per riportare alla luce i resti delle terme romane, non si può concedere nessun permesso alla costruzione nelle aree private adiacenti. La mozione presentata dalle associazioni invece oltre a chiedere che si ponessero i vincoli all’area, presentava anche un progetto di parco archeologico da sviluppare nell’area stessa. C’è da dire che le due mozioni, che si completano a vicenda, sono state presentate indipendentemente l’una dall’altra, visto che la mozione della lista La Sinistra era stata presentata già in un consiglio comunale a giugno e non era stata discussa per mancanza del numero legale. Un esempio quindi del fatto che se politica e società civile lavorano insieme sulla base di obiettivi comuni, i risultati si ottengono, eccome se si ottengono.


PULIAMO IL MONDO 2011 A FROSINONE

FRANCESCO RAFFA ASSESSORE ALL'AMBIENTE DEL COMUNE DI FROSINONE
ANTONIO SETALE  PRESIDENTE CIRCOLO LEGAMBIENTE "IL CIGNO"

"NON ASPETTARE CHE LO FACCIANO GLI ALTRI" FAI QUALCOSA ANCHE TU PULIAMO IL MONDO INSIEME IGNORARE IL PROBLEMA DEI RIFIUTI ABBRUTTISCE IL MONDO E TI FA REGREDIRE COME PERSONA IL 18 SETTEMBRE UNISCITI A NOI E PARTECIPA A PULIAMO IL MONDO SARA´ TRA L´ALTRO UNA OTTIMA OCCASIONE PER LIBERARTI DEI TUOI RIFIUTI INGOMBRANTI E DEI RIFIUTI DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE (RAEE)



L'anno scorso al Casaleno

Terme Romane una battaglia Vinta

Luciano Bragaglia    

Una battaglia, sulle TERME ROMANE", è stata vinta.... Questa sera il consiglio comunale ha votato all'unanimità la delibera presentata dalla Consulta delle Associazioni, per volontà di 916 cittadini e 22 associazioni firmatari. E' la prima volta che a Frosinone si svolge un consiglio comunale per volere civico dei cittadini. E' una grande apertura al cambiamento... Non mi stancherò mai di dire che: "La città non è di chi la governa ma di chi la vive". 
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Le associazioni e i cittadini prendono atto con soddisfazione dell’approvazione all’unanimità dei presenti della proposta di delibera popolare firmata da 916 cittadini, promossa dalle associazioni e presentata a norma dell’articolo 54 dello Statuto comunale lo scorso 17 giugno. Nella proposta di delibera in questione si chiedeva al Consiglio comunale di:

• Avviare tutte le iniziative necessarie atte alla salvaguardia, attraverso l’apposizione dei vincoli diretti ed indiretti, alla tutela e alla valorizzazione dell’intera area archeologica in oggetto, vista anche la disponibilità espressa dall’Assessorato alla Cultura dell’Amministrazione Provinciale, con nota del 22 marzo c. a., prot. 37310.
La valorizzazione dell’area in esame, destinandola in parte anche ad area museale e il recupero dei vari beni archeologici rinvenuti nel corso degli anni su tutto il territorio comunale, beni di indubbio valore archeologico e storico, rappresenterebbe un’occasione per la crescita economica e culturale della città, essa si arricchirebbe di un patrimonio che la renderebbe più attraente, sviluppando da una parte il senso di appartenenza dei cittadini al proprio territorio e dall’altra l’attrattiva turistica.
Un progetto di recupero promosso dal Comune e concordato con le Amministrazioni Regionale e Provinciale, partecipato ed arricchito dalla presenza dei giovani del Polo Didattico Artistico e dell’Accademia di Belle Arti con indirizzo Beni Culturali, realizzerebbe le premesse per la crescita della qualità della vita culturale e sociale della città.
• Avviare, unitamente alla Provincia, alla Regione e alle Università del territorio laziale, un progetto di ricerca e di studio sulla civiltà volsca, con la finalità di arricchire le conoscenze delle nostre origini e di dar vita ad un museo nazionale dedicato all’antico popolo.
• A pianificare una corretta gestione del territorio comunale, attraverso la redazione di una Carta Archeologica, con la finalità di tutelare preventivamente tutte quelle zone ritenute di interesse archeologico;
• A costituire una commissione di esperti, espressione dell’Associazionismo di tutela dell’Ambiente e del Territorio che, in collaborazione con i funzionari di zona della Soprintendenza e con la Direzione del locale Museo Archeologico, possa esercitare azioni di verifica e di controllo del territorio anche in occasione di scavi e ricerche archeologici, al fine di arginare il fenomeno del saccheggio e della distruzione del patrimonio.
Gli emendamenti proposti e votati non alterano la sostanza di tali proposte ed evidenziano la volontà del Consiglio comunale di determinare un’inversione di tendenza rispetto al passato per porre il patrimonio archeologico, la cultura e le risorse del territorio al centro delle dinamiche di sviluppo future della città. Nel Consiglio comunale di ieri le associazioni e i cittadini hanno chiesto formalmente di invitare i titolari della Nuova Immobiliare a fare un passo indietro per contribuire all’acquisizione dell’area da parte del Comune, nell’interesse generale della città. In questo modo si promuoverebbe una nuova idea del ruolo del capitale privato e della sua remunerazione, per favorire un progresso al servizio della collettività, senza aggredire il territorio e distruggere i suoi valori e le sue risorse.
Nel frattempo continua il confronto con le Istituzioni per dare seguito e realizzazione alle decisioni assunte. A tal proposito nella prossima settimana la Consulta e le associazioni si riuniranno per definire un programma di impegni e di iniziative.

