lunedì 14 gennaio 2013

Tahrir ruggisce contro il nuovo Faraone

di Ronald León Núñez,  dal sito della Lit-Quarta Internazionale, traduzione dall'originale spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza



Nelle ultime settimane abbiamo visto le immagini di centinaia di migliaia di egiziani che occupavano nuovamente l'emblematica piazza Tahrir al Cairo, realizzando imponenti manifestazioni in quasi tutto il Paese, scontrandosi a colpi di pietre con la polizia e affrontando per le strade della capitale un impressionante accerchiamento militare composto da filo spinato, carri armati e soldati d'élite – appartenenti alla Guardia repubblicana – arrivando perfino alle porte dello stesso palazzo presidenziale e a circondarlo.
Vedendo queste scene si potrebbe pensare che sono le stesse di quella impresa rivoluzionaria durata 17 giorni e costata 800 martiri che rovesciò il dittatore Mubarak l'11 febbraio 2011. Anche la parola d'ordine più urlata in Tahrir è la stessa di quasi due anni fa: “Il popolo vuole la caduta del regime!”.
La differenza è che ora la classe lavoratrice e il popolo egiziani non urlano contro Mubarak, il dittatore odiato svenduto all'imperialismo che hanno sconfitto con la loro lotta rivoluzionaria, ma contro il presidente Mohamed Morsi e l'attuale governo dei Fratelli musulmani.
Il patto tra i Fratelli musulmani e i militari
Questo perché le masse egiziane affrontano un regime politico bonapartista e repressivo che, anche senza Mubarak, si è mantenuto nelle sue forme essenziali.
Ciò a causa del fatto che i Fratelli musulmani hanno concordato con la cupola militare il loro arrivo alla presidenza e in cambio non ne hanno messo in discussione l'immenso potere economico e politico.
In questo quadro, questa nuova esplosione popolare è iniziata quando Morsi, rafforzato dal suo rilevante ruolo nei negoziati per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, ha emesso un decreto di “modifica costituzionale” che determinava una quasi totale concentrazione di poteri, stabilendo che nessuna decisione presidenziale avrebbe potuto essere impugnata in alcuna istanza di giudizio. Bisogna tener presente che Morsi già concentra nella sua persona il potere esecutivo e legislativo, dopo che la precedente Giunta militare ha sciolto il parlamento lo scorso giugno.
Ma Morsi ha fatto di più. Poco dopo questo “decreto” ha annunciato che il progetto di costituzione, elaborato dall'Assemblea Costituente, – composta da una netta maggioranza di membri islamisti – era ultimato e ha indetto un referendum confermativo per il 15 e il 22 dicembre, con l'obiettivo di approvarlo.
Il progetto di costituzione che Morsi e i Fratelli Musulmani difendono – con l'appoggio di settori islamisti più fondamentalisti, conosciuti come salafiti – ha un carattere chiaramente bonapartista e repressivo, anti-operaio e anti-sciopero. Attenta anche ai diritti delle donne e delle minoranze religiose, poiché si basa sulla sharia o legge islamica (1). L'elemento centrale di questo progetto costituzionale è che è fatto per compiacere la cupola militare, poiché mantiene intatti gli enormi poteri e privilegi delle forze armate nell'economia e nella politica egiziane.
Senza dubbi, questo progetto di costituzione è uno strumento perfezionato per sconfiggere la rivoluzione e mantenere il regime bonapartista, sulla base dell'accordo tra i Fratelli musulmani e i militari con l'appoggio dell'imperialismo nordamericano. Qui è necessario sottolineare che l'attuale aggressione bonapartista del governo e del regime egiziani conta sull'assenso di Washington, che utilizza deliberatamente Morsi come elemento di stabilizzazione della regione, come è parso evidente durante l'ultima aggressione sionista a Gaza.
Per tutto ciò, non è un caso che l'alta gerarchia delle forze armate non si sia pronunciata contro il decreto e questo progetto costituzionale. Il punto è che Morsi ha sempre scrupolosamente rispettato gli interessi vitali della gerarchia. Nei suoi cinque mesi di governo, il presidente islamico ha fatto tutto il possibile per mantenere buone relazioni con la cupola militare.
