sabato 21 gennaio 2012

Anche a Frosinone non vogliamo pagare il debito che non abbiamo provocato

Luciano Granieri

NON VOGLIAMO PAGARE IL DEBITO CHE NON ABBIAMO PROVOCATO.

Questa sacrosanta parola  d’ordine ha accompagnato  e accompagna le lotte sociali determinatesi in tutta Europa contro il potere della finanza,  dalla Grecia alla Spagna e  all’Italia, seppur in misura minore e in modo più confuso .  Ad  ottobre 2011 l’avanzo primario  del nostro Stato  si è rivelato positivo. Ciò significa che le entrate  derivate dalle tasse pagate dai i cittadini, in gran parte lavoratori dipendenti e pensionati,  sono state superiori alle uscite destinate dallo stato per il sostegno al welfare  . Ciò significa che non  tutte le risorse acquisite sono state spese a favore dei cittadini. Ciò significa quindi che il debito accumulato dall’Italia è determinato   non già da una eccesiva spesa per assicurare protezione sociale e una vita decente a  chi quelle entrate ha assicurato attraverso  il pagamento delle tasse,  ma si è determinato a causa della speculazione finanziaria e a causa della dittatura del finanzcapitalismo. Un  esempio di come le risorse pubbliche servano a coprire i debiti dei privati si sta realizzando anche nella nostra città.  Il comune di Frosinone ha  chiesto ed ottenuto  mutui dalla Cassa Depositi e prestiti per circa 4MILIONI E 500MILA euro. Prestiti  il cui costo degli interessi evidentemente ricadrà sui cittadini. Tale richiesta si è resa necessaria per far fronte a perdite di bilancio e al completamento di alcune opere pubbliche programmate, ma la cui realizzazione,  senza i fondi necessari,  rimarrebbe incompiuta.  Tralasciamo la realizzazione delle opere pubbliche  la cui copertura finanziaria dovrebbe essere abbondantemente assicurata dalla fiscalità locale alla cui definizione  dovrebbe partecipare tutta la cittadinanza,  e  concentriamoci  sulle perdite di bilancio.  I cittadini di Frosinone dovranno pagare interessi su una dilazione di  1milione e 120mila euro . Tale debito è dovuto in gran parte alla mancata riscossione degli oneri concessori dovuti dagli enti privati che hanno sfruttato  grandi porzioni di territorio pubblico  per  realizzare immani  profitti.  Perché il comune di Frosinone deve  scaricare sulle spalle della collettività   gli oneri del debito contratto dalla grande imprenditoria privata?     Come  cittadini di Frosinone  non accettiamo  di finanziare con il frutto del nostro onesto lavoro  la speculazione  che arrecherà ai soliti noti imprenditori della nostra provincia ingenti ricchezze. Né  siamo disposti ad accettare che colori i quali dovrebbero amministrare con equità il nostro territorio si rendano complici di tali  speculazione e favoriscano l’arricchimento dello 0,50% della popolazione di Frosinone a danno dell’altro  99,5%