Frosinone, lì 15 settembre 2011 La Consulta delle Associazioni di Frosinone

Il presidente Francesco Notarcola

 

La solitudine esistenziale dell’uomo precario. L’esasperazione come lacerazione sociale

Giuseppina Bonaviri


Ad un lavoratore del nuovo mercato globale sono richiesti dei requisiti di personalità fondamentali per la sua sopravvivenza lavorativa e per la sua carriera: l’adattabilità e la flessibilità. “Nei paesi centrali a capitalismo maturo si conferma l’omogeneità tendenziale dei lavoratori e del lavoro, con la riduzione progressiva della divisione tra lavoro manuale ed intellettuale, che annulla le differenziazioni basate sul titolo di studio; un lavoro  che esige tanto dai lavoratori regolari quanto dai precari, un’adattabilità a qualsiasi esigenza del processo produttivo”. Analizzando lo scenario della flessibilità lavorativa ed osservando con sensibilità le conseguenze  sulle vite personali possiamo dire che  la flessibilità quale indice di  capacità di resistere ad una forza sia quella di tornare alla situazione precedente. Dal punto di vista ideale, il comportamento umano dovrebbe avere le stesse caratteristiche: sapersi adattare al mutare della circostanze senza farsi spezzare. Flessibilità e adattabilità a prima vista fanno pensare alla capacità d’apertura al cambiamento, alla libertà di agire e di scegliere seguendo la propria indole; in realtà rappresentano risposte a situazioni in cui si rischia di rimanere in balia degli eventi, dovuti, in questo caso, alla precarietà della realtà lavorativa. Diventa necessario essere flessibili ed adattabili per sopravvivere . Quando un lavoratore, per motivi che rispondono esclusivamente a leggi produttive o di mercato, è declassato o non si vede riconosciuto nelle proprie attitudini, subisce, sul piano psicologico un  danno, spesso sottovalutato se non del tutto ignorato: l’identificazione lavorativa, l’autostima, il sistema delle sue motivazioni, l’organizzazione delle sue personali sicurezze vengono meno. Ciò crea una habitus mentale caratterizzato da malessere, dal timore di non poter tornare ad avere più una vita personale adeguata e, l’angoscia legata alla consapevolezza di non riuscire ad assolvere i bisogni primari, diventa un processo che rende precario tutto il vivere sociale. Questa condizione di precarizzazione, di rischio e d’incertezza che investe ogni forma di lavoro e dentro cui  anche la posizione più privilegiata può rivelarsi meramente temporanea  conduce a sentimenti dove l’insicurezza strutturale e la disseminazione di paure fondano l’insorgere di un malessere  volubile e incapace di vivere da “contemporaneo” gli avvenimenti dell’ambiente. Non si partecipa e si ha la costante sensazione di restare indietro in rapporto alla vita e asintonici col divenire quotidiano. Si aggiunge cosi il sentimento d’impotenza, ovvero quello che comunemente e fisiologicamente accompagna la vecchiaia: la consapevolezza di non essere in grado di seguire il ritmo espansivo della vita e di vedere l’avvenire come un rapido incamminarsi verso la morte. Quando l’avvenire diventa irraggiungibile può spuntare uno stato di disagio nella persona meglio definibile come stato depressivo che graverà ancor più sull’economia di un paese e sul controllo dell’individuo. Sono fondamentali, in uno stato di diritto e di libera democrazia, misure politiche che garantiscano  cittadinanza contro l’umiliazione di una esclusione sociale fallimentare voluta ad hoc da una classe di politici inetti ed capaci solo di malaffare e che stanno trasportano l’Italia alla deriva.

