sabato 30 giugno 2012

Cosa è Syriza?

Adriano Lotito


E’ ormai passata una settimana dalle attesissime elezioni politiche in Grecia, che hanno decretato come vincitore Antonis Samaras, leader di Nea Dimokratia (centrodestra) con oltre il 30% dei consensi. Si va dunque verso l’ennesimo governo di “unità nazionale” che vedrà insieme in coalizione il centrodestra con i "socialisti" del Pasok, e all’opposizione i nazisti di Alba Dorata (diventato quarto partito del Paese) e i “radicali di sinistra” di Syriza (il cui leader, Alexis Tsipras, ha mancato la vittoria elettorale di pochissimi punti percentuale). E proprio su Syriza, decantata sia dalla sinistra governista nostrana che da molti luminari della borghesia “perbene” come la salvezza dell’Europa, vogliamo concentrarci in questo breve articolo, analizzandone il programma e portando alla luce le enormi contraddizioni che attraversano questa coalizione “genericamente” di sinistra (nata come fronte elettorale nel 2004 e composta da varie organizzazioni tra cui Synaspismos, Coalizione della Sinistra dei Movimenti e Ecologia)

Uscire dall’euro e dall’Unione Europea? Ma anche no! (parola di Alexis Tsipras) La contraddizione più evidente che balza subito agli occhi è la dichiarazione di Tsipras a favore della permanenza della Grecia nella Ue e nella zona euro. Infatti da un lato il programma di Syriza è incentrato sulla "rinegoziazione" e "sospensione" del debito pubblico; dall’altro invece si dichiara favorevole a rimanere nelle stesse logiche economiche e politiche che hanno causato quello stesso debito e che lo rendono “non negoziabile”.
Le parole della Merkel a questo proposito sono chiare: la Grecia potrà rimanere nell’euro se e solo se accetta le condizioni che le sono state imposte, e la direttrice del Fmi, Christine Lagarde, ha affermato che “le masse popolari greche dovranno fare più sforzi”, e che questo sarà “il prezzo da pagare per rimanere nell’eurozona” (il pizzo da dare alle banche tedesche per rimanere nel club dei Paesi “forti”). Questo chiarisce molto: anche una Syriza al governo con il programma di Tsipras avrebbe significato la continuazione dei piani di austerità, proprio perché una vera svolta politica non è possibile se non si esce dalle logiche imperialiste dell’Unione europea, cosa che il gruppo dirigente di Syriza non è assolutamente intenzionato a fare.
Ma ormai le elezioni sono acqua passata e Syriza si appresta a diventare il principale partito di opposizione. Ma quale opposizione? “Una opposizione leale”, precisa Tsipras per chi non lo avesse ancora capito, che tradotto in un linguaggio più comprensibile vuol dire che Syriza farà la parte della brava opposizione in Parlamento e da argine di sinistra nelle piazze. Mentre Tsipras tranquillizza la borghesia imperialista, le squadracce naziste danno la caccia agli immigrati (Patrasso) e presidiano interi quartieri alleandosi con la polizia per preservare l’ordine pubblico (come è successo all’indomani delle elezioni).

Un programma riformista e diluito che non rappresenta i lavoratori “Realizzare un audit del debito pubblico; rinegoziare gli interessi e sospendere i pagamenti fino a quando l’economia si sarà ripresa e tornino la crescita e l’occupazione; esigere dalla Ue un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico” (1). Questi sono solo alcuni dei principali punti programmatici di Syriza, ma bastano per rendersi conto della profonda ipocrisia che si nasconde dietro questa organizzazione.
Syriza non è “radicale” semplicemente perché non ha il coraggio di andare alla radice del problema, non mette minimamente in discussione né l’essenza stessa del debito pubblico (il cui pagamento viene solo differito), né il carattere di classe dell’Ue e della Bce (organi sovranazionali dell’imperialismo e per questo non modificabili né trasformabili gradualmente). E’ sensato credere che la Bce cambi la sua funzione (che coincide con la sua stessa essenza) solamente perché lo si esige a parole? Oltretutto Syriza, con questa politica, finisce per consegnare all’estrema destra di Alba dorata la bandiera della rottura con l’euro e con l’Ue, poiché non lascia che due opzioni: restare nell’euro e nell’Ue (giustificandolo con questa vuota retorica circa un preteso processo costituente che dovrebbe riformare istituzione irriformabili, armonizzando socialmente l’Ue dall’alto) o aprire la strada al nazionalismo autarchico dei nazisti e alla loro politica xenofoba.
Ma Syriza scarta un’altra alternativa, in realtà l’unica che possa offrire una soluzione favorevole alla crisi storica del capitalismo europeo: quella che nel Manifesto delle sezioni europee della Lit abbiamo riassunto così: “rompere con l’euro e l’Ue, demolire questo embrione antidemocratico e antisociale del capitale finanziario che è l’Ue e sventolare la bandiera della solidarietà internazionalista e della lotta per una nuova Europa, quella dei lavoratori e delle masse popolari, quella degli Stati Uniti Socialisti d’Europa” (2).
Riguardo ai temi del lavoro, invece di rivendicare a gran voce l’abolizione dei contratti precari e la stabilizzazione di tutti i lavoratori, si limita a “spingere per contratti a tempo indeterminato per limitare il susseguirsi della precarietà” (sicuramente il padronato sarà stato impaurito da parole tanto infuocate).
I fan di Syriza, per difendere il loro indifendibile simulacro, si appelleranno allora alla nazionalizzazione delle banche e delle industrie che effettivamente è prevista dal programma della coalizione: peccato che la nazionalizzazione senza una conseguente gestione operaia e dunque socialista, finisce per diventare quella statizzazione (con conseguente lottizzazione dei posti, crescita dei privilegi e della burocrazia) di cui abbiamo fatto una ricca esperienza anche qui in Italia e che da man forte alla retorica del “privato” contro la lentezza e l’inefficacia del “pubblico”.
E come la mettiamo con la repressione delle lotte operaie per mano di polizia e nazisti? Ci si aspetterebbe un appello per l’autodifesa delle lotte a partire dal picchettaggio delle fabbriche occupate e l’organizzazione di squadre di difesa in grado di respingere gli attacchi e far avanzare la lotta (come hanno ben fatto i minatori spagnoli difendendosi addirittura con lanciarazzi rudimentali e cacciando la polizia). Purtroppo anche qui l’onesto simpatizzante di Syriza si troverà davanti un’amara delusione: la soluzione presentata da Tsipras è piuttosto quella di “smilitarizzare la guardia costiera” e “cambiare i corsi per poliziotti in modo da mettere in primo piano i temi sociali come l’immigrazione, le droghe o l’inclusione sociale” (mentre i manifestanti arrestati negli scorsi mesi stanno facendo lo sciopero della fame nelle carceri).
L’altro punto infuocato della campagna elettorale di questi mesi è stato quello relativo alle politiche sull’immigrazione: i governi che si sono succeduti negli scorsi anni hanno costruito numerosi centri di detenzione per immigrati alla pari di quanto è stato fatto in Italia con i Cpt prima (votati dal centrosinistra e da Rifondazione Comunista) e con i Cie dopo (ad opera del centrodestra). Anche su questo tema Syriza ha la risposta pronta: non chiudere i lager per immigrati, bensì “garantire i diritti umani” ai reclusi, avvalorando la logica esclusiva che considera l’immigrato il “nemico” da rinchiudere (in queste ultime settimane abbiamo assistito a veri e propri pogrom e rastrellamenti nel pieno centro di Atene).
Si potrebbe continuare per molto ancora, elencando tutti i temi sui quali Syriza ha dimostrato di non costituire una reale alternativa a questo sistema, ma per motivi di spazio ci fermiamo qui. Pensiamo sia sufficiente a dimostrare che tra le aspirazioni e le necessità dei lavoratori greci da un lato, e il programma di Syriza dall’altro, c’è un abisso gigantesco.
Lo stesso abisso che c'è tra le esigenze delle masse proletarie e i programmi degli estimatori nostrani di Tsipras: i vari Vendola, Ferrero, ecc.