Facciamo politica: riprendiamoci l’acqua e i beni comuni

Emilio Molinari da http://www.sbilanciamoci.info


Il voto referendario sull'acqua e sui servizi pubblici è sotto scacco, per la stasi delle istituzioni e la speculazione del mercato, che vuole privatizzare i beni comuni. Serve un nuovo protagonismo politico e sociale dei cittadini e dei movimenti
A pochi mesi dal referendum, la disastrosa crisi finanziaria ha di fatto cancellato la straordinarietà di quell'evento nella memoria dei cittadini. Per i lavoratori e i pensionati, per la gente comune che ha votato, schiacciati da problemi contingenti, l'acqua e il rispetto dei referendum sembrano passare in secondo piano. L'amnesia ha contaminato gran parte del popolo di sinistra, ripiombato – si direbbe – nell’incubo totalizzante: l'antiberlusconismo, senza idee e senza principi, senza alternativa. Anche per molti movimenti a noi vicini, per la chiusura autoreferenziale o gli interessi corporativi, il referendum è ormai lontano. “L'ineluttabilità del mercato” disarma la gente, crea paura. Berlusconi cade e questo è bene, ma che il popolo di centro sinistra esulti e finga di non vedere che non cade per iniziativa dell'opposizione e di un programma alternativo, non è di buon auspicio per la politica di questo paese. Come non lo è non vedere che la crisi è mondiale e ha travolto oltre gli USA, la Grecia, la Spagna (ricordate Zapatero idolatrato dal centro sinistra?), il Portogallo, l'Irlanda ecc. Il governo italiano vara l'ennesimo programma a fotocopia, dettato giorno per giorno dai mercati. Stiamo assistendo a qualcosa che non si era mai visto: il mercato e la speculazione, che sembrano vivere alla giornata, decidono la politica, i programmi di lacrime e sangue per la maggioranza del popolo commissariano le nazioni europee, formano i governi con propri esponenti. Ma può la politica inseguire i mercati e vivere alla giornata?
La stessa democrazia è malata, quando la politica, agli occhi della gente meno abbiente e dei lavoratori, viene screditata, ridicolizzata dai comici e resa inutile. Il programma è unico e le privatizzazioni, la svendita del patrimonio nazionale, restano un punto fermo per tuttiOggi, dopo il referendum, il movimento dell'acqua non è più forte e più ramificato sul territorio, ed è innegabilmente in difficoltà.
La minaccia dell'ingresso del privato nelle SPA pubbliche è di nuovo all'ordine del giorno, a Cremona e Salerno e persino a Milano ci sono assessori, come Tabacci, che affermano la volontà di privatizzare anche l'acqua. Solo Napoli, dopo 6 anni di movimento, sembra avviarsi verso la ripubblicizzazione. Non conviene riflettere su tutto ciò? In un simile contesto, la strada della ripubblicizzazione ha purtroppo ancora bisogno di accumulare forze, facendo leva su chi, sindaci e imprese, intende resistere alla spinta privatizzatrice sulle SPA in house e spingerle a organizzarsi e associarsi in comitati e in associazioni come Acqua Pubblica Europea presieduta da Anne le Strat, e a cui partecipano tante SPA in house europee. E da qui ripartire per la ripubblicizzazione. Forse possiamo puntare a un asse Napoli-Milano-Bari, tre realtà che nell'immaginario popolare rappresentano le punte più avanzate della partecipazione.
I cittadini, con il loro voto referendario, al di la degli specifici quesiti, hanno inteso affermare che tutti i servizi pubblici locali e il servizio idrico in particolare devono essere pubblici e l'acqua non deve generare profitti. Ma oggi non c'è istituzione italiana che interpreterà questo spirito del mandato popolare o anche solo e semplicemente il suo risultato. Nemmeno il Presidente Napolitano farà sentire la sua voce. La crisi economica, devasta il vivere sociale, la stessa politica che dovrebbe dare risposte. Così a noi, a tutti i movimenti sociali, vengono affidate inedite responsabilità che non si possono più affrontare dentro la gabbia di certezze consolidate.
Con il primo quesito (abrogazione della legge Ronchi) abbiamo eliminato solo l'obbligatorietà alla gara per tutti i servizi pubblici locali. Da qui partono tutti i tentativi di smontare il referendum, violando la Costituzione, con il bastone (le minacce di commissariamento) e la carota (il premio una tantum per chi fa entrare il privato): ignorando il responso referendario che toglie l'obbligatorietà alla privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali e non solo per l'acqua; avvalendosi della libera facoltà dei sindaci di scegliere il tipo di gestione, per forzarli alle gare o alle fusioni, anche per il servizio idrico; cercando cavilli giuridici per non attuare il secondo quesito sul 7% di profitti.
Privi di finanziamenti, isolati, ricattati dai partiti spesso indifferenti, costretti al tran-tran quotidiano, per molti sindaci non sarà facile trovare il coraggio politico per respingere bastoni e carote, contrastare l'ingresso dei privati e intraprendere la strada della ripubblicizzazione che malgrado tutte le nostre denunce non decolla.
Forse dovremmo dotarci di una strategia più articolata:
- sollecitare tutti, sindaci e imprese, ad aderire a una piattaforma contro la privatizzazione; premessa indispensabile ogni percorso di ripubblicizzazione;
- affrontare il problema dello scorporo dell'acqua dalle multiutility, come Iren a Genova/Reggio Emilia, A2A a Brescia, ACEA a Roma, sapendo che sarà quasi inevitabile il passaggio dell'acqua in una SPA in house e che forse occorreranno interventi legislativi, e inoltre calcolare e accantonare risorse per il recupero delle quote attinenti all'acqua (attingendo dal 7%, con un ruolo della Casa Depositi e prestiti?), tenendo presente che il 2013 e le elezioni sono vicine, e anche noi dovremmo attivarci nella campagna elettorale, misurarci con i partiti, le coalizioni e i programmi;
- trattare il nodo delle partecipate come quelle toscane e anche in questo caso individuando gli interventi nazionali e i passaggi graduali con i quali trovare o accantonare le risorse per riprendere le quote dei privati;
- impedire che la strada ormai tracciata ed evidente della privatizzazione porti, svendendolo, l'intero servizio idrico italiano e parte di quello energetico nelle mani dei privati. Le SPA in house saranno messe a gara, le SPA quotate e non, in poco tempo diverranno totalmente private e il privato non sarà altro che le ormai onnipresenti multinazionali francesi, più qualche banca internazionalizzata. La Cassa depositi e prestiti sarà funzionale a tale disegno e definitivamente trasformata in una banca privata al servizio delle privatizzazioni di tutte le infrastrutture italiane.
Nell'apertura di trattative, nell'individuazione di percorsi, nella gradualità priva di fretta, sta forse il modo per sostenere l'iniziativa dei comitati e determinare l'esistenza di un soggetto partecipativo legittimato a concorrere alle scelte. Passata l'euforia per il governo dei tecnici, con le elezioni del 2013 ormai imminenti, si riapriranno contraddizioni politiche sia nel centro sinistra che nella Lega, per la quale non varrà più il suo essere all'opposizione e al governo; ed è su questo che occorre fare leva. La campagna di obbedienza civile, va sostenuta senza riserve, ma non sfugge a nessuno quanto sia difficile la sua generalizzazione e la sua realizzazione in gran parte delle situazioni. E se non decolla? La domanda è: esiste un piano B o ci limitiamo ad urlare contro tutti i partiti compresi quelli che danno qualche segno di ascoltarci? È possibile accompagnare questa campagna con una strategia più flessibile verso gli enti locali in cui l'ingresso del privato non è ancora avvenuto? È possibile una trattativa che non si limiti alla tariffa e a quantificare la riduzione della tariffa corrispondente al 7% dei profitti abrogati, ma che, forte di un rapporto con le realtà che non vogliono privatizzare, rimetta sui tavoli l'insieme delle nostre proposte?
