sabato 26 novembre 2011

Si scrive acqua, si legge democrazia

Roberto Fumagalli    Referente regionale Lombardia Referendum Acqua

  Con sentenza di oggi (venerdì 25.11.2011) la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di parte della Legge Regionale della Lombardia sull'acqua.
Per la precisione la Corte ha bocciato parte dell'art. 49 della  L.R. n. 26/2003 (così come modificata dalla L.R. n. 21/2010, che i Comitati avevano duramente contestato), che riguarda gli affidamenti del servizio idrico.

La Legge lombarda contiene almeno 2 pesanti storture che chiediamo di modificare al più presto:
- contiene ancora il riferimento al Decreto Ronchi (art. 23 bis, che obbliga a privatizzare l'acqua), che non esiste più poichè abrogato dal Referendum (!);
- espropria i Comuni dalla titolarità del servizio idrico, che viene assegnata alle Province, sopprimendo le A.ATO sostituite con un fantomatico Ufficio d'Ambito provinciale.

Nelle scorse settimane il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l'Acqua Pubblica, ha lanciato un 

Appello per l'acqua pubblica in Lombardia

 per chiedere le modifiche alla legge regionale.
Ora che la Corte ci ha dato ragione, Formigoni deve cambiare la legge al più presto!


Vi invitiamo a sottoscrivere l'Appello, inviando un'email a: info@contrattoacqua.it .


Con il presente Appello, il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l'Acqua  Pubblica,  
a nome degli oltre 3 milioni e 700 mila cittadini lombardi (pari a più del 50% degli elettori) che ai  
Referendum del 12 e 13 giugno 2011 hanno votato Sì all’abrogazione delle norme che  
imponevano la privatizzazione e garantivano i profitti sulla gestione dei servizi idrici;


CHIEDE
1. al CONSIGLIO della Regione Lombardia di modificare la Legge Regionale n. 26/2003
(così come modificata dalla L.R. 21/2010) per la parte riguardante i servizi idrici, che
nel testo vigente prevede l’esproprio delle competenze dei Comuni (attraverso la
soppressione delle Autorità d’Ambito territoriale - A.ATO) e la privatizzazione dell’acqua (poiché contiene ancora i riferimenti al Decreto Ronchi, abrogato dal Referendum 
nazionale, che obbligava a cedere ai privati la gestione dei servizi idrici);

2. agli Amministratori dei COMUNI e delle PROVINCE della Lombardia di fermare le
procedure per la costituzione degli Uffici d’Ambito provinciale (in sostituzione delle
A.ATO) e di non attivare i processi di riorganizzazione della gestione dei servizi idrici
che avviano le gare o predispongono l'ingresso dei privati nelle aziende pubbliche
esistenti.
3. ai CITTADINI ed ai COMITATI dell’acqua di monitorare sui territori le decisioni che
saranno assunte dai Comuni e dalle Province, rispetto alla gestione dei servizi idrici
locali.
Se la legge regionale non verrà cambiata al più presto, il rischio è che l’acqua di tutta la
Lombardia finisca nelle mani di poche imprese private, italiane o straniere, interessate solo  a fare profitto. 
Il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l'Acqua Pubblica formula le 
seguenti proposte:
salvaguardare la titolarità dei Comuni nel governo dei servizi idrici, prevedendo forme
di partecipazione della cittadinanza alle scelte sulla gestione dell’acqua;
garantire la gestione totalmente pubblica dei servizi idrici, attraverso l’affidamento ad
aziende di diritto pubblico di proprietà dei Comuni; 
 avviare un confronto politico per la riorganizzazione complessiva del servizio idrico 
che va ridefinito quale “servizio di interesse pubblico generale, privo di rilevanza 
economica”, attraverso la valorizzazione dei bacini idrografici esistenti in Lombardia, che  
devono essere amministrati dai Comuni e affidati in gestione ad aziende di diritto pubblico,  
garantendo il diritto all’acqua secondo principi di solidarietà. 
Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia.

Servizio idrico Colleferro: risposte poco trasparenti dall’amministrazione.

Rete per la tutela della Valle del Sacco 


Per lungo tempo Retuvasa ha sottoposto agli amministratori di Colleferro alcune domande sul servizio idrico gestito da G6ReteGas (ex Italcogim), senza mai ottenerne risposta e di cui ripetiamo in sintesi i punti essenziali.

1-     Come si giustifica il rilevante aumento delle tariffe, senza autorizzazione alcuna da parte del Comune di Colleferro?
2-     Quali investimenti sono stati effettivamente realizzati dal concessionario  del servizio?

Nell’ultima seduta del consiglio comunale le risposte formalmente ci sono state, ma nel migliore dei casi non significano nulla, nel peggiore rafforzano  i nostri dubbi e timori.
 Doveroso ringraziare il consigliere Pierluigi Sanna, che ha condiviso e dato voce in consiglio comunale alle nostre richieste. Il quadro che si prospetta si può sintetizzare in pochi concetti.

Il servizio  idrico è gestito da un privato che si limita a intascare i soldi per gli allacci e riscuotere bollette, non investe un euro in nuove infrastrutture e mostra di non preoccuparsi di mantenere quelle esistenti.

Il Comune, che nel  lontano 1997 ha consegnato al privato il servizio idrico,  non interviene in modo adeguato a difendere ed informare  cittadini:

·        quando le bollette aumentano senza motivo 
·        quando non vengono rispettate decisioni assunte dal sindaco in persona, come quella del risarcimento nei casi di disservizi prolungati
·        Sono sempre e solo le finanze pubbliche a garantire gli  investimenti infrastrutturali o i necessari interventi di manutenzione, ma di ciò i cittadini non sono informati.

Le risposte fornite invece di chiarire suscitano ulteriori interrogativi ( rimandando al sito www.retuvasa.org per l'analisi puntuale delle risposte fornite dal comune).

Ogni aumento applicato dal gestore è legittimo solo se deliberato dal Comune e nel caso preso in considerazione non c’è traccia di delibera alcuna.

Il gestore in una lettera agli utenti afferma di aver informato il comune e cita a giustificazione tre delibere del CIPE . Da una prima lettura  si evince  che avrebbe dovuto semplicemente togliere il  minimo impegnato , senza aumentare di un centesimo le tariffe.
L’autorizzazione di eventuali aumenti è comunque subordinata al rispetto di un tetto e ad un complesso di condizioni riferite al rispetto dei vincoli contrattuali, agli investimenti effettuati  e alla qualità del servizio: in merito osserviamo la totale mancanza di trasparenza  ed aspettiamo un'adeguata documentazione dagli organi competenti.

Tra le risposte della giunta leggiamo: “I costi aggiuntivi saranno recuperati nelle bollettazioni successive”. Cosa significa questa affermazione? Che il  gestore avrebbe impunemente aumentato le tariffe, senza dover pagare  nessuna penale, come ci si aspetterebbe in caso di inadempienza contrattuale?

Ricordiamo che, oltre al mese di novembre 2009, il sindaco aveva garantito lo stesso esonero in tariffa anche del mese di ottobre 2010, per analoghi motivi. Sarà in grado di imporre al gestore il mantenimento delle promesse che fa ai cittadini? 

In generale, analizzando le delibere comunali, risalta l’assenza del gestore negli interventi di manutenzione.
Con quali soldi è stata pagata la ditta che ha ispezionato, rinvenuto e riparato il danno al pozzo n. 7? La gestione privata era stata introdotta a Colleferro, con apposito contratto di convenzione,  proprio perché, si diceva,  il privato avrebbe apportato capitali e competenze. Ci sembra che né l’una né l’altra siano arrivate.

Il pozzo n. 9 e le infrastrutture idriche e fognarie messe in opera al IV Km sono state finanziate da fondi regionali (fiscalità generale, quindi) per un milione e cinquecentomila euro. La progettazione, la direzione lavori e la realizzazione di questa opera non vedono mai Italcogim tra le ditte in appalto.

Sappiamo dell’incarico al prof. Rolle per una revisione del sistema idrico: ci chiediamo come mai un gestore che ha in mano la rete da oltre 15 anni non sia in grado di stilare un progetto innovativo della stessa. Incapacità o inaffidabilità? Perché il comune si è rivolto a personale esterno?

Un’altra particolarità della gestione idrica a Colleferro è che non siamo alla presenza di un solo privato, gestore della fornitura di acqua, ma di ben due. L’acquedotto non è unico, ma diviso in due parti.