Serve un programma di classe per uscire dal capitalismo!Quale dunque la soluzione per salvare dalla catastrofe la classe operaia greca? Come Lega Internazionale dei Lavoratori abbiamo lanciato in questi mesi una piattaforma di rivendicazioni di classe che si demarca chiaramente dalle posizioni ambigue di Syriza e del Kke (il partito stalinista). Un programma che prevede la requisizione senza indennizzo delle fabbriche e la gestione operaia delle imprese secondo una pianificazione democratica che vada incontro ai bisogni dei lavoratori, il monopolio statale del commercio estero, la creazione di una banca unica che possa garantire credito a buon mercato per le masse popolari in difficoltà, l’abolizione dei contratti precari, la scala mobile delle ore di lavoro (per dividere il lavoro tra tutti); tutte rivendicazioni che presuppongono ovviamente la rottura netta con l’euro, il rifiuto del pagamento del debito alle banche tedesche e francesi e l’uscita dall’Unione europea.
I rivoluzionari devono anche in Grecia sfidare Syriza e il resto della sinistra a costituire un governo su un chiaro programma di rottura con il capitalismo. E' anche questo un modo per favorire la comprensione di più larghi settori di massa della reale natura della sinistra riformista e dell'esigenza di costruire una nuova direzione del movimento operaio, una direzione realmente basata su un programma operaio, che sostituisca le direzioni capitolarde della sinistra vecchia e nuova.
Non si tratta peraltro di un’alternativa limitata alla sola Grecia: la soluzione della crisi o è internazionalista o non è (a differenza di quanto dicono gli stalinisti del Kke). Per questo motivo sosteniamo la parola d’ordine degli Stati Uniti Socialisti d’Europa, per la costruzione di un governo dei lavoratori e per i lavoratori su scala internazionale. Per il socialismo, contro la barbarie del capitale!

Note1) http://www.syriza.gr/
2) dal Manifesto del Coordinamento delle sezioni europee della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale, pubblicato sul nostro sito web.

Videocon: non lasciamo soli i lavoratori

Fabio Nobile e Ivano Peduzzi (FdS)

“Non possiamo permettere che siano i 1300 lavoratori della ex Videocolor di Anagni a pagare da soli perle politiche dissennate della multinazionale indiana che ha portato al fallimento né per l’intervento tardivo e inefficace delle Istituzioni. Non possiamo tollerare che, dopo sette anni di dura lotta, questi lavoratori e leloro famiglie si ritrovino senza lavoro, senza alcuna garanzia per il futuro e ridotti in povertà. Noi non lilasceremo soli e continueremo a sostenere ogni loro mobilitazione affinché si trovi una rapida soluzione per evitare che scoppi una bomba sociale. Per questo, lunedì 2 luglio parteciperemo al ‘Videocon day’, per chiedere che la Regione Lazio insieme al Governo e alla Provincia di Frosinone reperiscano tutte le risorse necessarie per rilanciare il sito produttivo della Videocon, contrastare la deindustrializzazione del territorio e ridare a queste donne e a questi uomini un lavoro e la speranza di poter tornare a progettare il futuro”. Così, in una nota congiunta, il capogruppo e il consigliere regionale dellFederazione della Sinistra, Ivano Peduzzi e Fabio Nobile.

Petizione contro proposta di Legge Ciccioli

Firmate e Diffondete Patrizia Monti



Cari amici, è partita oggi la raccolta di firme di una Petizione popolare contro la proposta di  LEGGE CICCIOLI approvata in Commissione Affari Sociali della Camera e che rischia di approdare in Aula! Vi chiedo di firmare la Petizione e diffonderla quanto più potete con solo con le nostre associazioni ma con tutti i vostri contatti. E' estremamente importante. Questo è il sito a cui collegarsi: 


“Discorso d’insediamento del presidente del consiglio Beppe Grillo alle camere”

fonte: Quit the Doner



  Buona sera, belin quanti siete, cos’è una riunione dei profughi di pdl e pd meno L? ahahaha adesso vi ammazziamo tutti! Ahahana No, non serve ci avete già pensato da soli” ahahaha.
Beh stronzi, noi siamo il movimento 5 stelle, un movimento di gente umile che usa lo stesso logo degli hotel di lusso. Un po’ come se il partito comunista si fosse chiamato “partito delle Bentley con i cerchi da 20 pollici placcati oro” la Dc “movimento per la promozione del sesso anale con dirty sanchez sul sagrato delle chiese”, il pdl “partito anticorruzione” o quegli sfigati del  PD  “Partito che andrà al governo”

(dai banchi si ode la voce stridula di Veltroni che urla “noi abbiamo una vocazione maggioritaria!”. Risate da tutto l’emiciclo)
Ma noi siamo intelligenti e giovani, io ad esempio ho solo 64 anni.
Invece voi siete veeeeeechi …. Noi cambieremo l’italia! Come? Facendo referendum popolari su ogni cosa. Difficile dite? In svizzera lo fanno da 200 anni e funziona benissimo! Loro fanno così: vanno alle urne e sulla scheda c’è scritto
“ Amati concittadini svizzeri siete d’accordo a tenere nelle nostre banche i fondi neri delle mafie, dei politici corrotti e degli imprenditori evasori di tutti i paesi d’Europa a patto che fare questa porcata ci garantisca un sacco di soldi senza fare un cazzo?
E tutti “Siii”
la democrazia funziona!
E funzionerebbe ancora meglio se i referendum si facessero su internet, immaginate la comodità: votare mentre nella pagina di fianco del browser c’hai un video di you porn con una pornostar che s’ingroppa un mulo in una piscina di Los angeles. Quando mai prima avevi votato con un’erezione nei pantaloni? Cioè a parte gli elettori della Santanchè intendo.
Questa è la politica del futuro! Voi di Repubblica e del pdl ci volevate copiare, avete fatto le liste civiche con i Passera e i Savaiano ma siete  moooorti, siete così morti che nell’oltretomba quando uno sta male e c’ha la faccia brutta gli dicono “Cosa sei? Un politico italiano?” ahahahahaha

(sguardi di sconcerto nell’emiciclo. Voce in lontanza “dovevamo capire che come comico era finito, visto che non fa più ridere avremmo dovuto offrigli serate per tenerlo buono” altra voce tragica  ”Chi è causa del suo mal, pianga se stesso!”. Poi risuona baritonale un  ”W D’Alema!” subito messo a tacere da un’imperioso “Zitto D’Alema!” )
Avete fatto le civiche dall’alto con gente famosa e piena di soldi, noi invece siamo partiti dal basso. Pensate al nome del sito da cui è nato tutto il nostro movimento! Eravamo indecisi se chiamarlo “Uguaglianza”, “Partecipazione” o ancora “Democrazia diretta” però erano tutti concetti un po’ deboli e  quindi per sottolineare che da noi nessuno è più importante degli altri l’abbiamo chiamato “Beppegrillo.it” .
Voi morti non avete capito che a noi non servono più i guru, i santoni, i profeti
Ci sono già io!