Occorre affrontare ancora e sempre i 50 litri gratuiti, la fiscalità generale, il risparmio d'acqua fissato nei piani di ambito, la progressività della tariffa, gli strumenti e le forme della partecipazione, le modalità di finanziamento del servizio, il reinvestimento nell'ammodernamento degli impianti e, (perché no), l'accantonamento generalizzato del Centesimo di euro ogni metro cubo, per la cooperazione internazionale, cercando anche nelle ONG interlocutori attivi. La chiusura ai profitti per i privati è per noi scontata, ma possiamo al contempo pretendere (come a Berlino è stato fatto con un referendum) la pubblicizzazione dei bilanci, dei profitti, degli investimenti, della formazione della tariffa. È cosa così disdicevole porre e perseguire con iniziative anche questi obiettivi?
L'abbiamo forse scordato, ma si è vinto il referendum perché abbiamo parlato per 12 anni il linguaggio universale dell'acqua, non abbiamo accettato il piano che i contabili volevano imporci parlando solo di tariffe, di soldi che non ci sono e di efficienza dei privati. È necessario ritornare tutti a comunicare e formare.
La manifestazione del 15 ottobre ha comunicato cose negative, ha collocato l'acqua e il movimento nello spazio di un'area politica e di una strategia precostituita più o meno antagonista. Del neoliberismo siamo tutti antagonisti, ma questo termine nel nostro paese si tramuta spesso in proposta politica, strategica e organizzativa, con alle spalle una lunga storia di sovrapposizione sui movimenti e di fallimenti. La storia del movimento dell'acqua è cosa diversa, sta agli antipodi, è articolata, è frutto di un lavoro capillare locale, nazionale e internazionale, non urlato, non testimoniale, educativo delle coscienze, rivolto a tutti, ricostruttivo del perduto senso comune dell'interesse generale e della solidarietà con chi ne soffre l'assenza; è fatto di carovane nei punti caldi del mondo.
Il mercato e la politica
Il mercato cancella la politica, le istituzioni, il respiro universale e, ancora più grave, cancella l'idea di partecipazione. Ricordare al popolo di sinistra e ai movimenti alcune verità è opportuno:
- vincere sull'acqua è vincere tutti e bisognerebbe concentrare le forze di tutti i movimenti per respingere l'attacco al referendum sull'acqua;
- fare politica non è la cancellazione dei partiti, ma non può più essere la sola ricerca del potere, non può più essere l'esercizio di far vincere il proprio partito, la propria squadra, la propria ipotesi più o meno coerente rivoluzionaria o riformista che sia.
- fare politica è, prima di tutto, far crescere la coscienza e la partecipazione del popolo e costruire un nuovo senso comune tra la gente.
- la politica sta oggi in bilico tra il “male” procurato dal mercato e la “vita” che i movimenti le infondono con i loro contenuti. A loro tocca la grande responsabilità di riscriverla.
Riprendere la nostra storia
È necessario limitare gli angusti spazi dei dilemmi sulle forme aziendali, ci rendono rissosi tra noi e immiseriscono la forza del nostro messaggio. Occorre riprendere ancora l'insieme della narrazione dell'acqua, il diritto umano, il nesso con la crisi finanziaria, con un’agricoltura e dei consumi insostenibili, con la natura che ci presenta i conti, con i limiti del paradigma della crescita, con i tagli della spesa pubblica ecc... Abbiamo parlato di un nuovo senso comune affermando che i Diritti Umani non sono cancellabili dall'andamento dei mercati. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, non si sospende sulla base dei responsi di Standard & Poor’s, perché sono punti fermi del percorso della civilizzazione umana. L'acqua sta rendendo visibile e percepibile alla gente la rottura di ogni relazione collettiva nella nostra società, la tragedia delle alluvioni, i mutamenti climatici, il degrado del territorio e del patrimonio culturale del nostro paese, la decadenza delle reti dei servizi pubblici. Insomma, si tratta della messa in sicurezza del nostro paese come risposta politica e occasione di rilancio occupazionale che fa a pugni con i tagli alla spesa pubblica. E ancora, rispondere al “dove trovare i soldi” colpendo la speculazione finanziaria con la patrimoniale o con un movimento mondiale sulla Tobin Tax è cosa che riguarda il movimento dell'acqua dentro ai Forum Sociali Mondiali e nel Forum Sociale Europeo, entrambi in piena crisi. È incredibile: i Forum Sociali Mondiali hanno lanciato la Tobin Tax quando le istituzioni di tutto il mondo l’osteggiavano e l’ignoravano. Ora che ne parlano molti governi, il Forum Sociale Mondiale tace, non ne parla più. Forse è il momento di riprenderla nell'ambito delle delibere di iniziative popolari europee che si intendono lanciare.
Dopo il referendum
Subito dopo la vittoria c'è chi ha pensato che si chiudeva un ciclo di 12 anni e che pertanto dovevamo proiettarci verso un più ampio movimento dei beni comuni: dall'acqua ai servizi pubblici, dal lavoro a internet, ecc...Dentro tale prospettiva l'acqua diluisce la propria forza e non serve nemmeno alla crescita di altre narrazioni. Quali sono beni comuni? Ma sopratutto: quale comune denominatore, quali obiettivi comuni, quale vertenza li possono tenere assieme? Qualcuno ha pensato alla nascita di uno spazio alternativo, di lotta, dentro al quale far convergere tutto ciò che si scontra nei territori e nel sociale (dalla TAV ai precari). Entrambe sono state delle scappatoie che hanno allentato la nostra guardia. Quali e quanti sono i beni comuni? Ecco è un esercizio che ci porta solo a disquisizioni teoriche: il lavoro è un bene comune? L'acqua è un servizio pubblico come gli altri? Oggi i beni comuni da affrontare in modo convergente sono i grandi elementi della vita: Aria – Acqua – Terra/cibo – Fuoco/Energia, caratterizzati da Esauribilità, Indispensabilità, Insostituibilità, Universalità del diritto, Necessità di partecipazione. Auspicabile è la crescita di narrazioni mature su questi beni fondamentali, che possano poi trovare convergenze ed obiettivi comuni. Oggi un movimento con la stessa o forse superiore maturazione di quello dell'acqua è il movimento sulla Terra, la sovranità alimentare, il cibo sostenibile, l'agricoltura compatibile e la difesa del territorio dal degrado; e l'altro può essere quello dell'energia. Tra questi vanno trovate convergenze. Il movimento dell'acqua ha cercato consenso tra tutti, non “l'avversità” verso tutti. Il movimento dell'acqua può e deve essere un modello per il nuovo ciclo di lotte e di pensiero, che si annuncia con i giovani in piazza a New York, a Madrid e con i ragazzi che spalano il fango a Genova ecc... Anche per loro la chiusura nel recinto degli antagonisti, è un qualcosa con cui dovranno fare i conti.
Abbiamo parlato a tutti
Pensiamoci: 27 milioni di italiani hanno votato il referendum. Da oltre 30 anni il PCI/PD, con alchimie politiche, insegue un “centro” senza mai riuscire ad acchiapparlo ed ecco che il movimento dell'acqua su un tema forte, che da solo può esemplificare il cammino dell'alternativa politica, ha conquistato il centro, la destra, i credenti e i non credenti e questo deve pur insegnare qualcosa a tutti i movimenti accumunati nella duplice crisi in cui si dibatte il mondo. Forse non abbiamo riflettuto sufficientemente su: quale modo di fare politica, quale rivoluzione culturale sta dietro allo straordinario risultato del referendum? Quale responsabilità viene consegnata ai movimenti?