In merito al primo abbiamo a disposizione alcune delibere di spesa del Comune che permettono un minimo di monitoraggio da parte dei cittadini.

Per quanto riguarda il secondo, quello del vecchio acquedotto Snia, non se ne sa quasi nulla. E’ certo che la società creata appositamente per sfruttare i pozzi presenti all’interno del sito industriale, il Consorzio Servizi Acqua Potabile (CSAP) intasca le bollette, di cui non si conoscono le modalità di composizione  e i parametri utilizzati a tale scopo.

Una domanda sorge spontanea. Se ci sono difficoltà nel controllo delle linee di alimentazione idriche sul territorio cittadino, chi controlla le forniture private e la manutenzione di CSAP, società partecipata da alcune aziende del Comprensorio industriale? Non per essere scettici, ma visto quanto avvenuto negli anni passati all’interno del sito industriale un minimo di preoccupazione ci sembra lecita anche se i controlli vengono effettuati periodicamente.

La situazione appena descritta riesce a spiegare ancor meglio il risultato straordinario del referendum del 12 e 13 giugno scorsi, in cui più del 70% degli aventi diritto al voto  del nostro comune si sono espressi per la ripubblicizzazione di tutti i servizi pubblici
.
Ora spetta alla nostra amministrazione il compito di rispettare la volontà popolare, con due semplici atti: l'inserimento nello statuto comunale del principio che l'acqua è un bene indisponibile al mercato e, successivamente, la costituzione di un'azienda speciale comunale, secondo principi di trasparenza, economicità ed efficienza, in grado di reinvestire gli utili per migliorare il servizio e non per gonfiare le tasche del privato, chiunque esso sia.

Controfinanziaria 2012

Rapporto Sbilancianmoci 2011 fonte http://www.sbilanciamoci.info/

Nel 13° Rapporto, la Campagna Sbilanciamoci! non si è soffermata solo sull'analisi critica dei contenuti della Legge di Stabilità e sul Bilancio dello Stato, ma anche su tutti i provvedimenti di correzione dei conti pubblici con effetti nel triennio 2011-2013
Analisi quindi ma anche, e soprattutto, proposte di intervento, organiche e concrete, per fornire un valido sostegno all’economia, al lavoro e al welfare interventi che vanno nella direzione di una fuoriuscita dalla crisi nel segno della giustizia sociale, della redistribuzione della ricchezza, della sostenibilità ambientale e di un nuovo modello di sviluppo. Nella manovra economica non si trova alcuna traccia di interventi per il rilancio di un piano di investimenti pubblici, nessun intervento a difesa del lavoro e dei redditi, nessuna misura per l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo del capitale umano.
L'effimera Legge di Stabilità e un inconsistente “decreto sviluppo” sono provvedimenti inefficaci e socialmente iniqui, colpiscono le classi a basso e medio reddito, tagliano le risorse alle politiche sociali e rendono il paese ancora più indifeso; le disuguaglianze economiche non sono la conseguenza, ma la causa della crisi.
Le risorse potrebbero esserci se si andassero a prendere i soldi dove ci sono e dove 30 anni di politiche neoliberiste li hanno portati sottraendoli al lavoro e all’economia: patrimoni, profitti, rendite, grandi ricchezze. Proprio quello che il governo in questi anni non ha fatto, beneficiando gli evasori con lo scudo fiscale e con l’allentamento di quelle misure di controllo (come la tracciabilità dei pagamenti e la cancellazione dell’elenco clienti-fornitori) che avevano permesso fino a tre anni fa una più efficace lotta all’evasione fiscale, contro la quale Sbilanciamoci! propone: il ripristino dell’elenco clienti-fornitori per le imprese, il divieto di pagamento in contanti oltre i 100 euro e la reintroduzione del reato di falso in bilancio.

Tra le proposte di Sbilanciamoci!:

Lotta alla precarietà.
Oggi, il 29% dei giovani è disoccupato e tra chi lavora il 50% ha un rapporto di lavoro precario. Si propone un intervento per limitare la precarietà attraverso:
a) la concessione di credito di imposta fino a 3.000 euro l’anno per l’assunzione dopo due anni di rapporti di lavoro parasubordinati,
b) la previsione di una indennità di disoccupazione del 60% per sei mesi per tutti i lavoratori subordinati che abbiamo almeno maturato un anno di versamenti di contributi.

Riduzione dei programmi arma.
Chiediamo al governo italiano di non firmare il contratto per la produzione dei 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter. Chiediamo di cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei 4 sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate “Orizzonte”. Risparmio previsto: 783 milioni di euro.

Tassa patrimoniale.
In questa crisi i ricchi non stanno pagando alcun prezzo. Anzi lo scudo fiscale e l’allentamento della lotta all’evasione fiscale li hanno ancora di più premiati. Il peso della crisi ricade interamente sulle fasce più povere della popolazione. Proponiamo perciò una tassa patrimoniale del 5 per 1000 sui patrimoni oltre i 500mila euro, con alcune correzioni di carattere progressivo (possibile grazie alla registrazione dei beni sulla dichiarazione dei redditi) sul prelievo. In questo modo potrebbe entrare nelle casse dell’erario una somma intorno ai 10miliardi e 500milioni di euro.

Programma di piccole opere.
Di fronte ai faraonici programmi di “grandi opere” che producono ingente spesa pubblica, scarsi benefici sociali e danni ambientali per il territorio (e business per poche imprese), si propone invece un programma di “piccole opere” per il Mezzogiorno che riguardi interventi integrati – sociali, ambientali, urbanistici – che possono andare dalla sistemazione della rete idrica locale al recupero urbanistico dei piccoli centri, al risanamento ambientale di coste e aree montane. Si propone a questo scopo di chiedere la piena attuazione del Piano delle opere medio-piccole deciso in Cipe il 6 novembre 2009 che prevede dal 2010 al 2013 la spesa nel triennio 413 milioni degli 825 milioni di euro stanziati dal Comitato, a cui si chiede di aggiungere uno stanziamento di 500 milioni, da finanziare stornando la cifra corrispondente dagli stanziamenti previsti per le infrastrutture strategiche.

Fondo per la non autosufficienza.
Oggi il livello delle politiche pubbliche per la non autosufficienza è pressoché simbolico. Dal 2011 il Fondo per la non autosufficienza è praticamente azzerrato. Chiediamo perciò il ripristino dei 400 milioni di euro (stanziati nel 2010 e cancellati nel 2011) per le politiche pubbliche a sostegno della non autosufficienza.

Tassare i diritti televisivi per lo sport spettacolo.
Come per la pubblicità, il business dello sport-spettacolo ha effetti distorsivi sul mercato e distoglie risorse dallo sport per tutti. Si propone pertanto di adottare il metodo francese di tassazione dei diritti televisivi per finanziare lo sport per tutti e la costruzione di impianti pubblici polivalenti. Con un’aliquota del 5% sul totale dei diritti versati si potrebbero raccogliere circa 40 milioni di euro.

