giovedì 1 novembre 2012

Scuola pubblica: Monti peggio di Berlusconi

Fabiana Stefanoni


Chi pensava che i tagli alla scuola pubblica avessero già raggiunto l'apice con il governo Berlusconi - che ha tagliato 8 miliardi all'istruzione pubblica, provocando la perdita di 160 mila posti di lavoro nella scuola a danno dei precari - si sbagliava. Monti, forte del sostegno del Partito democratico (e quindi, indirettamente, della burocrazia Cgil), sta ultimando l'opera di privatizzazione delle scuole.
La legge Aprea-Ghizzoni: la scuola azienda è una realtà
Ai tempi dell'ultimo governo Berlusconi, l'assessore regionale all'istruzione della Lombardia, Valentina Aprea, aveva sostenuto e difeso a spada tratta un progetto di legge (noto appunto con il nome di "legge Aprea") che prevedeva la trasformazione delle scuole in vere e proprie aziende, con tanto di "consiglio di amministrazione" sul modello della riforma delle università della Gelmini. Il Pd, allora, aveva speso fiumi di parole contro quella legge, definendola un "duro attacco alla scuola pubblica". Fatto sta, che i tempi sono cambiati e oggi il Pd sostiene il governo Monti. Così, la commissione cultura della Camera il 10 ottobre ha approvato, con qualche marginale modifica, quella stessa legge, ma stavolta col plauso del Pd. Valentina Aprea ha cantato vittoria. E ha fatto bene: infatti, checché ne dica l'onorevole Ghizzoni del Pd - che ha presentato qualche emendamento alla legge precedente, senza stravolgerne il contenuto - l'impianto della legge precedente è rimasto in piedi.
La legge Aprea, giustamente ridefinita legge Aprea-Ghizzoni per il concorso della parlamentare del Pd alla stesura, trasforma le scuole in aziende, esattamente come nel progetto originario. Molte delle funzioni fino ad oggi di competenza degli organi collegiali degli insegnanti (a partire dal collegio docenti, cioè l'assemblea periodica di tutti gli insegnanti di una scuola) diventeranno competenza esclusiva del dirigente scolastico, sempre meno "preside" e sempre più "manager": i collegi docenti resteranno degli organi meramente informativi, privi di potere decisionale. Come già avvenuto con la riforma delle università, verrà istituita una sorta di consiglio di amministrazione per ogni scuola (chiamato "consiglio di autonomia"), del quale faranno parte anche soggetti privati estranei alla scuola (imprese, fondazioni, associazioni padronali): è ovvio che la didattica sarà condizionata da questa presenza, con la conseguente trasformazione delle scuole in appendici delle aziende presenti sul territorio. Le stesse scuole potranno attingere finanziamenti da "fondazioni" private (ossia banche e aziende): la logica del profitto la farà da padrona (tanto più che vengono introdotti meccanismi di "autovalutazione" delle scuole - simili a quelli delle aziende - funzionali a creare una gerarchia tra gli istituti).
Il Pd parla di "una norma profondamente trasformata rispetto al progetto originario". Ma, se così fosse, non si capirebbe l'entusiasmo di Valentina Aprea per l'approvazione della legge: la verità è che le modifiche apportate dal Pd riguardano aspetti di secondaria importanza, mentre l'impianto della legge resta in piedi. Del resto, non c'è da stupirsi. E' stato proprio un decreto a firma Bersani che, ai tempi del governo Prodi, aveva trasformato - col voto a favore dei parlamentari di Rifondazione Comunista e dell'Italia dei Valori, che sostenevano il governo - le scuole in "fondazioni di diritto privato". Quella legge ha creato le condizioni per il finanziamento privato alle scuole pubbliche.
Non solo. Oggi la legge Aprea porta all'estremo l'autonomia degli istituti scolastici: ogni scuola diventerà un regno a sé, potrà elaborare in piena libertà un proprio statuto, in deroga alle norme generali della scuola pubblica. Anche in questo caso, sono stati i governi di centrosinistra a fare da apripista. Con le leggi del 1997 e del 1999, infatti, oltre a parificare l'istruzione privata a quella pubblica, si approvava la cosiddetta "autonomia scolastica" degli istituti, con la conseguente apertura a logiche privatistiche.
La legge di stabilità: un monito per i lavoratori della scuola 
La legge di stabilità prevede nuovi pesanti attacchi ai lavoratori della scuola (e a tutto il pubblico impiego): gli stipendi, bloccati dal 2010, verranno congelati fino a tutto il 2017. E' previsto il blocco dell'indennità di vacanza contrattuale (cioè di una parte della retribuzione erogata dallo Stato nel periodo che intercorre tra la scadenza di un contratto e il suo rinnovo), con l'addio definitivo ai recuperi delle tornate contrattuali perse. Come se non bastasse tutto questo, il governo ha voluto inserire nella Finanziaria la proposta di allungare, a parità di stipendio, l'orario base degli insegnanti delle scuole medie inferiori e superiori. L'orario di lavoro era, fino ad oggi, oggetto di contrattazione sindacale: per la prima volta dal dopoguerra, un governo pretende di modificare per decreto il contratto collettivo nazionale di lavoro. In realtà, su questo punto Monti si è detto disposto a fare un passo indietro: ma è chiaro che l'aumento dell'orario di lavoro, che oggi esce dalla porta, rientrerà dalla finestra in occasione del prossimo rinnovo contrattuale. Il messaggio che ha voluto lanciare il governo, con questa boutade, è chiaro: se non ora, a breve l'orario di lavoro degli insegnanti sarà aumentato a parità di salario (esattamente come è avvenuto con i ferrovieri, col consenso dei sindacati concertativi).