Il presidente islamista garantisce i generali su tre questioni che per essi sono fondamentali: a) il mantenimento della loro piena autonomia e discrezionalità; b) l'immunità della Giunta militare per i crimini e gli abusi commessi durante la dittatura fino all'assunzione dell'incarico da parte di Morsi; c) la salvaguardia delle loro numerose imprese e proprietà (si stima che i vertici militari controllino non meno del 30% dell'economia del Paese) e il mantenimento dell'alleanza con gli Stati Uniti, che finanziano direttamente le forze armate con oltre 1.300 milioni di dollari all'anno, situazione che rende quello egiziano l'esercito che riceve più sovvenzioni dall'imperialismo dopo quello israeliano.
Finora tutto questo è stato rispettato e protetto. Infatti, il progetto di costituzione prevede che il ministro della Difesa sia sempre un militare e assegna ad un organo militare, non al parlamento, il potere di elaborare il bilancio del ministero della Difesa, così come era al tempo di Mubarak. Inoltre si mantengono i terrificanti tribunali militari per giudicare i civili (attivisti sociali e oppositori in generale) e non si vieta in alcun modo la tortura. In questi giorni, lo stesso Morsi ha autorizzato l'esercito ad arrestare qualsiasi manifestante che lo contestava nelle piazze.
Gli attacchi alla libertà di organizzazione e di sciopero
La Federazione egiziana dei sindacati Indipendenti (Efitu) ha emesso un comunicato in cui denuncia il decreto di Morsi e il suo progetto costituzionale. Sul primo, questa Federazione chiede: “Come può il presidente promulgare leggi, e lavorare per la loro applicazione, senza che nessuno di noi abbia il diritto di rivolgersi ai tribunali per impugnarle? E se viene emesso un decreto che proibisce tutti i sindacati che sono sorti a partire dalla rivoluzione? Nessuno potrà opporsi a ciò?”.
Riferendosi al progetto di costituzione, nello specifico per quanto ha a che fare con i diritti della classe operaia e la sua libertà di organizzazione, denuncia: “(...) tutti i progetti che sono stati prodotti dall'Assemblea Costituente sono stati completamente svuotati dei diritti dei lavoratori, dei contadini, dei pescatori, dei lavoratori in posti di lavoro informali. Gli articoli che menzionano i lavoratori e la giustizia sociale non stabiliscono alcun obbligo, che ne permetta l'applicazione vera e propria, né per il governo o né per i padroni. Allo stesso tempo, i progetti proteggono gli interessi dei proprietari delle fabbriche e dei direttori delle imprese: nella realtà di oggi ci troviamo di fronte a padroni che si rifiutano di pagare gli stipendi dei lavoratori e li licenziano, o danno ordine di chiudere la fabbrica e buttare su una strada i lavoratori, anche quando hanno goduto di privilegi ed esenzioni fiscali o hanno ottenuto prestiti bancari e non li hanno mai restituiti (...)”.
In un'altra parte della dichiarazione, questo settore dei sindacati egiziani si oppone anche al discorso che ha pronunciato Morsi il 23 novembre, nel quale ha minacciato che “avrebbe usato la legge contro l'interruzione della produzione o il blocco delle strade, o che avrebbe proibito per legge gli scioperi e i presidi”, oltre ad annunciare l'entrata in vigore di una legge (2) che autorizza il presidente a intervenire nei sindacati, fino a rimpiazzarne i dirigenti attuali.
Questi attacchi di Morsi, come parte di un offensiva bonapartista d'insieme, sono una chiara risposta ad una crescente capacità d'azione e protagonismo della classe operaia nello scenario politico egiziano che è iniziata da prima della caduta di Mubarak. Settori della classe operaia, come i lavoratori della fabbrica di Mahalla, la più grande del settore tessile, sono stati parte dell'avanguardia che ha rovesciato l'ex dittatore. Da quando è caduto, hanno realizzato una serie di lotte e di scioperi. In questi giorni, come continuazione di questa lotta, sono stati protagonisti di una grande corteo contro le misure reazionarie di Morsi.
Ciò si verifica nel contesto di un ricco processo di riorganizzazione in corso nel movimento operaio in Egitto, con la fondazione di nuovi sindacati o federazioni. Il governo dei Fratelli musulmani, alleato ai militari, tenta di liquidare questo processo limitando tutte le libertà e gli spazi democratici che sono stati conquistati con la caduta di Mubarak.