venerdì 25 novembre 2011

Napoli:Mani nere sulla città

Sergio Cararo : fonte  www.contropiano.org

I fascisti di Casa Pound vogliono allargarsi. Il tentativo di crearsi un insediamento stabile a Napoli, è un passaggio nel progetto di strutturazione di un movimento reazionario militante al servizio degli interessi della borghesia italiana meno “dinamica”.
I fascisti del “terzo millennio”, così si definiscono quelli di Casa Pound, puntano a costruire anche in una metropoli socialmente devastata e conflittuale come Napoli, un insediamento stabile per la loro presenza, così sono riusciti a fare in questi anni in numerose città italiane. La manifestazione convocata per sabato a Napoli e poi trasformata dalla questura in un presidio a piazza Carlo III, doveva servire ai fascisti per occupare un edificio e stabilizzare così la loro presenza. La pronta e decisa reazione degli antifascisti napoletani ha complicato parecchio la tabella di marcia dei fascisti. Ma, dalle notizie che circolano, questi non sembrano aver rinunciato alla loro “marcia su Napoli”. Come si spiega questa determinazione a voler mettere le mani e i piedi anche in una emblematica area metropolitana come Napoli?
Casa Pound, in questi anni, ha varato un sistema che somiglia molto ad una sorta di franchising, aprendo in molti centri urbani di grandi e piccole dimensioni proprie sedi e coordinandone le attività a livello centrale. Una diffusione capillare che rivela l'estensione della rete nera e la consistenza degli appoggi economici, istituzionali e politici di cui gode.
Ma a cosa possono essere utili i fascisti “nel terzo millennio”? Non essendoci all'orizzonte rivoluzioni proletarie o l'Armata Rossa pronta ad abbeverare i cavalli nelle fontane di piazza San Pietro, come si spiega l'esistenza, il rafforzamento, il sostegno ai gruppi neofascisti da parte di settori non irrilevanti della borghesia italiana?
Il primo dato che occorre non trascurare mai è la continuità dell'intreccio tra gruppi neofascisti , apparati dello stato, gruppi economici ben inseriti dentro gli interstizi remunerativi dei mercati.
Potremmo segnalare, solo per fare un po' di cronaca, gli intrecci e gli affari comuni emersi tra un faccendiere neofascista come Gennaro Mokbel con Lorenzo Cola, uomo dei servizi all'interno di Finmeccanica e società legate all'intelligence statunitense. Oppure gli affari comuni tra il “Madoff dei Parioli”, cioè il broker neofascista Gianfranco Lande, con l'altro ex Nar Pier Francesco Vito e una serie di società che hanno rastrellato soldi a palate rifilando una serie di fregature ai Vip del ricco quartiere dei Parioli a Roma, operazioni dentro le quali si è verificato l'omicidio del broker neofascista Roberto Ceccarelli. Potremmo tornare a documentare l'occupazione dei neofascisti di intere aziende municipalizzate nella Roma Capitale amministrata da Alemanno. Per non dimenticare lo strano ferimento del consigliere municipale neofascista Andrea Antonini mentre a Roma impazzano gli omicidi di una violenta “guerra di mala”. Oppure le storiche e rilevanti connessioni tra neofascisti e gruppi finanziari e imprenditoriali lombardo-veneti che hanno sempre il loro epicentro nel “cuore nero” di questo paese, ossia Verona.
Casa Pound è in qualche modo il braccio culturale-militare principale di una rete nera a volte conflittuale e mutevole al suo interno. Lo è, perchè ha costruito un modello efficace di radicamento e penetrazione nel territorio che si fonda sulla estetica del gesto (a metà tra l'azione dannunziana e Nietzsche), occupazioni e stabilizzazione di sedi pubbliche, rastrellamento di cospicui finanziamenti pubblici o “privati” che consentono di avere gruppi di attivisti a tempo pieno, attività culturali spregiudicate e trasversali (alle quali abboccano, a volte e come cretini, anche personaggi noti nella “sinistra”).
In sostanza Casa Pound sta operando e si sta candidando ad essere il nerbo di un movimento reazionario di massa che un pezzo di borghesia italiana - travolta e indebolita dalla crisi e dalla gerarchizzazione in corso nell'Unione Europea – potrebbe voler scatenare nel paese sia contro le forze della sinistra (ritenute nemiche per storia, dna e principi) che contro un altro pezzo di borghesia che invece punta ad agganciarsi al nucleo duro franco-tedesco sacrificando non solo i diritti sociali e dei lavoratori ma anche gli interessi di una parte della borghesia stessa, quella più debole e inadeguata a reggere la competizione globale.
Avere a disposizione una rete organizzata a e diffusa di uomini neri a tempo pieno, pronti a fare il lavoro sporco in tutti i sensi, capace di esercitare un minimo o un massimo di egemonia culturale sui settori sociali colpiti dalla crisi, è il ruolo che è stato affidato ai fascisti di Casa Pound. Per questo vanno contrastati in ogni città e in ogni luogo. Lo abbiamo fatto – e a ragion dovuta – nei decenni scorsi. Dobbiamo continuare a farlo anche dentro questa fase politica caratterizzata da una crisi di civiltà del sistema capitalistico del quale – checchè ne dicano nei loro documenti – i fascisti si sono sempre rivelati uno strumento.

A cosa serve la "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne"

Luisa Betti

Da dodici anni il 25 novembre si celebra in tutto il mondo. Ma in Italia la violenza di genere è in aumento e non viene contrastato in modo efficace: ora addirittura abolito il ministero delle Pari Opportunità

Il 13 luglio di quest’anno il Tribunale di Belluno ha pronunciato una sentenza di condanna a due anni con la sospensione condizionale della pena, riconoscendo le attuanti a un uomo che aveva compiuto uno stupro minacciando la vittima con un’ascia. Al Pm, che aveva chiesto 7 anni per l’imputato, il giudice ha obiettato che: “La donna, del resto, era consapevole del debole che il... nutriva per lei; è la stessa ad aver riferito in aula che il… già da tempo, si era mostrato galante nei suoi confronti. Pertanto, sotto il profilo della concreta offesa arrecata, si deve desumere che verosimilmente vi fu all’inizio dell’incontro una accettazione da parte della donna della possibilità che la situazione con il... potesse andare oltre”. Parole che oggi fanno sorgere una domanda soltanto: a cosa è servito celebrare ogni anno, dal 1999 in poi, la data del 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne con cui le Nazioni Unite invitano i governi a combattere il fenomeno?
La violenza tocca, in diversi modi e in diverse fasi della vita, ogni donna. Si va dalla violenza fisica a quella sessuale, psicologica, economica, non solo da parte di uomini ma anche di autorità, istituzioni, a scuola, al lavoro. Un elemento trasversale che ha alla base un fattore: la discriminazione, che attecchisce dove non ci sia nessun bilanciamento di potere tra uomini e donne, ovvero ovunque. È per questo che nel mondo una donna su tre vive una forma di violenza, che la prima causa di morte o invalidità per donne tra i 16 e i 44 anni sono le violenze subite, che nel mondo 140 milioni di donne hanno subito qualche forma di violenza, che ogni anno vengono stuprate 150 milioni di bambine, che in Italia ci sono quasi 7 milioni di donne che tra i 16 e i 70 anni hanno subito nella vita almeno un tipo di violenza (e il 78,7% di loro più di una volta) e che i feminicidi accertati negli ultimi cinque anni nel nostro paese sono 651, con un picco di 127 nel 2010 e 92 nei primi nove mesi di quest’anno.
Numeri da capogiro di fronte ai quali l’Italia offre, alle donne che fuggono da un incubo, solo 500 posti letto invece dei 5.700 richiesti dal Consiglio d’Europa, e dove il neo presidente del consiglio Mario Monti ha delegato il ministero delle Pari Opportunità alla ministra del Welfare Elsa Fornero, che pur essendo una donna avrà già un bel da fare per quel che riguarda le questioni del Lavoro. “La preoccupazione che il ministero delle Pari Opportunità non sia più autonomo c’è” – dice l’avvocata Titti Carrano, presidente dell’associazione D.i.Re che gestisce parte dei centri antiviolenza in Italia e che ha chiesto a gran voce la firma della Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne firmata già da 16 paesi europei – “anche perché bisogna riconoscere che l’ultimo atto del precedente ministero è stato quello di fare i bandi per il finanziamento di 10 milioni di euro stanziati per il rafforzamento dei centri antiviolenza esistenti e la nascita di nuovi. Per noi l’augurio è che la ministra Fornero prosegua su questa linea, che venga riconosciuto il lavoro dei centri antiviolenza e il loro valore a livello politico e sociale. Naturalmente servono misure efficaci anche da parte degli enti locali, che devono assicurare un finanziamento costante per l’attività di sostegno alle donne”.
Quello che sta succedendo per esempio a Napoli ha dell’incredibile perché se in Italia ci si lamenta sempre che i soldi non ci sono, questa volta i soldi – europei – ci sono ma rischiano di tornare indietro per la negligenza della Regione Campania, che su 13 progetti già approvati per il piano strategico delle Pari Opportunità a Napoli, ha sbloccato l’erogazione solo per 4 lasciando fuori i rimanenti 9, tra cui appunto quelli dei Centri antiviolenza, che pur essendo stati approvati rischiano ora di non essere attuati. “Il presidente della Regione, Caldoro, non ci ha neanche ricevute” – dice Clara Pappalardo della Rete Antiviolenza di Napoli – “e si tratta di quasi 10 milioni di euro che devono solo essere erogati e dei quali noi, per il Centro antiviolenza e la Casa rifugio, dobbiamo avere un milione che ci serve per i prossimi tre anni di vita. Qui nella provincia di Napoli sono morte tre donne a seguito di violenza in un solo mese: come facciamo a intervenire a sostegno delle donne se dobbiamo chiudere perché la Regione non sblocca i soldi già stanziati? L’unico che ci ha ricevute e ci ha ascoltate è stato il sindaco De Magistris che non solo si è impegnato a recuperare questi fondi, ma ha garantito che nella seduta del 25 novembre, che sarà monotematica sulla violenza, porterà il caso al Consiglio comunale”.
Le donne italiane che subiscono violenza sono aumentate ma sono soprattutto quelle in casa a correre i rischi maggiori: quest’anno a Palermo e provincia su 562 donne che si sono rivolte al centro “Le onde onlus”, la maggior parte erano madri con un’età compresa tra 31 e 40 anni, che nel 94% dei casi subiva violenze all’interno della famiglia; mentre da gennaio ad agosto 2011 in Trentino, secondo l’Osservatorio provinciale, su 213 casi di violenza 114 erano da parte di mariti, 33 da ex-partner e 33 da conviventi. In Italia il 96% dei feminicidi avviene da parte di familiari o ex partner.
Un fenomeno fatto di isolamento forzato, minacce, accuse ingiustificate, giudizi degradanti, che creano un ambiente intriso di paura, chiuso nel silenzio delle mura domestiche, che dà alla donna la convinzione che la sua situazione sia senza speranza, donne che quando riescono a denunciare il loro torturatore, si trovano costrette anche a giustificarsi con il rischio di diventare complici o artefici del loro triste destino, per incompetenza di operatori di giustizia e psicologi. “Una donna che subisce violenza familiare pensa sempre alla sopravvivenza sua e soprattutto dei bambini, e tenta di evitare le violenze più gravi, sopportando il logorio di continue minacce contro di lei, i suoi figli e i suoi cari – spiega Elvira Reale che dirige il Centro clinico sul maltrattamento delle donne presso la U.O. di Psicologia Clinica di Napoli – e come ogni tortura anche questa produce una modifica dell’assetto di personalità che arriva a cambiare il modo di essere: un lavaggio del cervello pari a quello fatto sui prigionieri di guerra”.
Elvira Reale nel suo ultimo libro, “Maltrattamento e violenza sulle donne” (Franco Angeli, 2011), basato sull’esperienza dello sportello antiviolenza del pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Napoli, ha elaborato un sistema di valutazione in cui dimostra come le dinamiche che si sviluppano nelle violenze in famiglia siano simili ai metodi di tortura in cui la vittima non riesce a svincolarsi dal suo torturatore: “Gli studi sulle tattiche di lavaggio del cervello utilizzate nella guerra in Corea sui prigionieri americani, dimostrano parallelismi inquietanti con la violenza domestica”. Capire che il percorso di una donna che subisce violenza non è lineare, e quindi che una donna maltrattata può rimanere anni in quella condizione, è fondamentale soprattutto per psicologi e operatori di giustizia. Ancora oggi le consulenze di psicologi e medici richieste dai giudici sono ammantate da pregiudizi e la cosa grave è che questi operatori non si pongono mai il problema che se la vittima dipende dall’abusante, allontanarsene per lei significa subire una minaccia economica, emotiva e fisica, una ragione sufficiente che porta la vittima a percepire la violenza in maniera filtrata e attutita, semplicemente per poter sopravvivere. “Quello che deve essere chiaro anche alle istituzioni – conclude Reale – è che i comportamenti violenti non si spezzano se non con la via giudiziaria: sono reati e vanno trattati come tali. Tutto il resto deve venire dopo, anche un’eventuale ripresa di contatti negoziata su basi diverse: gli uomini devono essere puniti per quello che hanno fatto, assumersi le loro responsabilità, e poi eventualmente accedere a percorsi di recupero. Non c’è niente da fare, è così”.