La Morte dei cervelli

Giuseppina Bonaviri


Per la Chiesa la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano e questo in verità oggi lo viviamo grazie alla inerzia di una classe politica-amministrativa che così ha decretato per tutti gli essere umani.
La mente ed il pensiero hanno un enorme effetto sulla chimica del corpo e sul funzionamento degli organi e delle ghiandole, possono alterarne la struttura chimica: impresa impossibile per la scienza ma, non sembrerebbe, per la nostra classe dirigente che da tempo ha indotto la morte cerebrale di molti di noi. Posto del DNA in un contenitore si scoprì, molti anni fa, che cambiava forma a seconda dei pensieri e delle emozioni del donatore. I pensieri hanno, in verità, effetti positivi o negativi sul DNA e possono far ammalare o guarire. Così come chi ci governa?
Se il concetto di vita è ancora sconosciuto e noto solo in via indiretta perché paragonato al concetto di morte, di contro la morte è da ridursi ad una totale "disattivazione" d’ogni attività biologica. Siamo di fronte ad un modello biologico che non ha eguali, di fronte a realtà opposte- la vita e la morte- dove neanche la genetica più raffinata può.
Al pari siamo di fronte ad un paese che personifica e protagonizza oligarchie privilegiate e di casta che, nei loro discorsi ed appelli, enfatizzano la necessità di affrontare l'epoca delle sfide e delle opportunità.
Un nuovo modello di organizzazione economica, tecnologica e amministrativa, insomma, praticamente generalizzato in ogni luogo, indotta e globalizzata, dove prevalgono nuove forme di povertà, la disintegrazione delle culture, la precarizzazione, lo spopolamento delle campagne, la falsa femminizzazione del mercato del lavoro, l’azzeramento delle coscienze e delle scienze, la depersonificazione che fenomenologicamente sfugge persino al Creato.
Massimizzare e subire, parola d’ordine! Estendere le frontiere della nostra  conoscenza, risvegliandosi dal sopore o rassegnarsi alla ragione l'esclusività ?
Se così è dove pensiamo di andare?



mercoledì 14 settembre 2011

LE OMELIE DEL CARDINAL D'ALEMA...A QUANDO LA SUA GARROTAZIONE IN PUBBLICA PIAZZA?...


L’ex leader Pci parla come un cardinale: “Famiglia finalizzata alla procreazione”
di Silvia Truzzi

Allarme per un caso di sdoppiamento della personalità a Ostia. In data 9 settembre, ma la notizia si è appresa solo ieri, si è presentato sul palco della Festa dell’Unità il vice conte vaticano Massimo D’Alema (dovrebbero almeno scrivere la d del cognome minuscola), al posto dell’omonimo – e notoriamente “intelligente” – compagno Massimo D’Alema. I primi sospetti sono venuti alla platea quando D’Alema ha parlato dell’esenzione Ici per gli immobili della Chiesa: “Effettivamente bisognerebbe che fossero esenti solo gli edifici adibiti al culto e alle associazioni di beneficenza. Bisognerebbe fare un censimento. Comunque con tutti i problemi che ci sono in Italia...”. Poi si esibisce sul suo argomento preferito: se medesimo, interrogato sui meriti araldico-equestri. E spiega: “Sì, il Vaticano mi ha insignito di questa onorificenza quando ero ministro degli Esteri, perché accompagnavo il presidente Napolitano in visita ufficiale”. Zoro, con lui sul palco, lo rintuzza: “La notizia è uscita sul Fatto e sul Giornale, vero?”. E lui: “Sì, in contemporanea. Credo siano una joint venture”. E poi: “Non c’è limite alla monnezza”. (Grazie, onorevole, le sue ingiurie per noi “tecnicamente fascisti” sono un titolo, se non nobiliare, di merito. Tuttavia, meglio rimpinguare l’ufficio stampa: la notizia è uscita prima sul Fatto e poi sul Giornale). Ce n’è pure per la questione morale e Mani Pulite: “Si è scoperto che Greganti prese i soldi per comprarsi un appartamento”. Omette, l’ex leader, di ricordare che i soldi Greganti li prese da quel Bruno Binasco oggi coinvolto nell’inchiesta sull’ex area Falck (quella di Penati), per via di un passaggio di denaro che avviene, la storia si ripete, con il pagamento di una caparra per un immobile. Il meglio però, il vice-conte Max, lo dà sui diritti civili: “Il matrimonio come è previsto dalla Costituzione del nostro Paese, se non la si cambia, è l'unione tra persone di sesso diverso finalizzata alla procreazione. Tra l’uomo e la donna: questo dice la Costituzione”. Il che non è esattamente vero: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare” (articolo 29). Vero che una sentenza della Corte costituzionale (138/2010) chiarisce che i Costituenti si riferivano al matrimonio eterosessuale, ma è tutto da dimostrare che per introdurre il matrimonio gay sia necessaria una legge di rango costituzionale. E comunque la “procreazione come fine del matrimonio” più che un dettato costituzionale sembra un’omelia papale. Certamente non il discorso di un leader progressista.
Comunque un errore politico. La cosa infatti fa imbufalire le associazioni gay: “Affermazioni talmente rozze da risultare incredibili” (Paolo Patanè, presidente di Arcigay). “Svelano nel miglior modo possibile il guaio di una sinistra italiana che deve combattere con una zavorra culturale (prima che politica) che D’Alema rappresenta al meglio”. (Associazione radicale Certi diritti). Anche il vicepresidente del Pd, Ivan Scalfarotto, non la prende bene: “Queste parole starebbero bene in bocca a un popolare spagnolo di 70 anni, cresciuto con Fraga Iribarne. O a qualche parruccone conservatore infilato tra i pari del regno dopo la caduta di Lady Thatcher. Sulla pari dignità delle persone non si scherza, né si può pensare di evitare le domande che i cittadini legittimamente ci porranno. Se non lo capiamo da soli, saranno loro a farcelo capire. Non è una responsabilità da poco. Sveglia, Massimo, sveglia”. Pippo Civati massaggia D’Alema a proposito di un’altra dichiarazione (“Oggi i grandi temi del governo del Paese – rimettere in movimento l'economia e premiare il lavoro – richiedono una larga coalizione”: scambiamoci un segno di pace, Pier Ferdinando). Dice il consigliere regionale lombardo: “Scalfarotto ha ragione. Tra l'altro, rispetto all'alleanza con l'Udc, anche sul ‘piano del governo’ avrei molto da dire. Perché oltre ai diritti civili, c'è qualche problema anche rispetto alle scelte economiche, al mercato del lavoro, ai contributi alle famiglie, al sostegno alla scuola pubblica, alle questioni che riguardano l'energia e i servizi di pubblica utilità. Tutte cose che riguardano il tema del governo, per riformare lo Stato, rimettere in movimento l'economia e premiare il lavoro. Appunto”. In serata il leader che ha collezionato più elezioni perse della storia ha chiarito il suo pensiero: “La mia vita politica testimonia che ho sempre difeso i diritti degli omosessuali contro ogni forma di discriminazione e di omofobia”. Come direbbe Totò, miseria e nobiltà.