Noi non siamo un partito, non abbiamo una struttura. Cosa volete che servano correnti, organi intermedi, votazioni? Oh ma dove credete di essere? Il movimento 5 stelle è democrazia autentica, parola composta da Demo e Cratia che in antico greco significa
“Decide Beppe”

Belin! I Partiti…
Siete moooorti
(gli arriva un messaggio sul cellulare)
“Ah scusate  è Casaleggio, che mi manda dei suggerimenti”
(Legge il messaggio)“ Giusto è un po’ che non lo dico.. “
“Dunque:” (ricontrolla lo schermo del cellulare come se non si ricordasse e poi urlando)
“Siete morti! Morti morti morti”

(sorride soddisfatto, l’ala 5 stelle del parlamento applaude in solluchero, molti neodeputati twittano il discorso del presidente con l’hastag #morti, Repubblica.it lo riprende istantaneamente nella barra di destra, il Corriere.it apre un countdown nella home ” giorni senza la legge sui parlamentari morti 00.00.00″ Baricco incomincia a scrivere “Sangue morto” 18 pagine carattere 16  a 39 euro)
“Il mio amico Casaleggio è un genio! Nel suo ufficio ci sono 6 criceti sotto anfetamine che scrivono i testi per me. Voi direte i criceti non parlano ne tanto meno scrivono. Perché siete vecchi! I criceti di Casaleggio si esprimono con un linguaggio binario, come quello dei computer, solo che quello dei computer fa 0-1-0-1 quello dei criceti è:
(sbraita)
“Vaffanculo” “Morti” “Vaffanculo” “Morti” “Vaffanculo” “Morti”.
così Casaleggio mi manda questi comunicati scritti dai criceti con dentro 245 “Morti” e 367 “Vaffanculo”, i vaffanculo si sa tirano di più. Poi io porto i fogli a mio figlio Ciro che ha 11 anni ma è già premio nobel per l’economica della  decrescita felice alle scuole medie e lui ci mette dentro un po’ di idee che copiamo con google traslator dal Piraten partei tedesco, tanto chi cazzo lo sa il tedesco in italia?
Strunzen, cazzen mazzen!
Ahahahah sono un comico raffinato e ironico. E giovane!

(voce struggente alla sinistra dell’emiciclo “ avremmo dovuto invitarlo a tutte le feste dell’unitaaà” un altro da destra ribatte “ Noi avevamo pensato di inserirlo dentro paperissima, ma perfino quello era un programma troppo intelligente per lui e abbiamo desistito, ahi noi! Se solo potessimo tornare indietro!”. Voce di uomo che imita una donna “D’Alema è sexy!!”)
Io voglio rappresentanti sempre più giovani, adesso i nostri parlamentari c’hanno 30 anni ma i ministri avranno 20 anni e al quirinale sosterremo un bambino delle elementari.
Innocente, puro… l’importante e che sappia andare su internet!
Pensate  potrebbe anche sostituirmi nei meeting internazionali. Ad esempio immagine un vertice a tre nello studio ovale : La Merkel, Obama e il nostro nuovo presidente della repubblica.
Obama: Aiutiamo le banche
La Merkel: Austerità!
Il presidente di 8 anni: “ DOVE CAZZO SONO I MIEI GORMITI??”

Certo potrebbero corromperlo regnandogliene tonnellate, ma allora internet lo manderà a casa, gli elettori voteranno la sfiducia in tempo reale dalla loro scrivania, tanto sono sempre al computer che si smanettano.
(Suona il telefono, Beppe risponde)

“Come dici Casaleggio? Gli amici di Beppe Grillo hanno votato sul sito che non mi vogliono più? Vogliono decidere loro chi sta a capo del movimento?
(scoppia a ridere)
“Si certo, cacciali”
(chiude la telefonata)
“Belin ma cosa si pensavano? Non staranno mica diventati vecchi??”
(esce urlando “Vaffanculo/morti/vaffanculo/morti)

Nell’emiciclo incominciano le trattative e gli scambi per diventare sottosegretari del governo cinquestelle. Ma questa volta via mail.
  



ll progetto del paesaggio nella società contemporanea

La Fondazione Kambo, scuola di qualità sociale


LECTIO MAGISTRALIS 
Il progetto del paesaggio
nella società contemporanea
di Andreas Kipar
Arch. e Fondatore del Gruppo LAND 
MERCOLEDì 4 LUGLIO 2012
9:30 - 13:00
Sala Convegni
Unindustria-Con ndustria Frosinone
Via Del Plebiscito,15 - 03100 Frosinone

Coniugare l’agricoltura, l’architettura e l'ambiente affinché le città tornino ad essere luoghi vivibili, dove poter lavorare, stare insieme e godersi il tempo libero in maniera sana e funzionale.
Questa l’idea di architettura che Kipar trasmetterà durante la V lectio Magistralis del percorso SQS "Territori Sostenibili", ideato dalla  Fondazione Kambo.
La sfida che propone l'architetto di Land è di progettare l’insieme, e non il singolo elemento, facendo nascere spazi verdi in cui le persone possano essere attive e partecipiun paesaggio non più statico e decorativo, ma fluido e dinamico, in linea con la società attuale e in armonia con la natura.

Andreas Kipar è uno dei più importanti architetti paesaggisti d'Europa. E' stato professore incaricato alla Scuola di Specializzazione in Architettura del Paesaggio dell'Università di Genova e dal 2009 insegna Design al Politecnico di Milano. Ha tenuto numerosi seminari e lezioni nelle più prestigiose sedi accademiche nel vecchio Continente e negli Usa.
Nel 1990 dà il via a LAND, (Landscape Nature Architecture Development), uno studio per l'architettura del paesaggio attraverso il quale ha eseguito importanti progetti, tra cui il recupero e la riconversione territoriale del bacino industriale della Ruhr.
Tra i riconoscimenti ottenuti ricordiamo il "Premio INU-Lombardia" del1990, il "Premio europeo per l'architettura del paesaggio dell'ELCA" nel 2002,  il "Premio di Architettura del Paesaggio del Land Nord Renania Westfalia" del 2006, il "Premio Speciale del Paesaggio della Regione Sardegna del 2008 e 2009.
E’ inoltre fondatore e presidente dell’associazione Green City Italia, di cui è socio anche la Fondazione Kambo, nata nel 2010 con l’obiettivo di diffondere la coscienza e il valore del verde urbano per l'incremento del benessere della cittadinanza, oltre che a valorizzare le trasformazioni urbane.
 