La democrazia parte dai territori

a cura di Luciano Granieri, 

Il testo che segue è un'estratto della "Carta del Nuovo Municipio"  documento contenuto nella "Dichiarazione di Porto Alegre" realizzato dal forum della autorità locali nel 2003 riunitosi nella città brasiliana.
Come si nota il testo, oltre che essere attualissimo, si integra bene con l'attuale situazione politica e finanziaria.


Il  mercato globale usa il territorio dei vari paesi  e delle diversa aeree geografiche  come uno  spazio economico  ; in questo spazio le risorse locali sono beni da trasformare in prodotti di mercato di cui promuovere il consumo, senza alcuna attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale dei processi di produzione. I territori  e le loro “qualità specifiche” sono dunque “messe al lavoro” in un processo globale che consuma  qualità peculiari senza riprodurle, toglie loro valore innescando processi di distruzione delle risorse  e delle differenze locali . L’alternativa a questa globalizzazione parte da un progetto politico che valorizzi le risorse e le differenze locali  promuovendo processi di rifiuto della etero direzione del mercato .  Lo sviluppo locare così inteso deve costruire reti alternative alle reti globali, fondate sulla valorizzazione delle differenze e delle specificità locali.  Per realizzare futuri sostenibili fondati sulla  valorizzazione di patrimoni ambientali, territoriale e culturali propri a ciascun luogo, gli enti pubblici  debbono assumere  funzioni dirette nel governo dell’economia. Queste funzioni di governo  devono attivare nuove forme di esercizio della democrazia . Solo il rafforzamento delle società locali e dei  loro sistemi democratici di decisione consente da un lato  di resistere agli effetti omologanti e di dominio della globalizzazione economica  e politica, dall’altro di aprirsi e promuovere reti non gerarchiche e solidali. Gli enti locali devono trasformarsi  da luoghi di amministrazione burocratica in laboratori di autogoverno . Sono necessarie nuove forme di  autogoverno , in cui sia attiva e determinante la figura del produttore abitante che prende cura di un luogo attraverso la propria attività produttiva.  Un nuovo progetto di amministrazione  deve fondarsi  sulla valorizzazione dei patrimoni locali, contro forme di espropriazione e distruzione degli stessi ,  deve promuovere   la ricostruzione degli spazi pubblici della società locale come luoghi di formazione  delle decisioni sul futuri della città. Una amministrazione   alternativa si dà come obbiettivo un nuovo rapporto tra eletti ed  elettori  oggi  espropriati  della propria valenza democratica da logiche sovraordinate  di natura economicista  che escludono dai momenti decisionali proprio i cittadini-abitanti-elettori . Questa nuova dimensione democratica  può costituire il vero  antidoto alla globalizzazione economica e al regno della paura , dell’insicurezza  e dall’impotenza prodotti dalla militarizzazione delle reti di governo.  Partendo da una nuova dimensione locale partecipata del governo della città si può tentare di sottrarre l’asservimento  delle vite dei cittadini ad una logica ineluttabile di domino incontrastato  del potere della finanza.  Proprio  un nuovo tipo di economia che assume a valore le peculiarità uniche del proprio territorio può contrapporsi  allo sfruttamento della speculazione edilizia che divora e distrugge spazi pubblici in un momento in cui la volontà dei cittadini viene bellamente ignorata e piegata al potere degli interessi privati.  Il fatto  che il pronunciamento di 27 milioni di persone contro la  mercificazioni dei beni comuni, fra cui l’acqua, sia completamente ignorato da questo sistema     completamente succube del potere finanziario e capitalista,  rende un percorso  di riappropriazione democratica dei cittadini attraverso  processi  di autogoverno delle proprie  realtà locali  non più procrastinabile.     