Monti: Trasparenza totale ORA!!!

Giulia, Luis, Alice, Ricken, Pascal, Benjamin, Gianluca e tutto il resto del team di Avaaz

Mario Monti e i suoi ministri sono sulla graticola per i loro legami con poteri forti e banche: cogliamo la palla al balzo per curare finalmente la nostra democrazia dal cancro del conflitto d'interessi e restituire ai cittadini la fiducia nei propri rappresentanti!
I membri del nuovo governo sono stati ai vertici di alcune delle maggiori banche e aziende, e se non ci sarà la dovuta trasparenza c'è il rischio che le loro decisioni saranno al servizio dei loro vecchi interessi anziché di quelli dei cittadini. Ora un gruppo di parlamentari sta proponendo una legge urgente per garantire che il governo e tutte le nostre istituzioni siano trasparenti e al servizio dei cittadini, e ha chiesto l'aiuto di Avaaz.
Chiediamo a Monti di pubblicare subito tutte le informazioni che riguardano il reddito, le proprietà e i precedenti rapporti lavorativi dei suoi membri di governo, e spianare così la strada per una coraggiosa legge sulla trasparenza in Italia. Solo alla luce di queste informazioni potremo giudicare le azioni del nuovo governo! Clicca sotto per firmare la petizione e fai il passaparola con tutti: sarà consegnata dai parlamentari chiave non appena raggiungeremo le 75.000 firme:
http://www.avaaz.org/it/monti_trasparenza_ora/?vl
Milioni di cittadini in tutta Italia hanno festeggiato le dimissioni di Berlusconi con sollievo e speranza. Ora è tempo di cancellare la sua eredità fatta di corruzione e cooptazione, ed è il nuovo governo a doversene fare carico. Nonostante non sia stato eletto dal popolo, Mario Monti riscuote un enorme sostegno da parte dell'opinione pubblica - oltre l'80% degli italiani ha fiducia in lui - e ha dichiarato di voler ridurre la distanza fra la classe politica e i cittadini.
E' preoccupante però che alcuni dei nuovi ministri provengano da posti dirigenziali del settore privato, come Corrado Passera, ministro con delega ai trasporti e alle comunicazioni, che in qualità di capo di Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana, ha partecipato attivamente ai treni NTV e in Telecom. Altri ministri hanno lavorato invece per grandi gruppi aziendali coinvolti nelle privatizzazioni fatte dai precedenti governi. Questi trascorsi lasciano seri dubbi sulla loro indipendenza e imparzialità, visto che il nuovo governo è stato chiamato per rappresentare gli interessi di tutti gli italiani.
Alcuni parlamentari hanno già pubblicato su internet tutte le informazioni che li riguardano e ora stanno lavorando per far passare un'ambiziosa legge sulla trasparenza. Chiedono che Monti sveli tutte le informazioni cruciali sui nuovi ministri e i loro rapporti lavorativi prima di entrare nel governo, una pratica di trasparenza comune in molti paesi europei. Ma per fare adottare questa legge hanno bisogno di un'ondata di sostegno dell'opinione pubblica. Firma ora per chiedere a Mario Monti di essere all'altezza delle sue promesse e inoltra questo messaggio a tutti:
http://www.avaaz.org/it/monti_trasparenza_ora/?vl
Berlusconi ha lasciato il suo incarico, ma la corruzione rimane il cancro della vita politica e sociale del nostro paese. Sta a noi ricostruire e rafforzare la nostra democrazia. Le nostre vittorie contro i tentativi di Berlusconi d'imbavagliare internet e la libera informazione dimostrano quello che possiamo fare quando uniamo le forze e agiamo con determinazione. Facciamo tutto il possibile per spingere Mario Monti e il nuovo governo ad aprire un nuovo capitolo di trasparenza al servizio dei cittadini.
Con speranza e determinazione,

Giulia, Luis, Alice, Ricken, Pascal, Benjamin, Gianluca e tutto il resto del team di Avaaz

giovedì 24 novembre 2011

E' morto Paul Motian la faccia armonica del ritmo.