La lectio sarà aperta al pubblico ed è parte integrante del  percorso "Territori Sostenibili"prima edizione della Scuola di Qualità Sociale della Fondazione Kambo.
L'obiettivo finale sarà preparare 45 giovani a tramutare i temi della qualità sociale, culturale e ambientale in idee d’impresa. Alla fine del percorso, infatti, i migliori progetti proposti da ragazzi della SQS verranno finanziati per un importo complessivo di 60mila euro provenienti dal Piano Locale Giovani 2007-2009.
  

venerdì 29 giugno 2012

Succhia il sangue e scappa

Luciano Granieri



Se ancora ci fosse bisogno di un ulteriore testimonianza delle delinquenziali e criminali dinamiche che muovono il capitalismo, è sufficiente venire nella nostra terra, la Ciociaria. Una terra ricca di risorse turistiche, agro alimentari, mai valorizzate. Il nostro territorio, dalla fine degli anni ’60 è stato saccheggiato da il fior fiore della imprenditoria delinquenziale mondiale che grazie ai fondi messi a disposizione della cassa del mezzogiorno, fondi costituiti con i soldi dei cittadini, ha distrutto ettari ed ettari di campi, aprendo  fabbriche e assumendo i contadini che da quei campi traevano benessere. Dopodiché distrutto il territorio, sotterrato da  tonnellate di cemento e amianto, multinazionali e grandi imprese  hanno  preso i soldi e sono scappate   in altri siti in cui  rinnovare  il  loro piano di rapina, lasciando in Ciociaria, desolazione e disoccupazione. E’ la classica regola capitalista  per cui i profitti sono sempre e comunque privati mentre le perdite sono sempre e comunque pubbliche. Un tipico esempio di queste dinamiche è la vicenda della Videocon, ex Videocolor.  Alla fine dell’epoca d’oro del boom economico, grazie ai fondi della cassa del mezzogiorno si insedia ad Anagni un impianto specializzato nella produzione di televisori. Grazie all’enorme diffusione di quell’elettrodomestico la fabbrica diventa il secondo sito produttivo del Lazio dopo la Fiat di Cassino. Arriverà ad impiegare 2.400 persone nel periodo di massimo fulgore. Nella metà degli anni ’70 migliaia di italiani a loro insaputa  avevano  in casa un televisore  Videocolor   rivestito da scatole recanti i marchi   Saba, Panasonic, Nordmende e tanti altri ancora. Purtroppo a causa della gestione scellerata e truffaldina  dei vari manager d’assalto chiamati a pompare  una gallina dalle uova d’oro, e  in particolare,  a causa dell’asfissia di investimenti in innovazione tecnologica  che un sito produttivo del genere richiederebbe, inizia il declino. In ogni caso nel 2005, la francese Thomson, proprietaria dell’impianto ancora riesce a trarne profitto. Ma il predomino della speculazione finanziaria sul guadagno da lavoro  convince i manager della ditta Francese a mettere in campo un’operazione estremamente vantaggiosa dal punto di vista dei profitti azionari, ma letale per i lavoratori. Cede il sito produttivo alla plurimiliardaria famiglia indiana Dooth. Mentre gli azionisti della Thomson, grazie a questa operazione intascano dividendi milionari  il futuro di 2.400 operai diventa a rischio. I Dooth sotto il marchio “Videocon” promettono la riconversione dell’unità produttiva in un sito che provvede alla costruzione di condizionatori, all’ assemblaggio di TV, fino alla produzione di schermi al plasma. Grazie a questa promessa la Videocon ottiene fondi  dalle istituzioni pubbliche locali, linee di credito illimitate dalle banche e un finanziamento, come contro partita dell’investimento ad Anagni di 179,8 milioni di euro dall’unione europea per l’apertura di un nuovo stabilimento a Rocca D’Evandro. Ma in realtà il processo di riconversione non parte mai. La famiglia Dooth  acquista ai saldi una vecchia fabbrica di Taiwan e comincia a trasferire i macchinari, obsoleti dalla Cina allo stabilimento di Anagni. Quando, i container pieni di tale ferraglia arrivano in Ciociaria, ci si rende conto che l’ attrezzatura è obsoleta e dunque inutile per produrre quanto previsto dal piano industriale. I container pieni di macchine inservibili rimangono tristemente depositati presso l’area dello stabilimento.  Allora gli indiani tentano un’altra via. Prima di scappare con i soldi dello Stato, della Provincia, dell’unione europea e della banche, cercano di rivendere al migliore offerente i macchinari presenti nello stabilimento. Se la cosa riesce solo parzialmente è grazie alla caparbietà degli operai, ormai in cassa integrazione dal 2005 che presidiano la fabbrica e impediscono che questa venga svenduta al migliore offerente. Intanto i manager indiani, spendono e spandono i nostro denari nel nostro territorio senza remore. Uno di questi gaglioffi, subìto il furto della sua Porsche Cayenne, il giorno successivo si presenta al concessionario, “SOLDI IN BOCCA”  e ne acquista seduta stante un’altre più costosa e più equipaggiata, un gingilletto di oltre 150mila euro . Tutto questo nel più totale silenzio delle istituzioni pubbliche le quali a fronte di immani investimenti concessi avrebbero dovuto vigilare sull’evoluzione della faccenda. Il resto è storia recente. Dopo l’ultimo saccheggio della famiglia Dooth, perfino il distributore degli snack è stato svuotato , 1197 operai rimangono in attesa di un futuro che non verrà mai. Centottanta di loro, per protesta nell’ottobre 2009 occupano l’autostrada A1 per alcune ore. Ottengono un’ ulteriore proroga della cassa integrazione straordinaria, in luogo del licenziamento, ma su di loro si abbatte la mannaia della giustizia con una condanna, per occupazione di suolo pubblico e interruzione di pubblico servizio, in quel frangente transitava sull’autostrada occupata un pullman del Cotral società che denunciò gli operai per i danni subiti a seguito del ritardo del loro mezzo , il tutto tradotto in una condanna a 15 giorni di carcere o 3570 euro di multa. Qualche navigante affezionato di Aut, ricorderà la nostra iniziativa “Arancia metalmeccanica” organizzata per raccogliere fondi necessari alla difesa di questi operai. Un’ ultimo tentativo per salvare il sito produttivo anagnino è fallito per colpa delle  banche. Nella primavera del 2010, la Ssim, un gruppo Arabo-canadese firmò, un accordo preliminare per rilevare lo stabilimento e riconvertirlo in fabbrica per la produzione di impianti fotovoltaici e per la produzione di energia eolica. L’unica condizione era che il sito fosse libero da ipoteche bancarie, il che significava che la Videocon, prima di cedere le strutture avrebbe dovuto appianare i suoi debiti verso la banche. Gli indiani acconsentirono a pagare ma chiesero agli istituti di credito un’ulteriore dilazione che fu irrimediabilmente rifiutata dalle banche del tutto insensibili al destino di 1.300 operai.  Ciò provocò il ritiro dalla Ssim ed oggi dopo, l’istanza di fallimento presentata da una ditta creditrice, sommersa da cento milioni di debiti, la Videocon, ex Videocolor chiude, dichiara fallimento  gettando definitivamente sul lastrico 1.300 famiglie. Un dramma sociale senza paragone, capace di mettere in ginocchio l’economia di un intero territorio. Gli operai continuano ad occupare la fabbrica cercando disperatamente di difendere il proprio lavoro.  Fa rabbia sentire le dichiarazioni dei politici locali e nazionali che si riempiono la bocca con proclami di sincero rammarico e di sdegno. Viviana Fuoco dell’Idv si spinge a dire. “Non è solo il fallimento della Videocn, ma è il fallimento della politica” Ma loro dove stavano in questi anni. E’ più di un decennio che la vicenda dello stabilimento di Anagni angustia il nostro territorio. Dove erano i vari Marrazzo, Scalia, e tutto gli amministratori ragionali provinciali e cittadini che a questa classe delinquenziale pseudo imprenditoriale hanno concesso tutto? Perché la provincia di Frosinone, ad esempio non denuncia gli Indiani per appropriazione indebita di denari pubblici? Perché le istituzioni locali non impongono al ministro delle attività produttive Passera una decisa presa di posizione contro questo scempio sociale? E’ molto semplice, sarà banale, ma è lapalissiano, classe politica e classe imprenditoriale e finanziaria a tutti i livelli fanno parte dello stesso sistema. E allora ABBATTIAMOLO QUESTO SISTEMA!!!! Ci siamo stancati di essere presi per culo dalle esternazioni di una isterica professoressa di economia  assurta a ministro del lavoro  la quale sostiene che il lavoro non è un diritto ignorando l’articolo 1 della Costituzione repubblicana. Non se ne può più di sentire da Marchionne, che le leggi di uno Stato non sono altro che espressione folcloristica di una comunità provinciale e arretrata. Allora forse hanno ragioni i miei amici dei CARC quando sostengono che la società deve tornare in mano ai lavoratori i quali devono esercitare il loro potere nelle fabbriche e nelle banche e nella vita sociale in genere . EVVIVA LA DITTATURA DEL PROLETARIATO SANTOIDDIO!!!!!