venerdì 20 gennaio 2012

47 anni di Al Fatah

Mario Saverio Morsillo


Ieri 19 gennaio 2012 presso i locali del Senato della Repubblica siti in via S. Chiara 4 a Roma si è tenuta una manifestazione organizzata dai Palestinesi in Italia per commemorare i 47 anni di al Fatah. Presenti
esponenti politici di rilievo nazionale dell'area che va dal Pd alla Rete dei Comunisti; tutti hanno portato il loro contributo. Presenti l'ambasciatore della ANP in Italia, un membro del Comitato Centrale di Fatah, il rappresentante della Mezzaluna Rossa in Italia; particolarmente toccante l'intervento di Monsignor Capucci, Vescovo cattolico di Gerusalemme in esilio, perchè sgradito al governo israeliano a causa della sua attività pacifista. Interessante anche l'intervento di Vincenzo Vita, Presidente della Associazione Parlamentare Italia-Palestina, che ha dichiarato di voler favorire il coinvolgimento degli Enti Locali alla campagna di informazione
e sensibilizzazione per il rico noscimento dello Stato di Palestina. Pertanto, invito tutti i compagni e no interessati a.realizzare qualcosa a livello locale in merito a contattarmi.
                                Grazie per l'attenzione

giovedì 19 gennaio 2012

Conferenza stampa consulta delle associazioni

Consulta delle associazioni città di Frosinone


E’ convocata per venerdì 20 gennaio 2012 alle ore 10,30, presso la Casa del volontariato, in Via Pierluigi da Palestrina (adiacente cinema Arci) – Frosinone Scalo - una conferenza stampa per tracciare un bilancio delle attività svolte da questa Consulta per la difesa e la valorizzazione delle risorse archeologiche e culturali del territorio, con particolare riferimento alle Terme Romane e all’area di interesse archeologico e paesaggistico attigua alla villa comunale.
Ciò anche in relazione alle risposte non pervenute da parte del Sindaco e della Giunta e alla mancata applicazione della delibera consiliare dello scorso 14 settembre. Ad aggravare la situazione è il fatto che sull’andamento delle ricerche archeologiche e la regolarità del cantiere impiantato nell’area attigua alla villa comunale si è osservato il più rigoroso silenzio da parte del Sindaco, della Giunta e della Soprintendenza. Questi argomenti saranno collocati nel quadro più generale della vita dell’amministrazione comunale di Frosinone, sommersa dagli scandali e dalle inchieste della Procura. 

Perché non sto con i forconi siciliani

Sonia Alfano fonte: http://www.soniaalfano.it


Da più parti mi è stato chiesto di prendere posizione su quanto sta accadendo in questi giorni in Sicilia, rispetto ai blocchi del Movimento dei Forconi. Forse risulterò impopolare e, sebbene abbia già avuto prova del fatto che molto probabilmente da qualcuno sarò insultata, sarò diretta: mi sento distante anni luce da quanto sta succedendo e non perché io sia un parlamentare europeo, ma perchè innanzitutto non condivido il metodo, e non ho ben chiare (io come tanti altri) le vere motivazioni di questi blocchi.
Ho visto immagini di violenza e letto notizie di accoltellamenti, e non posso pensare che qualcuno ritenga di poter risolvere in questo modo i problemi della Sicilia, né posso credere che sia positivo annientare l’economia siciliana, già fortemente provata dalla presenza di Cosa Nostra e delle sue numerose forme e ramificazioni. Peraltro, i manifestanti non hanno ancora ben spiegato contro chi e contro cosa si stiano muovendo, ferma restando l’assoluta gravità di un fatto: non hanno parlato di un programma per la rinascita economica della Sicilia. L’impressione è che non abbiano identificato un nemico ben preciso, ma che si stiano scagliando contro la politica, generalizzando. A che serve?
Ho sentito qualche “leader” del Movimento dei Forconi dire che la protesta è apartitica, e qualche altro dire che l’unico riferimento partitico del movimento è Forza Nuova. Qualcuno di loro dice che si protesta contro il caro-carburante, altri, in modo piuttosto generico, dicono che la protesta è dovuta al “mancato rispetto dello Statuto Siciliano”. Per qualcuno l’obiettivo è addirittura l’indipendenza della Sicilia, e qualche altro inneggia persino aiVespri Siciliani.
I fatti sono fatti, però: a capo del Movimento dei Forconi ci sono persone che hanno militato nell’Mpa di Raffaele Lombardo, candidandosi alle elezioni regionali e alle amministrative, e persone legate in un modo o in un altro a Forza Nuova. Non mi si parli di strumentalizzazioni non volute, per favore, perchè in prossimità di alcuni blocchi Forza Nuova è stata autorizzata ad appendere gli striscioni con cui appoggia la protesta. E le tre dita alzate che vedete nella foto a corredo di questo post, la dicono lunga sulle idee di alcuni tra i più entusiasti sostenitori di questo movimento “popolare”, che di popolare non ha nulla e di sospetto ha invece molto. Sempre riguardo ai “capipopolo”, il Giornale di Sicilia riporta un’ANSA, nella quale è scritto:
C’é Giuseppe Richichi, 62 anni, da un ventennio alla guida degli autotrasportatori dell’Aias: ex trasportatore, è tra i responsabili di un consorzio che gestisce un autoparco a Catania realizzato con fondi pubblici. Fu proprio Richichi dodici anni fa a mettersi a capo della protesta che per una settimana mise in ginocchio la Sicilia, con Confindustria che alla fine stimò danni per 700 miliardi di vecchie lire. In quell’occasione Richichi, molto abile a tenere i rapporti con la politica tanto che si vocifera di consulenze che avrebbe avuto in passato all’assessorato regionale ai Trasporti col governo Cuffaro, finì in carcere con l’accusa di avere tagliato le gomme ad alcuni tir per impedire che aggirassero la protesta, all’epoca ribattezzata ‘tir selvaggio’”.
A chi aggredisce verbalmente quanti non intendono unirsi al Movimento dei Forconi viene spontaneo porre delle domande. Perchè la protesta non è partita da Palazzo dei Normanni, dove siedono i politici che gli organizzatori della protesta hanno ripetutamente votato, e che sono i veri responsabili del declino di questa terra? Pensate veramente che accoltellamenti ed assalti ai negozi aperti sia un modo per aiutare la Sicilia? Pensate davvero che questa protesta stia danneggiando i reali colpevoli della perenne crisi economica della Sicilia? Io credo di no.
In questi 19 anni di battaglie contro la mafia e i poteri forti, tante volte mi sono ritrovata sola. Tante volte insieme ad altri familiari di vittime innocenti della mafia ho tentato di far sentire la mia voce, mantenendo sempre il decoro, il buon senso, il rispetto per quelle regole democratiche che i nostri morti hanno difeso fino all’estremo sacrificio. Per questo non posso accettare che la memoria di chi ha pagato con la vita il proprio amore per la verità e la democrazia possa essere calpestata in questo modo.
Soltanto pochi giorni fa Ignazio Cutrò, testimone di giustizia sotto scorta per aver fatto condannare ad oltre 70 anni di carcere i mafiosi della Bassa Quiquina, ha messo in atto una protesta (con tanto di sciopero della fame) di fronte Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione Siciliana (lui ha sempre identificato i responsabili del suo disagio ed a loro si è sempre rivolto, con chiarezza e senza ambiguità). Lo ha fatto perchè dopo aver denunciato è stato costretto a non lavorare più e si è riempito di debiti che non può pagare. Ignazio ne ha fatte di proteste, ma non ha mai neanche lontanamente pensato di prendere in ostaggio centinaia di migliaia di cittadini siciliani, come invece sta facendo il Movimento dei Forconi. Avete un’idea di quanti cittadini siciliani in questi giorni hanno pianto per non aver potuto prendere un aereo che li avrebbe portati ad un colloquio di lavoro o a fare una visita importante in qualche reparto di oncologia? No? Chiedetevelo. Io, all’aeroporto di Catania, ho visto scene desolanti, di ragazzi che, impossibilitati a fare un nuovo biglietto aereo, hanno dovuto rinunciare all’unica possibilità di lavoro che si era presentata negli ultimi anni.
A suffragare poi il sospetto di infiltrazioni mafiose all’interno del Movimento, sono arrivate questa mattina autorevoli dichiarazioni, rilanciate da Adnkronos:
Autotrasporti: procuratore Palermo, giustificato allarme su infiltrazioni mafiose
Palermo, 19 gen. – (Adnkronos) – L’allarme lanciato ieri da Confindustria Sicilia sul pericolo di infiltrazioni mafiose della protesta degli autotrasportatori che sta mettendo in ginocchio la Sicilia ”e’ giustificato”. Ne e’ convinto il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo che concorda con l’allarme lanciato dagli industriali ”al quale dovra’ darsi la massima attenzione, perche’ se Confindustria ha questo tipo di cognizione del problema la cosa e’ della massima serieta’ e non puo’ essere trascurata”.
La vera rivoluzione, per la Sicilia, sarebbe la legalità. Mi aspetto dai cittadini siciliani un grande e dimostrativo sussulto di dignità dentro le urne, e non in fila dietro i Tir.