SIAMO TUTTI SULLA TORRE!

Matteo Frigerio (da Milano) Lega Internazionale dei lavoratori



Milano: intervista agli immigrati in lotta
 
A Milano, in piazzale Selinunte, spicca uno striscione che scende dalla cima della torre dove sono saliti due immigrati per iniziare una nuova battaglia per vita e per la dignità. Lo striscione recita: “Lavoriamo ma senza diritti”. Ai piedi della torre il presidio d’immigrati con la presenza di qualche italiano, altri striscioni e cartelloni, tra cui uno contro la legge sull’immigrazione “Bossi-Fini fabbrica di clandestini”, firmato dal Comitato Immigrati di Milano, un cartellone di solidarietà degli indiñados, e alcune bandiere: egiziane, palestinesi e anche una italiana. C’è qualche giornalista che parla con i ragazzi del presidio; si sente parlare di questo o quel dirigente che è passato, di quello che ha detto o non detto il sindaco. Due giovani italiani, Matteo ed Erica, volontari presso il centro sociale T-28 dove insegnano italiano ai lavoratori stranieri, sono insieme con gli altri a sostenere il presidio e raccontano che gli immigrati che conoscono sono, nella maggior parte dei casi, senza permesso di soggiorno, cosa questa che li espone ai ricatti dei padroni, oltre a spingerli ad accettare ogni lavoro in nero, a lavorare anche oltre 8 ore il giorno. Problemi che esistono in tutta Italia, e non solo a Milano, ed è sempre utile ricordare cosa sono costretti a sopportare questi lavoratori per poter sopravvivere. Parlando della giunta di centrosinistra, ad una nostra domanda, i ragazzi commentano che considerate le attuali priorità dell’Amministrazione di Milano, le promesse elettorali saranno disattese. Intanto il presidio si riunisce tutte le sere alle ore 20, sotto la torre, per un’assemblea pubblica che ha il compito di decidere come continuare la lotta.
Parlando con gli immigrati del presidio, in particolare con Rhouma Youness del Comitato Immigrati di Milano, chiediamo  immediatamente informazioni sui due lavoratori immigrati sulla torre, che vengono da Egitto e Marocco, e sulle ragioni della lotta. Obiettivo principale e immediato della protesta è la sanatoria del 2009 per colf e badanti, ormai conosciuta come la "sanatoria truffa". Per accedere a questa sanatoria, gli immigrati clandestini devono avere un datore di lavoro che garantisca che hanno un’occupazione: questo espone i lavoratori ai ricatti del padronato, che ne approfitta per comprimere ulteriormente i diritti già minimi degli immigrati facendo pendere sulla loro testa la “spada di Damocle” dell’espulsione. Oltre a questo tutti gli immigrati, al momento di presentare la domanda, devono pagare una tassa di 500 euro, che non sarà restituita nel caso la domanda non vada a buon fine. Ci sono poi anche casi d’immigrati che sono stati truffati da persone che si proponevano come intermediari per sbrigare le pratiche. Da questa situazione era già nata una protesta analoga nel 2009, a Brescia e a Milano. Chiedo agli immigrati di parlarmi un po’ di questa prima protesta e del suo fallimento, che ha poi portato alla lotta odierna. Rhouma mi dice che quando hanno iniziato la protesta, nel 2009, i sindacati confederali hanno incontrato il prefetto senza nemmeno chiedere agli immigrati quali fossero le loro precise richieste.
 