giovedì 28 giugno 2012

L'ascensore va verso il patibolo

Luciano Granieri






Nel video Miles Davis compone le musiche del film di Louis Malle  "Ascensore per il patibolo" del 1957 con Jeanne Moreau. Miles semplicemente improvvisa guardando le scene del film realizzando così una colonna sonora straordinaria. Ma non è di Miles Davis che si tratterà in questo post, nè di cinema . Nell'intervento che segue si ragionerà sempre di un ascensore, il quale non porta al patibolo  ma anzi  si avvia esso stesso al patibolo. Infatti  l’ascensore inclinato di Frosinone ha effettuato la sua ultima corsa. L’esito della verifica straordinaria semestrale effettuata dall’autorità di vigilanza, rappresentata dal geometra  Flavio De Santis, è stato negativo, per cui  l’Ustif (Ufficio Speciale Trasporti a Impianti Fissi) ha disposto la chiusura dell’impianto. E’ emerso che le 14 prescrizioni indicate l’8 febbraio 2010, in sede di prova dell’ascensore, da effettuarsi un mese dopo il.collaudo, non sono mai state eseguite. In particolare è necessario sostituire le funi di trazione arrugginite, installare un limitatore di velocità adeguato, riposizionare i contatti di controllo degli armonizzatori delle cabina, installare un blocco meccanico della cabina stessa, come previsto dal progetto, sostituire i rulli d’appoggio e dotare l’ascensore di un impianto di areazione  adeguato. Il tutto significa pianificare una spesa di 265mila euro. L’assessore ai lavori pubblici, Fabio Tagliaferri evidentemente e giustamente declina ogni responsabilità, perché già dai banchi dell’opposizione aveva denunciato i problemi tecnici presenti nell’impianto .  La nuova giunta quindi non ha alcuna intenzione di investire i fondi necessari alla messa in sicurezza dell’ascensore. In primo luogo  perché non li ha, il neo sindaco Nicola Ottavini, sta vendendo mezza Frosinone per rientrare dei debiti, figuriamoci se può disporre dei 265mila euro per aggiustare la “FUNICOLARE FRUSINATE”, e poi, sempre a detta dell’assessore Tagliaferri, quei soldi devono essere pagati da chi ha determinato questa situazione e diciamolo fuori dai denti, alla nuova giunta non pare vero di sottolineare l’ennesimo fallimento dei propri predecessori. Messa così, campa cavallo che l’erba cresce. L’ascensore sarà destinato a rimanere un ammasso di ferraglia  abbandonato, pasto succulento della ruggine e del degrado, lo stesso destino, temo toccherà alle stazioni di partenza a valle e a monte. A pensarci bene la fine di questo impianto, fiore all’occhiello  della giunta  Marini, coincide con  la fine del mandato a sindaco di chi lo aveva  fortemente voluto. E’ una coincidenza singolare e significativa dal forte valore simbolico. Al di là dei discorsi politici, resta comunque il fatto che un dispositivo su rotaia che collegasse la parte bassa con quella alta non  era una idea così peregrina. Su quel pendio che sale sotto il viadotto Biondi è stato pianificato  di tutto, si è perfino ipotizzata la costruzione di una pista di sci, progetto per fortuna abortito. L’idea dell’ascensore era comunque buona e utile per i cittadini,  soprattutto se legata alla riqualificazione del fiume Cosa. Purtroppo solo l’idea è rimasta buona, perché la sua realizzazione, al contrario, è stata disastrosa. Il progetto è cambiato più volte, all’inizio era previsto un doppio binario per due cabine, una di salita e una di discesa, soluzione che  per un errato calcolo dei carichi, avrebbe portato la costruzione della piattaforma di arrivo a monte troppo al di sotto del livello stradale, quindi la cabina stessa si è rivelata insufficiente soprattutto per l’aerazione, la temperatura all’interno dell’ascensore d’estate era ai limiti della sopportazione umana. Poi una volta inaugurato l’impianto, i problemi di funzionamento sono stati molteplici  spesso la cabina si bloccava costringendo i passeggeri a percorrere  a piedi le scale poste  vicino ai binari. Insomma una nascita e una breve vita travagliata,  hanno trasformato quella che doveva essere una buona soluzione per limitare l’inquinamento in città in  una sorta di barzelletta. Ed è un peccato perché per l’insipienza di chi ha eseguito i lavori e per l’incuria di chi avrebbe dovuto gestire l’impianto un’opera utile ai cittadini oggi rischia seriamente di diventare l’ennesimo arrugginito monumento allo sperpero di denaro pubblico. Quando l’ascensore fu inaugurato, Aut compose una foto clip per sottolineare le tante, troppe, traversie che accompagnarono la realizzazione dell’impianto, la ripropongo qui sotto a futura memoria.

Proteggetela

Giovanni Morsillo



Ogni tanto il Ministro Fornero si distrae dalla sua opera d'arte, l'ormai famoso "nuovo quadro del mercato del lavoro" che sta dipingendo e pare voglia intitolare "Apocalisse del sindacato" e scatarra una qualche sentenza elegante ed eversiva. Oggi fa mostra di sé la dichiarazione dell'esponente del governo vatican-bancario secondo cui "il lavoro non è un diritto". Chissà a quale ordinamento si riferiva la Professoressa, che da secoli insegna in una lussuosa univeristà proprio le scienze giuridiche connesse al lavoro. Certamente doveva pensare in quel momento - ma non lo ha chiarito - alle leggi vigenti in qualche sperduto staterello feudale di qualche landa desertica o dispersa in qualche oceano, dove magari ci sarà un re-padrone che decide in base al proprio umore cosa spetti ai suoi sudditi-proprietà in quel momento, salvo poi cambiare idea al mutare del tempo o del suo mal di denti. Non poteva di sicuro avere in mente l'ordinamento italiano, che a partire dal primo articolo della prima Legge che lo regola, ossia dall'Art. 1 della Costituzione, assegna al lavoro non solo la qualifica di diritto, ma di diritto fondante tutti gli altri, poiché su di esso si fonda la stessa Repubblica e, se riflettiamo un pochino, anche il governo nel quale inopportunamente siede la tanto Onorevole ministro. Siamo sicuri di non sbagliare nell'essere certi che si sarà posta la domanda del come mai il lavoro sia stato messo dai Costituenti proprio all'inizio del discorso, e si sarà sicuramente risposto che non doveva essere un fatto del tutto casuale.
Avrà immaginato i Padri della Repubblica (e le Madri, ché c'erano anche loro e senza quote rosa) chiedere agli uscieri: "Lei che lavora e quindi è esperto cosa ne dice, ce lo scriviamo da qualche parte che è meglio se gli Italiani possono difendere la possibilità di dar da mangiare onestamente alla famiglia? O è meglio lasciare che sia il libero mercato delle mazzette a stabilire chi deve occupare i posti e quali?" 
E all'obiezione del povero bidello impreparato che balbettava un triste e spaventato "Non saprei, Onorevole, forse è meglio che siano i politici vincenti ed i manager a stabilire chi è buono ed affidabile e chi invece è meglio tenere alla larga, specie se iscritto alla CGIL..." avrà senza dubbio apprezzato la risposta del legiferatore che rintuzzava: "Come vuole lei, ma non è che poi rischiamo che un Martone qualsiasi venga fatto oggetto di basse provocazioni solo perché non è passato dall'Ufficio di Collocamento?"
 