Ma sono ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo. La forza delle mobilitazioni e l'entrata sulla scena di un settore della classe operaia hanno ottenuto un primo trionfo: Morsi si è visto obbligato a ritirare il suo decreto.

Sconfiggere la costituzione di Morsi e dei militari!
Tuttavia, Morsi non ha rinunciato alla sua proposta di costituzione né al referendum. È chiara la sua intenzione di deviare la lotta sul terreno più favorevole ai Fratelli Musulmani per deviare il processo rivoluzionario e “legittimare” il suo progetto politico bonapartista e repressivo: il campo elettorale.
Di fronte a tutto questo processo, l'opposizione borghese ai Fratelli musulmani si è raggruppata in quello che si è cominciato a chiamare Fronte di Salvezza Nazionale. Questo è un fronte ampio che comprende una serie di partiti che si dicono “laici e liberali”, e perfino esponenti del precedente governo di Mubarak. È guidato da Mohamed El Baradei e dall'ex cancelliere di Mubarak ed ex segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. Ma ci sono anche altri personaggi, come Hamdin Sabahi, un nazionalista borghese che si presenta come nasserista e ha un peso importante nel mondo sindacale e in alcuni raggruppamenti giovanili; non per caso è stato il terzo candidato più votato alle ultime elezioni. In questo ampio fronte d'opposizione sono entrate anche molte organizzazioni di giovani che sono state nelle piazze fin dall'inizio della rivoluzione, come il conosciuto Movimento 6 Aprile. Il fronte di opposizione ha deciso di fare appello a votare per il No al referendum costituzionale.
Siamo completamente contro questo progetto costituzionale e crediamo che la lotta contro il governo dei Fratelli musulmani e il regime bonapartista passi nell'immediato per la sconfitta di questo progetto di costituzione che legalizza e legittima il potere dei militari e riafferma tutti i vincoli del paese all'imperialismo.
La lotta contro l'offensiva bonapartista si dà ora nelle strade e anche sul terreno del referendum. Per questo, mantenendo la più assoluta indipendenza di classe, sosteniamo che è necessario che le organizzazioni sindacali e la sinistra applichino una politica di ampia unità d'azione con tutti i settori, anche borghesi, che sono disposti a affrontare il regime e la costituzione che lo consolida. All'interno di questo ampio fronte contro Morsi e i militari dobbiamo combattere le direzioni borghesi e condurre l'imprescindibile battaglia per costruire una direzione rivoluzionaria, poiché l'attuale direzione di El Baradei, Moussa, ecc., per le proprie insormontabili limitazioni di classe, è e sarà incapace di condurre la lotta fino alla fine, come dimostra la sua apertura a negoziare con il regime questa o quella questione sul testo costituzionale e perfino sul meccanismo specifico del referendum al fine di smobilitare tutto il processo.
Mentre stavamo chiudendo questo articolo si è tenuto il primo turno del referendum e dati ufficiosi danno una vittoria parziale del Sì, con il 57% contro il 43% del No. Tuttavia, nel contesto di una giornata elettorale militarizzata con più di 120.000 soldati, la nota eccezionale è il trionfo del No in varie città con un importante presenza di lavoratori e operai, come la stessa capitale, dove il No al progetto di costituzione dei Fratelli musulmani ha vinto con il 57% dei voti. Nel secondo turno, che si terrà il 22 dicembre, voteranno le città dell'entroterra, dove gli islamisti hanno un peso molto maggiore. Ad ogni modo, anche nell'ipotesi che il progetto costituzionale del regime venga approvato nelle urne – il che è molto probabile –, si sarebbe ben lontani dal raggiungere la legittimità che pretendevano i Fratelli Musulmani e i militari, dato che nel primo turno si è registrato solo il 33% di affluenza alle urne e ci sono numerose denunce di irregolarità durante le votazioni.

La rivoluzione è viva e sta avanzando
Queste imponenti mobilitazioni sono una dimostrazione incontestabile che la rivoluzione egiziana non è finita ne tanto meno sconfitta. Tutto il contrario, è ancora viva la fiamma della lotta delle masse sfruttate e oppresse, che in questi quasi due anni dopo aver spodestato Mubarak non hanno visto migliorare le loro condizioni di vita ne soddisfatte le loro aspirazioni democratiche.