mercoledì 18 gennaio 2012

La Costa sapeva della pratica dell’inchino e la pubblicizzava, vi diamo le prove

Da una segnalazione di Simonetta Zandiri


Non per andare sempre in direzione ostinata e contraria, ma, dal momento che il 99% degli italiani sta massacrando il comandante Schettino, ho provato a farmi qualche interrogativo e ho trovato, in questo articolo, alcune risposte. Si, perché se un uomo solo può creare un simile disastro, allora è il "sistema" nel quale opera il problema, dunque la COSTA non è SICURA, non lo è se affida la vita e la sicurezza di 4000 persone a un solo uomo. Se poi quest'uomo era abituato a queste pratiche (alcune con il plauso della stessa Costa Crociere), allora è gravissimo. E che ne è della strumentazione? E del sistema di controllo (anche da remoto) per evitare pericolosi avvicinamenti alla costa? Senza nulla togliere agli errori del comandante, attenti, perché stiamo contribuendo a costruire "un mostro" che non c'è, mentre il vero mostro continuerà a rendere poco sicure le nostre vite in mare...

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Vincenzo Borriello da www.notizie.i

In un precedente editoriale mi chiedevo se la compagnia Costa Crociere sapesse della diffusa pratica dell’inchino, al passaggio delle navi davanti alla terra ferma. Il mio sospetto era che la compagnia non potesse essere all’oscuro di una cosa del genere. Dopo quanto scoperto sul blog ufficiale della compagnia, posso affermare che il comandante Francesco Schettino, responsabile di un immane disastro è, al tempo stesso, forse è anche un capro espiatorio. I vertici della Costa Crociere hanno scaricato tutte le colpe sul comandante. Eppure la compagnia elogiava, ringraziava, e sfruttava in termini pubblicitari, l’inchino fatto dallo stesso comandante il 30 agosto 2010, al passaggio della nave davanti l’isola di Procida. Mi chiedo: per fare questo saluto c’è stata una deviazione dalla rotta? Quanto era vicina alla terra ferma la nave, in quella occasione? Perchè non vietare a prescindere questa pratica? Sul blog ufficiale della Costa si legge:
La Costa Concordia il 30 agosto 2010 prima dell’arrivo a Napoli previsto intorno alle 13.00, ha omaggiato con il suo saluto e con la sua breve sosta nella rada della Corricella, l’isola di Procida, tutto ciò grazie al Comandante Francesco Schettino, di Meta di Sorrento. Una grande emozione non solo per i procidani ma anche per i numerosi turisti presenti che hanno accolto la grande e possente nave con applausi, striscioni, musica trombette e vuvuzelas, a bordo di motoscafi, pescherecci, natanti di ogni genere. L’arrivo della nave è stato annunciato da 10 colpi di mortaio ai quali Costa Concordia ha risposto con 3 fischi di sirena, rituale di saluto. Sicuramente una gioia ed una novità per tutti, anche per gli ospiti della Costa Concordia pronti sui ponti esterni con macchine fotografiche e telecamere ad immortalare quel momento unico, ed a festeggiare e salutare con bandiere e fazzoletti. Come lo stesso primo ufficiale di coperta originario di Procida ha dichiarato ‘’Una festa, un atto d’amore e un omaggio alla tradizione marinara che procidani e sorrentini hanno nel dna’’.
(http://blog.costacrociere.it/post/Costa-Concordia-festeggiata-davanti-a-Procida.aspx#comment)