Che perfino Cicchitto, di cui già solo accostare il nome al concetto di lavoro è una volgarità, faccia esmplari battaglie sindacali per il sacrosaanto diritto alle ferie dei parlamentari (non si riesce a farli lavorare durante l'anno, proprio ad agosto dobbiamo pretendere che lo facciano?) sembra non significare nulla per la ministro dei licenziamenti. Non fa una piega, e tira diritto sulla luminosa via della modernità. 
Se comprendiamo bene le sue preziose lezioni in pillole, deduciamo che per un ministro in carica della Repubblica italiana il lavoro non è un diritto, licenziare due lavoratori anziché uno è un fatto di equità, essere licenziati corrisponde ad una opportunità e riscuotere una pur misera pensione sudata con quarant'anni di versamenti e di duro lavoro rappresenta un incomprensibile privilegio, in certi casi un crimine.
In questo senso forse ha anche ragione: se esistesse un sistema dei diritti ed una democrazia reale in questo Paese, la signora Fornero difficilmente avrebbe avuto un Signore che, investito di autorità imperiale e senza alcun bisogno di consultare il volgo, le avrebbe potuto affidare il compito di vice-sceriffo addetto alla criminalizzazione dei poveri cristi senza blasone. In quel caso, a fronte di anche minore arroganza si sarebbe sollevato il popolo, e le avrebbe fatto notare con almeno pari eleganza che le sue convinzioni non hanno nulla a che fare con un sistema che per consuetudine e per dottrina viene definito "Stato di diritto".
Finora si è presa qualche uovo e qualche pomodoro marcio, ma chi di dovere cerchi di proteggerla; non dagli altri, ma da sé stessa, perché se davvero confonde così le cose, uno di questi giorni potrebbe infilare convinta la porta del bagno per una impellenza tipo riforma dell'art. 18 e ritrovarsi a forma di frittata sul marciapiedi dopo aver volato dal balcone del salotto.
 
Saluti clandestini

mercoledì 27 giugno 2012

La paralisi dei potenti e l'altra Europa

Mario Pianta : fonte http://sbilanciamoci.info


Il vertice dei 4 di Roma non ha deciso niente sui nodi di fondo: debito, recessione, democrazia. Al summit di Bruxelles si rischia il fallimento. Un'alternativa c'è. Se ne discuterà al forum internazionale "Un'altra strada per l'Europa", che si terrà nel Parlamento europeo il 28 giugno, in parallelo al Consiglio europeo
C’è poco di nuovo in quanto si è detto al vertice dei quattro maggiori paesi europei chiuso venerdi a Roma, e c’è molto di non detto sull’accelerazione della crisi europea. Tra quattro giorni a Bruxelles la stessa sceneggiatura sarà rappresentata di nuovo, questa volta a ranghi completi con 27 paesi, ma né la trama e né il finale dovrebbero riservare sorprese.
La prima “mezza notizia” è sulla tassazione delle transazioni finanziarie. Alla fine del vertice perfino il “cattivo” ministro dell’economia tedesco Wolfgang Schäuble ha dichiarato che dieci paesi europei sono ora pronti a introdurla. Sarebbe una vittoria di chi chiede la Tobin tax da vent’anni; per quanto limitata a pochi paesi, aggirabile dalle strategie della speculazione e efficace a colpire sono una piccola parte delle attività della finanza, la tassa avrebbe un significato simbolico fondamentale. Per la prima volta in cinque anni di crisi, la finanza verrebbe colpita dalla politica. Non sarebbero più i governi a subire inermi ogni lunedì l’attacco della speculazione, ma sarebbe la finanza a subire un piccolo colpo. Non più – o meglio, non solo – banche private salvate dai soldi pubblici, ma nuove regole che limitano la speculazione. Il problema è che l’Europa rinuncia a una norma comune e passa a un’iniziativa di “cooperazione rafforzata” tra pochi paesi, e il Regno Unito di David Cameron – l’oppositore più ostinato - può tirare un respiro di sollievo. Vedremo se al Consiglio europeo del 28 giugno quest’iniziativa verrà ufficializzata e introdotta rapidamente.
La seconda è la “non notizia” sulla responsabilità collettiva dell’Europa sul debito pubblico. L’ha chiesta timidamente Mario Monti, proponendo che il “fondo salva-stati” compri titoli spagnoli e italiani. Hollande è d’accordo, chiede prima la “solidarietà” e gli eurobond, poi la perdita di sovranità – difficile da digerire per la Francia. Merkel accoglie solo un’”unione fiscale” pensata come protettorato tedesco sulle politiche di bilancio degli altri paesi. Qui la “convertita” è la signora del Fondo monetario Christine Lagarde, che ha imbeccato il vertice europe chiedendo eurobond, “unione fiscale” e acquisti di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea: un’Europa che si dia una scossa e aiuti anche la ripresa Usa in tempo per la rielezione di Obama. La paralisi qui è destinata a continuare e la palla resta all’amletico Mario Draghi al vertice della Bce, l’unico con gli strumenti per intervenire davvero. Finora ha salvato soltanto le banche, rifiuta di sostenere massicciamente il debito pubblico e ha fatto infuriare i tedeschi chiedendo un’”unione bancaria” per poter sorvegliare la banche a rischio. Tra i potenti regna il disordine.
La terza è una notizia inesistente, i 130 miliardi per la “crescita”, che non si da dove vengano, dove vadano e come possano far uscire l’Europa dalla recessione.
E’ del tutto improbabile che queste tre “non-notizie” riescano a tranquillizzare i mercati finanziari che lunedi giudicheranno l’affidabilità dell’euro e dell’Europa. La crisi sta diventando sempre più intricata. Le banche spagnole hanno ora bisogno di enormi finanziamenti e non si è ancora capito quanto aggraveranno i già disastrati conti pubblici di Madrid, che chiederà ora ufficialmente l’aiuto europeo. La Grecia non è più sulle prime pagine dei quotidiani, ma la crisi di Atene resta irrisolta, sul piano economico come su quello politico. E si annuncia quella di Cipro, centro finanziario soprattutto per i capitali russi e del medio oriente, con due banche al collasso e un’esposizione finanziaria insostenibile. Il governo cipriota, guidato da un primo ministro comunista legato alla Russia, ha chiesto a Mosca un super-prestito, ma potrebbe molto presto aggiungersi alla lista dei paesi euro bisognosi di aiuto – e sarà proprio Cipro ad assumere la presidenza di turno dell’Europa il prossimo primo luglio.
Il “non detto” tra i potenti d’Europa disegna una prospettiva assai fosca per un’Europa che non sa cambiare strada. Sono quattro i temi al centro di ogni strategia che voglia davvero arginare la crisi.
Il primo è il braccio di ferro con la finanza: potrebbe diventare lo scontro che definisce gli spartiacque dei nuovi schieramenti della politica europea. La speculazione si traduce in tassi d’interesse da usura sul debito pubblico, in tagli di welfare e salari, in recessione sempre più grave. E’ interesse di quasi tutti – imprese, lavoratori, forze politiche non ultraliberiste - rompere questa spirale, costruendo il consenso per misure che ridimensionino drasticamente la finanza: divisione tra banche d’affari e commerciali, restrizioni alle operazioni ad alto rischio (over the counter, derivati, acquisti allo scoperto, etc.), fine dei paradisi fiscali e armonizzazione dell’imposizione in Europa. A livello europeo, un’agenda simile potrebbe venire da un’alleanza dei paesi della periferia e la Francia di Hollande potrebbe avere un ruolo chiave.
Il secondo tema, di cui si parla poco, ma che è alla base dell’aggravarsi della crisi in Grecia, Spagna e Italia sono le fughe di capitali. I trattati europei prevedono libertà di movimento dei capitali, ma questa è stata a lungo limitata dalla politica dei governi. La speculazione finanziaria e i timori per l’uscita dall’euro dei paesi più fragili hanno spinto i ricchi di tutti i paesi a portare i soldi in Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo e in altri paradisi fiscali. Si sono aperti squilibri enormi nei conti con l’estero dei paesi europei e scompaiono risorse per investimenti proprio dove servirebbero di più per rilanciare le capacità produttive. Perfino il Fondo monetario ha posto il problema di ridurre gli squilibri nei movimenti di capitali ed è il momento per una politica europea che orienti i capitali privati al reinvestimento nell’economia reale, nei paesi dove sono stati accumulati, con severe misure fiscali e limitazioni amministrative. Anche in questo caso, tutta l’economia reale ne avrebbe benefici, sarebbero colpiti solo gli “straricchi” di ogni paese.
Il terzo tema riguarda la recessione che ha colpito l’economia di tutta Europa (e sta ridimensionando anche il successo tedesco). L’idea dei potenti d’Europa è che tagliare spese e salari aumenti la competitività e porti a esportazioni e crescita; invece ha portato l’Europa a scivolare in una nuova grande depressione. E’ indispensabile imparare le lezioni degli anni trenta: rilanciare la domanda e avviare una redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri, rovesciando le disuguaglianze record raggiunte in Europa. Far ripartire la spesa pubblica “buona”, far crescere il lavoro, i salari e i consumi, orientare gli investimenti verso uno sviluppo sostenibile: un “green new deal” potrebbe essere la via d’uscita dalla recessione di oggi.
Il quarto è un tema tutto politico: l’azzeramento della democrazia in Europa. Le decisioni sono prese da Berlino, Bruxelles e dalla Banca centrale; i governi degli altri paesi non contano, il Parlamento europeo è impotente. Si è aggravata così la divisione tra il potere della Germania (e i suoi stati satellite) e una periferia europea sempre più debole e frammentata, un quadro in cui una maggiore integrazione europea rischia di trasformarsi – come teme la Francia – in più potere consegnato a Berlino. Ripartire dalla democrazia – negli stati e tra gli stati - è l’unica possibilità di evitare l’Europa pangermanica e le reazioni verso nuovi, illusori nazionalismi.
Sono questi i nodi della crisi europea di cui si parlerà il 28 giugno a Bruxelles al Forum “Un’altra strada per l’Europa” promosso da trenta organizzazioni sociali – tra cuiSbilanciamoci! e il manifesto – che si terrà al Parlamento europeo, con la collaborazione dei gruppi dei Verdi e della Sinistra unita europea. Rossana Rossanda aprirà i lavori e cinquanta economisti, dirigenti sindacali, esponenti dei movimenti di tutta Europa si confronteranno con trenta politici e parlamentari democratici, socialisti, verdi e della sinistra. In contemporanea con il Consiglio europeo, dal Forum del Parlamento verranno le proposte per far cambiare strada a un continente stremato da cinque anni di crisi.
La diretta del Forum sarà trasmessa in streaming sul sito www.ilmanifesto.it.
Le informazioni in cinque lingue sono su www.anotherroadforeurope.org.