E' un argomento su cui è stato facile per il governo trovare "un consenso" nell'opinione pubblica: chi non lavora nella scuola, pensa che 18 ore alla settimana di insegnamento siano poche. Ma ciò che si dimentica di dire è che 18 sono le ore base di insegnamento, a cui si aggiungono le ore di riunione, i ricevimenti, le ore di disponibilità per le supplenze interne, senza contare il lavoro a casa di preparazione delle lezioni e di correzione dei compiti e gli spostamenti da una scuola all'altra (dato che, soprattutto dopo i tagli dei governi precedenti, sono moltissimi gli insegnanti che devono destreggiarsi tra più scuole per completare l'orario). Ma innalzare l'orario base degli insegnanti di 6 ore la settimana ha un effetto immediato, che è poi quello che interessa al governo: si eliminano definitivamente le ore rimaste disponibili per le supplenze. Questo significa che il personale precario, già penalizzato dal taglio di 160 mila posti, è destinato a scomparire definitivamente. Gli 11 mila posti del concorso saranno probabilmente gli ultimi a disposizione di un esercito di oltre 300 mila precari.
Rispondiamo con la lotta e lo sciopero generale!
C'è un filo rosso che unisce la legge Aprea-Ghizzoni e la proposta di aumentare l'orario di lavoro degli insegnanti: l'obiettivo di smantellare il contratto di lavoro. E' quello che è già in parte avvenuto con il rinnovo del contratto dei chimici, rinnovo che prevede la deroga al contratto anche in relazione agli aumenti salariali (rinnovo sottoscritto anche dalla Cgil). E' lecito prevedere che a breve sarà la volta della scuola: se ogni istituto diventerà un'entità economica a sé, ciò che fino ad oggi è stato materia di contrattazione nazionale diventerà materia di contrattazione "aziendale", ogni scuola avrà regole e stipendi diversi. Smantellare la contrattazione collettiva significa ridurre i diritti e rendere più ricattabili i lavoratori: è questo lo scopo che il governo intende perseguire.
L'insegnamento che ne ricaviamo è che nessuna conquista, nel capitalismo, è duratura: i padroni e i loro rappresentanti si riprendono con la mano destra tutto ciò che sono stati costretti a concedere con la mano sinistra. Per la contrattazione collettiva è lo stesso: le lotte di massa degli anni Sessanta e Settanta sono state svendute in cambio di qualche concessione (come lo Statuto dei lavoratori) e oggi quelle concessioni diventano carta straccia.
Ma una nuova stagione di lotte, anche nella scuola, si è aperta. In Spagna, Portogallo e Grecia le lotte studentesche hanno raggiunto un carattere di massa e si sono legate a quelle dei lavoratori della scuola. Lo stesso avviene in Cile e persino negli Stati Uniti, dove uno sciopero a oltranza degli insegnanti e degli studenti è riuscito, a Chicago, a strappare persino aumenti salariali. Nella scuola italiana è più difficile respingere gli attacchi del governo, "grazie" alla famigerata legge 146 del 1990 (poi ulteriormente inasprita ai tempi del governo D'Alema) che limita fortemente il diritto di sciopero nel settore pubblico (legge voluta dalla Cgil!). Ma l'esperienza storica dimostra che la mobilitazione di massa è in grado di aggirare ogni ostacolo, anche quello delle leggi antidemocratiche.
Mentre scriviamo, gli studenti a Roma stanno occupando le università e bloccando le strade nella capitale, dopo aver organizzato due grandi giornate di lotta il 5 e il 12 ottobre. Gli insegnanti stanno organizzando assemblee, presidi di protesta, blocchi del traffico in molte città d'Italia. I sindacati "di regime" (Cisl e Uil), dopo aver contribuito al massacro della scuola sostenendo le manovre del governo Berlusconi, hanno indetto uno sciopero di categoria il 24 novembre: uno sciopero "innocuo", tardivo e convocato di sabato per "non disturbare troppo". E' necessario che la risposta a questo attacco venga prima: la giornata del 14 novembre - giornata dello sciopero generale in vari Paesi europei - può e deve diventare una giornata di lotta anche per la scuola. Alcuni sindacati di base hanno proclamato lo sciopero il 14 novembre (Cobas, Cub Scuola Università e Ricerca, Unicobas, ecc.). La Cgil ha annunciato 4 ore di sciopero generale per lo stesso giorno. Non basta: il 14 novembre deve diventare anche in Italia il giorno di uno sciopero generale di 24 ore per tutte le categorie, nella prospettiva della costruzione di uno sciopero a oltranza su scala europea. Giustamente, i giovani indignados gridano nelle piazze "siamo il 99%": e quel 99% può diventare una forza imbattibile se si trasforma in sciopero generale prolungato.   

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