martedì 27 novembre 2012
L'Ilva chiude per ritorsione
Luciano Granieri
La situazione dell’Ilva sta
precipitando e i Riva sono i principali responsabili dell sfascio in atto. La questione che
ha visto mettere i lavoratori della più
grande acciaieria di Europa contro la cittadinanza di
Taranto è la solita strategia tesa a scatenare la guerra fra poveri, e nascondere i problemi reali. La verità è descritta in queste cifre. Il fatturato Ilva è passato dai
5.8 miliardi di euro del 2009 agli oltre 10 miliardi del 2011. Di tale incremento,
hanno accertato i magistrati, non un solo centesimo è stato speso per la messa
a norma dello stabilimento. Non solo, quattro mesi fa alcuni rappresentanti
della “Armenduni acciaio spa”, detentrice del 10% del pacchetto azionario dell’Ilva
hanno votato contro il bilancio dell’azienda
chiedendo lumi su alcuni trasferimenti di denaro passati dall’azienda, direttamente ai consulenti finanziari
personali dei Riva. Siamo alle solite manovre dell’imprenditorialismo accattone
italiano. I guadagni realizzati, grazie alle
regalie pubbliche e allo sfruttamento dei lavoratori, non
vengono reinvestiti nella produzione e men che meno nella messa a norma degli
impianti, ma servono per realizzare
profitti privati attraverso la speculazione finanziaria. Oggi siamo all’epilogo.
Il controllo che avrebbe dovuto esercitare lo Stato, dopo l’improvvido regalo
fatto ai Riva nel 1995, è stato esercitato
dalla magistratura. I cui provvedimenti non scalfiscono minimamente l’indisponenza
della famiglia. Ad esempio: la
magistratura dispone nel luglio scorso
il blocco della produzione a caldo dello stabilimento, quella più inquinante. Anziché
rispettare l’ordinanza di chiusura la risposta è l’aumento
delle colate. Oggi i semi lavorati prodotti durante il periodo di chiusura
imposto dai magistrati vengono sequestrati e non possono essere commercializzati
perché realizzati in violazione alla legge. Inoltre sta emergendo, a seguito
dell’inchiesta della Guardia di Finanza denominata “enviroment sold out” il
marcio della gestione. Escono fuori le mazzette elargite dai dirigenti Ilva per indurre, ex assessori e tecnici incaricati, a certificare la conformità dell’impianto inquinante alle normative vigenti in termini
di basso impatto ambientale. Il risultato dell’inchiesta parla di provvedimenti
di custodia cautelare per le accuse di associazione per
delinquere, disastro ambientale e concussione,
a carico di Emilio e Fabio Riva
che si è reso irreperibile, dell'ex
responsabile delle relazioni esterne del gruppo Archinà e dell'ex assessore
all'Ambiente Conserva. I Riva nonostante siano inquisiti continuano
nella loro spocchiosa protervia e decretano per ritorsione la chiusura di Taranto e di tutti gli impianti (Genova,
Novi Ligure, Racconigi, Marghera e
Patrica), che da questa unità ricevono i semi lavorati .Si tratta di 20
mila famiglie che rischiano di rimanere sul lastrico. La fabbrica è stata
occupata, gli operai hanno forzato gli ingressi prendendo possesso degli uffici amministrativi, fuori intanto
altri lavoratori sfogano la loro rabbia contro i delegati sindacali servi del
padrone Riva che hanno alimentato e fomentato la guerra fra poveri, cittadini
contro maestranze. La drammatica vicenda
dell’Ilva ormai può essere risolta in un
solo modo. Cioè costringendo i Riva a finanziare
gli adeguamenti dell’impianto di Taranto. Con circa 3 miliardi e mezzo non solo si metterebbe a norma la fabbrica in relazione all’impatto ambientale, ma si finanzierebbero migliorie,
come il rifacimento della cokeria e degli altiforni, in grado di rendere la
produzione migliore e più competitiva. La famiglia Riva dovrebbe assicurare lo
stipendio a tutte le maestranze fino a quando il processo di adeguamento degli
impianti non verrà completato. Dopo di che i signori dovranno essere liquidati
senza indennizzo e lasciare l’impianto in mano pubblica con la gestione diretta
degli operai. Si dirà che l’Ilva ha un capitale sociale insufficiente a coprire
questi investimenti ( 1 miliardo). Allora che i Riva procedano a una ricapitalizzazione
attingendo ai profitti personali realizzati
con la speculazione finanziaria e poi si tolgano definitivamente di torno. Ma
sarà capace il governo dei banchieri di
attivare una procedure simile? Certo che
no e allora come al solito, la lotta deve partire dal basso previa liquidazione
dei sindacati conniventi.
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