Luciano Granieri



 Mi sarebbe piaciuto scrivere di PAUL MOTIAN del suo modo particolare e ipnotico di suonare la batteria, ma colpevolmente non sono riuscito a trovare uno spazio fra le web pages  di questo blog. Eppure Paul Motian  è uno dei maestri del nostro strumento e mi dispiace molto parlarne solo oggi in occasione della sua morte.  Infatti Paul ci ha lasciato il 22 novembre scorso. E’ deceduto  a 80 anni al Mount Sinai Hospital di New York a seguito delle complicazioni di una  malattia al midollo osseo che lo aveva colpito.  Paul era un batterista, un musicista e un compositore veramente particolare. Ha attraversato tutta la storia del jazz dal post bop  fino all’avanguardia, influenzando e caratterizzando con il suo stile il sound di ogni  musicista con cui ha collaborato. Thelonius Monk, Lennie Tristano, Keith Jarret , ma soprattutto Bill Evans, sono i grandi pianisti cui ha messo a disposizione il suo drumming raffinato .  Il trio  con Bill Evans al pianoforte e Scott LaFaro al contrabbasso, ha segnato una epoca storica della musica afroamericana, compresa  fra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Nel 1966 dopo una breve parentesi a fianco   del pianista Paul Bley,  Motian iniziò una lunga collaborazione con una altro mostro sacro, Keith Jarret.   Incise per l’etichetta ECM   con il quartetto del pianista di Allentown, fino al 1977.   In quel periodo suonò  anche   con molti musicisti della scuderia  ECM , fra i quali,  il contrabbassista Charlie Haden  e la pianista Carla Bley. Il drumming di Paul Motian era veramente particolare  perché travalicava dai confini ritmici. La ricerca di Motian andava oltre il tempo. Dalla sua batteria, scaturivano sonorità dai colori tenui. Preziose figure disegnate sui piatti, l’uso mirabile delle spazzole, l’alternanza di sequenze secche con pause e rullate  sinuose contribuivano a trasformare la sua batteria quasi in uno strumento armonico.  Ricordo lo strana sensazione che provai nel sentirlo dal vivo.  Era il 1983 al mitico Music Inn di Roma. Paul era alla testa del suo trio con Bill Frisell alla chitarra e Joe  Lovano  al sax tenore, altri due straordinari musicisti che con lui hanno contraddistinto quel periodo con  improvvisazioni memorabili. Capii immediatamente che la predisposizione a seguire le performance di Paul doveva essere diversa da chi si appresta ad ascoltare un batterista. Non erano  controtempi, o particolari alternanze ritmiche ad attirare l’attenzione, ma la raffinatezza del suono che scaturiva da quei tamburi e da quei cimbali.  In quell’ora e mezza di musica mi ritrovai  avviluppato in un susseguirsi di figure armoniche in cui la batteria era la sublime protagonista . Per ricordare Paul ho scelto due brani che ritengo significativi.
Il primo è "Alice in Wonderland", registato al Village Vanguard  di New York, nel 1961 con il trio storico composto dallo stesso Motian,  Bill Evans al pianoforte e Scott LaFaro al contrabbasso. (Ho la fortuna di possedere i dischi in vinile  del concerto) 
Il secondo è How deep is the ocean, siamo a Umbria jazz nel 1995 e Paul Motian suona con Bill Frisell alla chitarra, Marc Johnson al contrabbsasso, Lee Konitz al sax alto e Joe Lovano al tenore.
Good vibrations a tutti ricordando questo straordinario musicista. 



NON C’E’ DIFESA DELL’OCCUPAZIONE NE SVILUPPO INDUSTRIALE SENZA LA MESSA AL BANDO DEL MODELLO MARCHIONNE

Il comitato 3 settembre



Il 28 Novembre il Sindaco di Torino Piero Fassino, ha convocato a Torino le rappresentanze dei Consigli Comunali delle città su cui sono presenti stabilimenti FIAT. Noi sappiamo chi è Piero Fassino: un noto seguace dell’AD FIAT Marchionne tanto ligio agli ordini del padrone che durante il referendum sul Piano Marchionne a Mirafiori si sperticò in una campagna elettorale a favore del SI a quell’accordo capestro. Noi sappiamo chi è l’AD FIAT Marchionne: un manager milionario che vuol passare alla storia come colui che smantellò gli stabilimenti FIAT e con essi quanto resta dei diritti dei lavoratori in Italia. Noi sappiamo che l’assise convocata per il 28 Novembre a Torino è una combutta per far ingerire la somministrazione della pillola “Fabbrica Italia” (ovvero il Piano Marchionne) a quei territori dove insistono stabilimenti FIAT prossimi all’estensione del suddetto Piano (a Cassino prossimo ad entrare in vigore dal 2012). Noi sappiamo che non c’è difesa del tessuto industriale del territorio ne sviluppo senza difesa delle condizioni di vita e di lavoro. Noi sappiamo che non c’è difesa dell’occupazione e dello sviluppo in FIAT senza l’immediata messa al bando del modello “Fabbrica Italia”. Noi sappiamo che Fabbrica Italia è un trucco per realizzare gli obiettivi di Marchionne che vuole chiudere gli stabilimenti FIAT e annientare i diritti di tutta la classe operaia del paese in ossequio alle volontà e ai profitti suoi e dei restanti poteri forti. Noi sappiamo che Fabbrica Italia vuole sancire il cimitero dei diritti dei lavoratori nel nostro paese. Noi sappiamo che con l’introduzione di Fabbrica Italia a Cassino quel che aspetta al nostro territorio è il cimitero industriale già inaugurato da Marchionne a Termini Imerese, Valle Ufita e altrove, la produzione ridotta ai minimi termini e il massiccio ricorso alla cassa integrazione che stiamo vedendo a Mirafiori e Pomigliano. Noi sappiamo che questo scenario è confermato dall’assenza del minimo piano industriale che definisca i modelli che sotto il regime “Fabbrica Italia” dovrebbero uscire dagli stabilimenti FIAT! Noi sappiamo che accettare ogni vessazione dei diritti contemplata in Fabbrica Italia in nome della difesa dell’occupazione è l’arte dei complici dell’AD Marchionne! Noi sappiamo che la Giunta Petrarcone e il Consiglio Comunale di Cassino si recheranno il 28 Novembre al cospetto del maggiordomo di Marchionne (alias Piero Fassino) a discettare di difesa dell’occupazione e sviluppo industriale in FIAT senza denunciare e prendere di petto il principale ostacolo in tema ovvero il modello “Fabbrica Italia”! Noi sappiamo che la Giunta Petrarcone e la maggioranza dell’attuale Consiglio Comunale stanno compiendo un clamoroso voltagabbana: dopo che in campagna elettorale hanno cavalcato il movimento NO Marchionne (facile reperire le tante dichiarazioni a riguardo dell’attuale Sindaco e altri esponenti) oggi vorrebbero mettere un sostanziale timbro sul Piano Marchionne e su Fabbrica Italia! Noi sappiamo tutto questo e pensiamo che sia quanto basta per averne abbastanza e indignarci! Facciamo appello alla FIOM e al sindacalismo di base, a tutta la cittadinanza attiva, democratica e progressista di Cassino, a quanti non vogliono essere complici di Marchionne, ad indignarsi e mobilitarsi.
Il 28 Novembre la Giunta Petrarcone deve scegliere da che parte stare! O con il mandato popolare fornitogli da quanti l’hanno votato per la sua pronunciata opposizione al Piano Marchionne/Fabbrica Italia! O con il mandato delle burocrazie dei sindacati complici e dei poteri forti! Per rammentare alla Giunta Petrarcone e al Consiglio Comunale quale è il mandato popolare che hanno ricevuto troviamoci tutti quanti venerdì 25 Novembre alle ore 17.30 sotto il Comune di Cassino per un presidio di protesta in cui riaffermare che Cassino non si piega a Fabbrica Italia.


il Comitato 3 Settembre 

per info, contatti e adesioni: assemblea.cassino@gmail.com


La giunta Petrarcone da che parte sta

Assemblea Cassino

Passata la campagna elettorale sembra si stia esaurendo l'opposizione al Piano Marchionne della Giunta Petrarcone che il 28 Novembre si  recherà a Torino a cospetto del maggiordomo di Marchionne (Piero Fassino) a dire che "... il Comune di Cassino non è ne favorevole ne  contrario a Fabbrica Italia...". Questo dice il documento che il Comune di Cassino porterà a Torino il 28 Novembre, questo quanto il Sindaco  Petrarcone va dicend o in pubblico.
Il Piano Marchionne/Fabbrica Italia che dal 2012 entrerà in vigore nello stabilimento di Cassino è il rintocco funebre per il nostro territorio,  l'inaugurazione del cimitero industriale, civile e sociale del territorio. La Giunta Petrarcone deve rispettare gli impegni elettorali e schierarsi contro l'estensione di Fabbrica Italia a Cassino.
O noi o loro! O con il mandato popolare fornitogli da quanti l'hanno votato per la sua pronunciata opposizione al Piano
Marchionne/Fabbrica Italia!
O con il mandato delle burocrazie dei sindacati complici e dei poteri forti!