Il dato più positivo e incoraggiante è che questa nuova ondata di mobilitazioni rivoluzionarie si scontra direttamente contro il governo dei Fratelli musulmani, il partito borghese più forte e meglio organizzato del paese. Questa organizzazione politica vecchia di 84 anni ha sempre avuto una forte prestigio tra ampi settori delle masse, anche a dispetto dell'essere stata uno dei sostegni di Mubarak e del sostenere attualmente il proprio governo in un patto con la cupola militare assassina.
La crescita della delusione e dell'opposizione popolare ai Fratelli musulmani ha a che vedere con l'esperienza diretta che le masse stanno facendo con il governo di Morsi e dei Fratelli musulmani. Il logorio del consenso ai Fratelli musulmani è molto più veloce del previsto. Dopo aver assunto il potere sull'onda di un grande consenso popolare, passato meno di mezzo anno, ora vediamo settori di massa paragonare Morsi a Mubarak o a un faraone moderno scendendo in strada al grido di “Morsi, Morsi, dimettiti!”. Questo confronto tra Morsi e Mubarak fino a poco tempo era impensabile. Ora è un dato di fatto. In diversi punti del Paese, migliaia di persone hanno invaso e incendiato all'incirca 40 sedi dei Fratelli Musulmani.
Questo ha a che vedere col fatto che, oltre ad essere sempre più chiaro che i Fratelli musulmani sono sullo stesso treno autoritario dei militari, Morsi deve attuare piani economici che colpiscono con durezza il già malconcio tenore di vita del popolo egiziano. In mezzo a questa ripresa dell'ascesa di lotta operaia e popolare, Morsi ha dovuto fare marcia indietro – dopo averlo annunciato – rispetto ad un piano di aumento delle imposte fino al 50% sui prodotti di prima necessità, come parte di un pacchetto che il FMI pretende per effettuare un prestito di 4.800 milioni di dollari.
Il compito principale in questo momento è completare il processo che ha ottenuto come prima vittoria il rovesciamento di Mubarak e avanzare fino alla distruzione totale del regime dittatoriale controllato dalla cupola delle forze armate e sostenuto dall'imperialismo. Questo significa anche, naturalmente, la lotta più decisa contro il governo dei Fratelli musulmani, uno dei garanti di questo regime.
Distruggere il regime bonapartista egiziano – che ora governa con un volto islamico – e conquistare ampie libertà democratiche è un compito fondamentale perché la rivoluzione possa avanzare verso un governo operaio, contadino e popolare che cominci la costruzione del socialismo in Egitto e nella regione.
In questo senso, è urgente approfondire la mobilitazione popolare esigendo la convocazione di una nuova Assemblea Costituente libera e sovrana. Questa lotta sarà inevitabilmente contro il governo di Morsi e tutta la cupola militare che detiene le redini del potere politico e dell'economia.
Per questo, le mobilitazioni per questioni democratiche ed economiche devono essere collocate nella prospettiva di abbattere il governo dei Fratelli musulmani e il regime militare e per l'immediata instaurazione di un governo operaio e popolare basato sulle organizzazioni sindacali e sociali. Solo un governo con queste caratteristiche potrà convocare una Assemblea costituente realmente libera e sovrana, che rifondi il Paese sulla base degli interessi operai e delle masse popolari, cominciando con la rottura completa di tutti i patti politici ed economici che assoggettano l'Egitto all'imperialismo yankee e allo Stato nazi-sionista di Israele. Solo un governo operaio e degli sfruttati potrà punire tutti i crimini di Mubarak e dei militari, oltre a confiscare tutte le loro proprietà e le enormi fortune per metterle al servizio delle masse popolari.
Il conseguimento di tali obiettivi (distruzione del regime bonapartista, rottura con l'imperialismo e avanzata verso l'espropriazione dei capitalisti) non è collocato in un futuro remoto ma nella realtà attuale. La rivoluzione che scuote il Nord Africa e il Medio Oriente, con la ripresa della lotta palestinese, l'accentuazione delle lotte operaie in Tunisia e l'inizio di lotte di massa in Giordania e il fatto che il regime di Al Assad è sempre più isolato in conseguenza della rivoluzione e della guerra civile in Siria, ci danno motivi per essere ottimisti sul trionfo definitivo della rivoluzione in Egitto e in tutta la regione.

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