I sindacati confederali e la demoralizzazione delle lotte
Secondo Rhouma “la Cgil ha cercato di dividere gli immigrati, cercando di emarginare chi ha protestato in modo radicale contro la sanatoria. Non ha fatto nulla per approfondire la lotta. Sembra quasi che Maroni abbia delegato la Cgil per dividere le lotte e bloccarle” ci dice.  La lotta di due anni fa si è fermata appunto per una divisione interna al Comitato causata dalla linea della Cgil. E quindi ci spiega che i sindacati hanno avuto in quel periodo alcuni incontri col prefetto ritenuti dai sindacati stessi incontri di successo ma che in realtà non hanno portato ad un solo permesso di soggiorno per gli operai. “Ormai ci fidiamo solo di chi lotta insieme con noi” ripete.
Ovviamente le istituzioni borghesi sono completamente indifferenti alle problematiche degli immigrati; raccontano, infatti, che ad una manifestazione tenutasi il 29 dicembre scorso per sapere che fine avesse fatto il tavolo sull’immigrazione promesso dopo l’incontro sindacati-prefetto, dalla prefettura si è loro risposto con chiarezza cristallina: “Non c’è nessun tavolo”.
 
La piattaforma di lotta degli immigrati
Le richieste dei lavoratori immigrati seguono una piattaforma rivendicativa in continuità con le lotte precedenti, formata da sei rivendicazioni:
1. Rilascio del permesso di soggiorno a tutti quelli che hanno pagato per la sanatoria.
2. Prolungamento del permesso per chi perde i requisiti per il rinnovo (casa e lavoro).
3. Permesso di soggiorno per chi denuncia il lavoro nero (secondo le direttive della Comunità Europea del 2009 riguardo alla lotta al lavoro nero).
4. Cittadinanza per chi nasce e vive in Italia.
5. Diritto al voto per chi risiede in Italia da più di 5 anni.
6. Diritto all’asilo politico che, di fatto, in Italia oggi è negato.
Rhouma dice che questa è la piattaforma di base, stabilita già dalle lotte precedenti, ma ora gli immigrati stanno valutando di approfondirla, perché gli sviluppi della situazione vanno in senso opposto a quello che loro vorrebbero, sono sempre più negativi. Si propongono, infatti, di ottenere una revisione generale della condizione degli immigrati nel nostro Paese in quanto, per effetto della legge Bossi-Fini che lega il permesso di soggiorno al lavoro, non possono che arrivare come clandestini, vivendo costantemente in uno stato d’incertezza e sfruttamento. Gli obiettivi immediati della lotta sono al momento soprattutto l’assegnazione dei permessi legati alla sanatoria truffa e del diritto d’asilo. Sul primo punto sono chiarissimi: “Chi ha pagato deve avere il permesso di soggiorno altrimenti perché lo Stato ha preso i soldi? Se lo Stato non rilascia i permessi già pagati, allora significa che lo Stato stesso è un truffatore”.
Riguardo al diritto d’asilo, si percepisce l’apprensione degli immigrati del presidio per i loro fratelli che sono chiusi nei Cie (Centri d’ identificazione ed espulsione) o, peggio, respinti verso la morte nel Mediterraneo. Chiedono che il diritto d’asilo sia riconosciuto e sia effettivo, con un aiuto concreto per trovare una dimora degna ai riugiati e per il loro sostentamento.
 
Anche i lavoratori immigrati sono per l’unità delle lotte
Per concludere questa breve intervista, chiediamo a Rhouma se vuole fare un appello alla solidarietà. Ci dice: “Noi siamo qui e chiamiamo tutti i lavoratori, immigrati e italiani, tutti i disoccupati, italiani e immigrati, e tutti gli studenti, italiani e immigrati, ad unirsi alla nostra lotta. Noi siamo qui per portare ad un percorso d’unione delle lotte”.
A questo proposito, il Comitato sta valutando la possibile adesione allo sciopero che la CUB ha indetto contro la manovra finanziaria.
Questa posizione è un’altra dimostrazione che l’unità delle lotte tra tutti gli sfruttati è un’esigenza reale che i lavoratori riconoscono e che conferma ulteriormente la giustezza della battaglia dei compagni del PdAC che militano in “Unire le lotte – Area classista Usb” e di tutti i compagni che organizzano la medesima battaglia negli altri sindacati di base e nella Cgil.
Ci auguriamo che la voglia di lottare dei lavoratori immigrati ed il loro invito siano accolti da tutti i lavoratori d’ogni nazione, per farla finita col capitalismo in crisi e per la rivoluzione internazionale per poter arrivare finalmente al  potere dei lavoratori, in quest’autunno che si prospetta come il più caldo da molti anni.
 