PER RAMMENTARE ALLA GIUNTA PETRARCONE E AL CONSIGLIO COMUNALE QUALE E' IL MANDATO POPOLARE CHE HANNO  RICEVUTO TROVIAMOCI TUTTI QUANTI VENERDI' 25 NOVEMBRE ALLE ORE 17.30 SOTTO IL MUNICIPIO DI CASSINO



(Piazza De Gasperi) PER UN PRESIDIO DI PROTESTA IN CUI RIAFFERMARE CHE CASSINO NON SI PIEGA A FABBRICA






Il 28 Gennaio 2011, il candidato Sindaco Giuseppe Golini Petrarcone aderisce alla manifestazione/sciopero indetta a Cassino dalla FIOM e dall’USB contro l’attuazione del Piano Marchionne negli stabilimenti FIAT. Sfilando a fianco degli operai in sciopero dichiara “.. noi abbiamo grande attenzione nei confronti dell’industria e di tutto il settore industriale però naturalmente questo va contemperato con le esigenze e con i diritti dei lavoratori ..”. Per il resto della campagna elettorale il futuro Sindaco Petrarcone esprimerà in più occasioni la propria opposizione all’estensione a Cassino del modello Fabbrica Italia… Anche e soprattutto grazie a queste azioni Golini Petrarcone diverrà Sindaco !
Il 21 Novembre 2011 il Sindaco Giuseppe Golini Petrarcone durante la Consulta dei Sindaci dichiara “..il Comune di Cassino non è ne a favore ne contro Fabbrica Italia..” . Questa è la posizione che la Giunta Petrarcone porterà il 28 Novembre a Torino all’incontro istituzionale tra i Consigli Comunali  delle città con stabilimenti FIAT… per la felicità di Marchionne e del suo maggiordomo, il Sindaco di Torino Piero Fassino che ha convocato l’incontro. Dove si è fermato il vento di cambiamento?




VENERDI' 25 NOVEMBRE h.17.30
SOTTO IL MUNICIPIO DI CASSINO
PRESIDIO DI PROTESTA
PER RAMMENTARE ALLA GIUNTA PETRARCONE E AL CONSIGLIO COMUNALE CHE L’INTRODUZIONE DI FABBRICA ITALIA A CASSINO E’ L’INAUGURAZIONE DEL CIMITERO INDUSTRIALE, CIVILE E SOCIALE DEL TERRITORIO!
PER RAMMENTARE ALLA GIUNTA PETRARCONE IL MANDATO POPOLARE CHE HA RICEVUTO CON LE SCORSE ELEZIONI!
CASSINO NON SI PIEGA !!!                                
   il Comitato 3 Settembre

video di luciano granieri

mercoledì 23 novembre 2011

Il rtimo della nuova segretaria provinciale di Rifondazione Comunista.

Luciano Granieri.

Cari compagni, come è noto Ornella Carnevale è stata eletta nuova segretaria provinciale di Rifondazione Comunista, per la federazione di Frosinone. Per complimentarmi con la mia segretaria provinciale sono andato a ripescare due vecchi video del 2009. Si era in piena campagna elettorale per le elezioni provinciali e il gioco consisteva nell'accoppiare un ritmo di batteria ad ogni candidato. Come si noterà ad Ornella, allora candidata per Rifondazione,  ho accoppiato una sequenza poliritmica proprio per sottolineare la sua capacità dialettica poliedrica,  comunicativa e di mediazione fra le varie anime  del partito. Pur avendo una posizione diversa dalla mia all'interno della federazione, lei è per la mozione uno, io per la due, devo riconoscere ad Ornella grande una grande onestà intellettuale. Con lei il dibattito anche la discussione più  aspra è sempre stimolante e mai si rischia di trascendere. Buon lavoro Ornella. 




p.s.
 qualche spunto può essere colto anche per le prossime elezioni comunali , O NO?

La rappresaglia:undici licenziamenti

Lucia Fabi,   Angelino Loffredi

Abbiamo già scritto che la  SQUADRA DI CALCIO“ Annunziata “ era stata promossa a pieni voti al campionato di “ Promozione “ e che le partite seguitarono a giocarsi sul campo comunale di Ceccano.
Per tutta la durata del campionato 1952/ 53 il clima di sostegno cittadino e l’eccezionale connessione emotiva fra gli sportivi e la squadra si affievolirono, non era più come l’anno precedente, per via di una lunga serie di polemiche che accompagnarono la campagna acquisti e che riguardarono l’allenatore Uber Gradella, evidenziate dalla stampa locale e nazionale.
Il parco giocatori improvvisamente si trovò ingrossato da presenze di atleti provenienti dal nord Italia. Il dialetto sentito lungo le strade cittadine e nell’interno del campo di gioco non era più il ciociaro, familiare e rassicurante, ma il “ Cispadano “. Tanti giocatori nuovi giravano per Ceccano e scendevano in campo mentre non si vedevano giocare Bruni, Haghendofer, Facchini, Scagliarini, Ferri e Cerini, calciatori amati e che avevano fatto sognare gli sportivi ceccanesi, perché ceduti o dati in prestito ad altre squadre. Ma aldilà delle considerazioni emotive e affettive, dal punto di vista tecnico si può dire con certezza che non venne mai schierata una formazione tipo o dei titolari, vi fu invece una rotazione continua di giocatori, una altalena di presenze confuse e sconclusionate. Oggi si direbbe che aldilà di Giovannone, Gabriele e Guadagnoli tutti gli altri giocatori furono dei precari.
La squadra non avanzò in IV Serie, come auspicato da tutti, perché si qualificò solamente al secondo posto, preceduta dall’avversaria di sempre: il Sora.
Il 7 e 8 giugno si tennero le elezioni politiche che riconfermano la DC primo partito in Italia mentre le sinistre ( Pci e Psi ) nazionalmente ottennero un milione e mezzo di voti in più rispetto al 1948; non scattò, inoltre, la legge truffa e si aprì il declino politico di De Gasperi. In provincia di Frosinone vennero eletti: al Senato Cerica e Restagno, alla Camera Camangi, Fanelli e due comunisti: Silvestri ed il ceccanese Compagnoni.
Questo è il quadro complessivo, il contesto che emerge utile per comprendere meglio gli avvenimenti che ci avviamo a tracciare.
Nel mese di luglio si evidenziò un certo fermento nell’interno del saponificio: un tentativo, finalmente, di portare la rappresentanza sindacale ( Commissione Interna ) dentro l’opificio.
Romolo Battista, persona popolare e rispettata, ne fu il protagonista. E’ opportuno ricordare che veniva chiamato “ il capitano “ per il ruolo positivo e ammirevole svolto nella squadra calcistica locale prima e dopo la guerra. Inoltre era stato capo partigiano di una delle bande operanti a Ceccano e in quel luglio del 1953 era consigliere comunale, eletto nella lista del Pci.
Battista, dotato di un certo carisma, con l’on. Compagnoni, deputato e segretario provinciale della CGIL, preparò tutte le iniziative necessarie per far entrare il sindacato in fabbrica. Vennero stabiliti contatti ed emersero concrete disponibilità. Si individuarono anche le persone che dovevano essere candidate alla elezione per la Commissione Interna.
Quando ogni cosa sembrava risolta la mattina del 22 luglio la direzione aziendale annuncia i licenziamenti di 11 persone: otto uomini e tre donne.
Una vera rappresaglia.!
Sicuramente c’era stata una soffiata perché le persone colpite erano tutte coinvolte nell’iniziativa. Ovviamente fra queste c’era Battista ma anche persone che negli anni successivi caratterizzeranno la loro vita con un forte impegno politico: Betto Tomassi, Giovanna Palermo, Gino Tomassi, Marcella Mattone, Gaspare Maura, Paolo D’Avelli.
L’atto padronale risultò negativo, violento e illegale: undici persone con famiglia a carico vennero sbattute sul lastrico. Fu veramente una scelta crudele che ebbe una risposta tempestiva nella città. Il giorno successivo, infatti, la sezione del Pci, attraverso il giornale murale “ La voce del popolo” condannò la rappresaglia, invitò la popolazione a sostenere le famiglie dei licenziati e rilevò che Antonio Annunziata, non rispettando il contratto e le previste paghe salariali, sottraeva ogni anno 50 milioni di lire dalle tasche dei lavoratori.
Le iniziative si svilupparono ancora: la sera stessa del ventitre la giunta comunale esaminò la situazione, sostienne la richiesta dei lavoratori e condannò i licenziamenti. La domenica mattina del 26 la CGIL presso il “ Cinema Italia “ tenne una affollatissima assemblea cittadina ove l’onorevole Compagnoni illustrò la situazione, ricordando ai presenti i minorenni adibiti ai lavori pesanti, la mancata retribuzione degli straordinari, le pessime condizioni igieniche sul posto di lavoro e infine delineò le iniziative da prendere.
Il consiglio comunale nel pomeriggio del 30, pur convocato per approvare il bilancio, trovò il tempo per discutere i licenziamenti e formare una delegazione unitaria per andare a incontrare il commendatore.
L’incontro si tenne dopo le venti ma i modi bruschi e sprezzanti di Annunziata confermarono la volontà di costui a volere mantenere i licenziamenti. Fu un colpo durissimo. Una grave offesa al massimo organo di rappresentanza cittadina. Ma la città non si sfiduciò e non si arrese: il giorno dopo l’Amministrazione comunale invitò i commercianti del paese presso la palestra comunale. La CGIL spiegò la situazione, evidenziò quanto la città stava perdendo per la politica dei bassi salari e chiese un gesto di palese solidarietà.
Il giorno successivo tutti i commercianti ceccanesi raccolsero la sollecitazione e come atto di sostegno agli operai abbassarono le saracinesche delle botteghe dalle ore 11 alle 13.
Abbiamo provato a descrivere con una certe precisione atti e tempi della difesa dei lavoratori e con la stessa puntualità dobbiamo anche rilevare che in tutte queste occasioni non risultano presenti né la Cisl né la Uil, e nemmeno conosciamo le loro posizioni. E’ evidente che la scissione avvenuta nel 1948 ancora pesava e incideva duramente.
Il 3 agosto, la Cgil, forte di un consenso rilevato fuori dalla fabbrica e considerato che il padrone era irremovibile non ebbe altra scelta che proclamare lo sciopero aziendale.
Una scelta temeraria che si dimostrò fatale perché in tale circostanza avvenne l’irreparabile: tutti gli operai al suono della sirena entrarono in fabbrica, anzi qualcuno si avviò al lavoro prima del segnale d’ingresso.
Le paure e i timori, purtroppo, ebbero il sopravvento.
Una città mai domata dovrà registrare una cocente sconfitta, la più grave mai ricevuta, che peserà negativamente ancora per tanti anni. Ad otto anni dalla fine della guerra e dal ripristino delle libertà democratiche il sindacato non verrà riconosciuto, sarà ancora privo di legittimazione e lo stabilimento si appresta inevitabilmente ad essere chiamato “ Terra senza legge “