martedì 26 giugno 2012

Era proprio ora

Giovanni Morsillo


Finalmente un concerto. Con una motivazione politica, sociale, umana. Non pietosa, per carità, che ne abbiamo le scatole piene di piagnistei senza costrutto e di rassicuranti fedi nei più vari aldilà mentre il fango esce dalle fogne e ci sommerge! Un concerto dove si incontra l'arte e l'impegno, la politica si fa concreta, umana, senti l'odore della pelle di quelli che ti stanno vicino e da lì puoi succhiare alimento. Un concerto, quello dello stadio Dall'Ara, che spezza catene pesanti, che riporta la gente a sentire il problema del compagno, del fratello che non conosci, come il proprio problema. Non un concerto di star delle etichette discografiche, ma di grandi artisti che testimoniano l'umana partecipazione ad una sciagura collettiva di gente perbene come il terremoto dell'Emilia. 
Ci riporta un po', noi dediti all'amarcord ed al rimpianto, a quando si facevano centinaia di chilometri di autostop per andare al concerto in difesa del Viet-nam, o per la liberazione dei prigionieri politici del Cile, dell'Argentina, dell'Italia. Ci si incontrava e si discuteva delle sonorità degli Area o dei testi coinvolgenti dei nostri cantautori, che speso fungevano da comodi bignami dell'armamentario ideologico giovanil-rivoluzionario. Compendi di coscienza di classe, lotta cantata che andava dalle ballate di De Gragori ai canti delle tradizioni operaia e socialista, anarchica e contadina, tutto con una sensazione di diligente assunzione di responsabilità storica in quanto "masse" coscienti, portatrici del riscatto. E si finiva in bellezza, ma la sbornia era assolutamente lecita ideologicamente, poiché si trattava di socializzazione, di esperienza comunicativa fraternizzante, e illustrava - se ce ne fosse stato bisogno - l'assunto teorico e pratico secondo cui "il privato è politico".
Stavolta ci siamo sentiti così: dopo che tante categorie di lavoratori e cittadini hanno messo a disposizione le loro competenze e le loro possibilità per dare una mano agli Emiliani, i musicisti più coscienti hanno fatto lo stesso, rivendicando il ruolo della loro arte nella costruzione di una società solidale.
Non fa niente se il relitto di Vasco Rossi (va bene, insultatemi pure, ne avete diritto; ma questo non toglie nulla al fatto in sé) ha cercato di distinguersi per fare a tutti i costi il trasgressivo, l'anticonformista a gratis. Anche lui ha diritto a pensarla come gli pare, ma il concerto resta quello che è: una pietra miliare nel cammino dell'arte musicale impegnata di questo Paese, anche nel momento in cui lo stesso Paese tocca il più basso livello di civiltà almeno dai tempi di Papa Borgia.
Ci saranno state ombre, forse più di una. Ma questo concerto costringerà, ci auguriamo, a discutere sul ruolo tutt'altro che asettico e neutrale dell'arte.
Saluti solidali