 
(ringraziamo Alberto Francia, autore delle foto pubblicate in questa news)
 

L' insognata , lo sposo......la famiglia allargata

Fausta L'insognata Dumano


Stasera Andrea,quello che si insogna la rivoluzione, mi ha invitato ad un party serale,ero un po' indecisa, conoscevo il locale, ma nel corso degli anni ha cambiato  spesso denominazione,erano anni che non salivo quelle scale, conoscevo lo sposo, ma siccome seguo poco il gossip, non conoscevo la famiglia allargata, tra separazioni,divorzi,nuove convivenze, figli che vanno e vengono......l' ambiente insomma non mi era molto familiare,in fondo conosco la città dal basso, i problemi quotidiani, ma non conosco quelli che ingarbugliano i fili della matassa.  Ogni volta che seguo ANDREA.......MI RITROVO COINVOLTA  IN FILM SURREALI.......avete presente quella volta che sono finita nella sede dell' anonima alcolisti per cambiare il mondo......la rivoluzione dei comunisti che non volevano la bonino????o quella sera  che ho scoperto un rosario in una bandiera rossa????Stasera al party gli invitati erano ''tutti di sinistra'',quando si dice che gli invitati erano tutti di sinistra......bisogna ricordarsi che la famiglia sinistra è una famiglia allargata dall' udc al prc, In questa città l' udc è di sinistra......Avevo promesso  di starmene zitta ad ascoltare , ma all' improvviso un prurito......si parlava di quel pianeta  la scuola, ops  i presidi fanno i magheggi , ci sono iscrizioni in blocco da una scuola elementare ad una scuola media, le scuole vanno di moda a periodi alterni, creando problemi di struttura, la soluzione è ''OBBLIGARE SECONDO LA RESIDENZA a frequentare una scuola......gli studenti fanno '' il flash mob ''protestano per la mancanza di strutture......per le navette???? Sono dei fannulloni......Incredibile sentir parlare di scuola da chi non sa che le nomine le fa il provveditore, che esistono gli accorpamenti, che la scuola ha pagato un prezzo altissimo nei tagli......Ancora non si è placata l' aria  che la famiglia allargata comincia a litigare sugli sceriffi, i parenti dello sposo , che sono riuniti nella sigla pd non vogliano gli sceriffi, i vigili urbani con la pistola, i parenti della sposa, socialisti vogliono gli sceriffi  armati così il cittadino si sente protetto. Il party sembra prendere una brutta piega, qualcuno minaccia di riprendersi gli oggetti portati in dote, qualcuno chiede  prove di fedeltà, molti rivendicano di essere andati sull' altare vergini......La sera scende, c'è una partita di pallone, che salva in estremis il lancio dei piatti dalla finestra.......domani è un altro giorno lo sposo ......saprà in consiglio comunale se la sua famiglia allargata resiste......in fondo il matrimonio non è bello se non è litigarello......nel party  non ci sono fotografi......ops per la paletta, cifre da capogiro, quanto costa la sicurezza in città, le telecamere........sono proprio insognata io mi sentire più tranquilla con i lampioni accesi e i locali aperti, so proprio.....insognata.........A 'na certa mi guardo il vestito e mi accorgo che mi serve un vestito diverso, pure se torno a casa nell' armadio non trovo un abito giusto, prendo la borsa e me ne vado ..........Appena scendo le scale,bvmi accorgo che fuori sono vestiti come me........ecco perchè la gente non partecipa ai party, stanno contando gli spiccioli rimasti, non sanno come fare a comprare i libri , l' abbonamento geaf è  aumentato......hanno un contratto a termine.Dentro e fuori il party due avverbi assordanti, fino a quando il dentro non esce fuori, il fuori non entra dentro.....DENTRO E FUORI DUE AVVERBI ASSORDANTI

Silvio, ci pensi tu ai familiari di Frosinone?

Stefano Corradino, fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

martedì 13 settembre 2011

NO TAV 12.09.11 Nina e Marianna libere subito!

Mr. RossoLupo

IMMAGINI DEL PRESIDIO TRASFORMATOSI IN CORTEO IN SOLIDARIETA' A DUE GIOVANI DONNE NO TAV ATTUALMENTE IN CARCERE; ARRESTATE DURATNTE L'ASSEDIO AL FORTINO DELA MADDALENA DI CHIOMONTE DI VENERDI' 9.