Globalizziamo la lotta affinché la crisi la paghino i capitalisti!

Dichiarazione della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

Fare il “democratico” è costato caro a Papandreou. In un'escalation di eventi, dopo la sua tanto falsa quanto contestata intenzione di sottoporre a referendum popolare il secondo e brutale piano "di salvataggio" della Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fmi), la nuova realtà è che il premier legato al socialdemocratico Pasok ha lasciato e ora la Grecia ha un nuovo primo ministro.
Il successore non è uno sconosciuto. Si tratta di Lucas Papademos e la sua storia suona come musica per le orecchie dei banchieri e dei mercati mondiali: è stato vice presidente della Banca Centrale Europea e ex governatore della Banca di Grecia. Papademos, cercando di dare di sé un immagine “tecnica”, ha iniziato proclamando: “non sono un politico”, per proseguire con la predica consueta: “Tutti dobbiamo contribuire al difficile processo di risanamento dell'economia”. Il nuovo premier ellenico ha chiarito che la sua priorità assoluta è approvare e applicare senza riguardi il piano di aggiustamento che è stato approvato lo scorso 26 ottobre a Bruxelles, con i conseguenti attacchi al livello di vita e ai diritti della classe operaia greca.
Il premier uscente Papandreou ha fornito sempre importanti servigi alla Troika. Capitanando una delle economie più deboli e più castigate della nave malconcia che è ora l'Unione Europea, ha sottomesso il popolo greco, in meno di due anni, a cinque durissimi piani di "risanamento". Uno più brutale dell'altro e affrontando l'eroica resistenza del popolo greco, con la classe operaia all'avanguardia di un processo di lotte che ha prodotto finora 17 scioperi generali in questo stesso lasso di tempo, l'ultimo con più di 250 mila persone per le strade (la Grecia ha poco più di 11milioni di abitanti, ndt). Se la Grecia è il punto più alto della guerra sociale che l'Europa del capitale ha scatenato contro il proletariato del vecchio continente, lo è anche di una tenace ed esemplare resistenza della nostra classe.
Dimenandosi come uno affogato, l'annuncio del referendum sul piano della Troika non è stato altro che una manovra politica di Papandreou, nel tentativo disperato di riposizionarsi politicamente di fronte all'isolamento e all'odio che nutre nei suoi riguardi, giustamente, il popolo lavoratore greco. Qualsiasi tentativo di vedere in questo annuncio un intento “democratico” da parte dell'ex primo ministro ateniese, non è altro che una pericolosa ingenuità politica.

E si è propagato il panico...
Tuttavia, poiché la situazione non è adatta agli scherzi o alle finte minacce, il solo annuncio del referendum e la possibilità che il popolo dicesse “no” al piano di aggiustamento che il vertice europeo aveva tramato, i grandi capi dell'Ue sono entrati in uno stato di furia e panico combinati. Non poteva essere altrimenti, quando si sa che più dell'80% dei greci è contro la ricetta di Bruxelles.
A partire da Merkel e Sarkozy, tutti i gerarchi europei hanno espresso la loro totale opposizione alla possibilità della consultazione e hanno brandito ogni genere di minaccia contro la Grecia. Le peggiori piaghe e calamità sono state annunciate. Senza batter ciglio, hanno ritirato gli 8 miliardi di euro promessi e allo stesso tempo hanno minacciato l'espulsione della Grecia dalla zona euro e dalla moneta comune. Tale reazione è ovvia! A cosa serve sottoporre alla discussione popolare ciò che hanno votato i guru dell'Ue e la Troika! Come dicono i compagni e le compagne di Corriente Roja nello Stato spagnolo: “L'UE ha dimostrato una volta di più, con particolare durezza, che è una macchina incompatibile con la democrazia e un'arma da guerra al servizio dei banchieri e dei grandi capitalisti per il saccheggio dei lavoratori e dei popoli europei”.
È stato così che Papandreu, spaventato dalla sua stessa mossa e vedendosi nudo di fronte allo specchio, ha ritirato la sua proposta di referendum. Tutto questo nel mezzo a una crisi politica di brutale ampiezza. Il leader greco ha assistito al proprio funerale nel mezzo di ogni sorta di negoziato e di tira e molla per formare un nuovo governo di “unità nazionale” e di carattere “tecnico” più adatto al palato della Troika. Papandreou si era bruciato e, come il fusibile che è sempre stato, doveva essere cambiato. Tanto il Pasok come l'”oppositore” Nuova Democrazia sono completamente d'accordo e uniti riguardo la necessità di attuare i piani della Troika, non è così passato molto tempo prima che il nome del successore venisse definito. Nasce in questo modo il nuovo governo, guidato da Papademos, un ex funzionario della Bce che cercherà di applicare a qualunque costo i disegni della Troika con l'avallo dei due partiti del regime borghese greco. Come andrà a finire si deciderà nelle strade, dove la classe operaia greca non ha abbassato le braccia né ripiegato le bandiere, e non per caso.

Il “piano di salvataggio” è la colonizzazione della Grecia
La Grecia è un Paese devastato. La sua situazione economica e sociale è paragonabile solo agli effetti prodotti da una guerra. In questo senso, indigna il cinismo della Merkel di Sarkozy, con l'appoggio di Rajoy e Rubalcaba (leader del Pp e del Psoe spagnoli e candidati premier ndt), che pretendono di ergersi a “salvatori” della Grecia, quando sono loro, insieme ai loro burattini locali, che hanno portato il Paese a questa disastrosa situazione.
Il secondo piano “di salvataggio” approfondisce questa devastazione sociale ed economica in Grecia. È un piano che serve a sottomettere e schiavizzare i lavoratori greci per decenni e a convertire il Paese in un protettorato coloniale, gestito direttamente dalla Troika, che si installerà in maniera permanente ad Atene. L'arretramento che è in corso è strutturale e storico.