La Costa Crociere, dunque, è a conoscenza di questa usanza da parte dei suoi Comandanti. Ovvio, l’incidente non era contemplato, ma le navi mantengono sempre la distanza minima di sicurezza dalle coste? Cosa ci dicono ora i vertici della compagnia? Non solo, cosa ci dicono le autorità preposte al controllo dei mari? Come scoperto da Repubblica, la Concordia era monitorata dal sistema AIS, un dispositivo che lancia l’allarme in caso di pericoli di collisione e segnala eccessivi avvicinamenti alla costa. Secondo la legge, infatti, per le piccole imbarcazioni, come fa notare Repubblica, la distanza minima di sicurezza è di 500 metri, figurarsi per quelle più grandi. Nessuno ha però intimato alla Concordia di allontanarsi. Scrive Repubblica “Si è scoperto anche che per ben 52 volte all’anno quella nave aveva fatto gli “inchini”. Inchini che fino all’altro giorno, fino a prova contraria, erano stati tollerati: nessuno fino ad allora aveva mai chiesto conto e ragione ai comandanti di quelle navi. Nessuno aveva cercato di capire perché passassero così vicini alla costa dove per legge è anche vietato”. Alla Costa, invece, risulta che c’è stato un solo avvicinamento nell’agosto scorso. Questo è quanto riporta il Messaggero “A quanto risulta a Costa Crociere una nave Costa era transitata sottocosta davanti all’isola del Giglio solo un’altra volta, il 9 agosto del 2011, per la festa di San Lorenzo, dice inoltre l’ad, precisando che in quell’occasione sia l’azienda, sia la capitaneria di porto avevano approvato la rotta“. Il comandante Schettino deve pagare è scontato. La Procura di Grosseto farebbe bene a fare due chiacchiere con i responsabili di Costa Crociere e con tutte le capitanerie di porto lungo le rotte delle navi da crociera, per determinare quante sono le navi che si avvicinano alla costa per fare l’inchino e , se nel farlo violano le misure di sicurezza. É bene ribadire che tutto ciò è fatto per i turisti e, come avete letto, è ampiamente reclamizzato sulle pagine ufficiali di Costa Crociere. In molti sapevano, lo sapevano i turisti, lo sapevano i sindaci delle località turistiche di mare, lo sapeva la costa e probabilmente anche le capitanerie di porto.

Frosinone, restituzione quote depurazione: il Tar del Lazio accoglie il ricorso del Codici

fonte : http://spazioconsumatori.tv/ Alessandra De Giorgi



Sono molti i cittadini del Frusinate che si sono rivolti al Codici per chiedere delucidazioni in merito alla mancata restituzione delle quote di depurazione.
Una palese violazione dei diritti dei consumatori vista la sentenza della Corte Costituzionale del 2008 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di richiedere la quota di tariffa del servizio di depurazione “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”. In favore degli utenti anche il decreto del 30 settembre 2009 con cui il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio determinava i criteri per la restituzione agli utenti della quota di tariffa non dovuta, stabilendo anche l’obbligo di informare i consumatori rispetto al diritto della restituzione.
“La nostra battaglia per far sì che i diritti dei consumatori fossero riconosciuti e rispettati dagli organi competenti è partita più di un anno fa – commenta Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici – Grave è stata l’inadempienza dell’AATO in questa vicenda ed il ricorso al TAR del Codici, accolto, è la dimostrazione dell’inerzia dell’Autorità d’Ambito in merito a quello che è il rispetto dei diritti dei cittadini. Perdurando, infatti l’inerzia del Gestore, l’AATO avrebbe dovuto agire, dandosi da fare là dove il Gestore stesso è mancato”.
“Ma oggi possiamo dare ai consumatori una buona notizia – prosegue Giacomelli – un passo avanti per uscire dall’impasse. Chiesto e ottenuto il commissariamento dell’AATO, la Regione Lazio, su ricorso del Codici, ha l’obbligo di intervenire entro trenta giorni. Nel caso di inerzia sarà nominato da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio un commissario “ad acta”.
“La Regione non vorrà mica dichiarare il proprio fallimento in merito a questa vicenda? – conclude il Segretario Nazionale - Pertanto vigileremo perché i cittadini possano avere presto delle risposte e soprattutto quanto economicamente loro dovuto”.
La Regione Lazio dovrà intervenire entro 30 giorni o sarà nominato commissario “ad acta”.