Respinto il ricorso di ACEA ATO5 S.p.A.

Fulvio Pica

Cari amici e amiche,
ennesima sconfitta di l'ACEA ATO5 S.p.A. nelle aule di tribunale. Il Tribunale ordinario di Roma ha respinto il ricorso che Acea Ato5 Spa  aveva presentato per inibire all’AATO5 di escutere la fideiussione e al garante l’azione di rivalsa nei confronti della stessa ricorrente qualora avesse nel frattempo dato corso al pagamento senza opporre l’exceptio doli. Il giudice, tra le varie motivazioni, ha determinato  che le contestazioni avanzate da Acea Ato5 Spa in merito all’adeguamento della tariffa idrica “non rendono illegittima o contraria ai principi di  buona fede contrattuale l’escussione della garanzia”. Quindi, non solo l’escussione della garanzia di 2.843.622,02 euro attivata dall’AATO5 è  legittima ma Acea Ato5 Spa è stata condannata al pagamento delle spese di lite sia nei confronti di AATO5 sia nei confronti del garante  Unicredit Spa.

Il gestore è alla frutta e bisogna dargli il colpo mortale.

I n v i t o

Francesco Notarcola

Domani, 14 settembre, alle ore 18, Il consiglio comunale del Capoluogo  discuterà la proposta, sottoscritta da 916 cittadini, per salvare le
TERME  ROMANE ED IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DELLA NOSTRA CITTA’.


Le proposte avanzate, dopo tante iniziative, incontri, confronti e dibattiti, tendono a mettere fine al saccheggio ed allo scempio del territorio e delle sue ricchezze.
La presenza dei cittadini e delle associazioni è decisiva per far rispettare la volontà popolare.


Partecipare è doveroso per contribuire a determinare un risultato positivo.





lunedì 12 settembre 2011

Le cinque grandi ruberie al tesoretto italiano

Paolo Berdini  su il manifesto del 11/09/2011

C'è un'immensa cassaforte con cui sanare il Paese ma che nessuno vuole aprire. Nella fauci dei poteri forti gettiamo ogni anno il valore di una finanziaria

La manovra economica approvata dal Senato non taglia gli sperperi della spesa pubblica. All'ultimo istante sono state risparmiate anche le prebende della casta parlamentare e nonostante quanto emerge dall'inchiesta sul sistema Sesto San Giovanni - e cioè il gigantesco intreccio tra l'uso della spesa pubblica e dell'urbanistica contrattata per fare cassa a favore delle lobby politico imprenditoriali - né la maggioranza né l'opposizione hanno posto all'ordine del giorno il prosciugamento del fiume di denaro pubblico che sfugge ad ogni controllo democratico. Il "sistema Penati" sta lì a dimostrare che esiste una gigantesca cassaforte piena di risorse che non viene neppure sfiorata dai provvedimenti economici in discussione in Parlamento: lì c'è un grande tesoro che permetterebbe di non tagliare lo stato sociale e risanare il paese.

Il tema del taglio al malgoverno urbano tornerà sicuramente all'ordine del giorno perché tra qualche mese ricomincerà la grancassa del «non ci sono i soldi» e - complici le autorità europee - ripartirà la rincorsa per tagliare i servizi, tagliare le pensioni, vendere le proprietà pubbliche. Vale dunque la pena ragionare sulle possibilità di rovesciare i canoni del ragionamento fin qui egemone per interrompere una volta per tutte la grande rapina dei beni comuni, delle città e del territorio.

Il denaro pubblico viene intercettato dalle lobby politico-imprenditoriali attraverso sei grandi modalità. La prima riguarda le opere pubbliche. Il volume degli investimenti pubblici nei grandi appalti è pari a circa 20 miliardi di euro ogni anno. Appena pochi mesi fa un giovane "imprenditore" (Anemone) con il fiume di soldi guadagnato in generosi appalti offerti dalla cricca Bertolaso ha potuto permettersi di contribuire all'acquisto di una casa per l'ignaro ministro Scajola: quasi un milione di euro. Ad essere prudenti una percentuale intorno al 20% ingrassa le tasche della politica corrotta e delle lobby: 4 miliardi ogni anno. Qualche tempo fa ci hanno ubriacato con l'esempio virtuoso dell'unificazione degli acquisti delle siringhe per il sistema sanitario nazionale perché ogni regione spendeva somme differenti. Tanto rigore per pochi spiccioli, mentre non sappiamo controllare quanto costa costruire una scuola o una strada.