La zona euro e l'UE si stanno sgretolando
L'accelerazione della crisi dell'Ue, provocata dall'annuncio del referendum, finisce per affossare e smascherare i discorsi e i risultati dell'ultimo vertice europeo. Lì i grandi esponenti e rappresentanti politici del capitale hanno presentato i loro risultati come “storici”, sostenendo che la crisi e l'insolvenza delle banche europee, così come il problema del debito greco e la crisi dell'euro, erano stati risolti in maniera “definitiva”.
Oltre queste menzogne rivolte agli incauti, quello che stiamo vivendo è il panico che si sta impossessando di quelli che si credevano i padroni dell'Europa fino al crollo dell'Ue, il progetto che hanno costruito nel corso di decenni. Dimostrazione di ciò è stata l'ultima riunione del G20 a Cannes, dove è apparso chiaro che tutti i problemi dell'Ue persistono e si aggravano, la continuità della zona euro e della stessa Ue è apertamente in questione. Anche il primo ministro britannico, David Cameron, ha riconosciuto che “ogni giorno in più della crisi dell'euro ha un effetto negativo sul resto dell'economia mondiale”. Obama ha segnalato che le misure contemplate dai piani di risanamento risultano ancora flebili. Terminato il vertice, Nicolas Sarkozy ha decretato una nuova manovra di 100 miliardi di euro in Francia, che include l'aumento dell'Iva, più imposte alle classi medie, tagli al bilancio della salute, riduzione degli aiuti all'affitto (nel contesto della crisi degli alloggi) e l'aumento dell'età pensionabile a 62 anni.
La situazione non è quella che viene dipinta negli alti vertici. L'Europa del capitale scricchiola. Continuano ad aumentare i governanti che cadono vittime della brutale crisi economica e politica del vecchio continente. George Papandreu ha aggiunto il suo nome alla lista dei primi ministri caduti in Portogallo, Irlanda e Slovacchia. In mezzo a questa tempesta, in Spagna, Zapatero è stato costretto a indire elezioni anticipate e la popolarità di Sarkozy e di Angela Merkel è in picchiata. In generale, i destini dei leader europei sono legati alla loro capacità politica di approvare e imporre alla classe operaia europea i durissimi piani di aggiustamento della applicazione dei quali le banche e il capitalismo internazionale hanno bisogno per uscire dalla loro profonda crisi strutturale con la minore instabilità possibile.
È così che, ora, l'agonia politica ha colpito niente meno che il Cavaliere, Silvio Berlusconi. che si è dovuto dimettere per far posto al tecnocrate della Godman Sahcs Mario Monti.

Unione Europea: Che la crisi la paghino i capitalisti
L'obiettivo centrale in Grecia e in altri Paesi che si trovano nella “zona di salvataggio” è rifiutare questi piani di spoliazione e colonialisti. Rifiutare il “piano di salvataggio” della Troika e dei suoi governi capitalisti. Il piano di aggiustamento per la Grecia non può che condurre le masse popolari di questo Paese alla catastrofe. Una débacle che, alla fine, si concluderà con l'espulsione della Grecia dall'Ue, una volta che sarà stata totalmente spremuta e il suo patrimonio nazionale dilapidato. E per questo che, per uscire dalla crisi, non rimane altra scelta che rifiutare il “piano di salvataggio” e smettere di pagare il debito (per altro illegittimo) ai banchieri internazionali. Dobbiamo spingere per questa soluzione sapendo che ciò implicherà l'uscita della Grecia dall'euro e dalla stessa Ue.
Ora, per imporre questa via d'uscita operaia è necessario prima costruire uno sciopero generale ad oltranza in Grecia. Non c'è altra maniera per sbarrare la strada ai capitalisti e ai loro piani. Solo in questo modo, combattendo, si potrà costruire un'alternativa dal basso a questa crisi. La nostra alternativa è che siano quelli che hanno generato la crisi, cioè i banchieri e i capitalisti del mondo, a pagarne i costi.
In questo senso, le elezioni di febbraio che propongono il Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia, i due partiti responsabili della crisi, non rappresentano nessuna soluzione alla crisi. Le elezioni non sono altro che un tentativo di ridare legittimità a loro stessi e alle loro politiche, al fine di meglio imporre il nuovo pacchetto colonialista degli imperialismi più forti d'Europa. Per questo, è un compito importantissimo impedire l'assunzione del comando da parte di Papademos, fantoccio del Fmi e della Bce, e lanciare la parola d'ordine di un governo dei lavoratori: un governo basato sull'organizzazione dei lavoratori in ogni posto di lavoro e nelle assemblee popolari delle piazze.
In Grecia, la costruzione di uno sciopero generale ad oltranza è l'unico modo per imporre la volontà del popolo che il governo e il parlamento non hanno mai rispettato.
Nello stesso senso, è necessario chiamare all'unificazione delle lotte di tutti i lavoratori d'Europa, ponendo come prospettiva la costruzione di uno sciopero generale unificato su scala europea. Per concretizzare ciò, si deve scatenare una battaglia durissima contro le burocrazie sindacali europee che si sono cristallizzate e costituiscono un ostacolo per la lotta e l'unificazione delle mobilitazioni. Stiamo parlando di burocrazie che sono scese a patti con la Troika e con i propri governi nel senso di facilitare l'accettazione di questi piani da parte della classe operaia disarmandola o dividendola nell'ora della lotta.

Per un piano di salvataggio dei lavoratori e un governo operaio che lo applichi
Se la Grecia o qualsiasi altro Paese rifiuta il pagamento del debito e rompe con l'euro e l'Ue, sarà vittima di qualsiasi tipo di ricatto, del boicottaggio e di punizioni esemplari da parte della Troika e dei banchieri.
Pertanto, il rifiuto del piano e del pagamento del debito devono essere accompagnati da due questioni fondamentali: la mobilitazione e l'autorganizzazione dei lavoratori e del popolo greco e la più stretta solidarietà e unità nella lotta della classe lavoratrice europea con i suoi fratelli di classe greci e contro i propri governi. La seconda, è prendere drastiche misure anticapitaliste, cioè applicare un vero piano di salvataggio dei lavoratori e del popolo, in difesa del tenore di vita della maggioranza. Tali misure devono essere:

-No al pagamento del debito ai banchieri;

-L 'uscita dall'euro e dall'UE del capitale;

-L'espropriazione e la nazionalizzazione, sotto controllo dei lavoratori, di tutto il sistema finanziario;

-No alle privatizzazioni;

-Controllo dei capitali e monopolio del commercio estero;

-La riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario;

-Investimenti in servizi pubblici e per difendere l'istruzione e la sanità pubbliche e un piano di opere pubbliche e sociali

-Nazionalizzazione delle industrie strategiche e dei servizi fondamentali;
-Lottare per un governo dei lavoratori che applichi tali misure.

Per un'Europa dei lavoratori. Per gli Stati Uniti Socialisti d'Europa
Davanti alla possibilità concreta di rovina e miseria senza precedenti che apre questa crisi, la lotta delle masse proletarie d'Europa è una sola. Non c'è possibilità di una vittoria strategica a livello continentale, contro gli attacchi dei banchieri e dei capitalisti europei, se non ci si colloca nella prospettiva di un'altra Europa, un'Europa al servizio delle masse popolari e dei lavoratori. Concretamente ciò significa la prospettiva degli Stati Uniti Socialisti d'Europa. Questa nuova Europa arriverà solo per mano della rivoluzione socialista e con l'instaurazione di governi operai in tutti i Paesi del vecchio continente. Contro la comunità europea dei ricchi e dei potenti, dobbiamo costruire l'unità degli sfruttati del continente contro il nostro nemico comune: l'imperialismo e i suoi agenti in ogni Paese.

La lotta di ogni popolo europeo, è la nostra lotta!
Tutto il sostegno e la solidarietà attiva alla lotta dei lavoratori e del popolo greco!
Globalizziamo la lotta affinché la crisi la paghino i capitalisti!
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(traduzione di Giovanni "Ivan" Alberotanza)