L'ora della verità

Piergiovanni Alleva:  www.dirittisocialiecittadinanza.org



In primo luogo. Con l'approvazione del disegno Fornero di riforma del mercato del lavoro, è giunto per tutti - partiti, sindacati, operatori giuridici, sociali e culturali e per lo stesso Governo - il momento della verità. Infatti, con il sostanziale svuotamento dell'art.18 dello Statuto,si chiude una parabola che ha abbracciato quattro decenni all'insegna della garanzia della dignità del lavoro.
Con l'art.18 prevedente, in caso di licenziamento arbitrario, la reintegra nel posto di lavoro, il lavoratore poteva esercitare con tranquillità - durante il rapporto - tutti i suoi diritti, legali e contrattuali, perchè la legge imponeva al datore di giustificare lui, a pena di annullamento, l'eventuale licenziamento che volesse intimargli, indipendentemente dalla possibilità del lavoratore di dare la difficilissima prova di una volontà di rappresaglia contro l'esercizio di quei diritti. 
Ora l'art.18 come norma antiricatto è nella sostanza venuta meno e quindi si realizza il disegno di parte datoriale di poter contare su uno strumento sicuro di dominio, costituito dalla minaccia sempre incombente sul lavoratore di licenziamento,giustificato o meno.
Questo è il cuore del problema, che ormai conoscono tutti.
Di fatto il governo, dopo aver messo alla disperazione decine di migliaia di persone con la manomissione del sistema pensionistico, completa ora il lavoro sporco affidatogli «a tempo» dai ceti dominanti.
Anche i grandi sindacati, che avrebbero potuto, come in altre occasioni, bloccare questa micidiale controriforma con una estesa e convinta mobilitazione e con un forte sciopero generale, questa volta - invece - non l'hanno promosso.
Anche il maggior partito progressista avrebbe potuto, specie dopo i risultati delle elezioni amministrative, semplicemente alzare un dito per bloccare questo sbilanciato provvedimento. Invece ha preferito diventare la nuova spalla su cui poggia l'arma della diseguaglianza e del ricatto occupazionale.
In secondo luogo. Da parte nostra, però, sarebbe ingiusto emettere così drastici e impietosi giudizi, senza darne una spiegazione scientifica e tecnica, corroborata da una esperienza operativa durata quaranta anni.
Per onorare questo obbligo, esponiamo di seguito uno schema di lettura della riforma Fornero, da cui risulta, anche oltre il suddetto «cuore del problema», una valutazione complessivamente negativa e penalizzante per il lavoro nelle varie forme dipendente.
1. La riforma è idealmente divisibile in tre parti, di cui quella centrale riguarda appunto la «flessibilità in uscita», ossia la riforma della disciplina dei licenziamenti.
Essa riduce la possibilità di reintegra nel posto di lavoro a ipotesi del tutto marginali e generalizza invece, quale sanzione per i licenziamenti ingiusti, una semplice indennità economica di importo compreso tra 12 e 24 mensilità.
Che si tratti di un pauroso salto all'indietro, in definitiva l'ha riconosciuto anche il governo, che - proprio per questo - ha dichiarato di offrire «compensazioni» costituite dalle altre due parti della legge Fornero, dedicate rispettivamente alla riforma della «flessibilità in entrata», ossia alla limitazione e messa sotto controllo del precariato e alla riforma degli «ammortizzatori sociali», quali cassa integrazione, indennità di mobilità e di disoccupazione, che - si è detto - la nuova legge avrebbe migliorato, proprio in considerazione della maggior facilità di licenziamento accordata alle parti datoriali.
Ebbene, noi affermiamo - sfidando chiunque a sostenere il contrario - che proprio questa della «compensazione» è la menzogna più odiosa; perchè, sia sul versante della «flessibilità in entrata», sia su quello degli «ammortizzatori sociali», la legge Fornero è drasticamente peggiorativa rispetto alla normativa attuale.
Non temiamo di affermare, anzi,come non ci sia una sola norma che, al di là dell'apparenza, sia davvero «migliorativa». Ed è demoralizzante che la maggior forza politica progressista abbia avvallato l'ingannevole interpretazione della «compensazione».
Vediamo come stanno veramente le cose.
Nella «flessibilità in uscita» la riforma Fornero affronta quattro tipi di licenziamenti
a) Nel licenziamento «discriminatorio» non cambia nulla, perché ben si sa che trattasi di figura solo teorica per l'eccessiva difficoltà della prova.
b) Nel licenziamento «disciplinare» - vero cuore della tematica - la possibilità di reintegra viene limitata a casi di scuola e ridotta a una sorta di foglia di fico.
In sostanza, per aversi reintegra, occorrerebbe o che il datore si fosse inventato tutto o che avesse letto male il contratto collettivo, applicando il licenziamento dove doveva applicarsi una sanzione più lieve.
c) Nel licenziamento «per motivo oggettivo», la reintegra è limitata all'ipotesi di «manifesta insussistenza» del fatto addotto come motivo del licenziamento, applicandosi altrimenti la sola sanzione economica.
Torna alla mente, anche qui, l'immagine ipocritamente pudica della foglia di fico.
d) Nel licenziamento «per riduzione di personale» si sancisce il gravissimo arretramento che i vizi riguardanti la procedura sindacale di esubero non danno più luogo a reintegra, ma solo a una indennità economica.
2. Nella «flessibilità in entrata», il vantato giro di vite normativo sull'abuso dei contratti a progetto e sulle false partite iva con monocommittenza si riduce a riprendere risapute interpretazioni già acquisite in via giurisprudenziale, ma con un grosso arretramento con riguardo ai rapporti di consulenza a partita iva, perchè la monocommittenza viene legata a indici empirici facilmente aggirabili. Ad esempio, l'aggiramento può essere realizzato con la previsione delle fatturazioni non a una sola società, ma a più società tra loro in qualche modo collegate.
Ma è sul contratto a termine e sul contratto di lavoro somministrato che la riforma Fornero ha dato, contrariamente alle promesse, briglia sciolta al precariato, prevedendo che possa essere privo di causale il primo contratto a termine della durata di ben 12 mesi e così anche anche il primo contratto di somministrazione. Contratto che anche in altri casi è stato esentato dall'obbligo della causale.
Basterà dunque assemblare tra loro in maniera accorta i vari tipi contrattuali previsti, per realizzare quel precariato permanente di persone ultra ricattabili,che è il vero risultato - a parer nostro voluto - della riforma Fornero.
3. Nella parte relativa agli «ammortizzatori sociali» viene adottato un criterio di malthusianismo sociale. Infatti, al primo soffio di difficoltà le imprese potranno licenziare perchè non ci sarà più quella «cassa integrazione straordinaria» tradizionale che per la classe operaia italiana ha rappresentato sul piano collettivo una garanzia simile a quella dell'art.18 sul piano individuale.
Fosse stata vigente in passato la legge Fornero, non sarebbero oggi ancora aperte fabbriche come Fiat, Breda, Ansaldo, Finmeccanica, che sono riuscite a ristrutturarsi anche grazie alla cigs.
Per fortuna questa follia dovrebbe entrare in vigore solo nel 2016.
Infine. Ci permettiamo solo una considerazione finale, ricordando come l'art. 8 del dl 138/2011 fu un «colpo di coda» potenzialmente devastante che il governo Berlusconi riusci a fare passare, disponendo della maggioranza parlamentare.
Le forze di opposizione promisero correttamente l'abrogazione, alla prima occasione possibile, di quella folle previsione che consente di derogare ai contratti collettivi mediante contratti aziendali. Tuttavia la norma è ancora in vigore.
Che dire allora di questa riforma Fornero, tanto grave e pericolosa, che però tra qualche mese non avrà più genitori politici in attività?
Qualcuno adotterà allora come suo figlio il piccolo feroce mostro così rimasto orfano?
Sarebbe il caso già di pensare a una sua abrogazione anche referendaria - magari assieme all'altra mostruosità dell'art.8 - per iniziativa di lavoratori, cittadini, associazioni sociali e culturali ancora consapevoli dell'importanza per il nostro Paese di norme di salvaguardia della dignità del lavoro e di garanzia di civile convivenza .