Un secondo capitolo strettamente connesso al precedente è che molte opere pubbliche non servono alla collettività, ma vengono decise da sindaci che si sentono abilitati a compiere qualsiasi nefandezza perché «eletti dal popolo». Come a Parma, dove una falange di amministratori ha sperperato miliardi di euro in grandi e inutili opere. Ora il comune è sull'orlo della bancarotta (seicento milioni) e il sindaco è ancora lì, barricato nel palazzo. O come nel caso della faraonica piscina voluta dall'ex sindaco di Roma Veltroni a Tor Vergata: occorrerà spendere un miliardo di euro per farla funzionare. O, come emerge dall'inchiesta di Sesto San Giovanni, appalti inventati appositamente per rimpolpare i bilanci delle aziende pagatrici di tangenti (la milionaria illuminazione della tangenziale, ad esempio), o attraverso l'affidamento a prezzi protetti di servizi pubblici, come il trasporto urbano. Anche in questo caso una stima prudente ci porta a dire che possono essere risparmiati almeno 4 miliardi ogni anno.

Ci sono poi le poste maggiori: quelle che intercettano la spesa pubblica corrente. Per la sanità pubblica si spendono oltre duecento miliardi di euro all'anno e ci si è dimenticati troppo in fretta lo scandalo della sanità della Puglia, quelli ricorrenti di Milano e della Lombardia, quello del Lazio di Storace, della Liguria, dell'Abruzzo. Episodi che derivano dall'uso spregiudicato del taglio delle prestazioni pubbliche e il loro affidamento - a prezzi senza controlli - agli amici di turno. Riportando a sistema la spesa sanitaria c'è spazio per risparmiare decine e decine di miliardi di euro.

C'è poi il capitolo della "privatizzazione" della pubblica amministrazione che sta distruggendo lo Stato e - contemporaneamente - ci costa un fiume di soldi. Il fedele collaboratore di Giulio Tremonti, Marco Milanese, arrotondava il suo non modesto stipendio da parlamentare con consulenze milionarie a carico di istituzioni pubbliche. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che una giovane di 33 anni, di indubbie attitudini artistiche, era stata nominata consulente della Finmeccanica a spese nostre. Del resto, anche quel campione di moralità di Valter Lavitola è consulente della Finmeccanica. Si potrebbe poi continuare nel calcolare quanto costa alle casse pubbliche la grande abbuffata operata dalla giunta comunale guidata da Gianni Alemanno nel moltiplicare posti di lavoro (centinaia di persone!) nelle municipalizzate romane.

E proprio nell'erogazione dei pubblici servizi si sperpera un altro fiume di risorse economiche attraverso un impressionante numero di società di scopo. La cultura neoliberista è riuscita a far passare i concetti di "efficienza" e in nome di questo totem ad esempio a Parma sono state create 34 (trentaquattro) società partecipate per gestire l'ordinarietà. Anche nell'area bolognese e in molte altre città i servizi pubblici sono gestiti da un numero imponente di società. Presidenze, consigli di amministrazione, consulenti d'oro che riportano docilmente i soldi ai generosi decisori. E invece di disboscare questa foresta di ruberie hanno provato a tagliare la democrazia sciogliendo i piccoli comuni!

Con queste prime cinque voci si arriva a oltre 40 miliardi di euro: l'ammontare dell'attuale finanziaria. C'è poi l'ultimo capitolo che riguarda la madre di tutti gli imbrogli, l'urbanistica contrattata. Essa è diventata l'unica modalità con cui si trasformano la città. Le regole generali sono state cancellate e di volta in volta si decide sulla base delle convenienze. Sull'area Falk servono più cubature? Nessun problema. Un accordo di programma non si nega a nessuno: il sindaco passerà all'incasso di una parte delle gigantesche plusvalenze speculative prodotte e ci farà campagna elettorale. Sulle aree dell'Idroscalo deve essere costruita una mostruosa città commerciale? Ecco pronto un altro accordo di programma completo del ringraziamento economico spesso veicolato da progettisti compiacenti. Questa patologia vale ormai per tutti i comuni, grandi o piccoli che siano.

Il quadro che abbiamo delineato sembra non presentare apparentemente differenze rispetto al recente passato. Ruberie e scellerati sperperi di denaro pubblico ci sono sempre stati: c'è Tangentopoli a dimostrarcelo. Ma il fatto nuovo è che la legislazione liberista affermatasi nel ventennio ha reso il meccanismo perfetto. Non ci sono infrazioni alle leggi perché sono le stesse norme approvate in questi anni a consentire ogni tipo di arbitrio.

Altro che tagli e vendita del patrimonio di tutti, dunque. Basterebbe ripristinare la legalità e risparmiare quanto gettiamo nelle voraci fauci dei poteri forti. E' venuto il momento di dire basta, altrimenti ci vendono l'intero paese, democrazia compresa. E' questa la sfida che la nuova sinistra ha davanti. Una sfida per delineare un futuro diverso. Per risanare lo Stato, per far vincere le competenze sulla palude di mediocrità che sta soffocando il paese. Per dare una prospettiva ai giovani e al mondo del lavoro.