martedì 17 gennaio 2012

Ora si prova a discutere

Lucia Fabi   Angelino Loffredi

Nel saponificio Annunziata di Ceccano, al clamoroso e inaspettato successo della lista della Cgil all’elezione della Commissione Interna del 9 agosto 1961, la Cisl aveva reagito con un rabbioso comunicato mettendo in discussione un rapido processo di unità sindacale.
Nei giorni d’ agosto e settembre, fra gli operai si affermò, fortunatamente, una forte consapevolezza sul significato da attribuire al voto: occasione irrepetibile  da non sciupare con polemiche fra sindacati, ma utile per far affermare diritti ed eliminare paure, prevaricazioni e uno stato permanente di soggezione sia dentro che fuori la fabbrica, e avviare, finalmente, un confronto paritario con Antonio Annunziata.
I contatti fra gli operai e i membri eletti nella Commissione Interna e le relative organizzazioni sindacali divennero frequenti e condotti alla luce del sole. Con il trascorrere dei giorni, la protesta e la rabbia si trasformavano in proposta, in una piattaforma rivendicativa comprendente otto punti che a metà del mese di settembre venne definita in tutti i particolari.
Gli otto punti ben identificati chiedevano: rimuovere le qualifiche non rispondenti alle mansioni concretamente esercitate;ripristino delle qualifiche superiori a chi precedentemente  erano state riconosciute; parificazione della paga alle donne addette alle “ macchinette “; revisione qualifiche del personale a suo tempo assunto come apprendista; indennità “ una tantum “ di 110 ore di paga a titolo compensativo per tutte le inadeguatezze e le inadempienze subite; ripristino delle attribuzioni di una certa quantità mensile di sapone; due ore di libertà giornaliere, a turno per ogni membro della Commissione Interna; premio di produzione di 5.000 mila lire per tutti più uno mobile da definire sulla base dell’aumento della produzione.
Attorno a tale piattaforma rivendicativa si era creato consenso perché la discussione era stata profonda ed estesa ed i tentativi di divisione della direzione aziendale erano stati ininfluenti, gli stessi rappresentanti della lista padronale erano inoffensivi e neutralizzati. In questo clima si evidenziavano chiari e forti segnali di unità fra Cgil e Cisl.

Il 22 di settembre le parti si incontrarono presso l’Ufficio provinciale del Lavoro di Frosinone, diretto dal Ragioniere Sechi. Era la prima volta che avveniva una trattativa, veramente un fatto eccezionale, ma il commendatore non vi partecipava, si tratterebbe di una palese resa, pertanto preferisce farsi rappresentare da   Francesco Galella, segretario dell’Unione industriali di Frosinone, convinto (forse ) che gli operai erano interlocutori deboli e  incapaci di  fronteggiare un confronto tecnico-giuridico. Alla trattativa, inoltre, non partecipano i tre membri della Commissione Interna eletti nella lista padronale.
A fronteggiare Galella ci sono: Osvaldo Rocca, Benedetto De Santis, Giuseppe Di Piazza, Luigi Roma, indubbiamente persone modeste che presentano qualche difficoltà a parlare in perfetta lingua italiana, ma capaci di esprimersi con chiarezza e senza divagare ogni volta che la discussione verte sulla organizzazione della fabbrica aiutando in questo modo Giuseppe Malandrucco rappresentante della Cgil e Nicola Sferrazza, rappresentante della Cisl.
Nel constatare che la rappresentanza sindacale conosce minuziosamente il funzionamento dei reparti, la dislocazione delle maestranze e le ingiuste paghe, l’avvocato Galella sarà molto spesso impegnato a telefonare in azienda per chiedere istruzioni. La discussione iniziata sin dal primo mattino, a causa delle incertezze del rappresentante dell’azienda, si aggiorna al primo pomeriggio, e in seguito anche al dopo cena.
Dopo 18 ore di discussioni l’incontro termina con un nulla di fatto: l’azienda non raccoglie alcun punto, risponde solamente con netti dinieghi.

Non esiste altra strada che lo sciopero, Annunziata lo sa e forse c’è da pensare che è quello che va cercando. Uomo di grandi sfide, sempre vinte, ricerca una prova generale, una resa dei conti.  D’altra parte gli operai possono fronteggiare uno sciopero ? Una cosa è votare per la Cgil  mentre altra cosa completamente diversa è rinunciare a quel misero sottosalario che comunque l’azienda assicura.
Il commendatore evidenzia anche qualche incertezza ( forse mal consigliato ) perché vuol anticipare la proclamazione dello sciopero con una serrata, motivata dalla necessità di  fare una revisione alle caldaie. A tanti anni di distanza non avendo a disposizione un qualsivoglia di verbale o documento si può pensare a un pasticcio, ma non è da escludere che Annunziata coltivi  l’idea di ritenere che una  certa parte di operai potesse andare a ricercarlo per chiedergli di aprire i cancelli per farli lavorare. Certo è un’ipotesi tutta da dimostrare, ma è questa la strada che il commendatore preferisce percorrere. Incerta, spocchiosa, per lui rischiosa, ma è quella che di fronte ad una prova inedita costringerà la Cgil e la Cisl a  mostrare la vera forza e il grado di  consenso. 

Fermare i preparativi di guerra

Associazione politico-culturale "20 Ottobre"


L’associazione politico-culturale “20 Ottobre” aderisce all’appello lanciato in Germania contro i preparativi di guerra che l’Occidente sta mettendo in campo contro la Siria e l’Iran. La gravissima crisi economica, che attanaglia Europa e Usa, sembra avere, per alcuni, come unica risoluzione un conflitto armato. In Italia tale appello è già stato firmato da esponenti come Domenico Lo Surdo, Gianni Vattimo, Margherita Hack, Giulietto Chiesa, Oliviero Diliberto e altri ancora. L’associazione “20 Ottobre” si unisce alla schiera di coloro che rispondono positivamente all’appello e chiede a tutte le associazioni, a tutti i partiti e sindacati  della provincia di frosinone  e anche del mondo cattolico di fare altrettanto mandando la propria adesione a noguerrasiriairan@libero.it.
In particolare al governo Italiano chiediamo:

1)di revocare le misure di imbarco alla Siria e all’Iran.

2) non partecipare ad azione di guerra contro questi Paesi.

3) di non consentire l’ uso di basi Italiane per l’aggressione.

4) di impegnarsi a livello internazionale per porre fine ai ricatti  a Siria e Iran.
  
A tal proposito l’associazione “20 Ottobre” si rende disponibile per chiunque volesse approfondire tali tematiche.